- 1970
Ultimo domicilio conosciuto
Polar.
Una mistura transalpina tra poliziesco e noir.
Niente male, come genere.
I francesi sono notoriamente scarsini nella disposizione dei sanitari da bagno, ma sul cinema -bisogna ammetterlo- se la cavano alla grande.
Negli ultimi anni parecchi registi d’oltralpe si sono cimentati in alcuni polar d’effetto, coinvolgendo i migliori attori del paese nei loro progetti.
I risultati, soprattutto in alcuni casi, sono stati degni di nota.
Ma il periodo aureo di questa tipologia di cinema si sviluppa tra gli inizi degli anni quaranta e la metà dei settanta.
Da questo punto di vista un capostipite universalmente riconosciuto è di certo Ultimo domicilio conosciuto, del regista José Giovanni.
Quest’ultimo, con la sua vita a dir poco al limite -se non oltre- tra avventure belliche, condanne a morte poi tramutate in carcere duro, esperienze malavitose ed amicizie pericolosissime, è stato un ottimo scrittore, prima ancora che un apprezzato cineasta.
Le Trou (Il Buco), dal quale è tratto il capolavoro cinematografico diretto da Jacques Becker, è una sua pubblicazione, per dire.
Jean Cocteau e Albert Camus, due nomi a caso, ne apprezzavano oltremodo la produzione letteraria.
In Ultimo domicilio conosciuto la scrittura è difatti fondamentale e diviene ancor più pregnante allorquando il cast riesce, sotto la sapiente mano del regista, a ricreare quella irresistibile aria di malinconia -che fa molto Francia, quantomeno per me- che va a permeare tutta la storia, finendo per farla apparire come un romanzo raccontato in fotogrammi.
Che poi il film è, a sua volta, un riadattamento cinematografico del primo romanzo dello statunitense Joseph Harrington.
José Giovanni, da buon romanziere. ne coglie le più cavernose sfumature e mette in scena un’opera che, a parer mio, è emblematica del contesto del quale si discorre.
Un mastodontico Lino Ventura, da par suo, esprime come meglio non si potrebbe la disillusione esistenziale dell’uomo e, nello specifico, del poliziotto.
Marlène Jobert, ingenua e determinata, regge splendidamente il confronto.
Un incontro di caratterizzazioni fisiche ed esperienziali del tutto opposte che però confluiscono, seppur angosciosamente, in una delicata quanto sottaciuta passione.
Il contorno non mostra una sbavatura che sia una.
Ogni singola comparsa è perfettamente incastonata in un meccanismo preciso e languidamente descrittivo.
La trama, in fondo, è “classica”: un ispettore esperto, valoroso e dal passato tormentato si ritrova invischiato in beghe di provincia e, con l’occasione, viene dirottato su un caso apparentemente insolvibile ma che, grazie alle sue doti riconosciute, potrebbe consentire ai colleghi di sbrogliare una matassa a dir poco fastidiosa.
La sua aiutante, sveglia e coraggiosa, gli regala impulso, forza e spunto per seguire la pista giusta.
Una volta risolta la pratica il colpevole viene assicurato alla giustizia che, però, non si rivela tale sino in fondo, in quanto se ne frega del destino del testimone che ha consentito di chiudere i giochi e lo lascia in balia della feroce ed immancabile vendetta.
Una storia cruda, amara, pungente.
Ventura è imbarazzante nella sua infinita bravura.
Come ho avuto modo di scrivere ricordando il divertentissimo Il Rompiballe (1973), il buon Lino è uno dei miei attori preferiti.
Eclettico, preparato, camaleontico, costantemente nel personaggio: una maschera autoironica capace di sguardi monumentali e movimenti imprevedibili, indice di una capacità attoriale veramente sublime.
Le atmosfere -solita Francia degli anni settanta, maledettamente intrigante- risultano essere vivide e sferzanti.
Stupende anche le musiche, curate da quel genio di François de Roubaix che in soli trentasei anni di vita ha mostrato un talento sconfinato ed una sfrontatezza avanguardista che gli avrebbero di sicuro spalancato orizzonti di gloria, se una tragica immersione nelle Isole Canarie non ne avesse spento l’ardire per l’eternità.
Chi cerca un lavoro con effetti speciali fantasmagorici, e magari con il protagonista principale che salta da un aereo in volo ed atterra al centro della scena uccidendo tutti i centotredici cattivi della saga, stia decisamente alla larga.
Chi invece ama i film con un finale non scontato, con una regia impeccabile e con una sceneggiatura rigorosa, dove gli ideali lottano disperatamente contro le ambizioni umane, dove l’amore è percepito con inquietudine piuttosto che pubblicizzato come una batteria di pentole e dove la verità presenta più sfaccettature che certezze, beh, troverà in Ultimo domicilio conosciuto un lavoro accurato ed intenso.
Filosofico, più che altro.
E davvero molto emozionante.
Ultimo domicilio conosciuto: 7,5
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