- Bomber dei poveri
Totò De Vitis
Signore & Signori,
per la rubrica “i bomber della B“, ecco a Voi uno dei migliori cannonieri della cadetteria anni ottanta: il mitico Antonio De Vitis, detto Totò.
Uno che segnava parecchio e che col suo movimento sul primo palo, ad anticipare i difensori avversari, si è assicurato i diritti d’autore della specialità, all’epoca.
Come d’abitudine, procediamo con ordine.
Totò De Vitis, all’anagrafe Antonio, nasce a Lecce nel maggio del 1964.
Nella bella città salentina suo padre, Gino, gioca a calcio nella compagine locale, che milita in serie C.
Per essere precisi Gino, calciatore solido e roccioso, è il capitano della squadra pugliese, nella quale milita ininterrottamente da un quinquennio ed in cui gioca da difensore centrale, dopo essersi disimpegnato a lungo come terzino sinistro.
Di lì a breve Gino chiuderà col calcio giocato e si dedicherà all’allenamento dei giovani ed al commercio, aprendo un distributore di benzina.
Nel frattempo, con l’imprescindibile collaborazione della sua Signora, ha messo al mondo il piccolo Antonio, sin da subito Totò, che ricalcherà le orme paterne diventando un calciatore e, a dirla tutta, andrà anche oltre, affacciandosi sui nobili campi della serie A e diventando un fattore in quelli della B.
Totò è un bambino a dir poco vispo.
Praticamente è immarcabile, preludio a quel che sarà il suo destino sportivo.
A scuola fa lo stretto necessario per ottenere il permesso di correre dietro ad un pallone.
Si intuiscono presto le doti di attaccante.
Rapido, scaltro, deciso.
Entra a far parte di una piccola società della zona, dove viene segnalato ai dirigenti del Lecce.
Manco il tempo di interessarsi alla questione che, prima ancora di compiere il suo quattordicesimo anno di età, per il piccolo De Vitis si spalancano le porte del Napoli.
I partenopei, dietro consiglio di un osservatore salentino, si sono difatti assicurati il prospetto pugliese, sottraendolo alle mire del Lecce e di un altro paio di club incuriositi dalla giovanissima punta.
Totò, tifoso interista ed innamorato di Roberto Boninsegna, sogna di emulare le gesta del suo idolo e, pian piano, si appassiona anche alla città di Napoli ed alla sua inarrivabile passione calcistica.
Sogna di esordire con i partenopei e nella stagione successiva al trionfo italiano nel Mondiale di Spagna viene aggregato alla prima squadra del Napoli, reduce da un paio di ottime annate (terzo e quarto posto) in serie A.
L’allenatore, Marchesi ha firmato per l’Inter ed ha lasciato il posto all’emergente Giacomini, proveniente dal Torino.
Totò De Vitis, che nei dodici mesi precedenti ha già collezionato alcune convocazioni e si è seduto più volte in panchina, esordisce in massima serie nel dicembre del 1982, contro il Genoa.
Una mezzoretta scarsa per lui, in un match in cui il Napoli, anche grazie all’ingresso di De Vitis a dare vivacità in attacco, riesce a cogliere il pareggio (1-1) a pochi istanti dal termine, dopo essere passato in svantaggio a fine primo tempo.
A guidare i napoletani è mister Pesaola, come Direttore Tecnico, col fido Rambone a dargli manforte.
Difatti Giacomini, dopo un promettente inizio di stagione, ha pagato l’eliminazione in Coppa UEFA patita contro i tedeschi del Kaiserslautern di Briegel e Brehme ed un cammino decisamente altalenante in campionato.
Il Napoli, che vede in Krol, Castellini, Diaz, Bruscolotti, Citterio, Vinazzani e Claudio Pellegrini i suoi elementi più rappresentativi, annaspa maledettamente, complici alcune problematiche di ordine societario.
De Vitis, in rampa di lancio, spera di trovare spazio in una compagine che vede l’argentino Diaz in palese difficoltà psicologica e gli acquisti novembrini, Vagheggi e Scarnecchia, incapaci di regalare ai compagni la verve necessaria a cambiare passo.
Non è una fase adatta per lanciare giovani, insomma.
Pesaola e Rambone si affidano ai giocatori navigati ed a coloro che, sebbene ancora nel pieno della gioventù, abbiano già maturato una certa esperienza sui campi da gioco.
Con una vittoria nell’ultimo turno del torneo il Napoli centra la salvezza.
In estate il club campano cambia volto: prende il brasiliano Dirceu dal Verona, il libero Masi dalla Pistoiese ed il bomber De Rosa dal Palermo, oltre a far ritornare alla casa madre Palanca (dal Como), Casale (dopo un bel po’, con Criscimanni che fa il percorso inverso trasferendosi al Pisa) e Caffarelli (in cambio di Amodio) e scambiare Citterio con Boldrini, dell’Ascoli.
Diaz va le valigie, direzione Avellino.
Vinazzani lo imita, passando alla Lazio.
Pietro Santin è il nuovo tecnico degli azzurri.
Quest’ultimo lancia De Vitis da titolare in Coppa Italia, in un girone in cui i campani, in fase di rodaggio, non fanno bella figura.
Il leccese, decisamente sfortunato, fa incetta di legni e non sfrutta l’occasione.
La società, di concerto con lo staff tecnico, decide di puntare su altri elementi e presta il giovane al Campania, compagine del quartiere Ponticelli ove potrà essere seguito adeguatamente nella crescita, come calciatore e come uomo.
Invero Totò è un tipo piuttosto maturo, nonostante le sue appena diciannove primavere.
Accetta di buon grado il declassamento, conscio delle sue doti e sicuro di potersi imporre più avanti in quel che al tempo è il più importante campionato d’Europa.
Nel Campania gioca accanto al forte Sorbello ed all’esperto Massa, andando in gol in sette occasioni e mostrando un buon fiuto per la rete.
Diverse società si appuntano il nome della punta pugliese, col Napoli che ha da poco messo le mani su di un certo Diego Armando Maradona e che, di conseguenza, sta provando a costruire intorno al fuoriclasse argentino un roster in grado di fargli da supporting cast per il futuro.
Totò De Vitis, volente o nolente, deve tagliare il suo secondo cordone ombelicale, dopo quello col Lecce.
Resta al Sud, comunque.
Anzi, per essere precisi, si sposta nell’estremo meridione, firmando per il Palermo, da qualche settimana sprofondato in serie C al termine di una deludente annata in cadetteria.

Col bravo Tom Rosati alla guida i rosanero ambiscono a tornare immediatamente nel secondo livello del calcio italiano.
Il grintoso mister organizza un team che lotta e produce un bel calcio, chiudendo in testa alla classifica a pari merito col Catanzaro e tenendo a debita distanza il terzo incomodo, alias il Messina di Scoglio.
Maiellaro, Barone, Gabriele Messina, Claudio Ranieri, Piga, Guerini, Paleari ed il nostro Totò De Vitis, autore di otto reti e di un importante contributo alla causa sicula: squadra forte, senza dubbio.
Peccato che il presidente del Palermo, Parisi, sia vittima di un agguato di stampo mafioso, a stagione in corso.
E che Rosati, malato da tempo, si spenga poche settimane dopo aver tagliato il traguardo della B.
De Vitis, chiuso dagli arrivi in rosa di Claudio Pellegrini e di Sorbello, due sue vecchie conoscenze, ad ottobre viene ceduto alla Salernitana, restando in C1.
Inizialmente pare destinato al Taranto, insieme al compagno Maiellaro.
Poi i pugliesi mettono le mani sul più esperto D’Ottavio ed allentano la presa su Totò, che in Coppa Italia porta in vantaggio i siciliani-su penalty- contro la Juventus di Platini e Scirea (che poi vincerà la gara per 3-1), Campione d’Europa in carica, e poi saluta i rosanero e torna in Campania.
E lo fa alla grande, bucando per sedici volte i portieri avversari e trascinando il suo team ad un torneo di buon livello, senza patemi di sorta.
Il centravanti che nella Primavera del Napoli pareva destinato a palcoscenici importanti è oramai pronto a misurarsi quantomeno con la cadetteria.
Lo cercano in tanti, a dire il vero.
Sia dalla C, dove ormai è una certezza, che dalla B, con parecchie squadre sulle sue tracce.
A prenderlo è quel Taranto che era evidentemente nel suo destino e che, una volta ceduto D’Ottavio al Barletta, decide di acquistare proprio De Vitis in sua vece.
Scelta azzeccata, perché il furetto pugliese segna ben diciotto gol, vice-capocannoniere alle spalle del pescarese Rebonato, e permette ai pugliesi di festeggiare la salvezza, seppur al termine degli spareggi con Lazio (salva) e Campobasso (retrocesso).
La rosa dei tarantini è un mix di tenaci mestieranti e giovani rampanti.
Maiellaro inventa gioco, Donatelli organizza la manovra, Paolucci prova ad aprire spazi in avanti e gli altri, chi più chi meno, alzano le barricate dinanzi al portiere Goletti (od al suo sostituto Incontri).
Renna, dapprima, e Veneranda, poi, schierano i pugliesi in modalità 9-1-1, con Maiellaro e De Vitis oltre il centrocampo e gli altri, tranne saltuariamente Paolucci, in difesa ed in mediana a far legna.
A segnare è comunque sempre e -in pratica- soltanto lui, Totò.

In estate, agguantata una soffertissima permanenza in categoria, il Taranto punta sul mister Pasinato e rafforza la rosa con alcuni elementi di spessore, in primis il centrocampista Roselli (cugino della madre di un mio caro amico ischitano, per quanto mi renda perfettamente conto che la cosa non freghi a nessuno).
De Vitis segna meno (una decina di reti) ma il Taranto, come un anno prima, inizia male e poi disputa un ottimo girone di ritorno e si salva, stavolta senza spareggiare.
Totò, capitano dei rossoblù, in estate è ambito da diverse squadre.
Il Taranto, che ha bisogno di moneta sonante, non si oppone alla sua cessione.
Confida in un’asta, chiaramente.
Alla fine della fiera ad aggiudicarsi il napoletano d’adozione è l’ambiziosa Udinese, che aspira alla promozione in serie A.
I friulani corteggiano a lungo il bomber Gritti, del Torino, poi si convincono a puntare su Totò De Vitis su suggerimento dell’allenatore Sonetti, che apprezza molto l’attaccante ex tarantino.
In Friuli provano a prendere pure Giordano, in rotta col Napoli, ma il tentativo non va a buon fine.
I bianconeri dispongono comunque di una rosa più che attrezzata per ambire alla massima serie.
Branca, Catalano, Pasa, Garella, Zannoni, Minaudo, Firicano, Antonio Paganin, Galparoli, Angelo Orlando, Lucci, Storgato e compagnia bella.
Totò De Vitis, inoltre, è oramai inarrestabile: quindici centri per lui e promozione assicurata, per gli uomini del presidente Pozzo.

Il figlio d’arte ritrova la serie A, dopo l’esordio col Napoli.
Una soddisfazione immensa per lui e per la sua famiglia.
Totò rispedisce al mittente alcune succulente proposte per la B, ove ormai è una garanzia, è si impegna nel ritiro estivo per convincere il nuovo tecnico Mazzia a dargli fiducia.
L’acquisto del forte attaccante argentino Balbo, che pare accoppiarsi molto bene con Branca, riduce lo spazio per De Vitis, che oltretutto si infortuna gravemente -rottura dei legamenti- nella fase cruciale della stagione.
Mazzia lascia il posto a Marchesi, che porta la squadra a giocarsi la salvezza all’ultima giornata.
La vittoria con l’Inter è prestigiosa, ma non si rivela utile a salvare i friulani, che retrocedono in B nonostante una squadra che unitamente ai succitati schiera gente come lo spagnolo Gallego e l’argentino Sensini, giusto per fare un paio di nomi.
Inoltre, al termine dei Mondiali del 1990, l’Udinese viene coinvolta in un presunto caso di combine ed è condannata a scontare 5 punti di penalizzazione, nel successivo torneo di B.
Pozzo risponde allestendo una rosa di ottima fattura: Marronaro, Pagano, Dell’Anno, Giuliani, e altri ancora.
Balbo segna come un dannato (22), ma la squadra di Marchesi (al quale subentra Buffoni) è troppo altalenante per sperare nel ritorno in A.
De Vitis recupera lentamente dall’infortunio patito mesi prima e prova ad offrire il suo contributo, con una ventina di gettoni di presenza (da subentrante, perlopiù) ed una sola rete.
Ventisettenne, capisce che ha bisogno di un nuovo progetto per rilanciarsi.
Fisicamente è a posto e per la B è un lusso.
Lui sogna la A, ma dalla massima serie non lo cerca nessuno.
Nemmeno quella Fiorentina che in più occasioni si era fatta avanti, nel recente passato.
Una proposta arriva invece dal Piacenza, neopromosso in cadetteria, che vuole confermare gran parte della squadra che ha meritatamente conquistato la promozione e, nel contempo, vuole inserire alcuni rinforzi che consentano ai biancorossi di poter lottare per la salvezza.

Totò De Vitis va a prendere il posto del bomber Cornacchini, passato al Milan.
Lo sguizzante Piovani è il suo partner offensivo, unitamente al generoso Cappellini.
Dietro di loro scalpita un giovanissimo Pippo Inzaghi.
Ad ottobre torna a Piacenza pure il bravo Madonna, a dare qualità sulla trequarti.
Dietro ed in mezzo vi è invece parecchia quantità, di quella seria.
Totò De Vitis segna 17 gol (vice-caponnoniere, dietro al bresciano Ganz) e consente al Piacenza di salvarsi in un torneo equilibratissimo, con ben quattordici compagini racchiuse nel giro di soli sei punti.
L’allenatore, Cagni in estate chiude alcuni rinforzi, per non rischiare di ritrovarsi coinvolto nella lotta per evitare la caduta negli inferi della terza serie.
Tra calciomercato estivo ed autunnale arrivano in città calciatori come Taibi, Maccoppi, Turrini, Suppa, Carannante, Simonini, Iacobelli e Ferrazzoli.
Tutta gente di sostanza, ecco.
Che unita a quella già in rosa (Lucci, Moretti, Papais, Chiti, Brioschi, eccetera) permette agli emiliani, partiti col freno a mano tirato, di carburare strada facendo e di arrivare al traguardo in terza posizione, ottenendo una incredibile ma meritata promozione in serie A.
De Vitis, di nuovo vice-capocannoniere con 19 centri, si riappropria di quella massima serie che è certo di meritare, visti i molteplici sacrifici fatti dopo l’infortunio di Udine e le tante energie spese sui campi della B.
Il Piacenza, in vista della nuova stagione che la vedrà esibirsi nei più importanti palcoscenici calcistici della penisola, decide di non cambiare assetto e di puntare sul gruppo che ha ottenuto la prima partecipazione della storia piacentina alla serie A.
Scelta che non paga, per quanto la sfortuna ci metta ampiamente del suo.
Gli emiliani retrocedono subito in B e Totò non brilla, con una quindicina di gare disputate ed una sola rete segnata.
Poco, complice qualche infortunio di troppo e quella nomea di bomber dei poveri -alias calciatore di serie B- che ormai lo accompagna indelebilmente.
Eh sì, perché non è la prima volta che gira questo commento quando si parla di lui in ottica massima serie.
Trattasi di un esercizio dialettico rispettabile, ci mancherebbe, ma a parer mio alquanto ingeneroso.
Se parliamo di A, Totò De Vitis, in carriera, ha messo a segno una decina di reti in poco più di una sessantina di gare.
In B le reti diventano centoventicinque in oltre trecento match.
La differenza è palese, non si discute.
Ma la B degli anni ottanta è una A2, pregna di feroce agonismo ed indiscutibile qualità degli interpreti.
Certo, la A è la A.
Che poi, con un pizzico di buona sorte, Totò avrebbe potuto fare la sua figura anche lì, a livello realizzativo.
In quanto discorriamo di un vero e proprio cecchino dell’area di rigore.
Classico centravanti dal fisico non possente e nemmeno gracile, capace di battagliare con tutti i tipi di difensori e di sconfiggerli sul tempo.
Veloce, opportunista, astuto.
Calcisticamente cattivo e tecnicamente discreto, segna tanto, protegge la palla come pochi altri sanno fare ed aiuta la squadra a salire.
Il suo movimento sul primo palo è inoltre letale.
Di testa, pur non potendosi definire un ariete, è una forza.
In acrobazia è spettacolare.
Calcia bene i rigori e sa trascinare i compagni, se necessario.
Quando si ferma o è per infortunio, oppure perché soffre se si accorge di non essere al centro del progetto.
Ha bisogno della fiducia totale di allenatore e compagni, per rendere al meglio.
Ha personalità, però possiede pure una sensibilità che lo porta ad assumersi ogni responsabilità quando è in campo e pagare pegno quando osserva il team dalla panca e/o dalla tribuna.
Ci crede sempre e comunque e per questo i tifosi lo adorano.
E quando la mette dentro, beh, è il Top.
Tornando in B, il Piacenza richiama il promettente Filippo Inzaghi dal prestito al Verona e lo schiera in un tridente con Piovani e De Vitis.
Tanta roba, per la categoria.
Tantissima roba.
E difatti gli emiliani stravincono il campionato, con numeri da record.
Totò De Vitis ne imbusta dodici, tre in meno dei suoi compagni di reparto.
Ma non vola in A, perché viene venduto al Verona per quattrocento milioni delle vecchie lire.
Si chiude, al termine di un quadriennio intenso quanto gratificante, il rapporto col Piacenza.
La nuova avventura veneta, con Perotti in panca, inizia all’insegna di un velato ottimismo.
La rosa dei butei è ben assortita e dispone di alcuni elementi di indubbio valore: Tommasi, Barone, Fattori, Caverzan, Zanini, Baroni, Cammarata, Manetti, Vanoli, Valori, Marangon, Casazza e altri ancora.
Gli scaligeri nel girone di andata prendono le misure agli avversari, quindi in quello di ritorno mettono il turbo.
Secondo posto in graduatoria, dietro al Bologna, e Totò De Vitis che centra la sua quarta promozione in massima serie, con tredici gol messi a segno dal furetto leccese come firma sullo straordinario risultato dei veronesi.
Questi ultimi ingaggiano Cagni, per provare a salvarsi nel campionato più qualitativo d’Europa.
Il nuovo mister, che conosce De Vitis come le sue tasche e che lo stima sia come calciatore che come uomo, ne chiede la conferma.
Totò, lusingato e felice di tornare a trentadue anni in A, rispedisce al mittente un paio di succulente proposte dalla B.
Fa bene, perché segna sei reti e gioca parecchio.
Fa male, perché il Verona è una infinita accozzaglia di ottimi mestieranti per la B ma di troppi improponibili -tranne qualcuno- per la A.
Retrocessione annunciata, in pratica.

Totò ritorna nel suo regno, la cadetteria.
E rientra subito in media, con dodici gol a corredo.
Il Verona non riesce a risalire, però.
Ci riprova dodici mesi più tardi, con Prandelli al timone, e centra il bersaglio.
Cammarata è il bomber degli scaligeri, con diciassette gol.
Dietro di lui ci pensano Guidoni (8), De Vitis e Aglietti (7), Brocchi (6) e Italiano (4) a contribuire al buon esito del torneo.
Per Totò sono cinque promozioni in serie A.
Cinque, dicasi cinque.
Un vincente ed un recordman della B.
A trentacinque anni, complice qualche infortunio di troppo, decide di appendere le scarpe al chiodo.
Non si allontana dal calcio, ovviamente.
Allena i giovani del Piacenza, poi nella stessa società è Direttore Sportivo prima ed Osservatore poi.
Lavora quindi nella Fiorentina, nel Parma e nel Sassuolo.
Dopo quasi un ventennio ritorna a Piacenza, occupandosi del settore giovanile e venendo nominato Direttore Tecnico della prima squadra, nel 2023.
Il figlio, Alessandro, gioca con buoni risultati tra B e C.
Totò lo segue sempre con attenzione, dilettandosi di tanto in tanto anche come commentatore televisivo.
Ama il tennis, la bici e viaggiare con la moglie Stefania.
E poi calcio, calcio, calcio.
Il calcio è la sua vita, d’altronde.
“Sono nato a Lecce, sebbene sia un napoletano d’adozione.
Per questo sognavo di giocare con Maradona, il migliore di tutti, ma purtroppo non è stato possibile.
Però non mi lamento della mia carriera.
Tante promozioni, moltissimi gol e pure un po’ di serie A, oltre che l’affetto di tante tifoserie calde e bellissime.
Ricordi meravigliosi ed emozioni sincere, che porto sempre nel mio cuore”Totò De Vitis
Era il ventisette giugno del 1987.
Un’afa tremenda, a dir poco.
La mia Lazio, nel giorno del mio compleanno, si giocava la salvezza in B.
La mitica Banda del Meno Nove, con Fascetti al comando.
A Napoli, casa sua, De Vitis la imbusta nella ripresa, partendo da netta posizione di fuorigioco non rilevata dalla terna arbitrale.
Poi i Biancocelesti si salveranno superando il Campobasso, in una gara de dentro o fuori, ad altissima tensione.
Ma Totò rischiò seriamente di spedirci all’inferno.
Era veramente una bella punta: mobile, fastidiosa, temibile, concreta.
Tra le migliori di quella stupenda serie B degli anni ottanta.
Totò De Vitis: Bomber dei poveri.
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