- Il Principe
Tiziano Manfrin
Il meraviglioso calcio degli anni 80.
Anche quello della serie B, con una moltitudine di protagonisti che è indelebilmente presente nei cuori e nelle menti degli appassionati.
Uno di essi, senza alcun dubbio, è stato Tiziano Manfrin, eccellente mezzala che, invero, inizia la sua carriera a metà degli anni 70, per poi consacrarsi nel decennio successivo tra i migliori giocatori della cadetteria di cui diventa, nell’arco del tempo, un autentico specialista.
E quel soprannome, poi.
“Il Principe“, a sottolinearne la cifra stilista, alquanto notevole.
Come sarà più avanti per Giuseppe Giannini, cervello della Roma e della Nazionale che però, rispetto a Manfrin, è un vero e proprio regista di centrocampo, per quanto anch’egli in grado di destreggiarsi discretamente sulla trequarti offensiva del proprio team.
Ma mettiamo da parte per un attimo il discorso tattico e tuffiamoci nella parabola umana e sportiva di Manfrin.
Tiziano nasce nella provincia di Vicenza, in Veneto, nell’estate del 1954.
Il calcio entra prestissimo a far parte della sua vita e trascorre alcuni anni nell’Arena Sandrigo, piccolo club a pochi passi di distanza da casa.
Il ragazzino ha stoffa e, appena sedicenne, viene preso dall’Inter, che gli mette a disposizione una stanza nel pensionato di Viale Famagosta e passa alla sua famiglia un rimborso spese adeguato alla causa.
I nerazzurri del presidente Fraizzoli lottano per primeggiare, sia in Italia che in Europa.
In una società ambiziosa il buon Manfrin completa il suo percorso di formazione nelle giovanili -diventando presto capitano degli Allievi- e viene aggregato alla prima squadra, non riuscendo però ad esordire a causa della folta concorrenza, peraltro estremamente qualitativa.
L’Inter, seppur a malincuore, decide quindi di privarsene.
L’idea iniziale è quella di darlo il prestito a qualche compagine in cadetteria, per poi valutarne i progressi e, nel caso, richiamarlo all’ovile.
Sul ragazzo ha messo gli occhi Paolo Mazza, dirigente e tecnico di spessore che in quegli anni è al comando della Spal.
Lo porta a Ferrara e si accorda con l’Inter per un prestito nel quale inserisce, furbamente, un diritto di riscatto.
Nella cittadina estense Tiziano Manfrin dimostra subito il proprio valore, imponendosi come uno dei prospetti più interessanti del torneo di B.
Al termine della prima stagione in Emilia la Spal provvede a riscattarlo, acquisendone la definitiva proprietà del cartellino.
Con la casacca biancazzurra Manfrin gioca in totale cinque stagioni, quattro di serie B ed una di serie C, nel 1977-78, al termine della quale la squadra riconquista immediatamente la seconda serie nazionale dopo l’amara retrocessione dell’annata precedente.
Nel calciomercato estivo del 1979 i tifosi ferraresi, che per lui hanno coniato il soprannome Principe, ad esaltarne l’eleganza nei movimenti e la classe nel calciare, vorrebbero opporsi alla cessione del proprio idolo.
Ma l’asta sul centrocampista veneto è furiosa e coinvolge diverse società.
L’offerta del Genoa è di quelle alle quali non si può rinunciare ed il centrocampista può così apporre la propria firma sul ricco contratto offertogli dai rossoblù e trasferirsi alla corte del presidente Fossati, dove si ambienta alla grande e vive un’ottima annata personale.
La squadra, guidata da Di Marzio, è però incostante e volubile.
Fuori casa le perde quasi tutte e chiude a metà classifica, senza acuti.
Nella seguente stagione i liguri del neo tecnico Simoni hanno invece ambizioni importanti e vogliono tentare la scalata alla massima serie.
Allestiscono un team forte: meritano una citazione il portiere Martina, i difensori Onofri e Nela, i centrocampisti Sala, Corti, Todesco ed Odorizzi, gli attaccanti Russo e Boito.
Ma anche gli altri componenti della rosa genoana non sono da meno, tutt’altro.
Il torneo, anche a causa della presenza di Milan e Lazio, retrocesse d’ufficio della serie A, si presenta oltremodo competitivo e difficile.
Il Grifone parte abbastanza a rilento, poi inizia a carburare e macina punti in serie, riuscendo a sorpassare le contendenti e superando nel rush finale la Lazio, conquistando l’agognata promozione, la seconda consecutiva per il mister Simoni, dopo quella di dodici mesi prima col Brescia.
Tiziano Manfrin disputa ancora una volta un’ottima stagione ed è uno degli elementi chiave della compagine genovese, risultando decisivo per l’esito del campionato.
A distanza di un bel po’ di tempo il veneto ritorna quindi in serie A: stavolta lo fa da protagonista e non, come accaduto da giovanissimo, come semplice comprimario.
Esordisce in massima serie ed al termine della stagione conquista, quasi sempre da titolare, una soffertissima salvezza, ottenuta all’ultima giornata con un -parecchio discusso- pareggio agguantato in extremis in quel di Napoli.
Il Genoa dispone di diversi elementi di buona caratura, ad onor del vero: oltre alla conferma della maggior parte del nucleo che ha conquistato la serie A, per rinforzare il gruppo rossoblù sbarcano sotto la lanterna anche il forte centrocampista belga Vandereycken e la velenosa punta Briaschi.
La squadra si impegna ed a sprazzi regge l’urto con un calcio che tecnicamente è di ben altro livello rispetto alla pur combattutissima cadetteria.
Manfrin dimostra di essere all’altezza della serie A, ma a fine torneo viene ceduto al Milan, appena retrocesso in B proprio dopo aver lottato col Genoa.
La tifoseria ligure, che si è attaccata parecchio al giocatore, ne rivorrebbe la riconferma.
La società, che ha già ingaggiato al suo posto l’olandese Peters, è di altro avviso e concede il via libera ai rossoneri, che sperano di riconquistare subito la categoria top della penisola e che vedono in Tiziano l’uomo adatto per muoversi sulla trequarti ed ispirare le punte meneghine.
In panchina a Milano c’è il preparato Castagner.
In campo vanno elementi quali Franco Baresi, Tassotti, Evani, Serena, Jordan, Battistini, Canuti, Pasinato, Verza, Icardi, Incocciati, Romano ed altri ancora.
Insomma: si lotta per il primato, senza se e senza ma.
E, alla fine, si vince.
O per meglio dire: si stravince.
Tiziano Manfrin ottiene una nuova promozione in massima divisione, dopo quella col Genoa.
Però non riesce ad imporsi come vorrebbe.
La pressione è forte e San Siro è un campo che mette i brividi solo a vederlo dall’esterno, figurarsi a calpestarne il manto erboso.
Inoltre la concorrenza è folta e Manfrin, complice qualche acciacco fisico, paga la presenza e la verve del compagno Verza nella sua zona di competenza e non offre l’abituale continuità di rendimento.
In estate la società del presidente Farina mette il centrocampista sul mercato.
Tiziano spera in una chiamata dalla A, ma il club che mostra più interesse nei suoi confronti è la Pistoiese.
Serie B, ecco.
Con velleità di promozione, però.
I toscani, reduci da una annata non particolarmente brillante, sono allenati dal bravo Riccomini.
La rosa non è affatto male: Russo, De Nadai, Bistazzoni, Borgo, Tendi, Parlanti, Di Stefano e Garritano, per fare qualche nome.
Le aspettative sono medio-alte, ma il campo parla in maniera totalmente differente.
La Pistoiese retrocede in serie C e Tiziano Manfrin, tra i pochi a salvarsi dal naufragio, riceve svariate proposte per mantenere la categoria.
Lo cercano Varese, Arezzo (allenato da Riccomini), Pisa (in panca vi è Simoni), Perugia, Campobasso, Pescara e Sambenedettese.
Lui riflette sul da farsi, datosi che a trent’anni è vicino a firmare quello che probabilmente sarà l’ultimo contratto importante della sua carriera.
Alla fine della fiera si accorda con i rossoblù guidati da Liguori.
A San Benedetto del Tronto trova un club ben organizzato ed una squadra con alcuni ottimi prospetti e parecchi affidabili mestieranti della categoria.
Borgonovo, Moscon, Birigozzi, Moro, Odorizzi, Ranieri, Ruffini, Cagni, Maccoppi, Di Fabio, Buoncammino e compagnia bella sono giocatori in grado di regalare alla piazza soddisfazioni notevoli, a patto di amalgamarsi bene e di stare fisicamente al 100%.
La Samb, che durante la stagione cambia guida tecnica affidandosi a Mazzetti, ondeggia nella zona mediana della graduatoria, senza ulteriori picchi verso l’alto e, tantomeno, verso il basso.
“In medio stat virtus“, direbbero i latini.
Tiziano Manfrin nelle Marche vive una seconda giovinezza.
Diventa un idolo della tifoseria, che ne apprezza l’impegno sul terreno di gioco, la sua indiscutibile serietà, l’indubbio talento e, soprattutto, l’umanità che traspare dalla persona, oltre che dal professionista.
Perché Manfrin, prima di essere un ottimo giocatore, è persona di spessore autentico.
Sobrio, gentile, altruista, legato ai valori profondi della famiglia e leale nei rapporti con chi lo circonda.
Il calciatore è poi di categoria superiore.
In A ci gioca poco, in quanto non sfrutta adeguatamente un paio di treni che gli passano accanto.
In un calcio abbastanza rigoroso come quello del periodo, allorquando i giocatori forti finiscono per salire pian piano di livello, Tiziano si ritrova ad essere considerato uno specialista della cadetteria, come detto in precedenza.
Fa la differenza, in seconda divisione, col suo estro e con un piede in grado di disegnare traiettorie perfette dalla metà campo in su.
Classica mezzala che sulla trequarti ispira le punte e che, quando possibile, va personalmente alla conclusione.
Manfrin sforna assist a profusione e porta in dote diversi gol a stagione, spesso su punizione e su rigore.
Dispone di doti balistiche degne di note, con un bel tiro, pure dalla distanza, e si inserisce frequentemente in area avversaria, sfruttando la sua imprevedibilità ed il suo apprezzabile dinamismo.
Negli ultimi anni di carriera arretra leggermente il raggio d’azione, agendo come una sorta di regista avanzato, ma sempre con lo sguardo fisso sulla retroguardia avversaria.
Dotato di una ottima tecnica di base e di una ragguardevole intelligenza tattica, Tiziano diverte gli spettatori con le sue chirurgiche sventagliate a cercare i compagni smarcati ed entra nel cuore delle tifoserie per la sua innata generosità.
Non è un colosso dal punto di vista fisico -per quanto questa conformazione atletica gli consenta di sgusciare in dribbling ai diretti marcatori con pregevole naturalezza- e non sfonda ad altissimi livelli, pagando una certa incostanza nei momenti topici della sua avventura nel calcio: soprattutto nel suo anno al Milan, che avrebbe potuto lanciarlo verso palcoscenici di indubbio rilievo.
Rammento che negli highlights e nelle sintesi televisive del tempo (che rispetto ad oggigiorno è come paragonare Postalmarket a Youporn, ma proprio per questo tutto restava perpetuamente impresso nella mente del calciofilo), seppur giovanissimo, Manfrin mi appariva come un lanciatore di coltelli che non toppava una mossa manco per sbaglio, con le sue Ferrari Sport ai piedi, probabile suggerimento del suo amico Onofri, testimonial più o meno ufficiale del marchio tricolore in oggetto.
Ricordi di sicuro enfatizzati dall’età e dalla benevolenza che, in questi casi, nasce dopo aver visto qualcosa che attira lo sguardo ed emoziona.
Sulle rive dell’Adriatico il nostro Tiziano Manfrin pianta le tende, fermandosi per un triennio e poi, ritiratosi dall’attività sportiva, tornandoci a vivere definitivamente.
Con la Sambenedettese, oltre a quella di cui sopra, ottiene altre due salvezze.
Entrambe sofferte, con i rossoblù che nelle ultime giornate si trasformano e portano a casa dei risultati inaspettati, evitando la retrocessione.
Il nuovo Stadio Riviera delle Palme, che proprio in quegli anni sostituisce il vetusto impianto dedicato ai Fratelli Ballarin, ribolle di passione e grinta, con i ragazzi della mitica Onda d’Urto, il gruppo egemone della tifoseria sambenedettese, che non mancano mai di incitare calorosamente la loro squadra, creando un fortino quasi inespugnabile che, a fine anno, porta punti preziosi ai ragazzi del capace ed astuto presidente Zoboletti.
A San Benedetto, nel biennio 1985-1987, si alternano Vitali e Clagluna al comando della squadra.
Due tecnici di valore e due persone squisite, che hanno a loro disposizione rinforzi quali Di Nicola, Annoni, Giunta, Fattori, Ferron e Selvaggi, Campione del Mondo nel 1982 in Spagna.
Manfrin è leader carismatico e tecnico dei suoi, sebbene sia costretto a saltare la fase iniziale della stagione 1986-87 -unitamente al compagno di squadra Cagni- a causa di una squalifica di 4 mesi per omessa denuncia, non avendo provveduto a denunciare un collega che aveva cercato, mediante telefonate incorse nelle intercettazioni della Procura, di organizzare una combine.
Tiziano ci resta male, ma è consapevole che avrebbe dovuto agire differentemente.
In realtà è un uomo d’onore: si sottrae alla proposta truffaldina, però preferisce evitare di mettere nei guai un suo sodale.
A fine anno, complice anche questa situazione che ha comunque generato qualche malumore nella dirigenza marchigiana, Tiziano Manfrin viene ceduto al Perugia, tra l’incredulità e lo sconforto dei suoi fans.
Lui, trentatreenne ed un pizzico deluso dagli eventi, si sente comunque a posto con la coscienza: inoltre sta bene dal punto di vista fisico e mentalmente ha voglia di essere ancora protagonista delle domeniche calcistiche.
La categoria è la C2, poiché gli umbri sono stati pesantemente declassati nello scandalo del Totonero-bis di cui si discorreva poc’anzi e non sono riusciti a risalire prontamente di livello.
Con qualche cambiamento societario in atto, il Perugia lancia l’assalto alla C1 e lo fa puntando pure sull’esperienza e sull’estro di Tiziano Manfrin.
Grazie alle giocate del suo nuovo faro di centrocampo-un lusso per la quarta serie, sin da subito eletto capitano-, ai gol del giovane e già promettentissimo bomber Ravanelli, alle parate dell’affidabile portiere Vinti, alla poliedricità del futuro Nazionale Di Livio, alla tenacia dell’attaccante Pagliari, alla grinta del difensore Bia ed alla competenza dell’allenatore Colautti, il Perugia vince a suon di record il campionato e sbarca in C1.
Pochi ma mirati innesti (Rambaudi, Garuti, Gregori) e gli umbri disputano un tranquillo torneo di metà classifica, nella terza serie nazionale.
A trentacinque anni suonati, e dopo aver deliziato il Renato Curi per un biennio, Tiziano Manfrin decide di chiudere col calcio professionistico.
Disputa una ulteriore stagione nei dilettanti, a Montegranaro, ritornando nelle Marche.
Poi appende le scarpe al chiodo e mette il punto alla sua epopea da giocatore.
Sposatosi a San Benedetto del Tronto con la sua Virginia, acquista casa in città e decide di vivere lì con la moglie e con gli eredi, Alessia e Matteo.
Gira in bici insieme alla consorte e si ferma a parlare con tutti, dicasi tutti, i suoi tifosi.
Resta inoltre nell’ambiente calcistico e collabora come osservatore con il Parma e con il Milan.
Poi si occupa per qualche tempo del settore giovanile di Sanbenedettese e Grottammare Calcio.
Sogna a lungo una chiamata dell’amata Samb per ruoli di maggiore rilevanza rispetto alle mansioni in oggetto.
Chiamata che, complici alcune peripezie societarie dei marchigiani, non arriva più.
A pochi giorni dal Natale del 2012, al termine di una cena con amici, Tiziano Manfrin è vittima di un infarto fulminante.
A nulla valgono i disperati tentativi dei medici del nosocomio sambenedettese di salvargli la vita.
L’ex calciatore muore e getta nello sconforto più profondo la sua famiglia e tutti coloro, tanti, che gli volevano un gran bene.
Triste epilogo di una storia molto bella.
Un talentuoso fantasista, capace di infiammare le platee e gran protagonista in piazze importanti quanto esigenti.
Una bacheca forse non da campione assoluto, certo, ma un gran bel personaggio di un calcio meraviglioso ed indimenticabile, ove oltre alle doti tecniche era fondamentale possedere pure un’anima.
E Tiziano Manfrin, il Principe, ne aveva sicuramente una di gran pregio.
Una decina di anni or sono gli è stata intitolata la tribuna laterale dello Stadio di San Benedetto del Tronto.
A dimostrazione che i ricordi, quando sono stupendi e veritieri, non spariscono mai dal cuore.
Mai.
Tiziano Manfrin: il Principe.
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