- La Bambola
Thomas Doll
Bambola, sì.
Soprannome affibbiatogli in base alla traduzione inglese del suo cognome ed ai lineamenti particolari, uniti alla capigliatura bionda, che esibiva da ragazzino.
Per alcuni anche un tipo abbastanza controverso, come soltanto certe bambole malefiche sanno apparire.
Invero non tanto lui, che di natura è di tutt’altro stampo.
Controverso è il suo percorso di vita iniziale, però, per via di alcune ragioni indipendenti dalla sua stessa volontà.
Perché Thomas Doll nasce a Machin, che in quel periodo -siamo nel 1966- appartiene al territorio della Germania Est.
Siamo a est, in effetti.
Molto ad est.
Una bella regione impregnata di natura e relax, oggigiorno inglobata nel Meclemburgo-Pomerania Anteriore, uno dei sedici stati federati della Germania ed anche uno dei cinque tra essi che erano appartenenti alla DDR –Deutsche Demokratische Republik-, la Repubblica Democratica Tedesca.
Abbiamo già detto molto, se non tutto.
Thomas cresce quindi tra laghi e paesaggi rurali, con intorno una cappa di innegabile totalitarismo che stona, innegabilmente, col contesto bucolico.
Lui, vispo e curioso, si concentra sullo sport.
Ha una spiccata passione per il calcio e sin da bambino sembra essere portato per il gioco.
Il padre, accanito tifoso dell’Hansa Rostock, a soli sei anni lo iscrive nella scuola calcio del Malchin.
Il piccolo si ambienta prima di subito e si diverte nelle varie categorie giovanili.
A tredici anni viene trasferito proprio nell’Hansa Rostock, poiché è ritenuto molto più forte dei suoi coetanei e vi è l’intenzione di testarne le qualità in un ambiente più professionale rispetto a quello della piccola società d’origine.
Anche a Rostock Thomas si conferma, e di gran lunga, il migliore del lotto.
Fa faville nella Juniores e ben presto gli tocca decidere se continuare con gli studi o dedicarsi completamente al calcio.
Lui opta per la seconda opzione, inscrivendosi ad un corso per montatore di impianti industriali per avere una alternativa nel caso che le vicissitudini sportive non dovessero prendere la giusta piega.
Per la verità è abbastanza evidente che Thomas Doll, al netto di sempre possibili stravolgimenti nel percorso di crescita, sia destinato a platee importanti.
Ha classe, talento ed intelligenza tattica.
Per la sua età è pure maturo e l’esordio ad appena diciassette anni nella prima divisione della DDR non è che la conferma del suo valore.
Cinque presenze, giusto per acclimatarsi, che vengono più che triplicate nella stagione seguente.
Al terzo anno Doll è ormai un titolare dell’Hansa che però, dopo aver rischiato nelle precedenti annate, incappa in una sfortunata retrocessione nella DDR-Liga, il secondo livello del calcio locale.
Thomas, il migliore dei suoi anche in un anno buio, non segue i compagni nella serie cadetta.
Su di lui mette gli occhi la Dynamo Berlino, la più importante e gloriosa società calcistica del paese, di proprietà della STASI, la temibile organizzazione ministeriale che controlla in quegli anni il territorio in questione.
Centrocampista di quantità e qualità, ormai pronto ad entrare nella Nazionale della Germania Est, Doll firma un contratto a lunga scadenza con la Dynamo e si trasferisce a Berlino.
Nella capitale, al netto della divisione in atto e del regime particolarmente spietato, si ambienta rapidamente ed entra in sintonia con il forte attaccante Andreas Thom, col quale va a creare un sodalizio tecnico di notevole spessore.
Con la maglia bordeaux Doll vince due campionati (1987, 1988) e due Coppe Nazionali (1988, 1989) e si impone all’attenzione generale come uno dei più forti giocatori del suo paese.
Esordisce inoltre in Coppa dei Campioni ed in Nazionale, acquisendo esperienza internazionale.
Con la Germania riunificata, nel 1990, inizia a ricevere parecchie offerte per trasferirsi altrove.
Glasgow Rangers e PSV Eindhoven provano ad acquisirne i servigi, mentre in patria si scatena un’asta tra parecchie compagini “occidentali”.
Il Borussia Dortmund è la società che presenta l’offerta più sostanziosa, ma a spuntarla è l’Amburgo.
Gli anseatici necessitano di un difensore, oltre che di un elemento di metà campo.
Quindi staccano un assegno di due milioni e mezzo di marchi tedeschi e acquistano Doll ed il marcatore Frank Rohde, uno dei migliori amici di Thomas.
Il ragazzo continua a mostrare progressi, in carriera.
Disputa una stagione degna di rilievo e già in aprile i dirigenti gli offrono un ricco rinnovo contrattuale, a sugellare quello che -presumibilmente- sarà un accordo di lunga durata.
Thomas Doll firma con l’Amburgo sino al 1995 ma, un classico, a fine stagione deve già iniziare a preparare le valigie.
Si trasferisce in Italia, alla Lazio.
La società romana è in una fase di transizione, col passaggio di quote dall’imprenditore Gianmarco Calleri al finanziere Sergio Cragnotti.
Paul Gascoigne, il talentuoso e bizzarro centrocampista della nazionale inglese, già prelevato dal Tottenham, si è gravemente infortunato prima del suo trasferimento e vi è bisogno di qualcuno che lo sostituisca adeguatamente in rosa.
Su Doll, primo giocatore della Germania (ex) Est a sbarcare in Italia, le referenze sono ottime.
Garantisce per lui anche il connazionale Riedle, centravanti già da un anno presente nella rosa biancoceleste e che, unitamente allo sgusciante uruguagio Ruben Sosa, compone il tandem d’attacco degli uomini allenati dal mitico Dino Zoff.
L’impatto di Thomas con la capitale italiana è ottimo: adora il cibo, apprezza il buon vino e si diverte come un matto nel vedere i tifosi che lo fermano per strada, chiedendogli una foto e/o un autografo.
“In Germania non mi è mai accaduto!”, rivela ai giornalisti che lo assediano: altra situazione nuova per uno come lui, abituato a climi ben meno caldi, sia meteorologicamente che socialmente.
Con 31 reti giocate e ben 7 gol il tedesco si presenta alla grande anche sul terreno di gioco.
La Lazio chiude al decimo posto in classifica e si prepara ad accogliere Sergio Cragnotti, l’Imperatore, l’uomo che la porterà molto in alto negli anni a venire.
Gascoigne, nel frattempo, recupera dall’infortunio e si aggrega ai compagni nel ritiro estivo dove arrivano pure l’ottimo centrocampista olandese Winter (dall’Ajax), il suo omologo Marcolin (Cremonese), il solido libero Cravero (dal Torino), i difensori Bonomi, Favalli (anch’essi dalla Cremonese) e Luzardi (Brescia), il forte incursore Fuser (dal Milan) ed il bomber Signori (dal Foggia).
Quinto posto finale e zona europea raggiunta a quindici anni di distanza dall’ultima partecipazione: la Lazio inizia a scalare la classifica e Doll contribuisce alla causa con venti presenze e due reti.
Soffre la concorrenza, va detto, poiché il regolamento consente di schierare soltanto tre stranieri per volta e non è facile per Zoff prevedere la contemporanea presenza di Gazza e Doll, entrambi tatticamente più orientati ad offendere che a difendere.
Anno nuovo, vita vecchia: quantomeno per Thomas, che gioca ancor meno dell’anno prima.
La Lazio esce presto in Europa (col Boavista, al secondo turno) e chiude al quarto posto in serie A, nuovamente qualificata in Coppa Uefa.
Cragnotti continua ad investire e porta a Roma gente come Boksic (dal Marsiglia), Casiraghi (dalla Juventus), Marchegiani (dal Torino), Negro (dal Brescia ) e Di Matteo (dall’Aarau), oltre ad altri validi comprimari.
Gli spazi diventano angusti, in particolar modo a centrocampo, e nel mercato di riparazione Thomas Doll viene ceduto all’Eintracht di Francoforte.
Lui non vorrebbe lasciare l’Italia, in verità.
Nemmeno Roma e manco la Lazio, a dirla tutta.
Si trova bene, nel nostro paese.
Gli piace l’atmosfera dell’Olimpico, il calore dei suoi tifosi, la competitività dal torneo italiano.
Grazie alla visibilità concessagli dalla serie A ha partecipato con la sua Nazionale agli Europei del 1992, in Svezia, finendo secondo alle spalle della sorprendente Danimarca Campione d’Europa.
Accetta di tornare in Germania con la speranza di guadagnarsi un posto ai Mondiali del 1994, in USA.
E spera di stroncare definitivamente alcune brutte voci uscite sul suo conto.
Accade che mentre è Roma un suo connazionale e anch’egli calciatore, tal Jörg Kretzschmar, rilasci delle pesanti dichiarazioni (ritrattate un paio di settimane più tardi) nelle quali assicura che Thomas Doll, unitamente ai suoi succitati amici Thom e Rhode, ha agito per anni, sotto copertura, come informatore della Stasi.
Per questo disponeva di un appartamento lussuoso e di libertà non concesse ad altri suoi colleghi.
Thomas ha subito smentito la cosa, spiegando che il padre era stato licenziato anni prima dal suo lavoro -e che lui stesso si era ritrovato fuori dalla Under 18 della DDR- perché accusato di avere troppi amici nel lato “sbagliato” del paese.
Una doppia ed autentica beffa, per il centrocampista.
La calunnia è un venticello che viaggia oltremodo veloce, ma Thomas Doll è un professionista esemplare ed un uomo serio, che nella vita ha sempre saputo conquistarsi ogni cosa con le proprie forze.
Lo ribadisce, fieramente.
Ed abbandona quello che reputa “il miglior campionato del Mondo” con orgoglio e dignità.
Un centrocampista moderno, Doll.
Fisicamente non molto dotato, ma tecnicamente eccelso e bravo sia a rifinire che a far girare la sfera.
Trequartista, quando non interno di sinistra.
Ad inizio carriera si muove pure in attacco, da ala e/o da seconda punta in appoggio.
Corre molto per essere un fantasista ed abbastanza per essere una mezzala.
Ha un buon tiro (destro) ed un bel dribbling, con la classica finta a rientrare sul piede preferito.
Vede bene il gioco, quasi da regista offensivo.
Purtroppo ha una sovente tendenza agli infortuni e, non di rado, si assenta durante la gara per dei frangenti che ne limitano il rendimento, facendo in modo che non si possa considerarlo un vero e proprio campione.
A Francoforte va in prestito con diritto di riscatto.
I teutonici lo acquisiscono definitivamente dopo alcuni mesi versando circa due miliardi e mezzo di lire alla Lazio (che ne aveva investiti 13, di miliardi, per prenderlo dall’Amburgo).
Lui ringrazia per la fiducia ed inizia a flirtare con gli infortuni con una continuità imbarazzante.
In tre stagioni non riesce a concludere un match per intero.
La squadra non è manco male, con elementi quali Yeboah,Stein, Okocha, Bein, Köpke.
Nel 1996, però, una fragorosa retrocessione mette fine ai sogni di gloria della dirigenza e, di conseguenza, anche di quelli del buon Thomas Doll.
Il suo ingaggio pesante e le pochissime presenze sul terreno di gioco lo hanno già estromesso dalla Nazionale e, di fatto, gli chiudono anche le porte dell’Eintracht.
Riceve alcune proposte, da compagini di categoria inferiore e qualcuno lo chiama anche dalla bassa Bundesliga 1 proponendogli un contratto a gettone, onde valutarne l’effettiva capacità di giocare con continuità.
Quando sta per chiudere con l’Hansa Rostock ecco che Regalia, l’uomo che lo aveva portato alla Lazio, si ricorda del tedesco e lo chiama al Bari, in serie B.
Il pugliesi, appena retrocessi dalla categoria superiore, hanno voglia di rivalsa.
Identico sentimento per Thomas Doll, che prende la fascia di capitano e torna a sentirsi un calciatore disputando una stagione più che discreta, culminata nella promozione in serie A in extremis, in rimonta, ai danni del Genoa.
Doll è uno dei tre stranieri a disposizione del tecnico Fascetti, insieme al forte e compianto svedese Ingesson ed all’incostante colombiano Guerrero.
Il tedesco resta a Bari pure in serie A, giocando meno e contribuendo comunque ad una tranquilla salvezza degli uomini del presidente Matarrese.
In estate saluta la Puglia e torna ancora una volta in patria.
Un doppio ritorno, per così dire, poiché si accorda con l’Amburgo nel quale aveva militato prima di giungere alla Lazio.
Vive un triennio di alti e bassi che ne sancisce, senza mirabili acuti, la fine della carriera.
Nel 2001, a trentacinque anni, appende gli scarpini al chiodo ed inizia a studiare da allenatore.
Guida la seconda squadra dell’Amburgo, poi passa alla prima e vince l’Intertoto nel 2005.
Quindi un anno al Borussia Dortmund e un paio di esperienze esotiche: Turchia (Gençlerbirliği) e Arabia Saudita (Al-Hilal).
Nel 2013 va in Ungheria, al Ferencváros, e si ferma per un quinquennio conquistando diversi trofei.
Ritorna in Germania, all’Hannover, ma non riesce a salvarlo dalla retrocessione.
L’esperienza successiva, a Cipro, gli regala una Supercoppa Nazionale con l’Apoel.
Da un anno allena il Persija diJakarta, in Indonesia.
Un allenatore nella media ed un giocatore forte, che forse con un pizzico di tigna e concentrazione in più sul campo avrebbe potuto scrivere pagine ancor più importanti nella Storia del Calcio.
Una parabola ugualmente intrigante, la sua.
Con le presenze nella Nazionale della Germania Est, nella Rappresentativa Olimpica della stessa e poi nella Germania riunificata, a sfiorare la vittoria di un Campionato d’Europa.
Il passaggio alla Lazio, in un’epoca fulgida del nostro campionato, ha ratificato la valenza del centrocampista di Machin.
Un numero 8 che giocava spesso col 10 quando quel numero stava ad indicare il TOP, andando forse ad aumentare oltremisura determinate aspettative su di lui.
Lo ricordo allo Stadio, le mie prime partite all’Olimpico vissute con una certa continuità.
Era una Lazio forte, ma non ancora fortissima.
Il Regno di zio Sergio stava iniziando ad espandersi.
Thomas Doll ha due figlie grandi, avute dalla prima moglie (tedesca), ed una piccolina, nata dalla relazione con la sua seconda consorte (ungherese).
Segue la Lazio con affetto e costanza.
Ha dei bellissimi ricordi dell’ambiente biancoceleste e conserva un ottimo rapporto con tutti i protagonisti di quella squadra.
Si divertiva con Gazza e Signori, nei ritiri, e stimava sinceramente tutti i suoi compagni, pure quelli con i quali -volente o nolente- era costretto ad entrare in competizione per una maglia da titolare.
Le chiacchierate serali con Dino Zoff gli rivelavano un Calcio “antico” al quale Thomas contrapponeva i suoi racconti di un calcio “particolare”, quello della DDR, che con le sue storie misteriose e gravide di ombre ha finito per far passare il tedesco come un personaggio controverso, lo dicevamo all’inizio.
In realtà Doll è un tipo simpatico, diretto, amabile.
Lo era da giovane, lo è ancora oggi.
Thomas Doll: la Bambola.
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