- Il prima e il dopo
Stephane Demol.
Eh sì, proprio così.
Perché nel Calcio come nella vita capita spesso che vi sia un prima ed un dopo a ricordarci quanto certe circostanze possano cambiare velocemente, sia nel bene che nel male.
Molti giocatori, ad esempio dopo aver patito infortuni gravi, sono sprofondati nel dimenticatoio.
Altri, pur non soffrendo conseguenze fisiche gravi, hanno staccato mentalmente la spina.
In fondo discorriamo di esseri umani, prima che di sportivi, per quanto professionisti.
Uno che dalle parti dello stivale ha acquisito una immeritata fama di bidone è stato Stéphane Demol, difensore belga transitato al Bologna sul finire degli anni 80.
Come al solito, proviamo a mettere ordine.
Stephane Demol nasce al tramonto dell’inverno del 1966 in un piccolo paesino, alle porte di Bruxelles.
Siamo in Belgio e fa un freddo boia.
Piove ininterrottamente, come da inalterabili accordi meteorologici tra il paese nordico e la natura circostante.
Il piccolo Stephane non ama la pioggia e preferisce il sole.
Appena lo vede far capolino tra le nubi, festeggia l’evento e corre in strada a divertirsi con i suoi amichetti.
Adora giocare a pallone e quando compie nove anni, come premio per il suo buon rendimento scolastico, i genitori decidono di accompagnarlo al campo più vicino alla zona dove la famiglia Demol si è da poco traferita.
Il ragazzino inizia subito a mettersi in mostra come uno dei migliori prospetti del Drogenbos, un piccolo club orientato al settore giovanile.
Veloce di testa e rapido di piede cresce rapidamente, pure dal punto di vista fisico, e poco prima di compiere quattordici anni entra a far parte delle giovanili dell’Anderlecht, la più titolata società calcistica della nazione.
Un salto importante.
Testa sulle spalle e carattere forte, Demol migliora giorno dopo giorno durante la trafila con i bianco-malva di Bruxelles, bruciando le tappe e ritrovandosi nella Under 19 con un paio di anni d’anticipo.
Poco prima di diventare maggiorenne è già aggregato alla prima squadra, con la quale esordisce nel campionato 1984-85, che la sua squadra vince dominando le rivali Bruges e Liegi.
Nel frattempo il difensore, perché questo è il suo ruolo, milita nelle selezioni Under 16, Under 17, Under 18 e Under 19 del Belgio.
Facile pronosticare un precoce esordio anche nella nazionale maggiore, come difatti avviene a soli venti anni, nel 1986, nell’annata che porta al bis dell’Anderlecht in campionato grazie soprattutto ai gol del bomber Vandenbergh che consentono ai suoi di battere -per la differenza reti- il Bruges di Ceulemans, sconfitto nello scontro diretto con la marcatura decisiva messa a segno proprio da Demol.
Il 1986 è l’anno dei Mondiali in Messico, quelli che il sottoscritto ha amato ed ama ancora alla follia.
Il Belgio ci arriva dopo aver superato nello spareggio la fortissima Olanda di Van Basten, Gullit e Rijkaard, giusto per non fare nomi.
Ma gli stessi Diavoli Rossi sono una compagine di tutto rispetto, allenati dal santone Guy Thys e con elementi quali Pfaff in porta, Gerets, Grun e Clijsters in difesa, Vercauteren, Scifo e Vandereycken in mezzo, Ceulemans, Vandenbergh e Claesen davanti.
Compatti e ben organizzati, i fiamminghi sbarcano in territorio messicano con la convinzione di poter far bene.
E si dimostrano all’altezza delle proprie ambizioni.
Passano come terzi (primi nella graduatoria delle squadre ripescate) in un girone non particolarmente duro, iniziando in sordina.
Poi mettono il turbo ed agli ottavi superano di slancio -ai supplementari- un’ottima Unione Sovietica, inutilmente trascinata dal bomber Bjelanov, che di lì a breve sarà insignito del Pallone d’Oro.
Ai quarti passano in vantaggio contro la Spagna, facendosi riprendere a pochi minuti dal termine della gara dai caparbi iberici che però, ai rigori, nulla possono contro quel simpaticissimo pazzoide di Pfaff che intercetta il tiro di Eloy e porta i belgi in semifinale.
Nel penultimo atto della competizione ci pensa poi un irreale Diego Maradona a sbarrare i cancelli della gloria ai rossi di Thys, che chiudono al quarto posto dopo la sconfitta contro la Francia, nella finale di consolazione.
E Stephane Demol, in tutto questo?
Beh, Thys lo prova in un paio di amichevoli pre-mondiale, dopo di che decide di convocarlo per la kermesse intercontinentale e lo porta in panchina nella gara iniziale, sconfitta col Messico, dove il nostro entra nella ripresa.
Da lì in avanti è titolare fisso, difensore centrale e, all’occorrenza, centrocampista difensivo col compito di arginare il trequartista avversario.
Segna un bel gol di testa, contro i sovietici, che indirizza la gara degli ottavi.
Mette a referto pure tre assist, a dimostrazione dell’ottima capacità di inserimento in area avversaria.
Se la cava bene soprattutto in fase difensiva, il suo ruolo primario, eccezion fatta per la semifinale contro gli argentini, allorquando anch’egli naufraga miseramente al cospetto dell’incontenibile Re Diego.
Il notevole apprezzamento riscosso insieme ad i suoi compagni certifica la bontà dell’investimento dell’Anderlecht, che ha puntato e punta su Demol e che quindi non presta ascolto alle sirene di alcune compagini europee che vorrebbero ingaggiare il centrale belga.
Che chiude al quarto posto il torneo post mondiale, riprendendosi la vetta dodici mesi più tardi, andando a mettere il terzo scudetto in bacheca, unitamente alla Coppa del Belgio 1987-88 ed alle due Supercoppe vinte nel 1985 e nel 1987.
Risultati di tutto rispetto, in particolar modo quelli recenti, che mettono il giocatore nuovamente al centro del mercato, dopo la bella vetrina del mondiale messicano.
A soli ventidue anni Stéphane Demol è già considerato un calciatore maturo ed è pronto a spiccare il volo verso campionati più importanti di quello domestico.
L’Anderlecht, per sostituirlo, mette nel mirino il solido Wim Kooiman, del Cercle Brugge, ed entra così nell’ottica di idee di cedere il suo gioiellino, ovviamente al migliore offerente.
Lo Stoccarda e l’Espanyol di Barcellona si propongono per l’acquisto.
Si informa anche il Bayern di Monaco, poi dall’Italia chiamano Atalanta e Bologna.
Il campionato italiano in quel periodo è il Top, in Europa.
Demol è entusiasta all’idea di affrontare i migliori, compreso quel Maradona che al Mondiale lo ha letteralmente fatto a pezzi.
Il Bologna affonda il colpo ed ingaggia il belga.
All’Anderlecht vanno circa due miliardi di lire per il suo cartellino, mentre al giocatore viene fatto sottoscrivere un triennale da circa ottocento milioni complessivi.
I felsinei erano inizialmente indecisi tra lui ed il bulgaro Iliev, centrale del Levski Sofia e della sua nazionale.
All’ultimo istante virano sul fiammingo ed insieme a lui ingaggiano il timido cileno Rubio, preferito al connazionale -di ben altro livello- Zamorano, ed il finlandese Aaltonen, meteora dell’Inter che si rivelerà tale anche in maglia rossoblu.
Come è facile intuire dalle premesse il Bologna vive una stagione tribolata, culminata in una salvezza ottenuta soprattutto grazie al contributo degli italiani in rosa (Pecci, Villa, Cabrini) ed a quello dell’esperto sammarinese Bonini.
Rubio delude, Aaltonen scompare prima di subito e Stephane Demol non riesce ad imporsi come avrebbe voluto.
Gioca una ventina di gare, senza mai brillare.
Segna due reti: la prima su rigore a Napoli nella sconfitta per 3-1 (doppietta di Maradona, un incubo per il buon Stephane) e la seconda, su azione, a Pescara (altra gara persa per 3-1).
In generale, quando è sul terreno di gioco, trasmette una sensazione di perenne insicurezza.
Lui che si era messo in mostra proprio per la spiccata padronanza del ruolo, per la grande eleganza unita ad una forte personalità che, sin da giovanissimo, gli ha consentito di guadagnare le luci della ribalta e di vincere in patria e far bella figura all’estero, con la maglia della nazionale.
Difensore centrale in grado di agire sia da libero, alle spalle dei compagni, che da marcatore puro, come stopper o come braccetto destro e sinistro in uno schieramento a tre.
Piede destro educato, è bravo pure ad impostare, caratteristica utile quando si ritrova a giocare dinanzi alla difesa, col compito primario di arginare il fantasista avversario.
Alto e ben piazzato, di testa è un autentico drago, sia quando gli tocca proteggere il suo fortino, sia quando si sgancia in avanti, sui calci da fermo e su azione, mettendo a segno diverse reti e cavandosela anche con gli assist.
Infallibile rigorista, non è un fulmine di guerra se preso in velocità ed ogni tanto, nei contrasti, tende ad entrare con troppa sicurezza, finendo per mettere a rischio il possesso della sfera.
Nella sua carriera si è distinto per l’assoluta correttezza, in campo e fuori: pochissime ammonizioni, una sola espulsione.
Per un libero-stopper, è tutto dire.
In Emilia tutto ciò si vede poco e male.
Lo stesso Demol è alquanto deluso dalla sua avventura nella penisola e decide di cambiare subito aria.
Il Bologna non se lo fa ripetere una seconda volta ed accontenta immediatamente il ragazzo, cedendolo al Porto.
Al suo posto ingaggiano Iliev, proprio lui, e salutano il belga -che tra l’altro non ha mai legato col proprio allenatore Maifredi- senza alcun rimpianto.
Stephane Demol, che col Belgio non è sorprendentemente riuscito a qualificarsi per Euro 88 in Germania, riparte dal Portogallo ed in terra lusitana disputa una stagione strepitosa, andando a segno in ben undici occasioni (quasi sempre su rigore) e riacquisendo quella sicurezza difensiva -ancor di più nell’uno contro uno- che a Bologna non è mai riuscito a mettere in mostra.
A fine stagione il Porto e l’allenatore Artur Jorge danno per scontato che il difensore sarà uno dei baluardi della successiva annata, insieme al forte portiere Vitor Baia, all’arrembante terzino brasiliano Branco, al prolifico attaccante algerino Madjer ed al compagno di reparto di quest’ultimo, lo sgusciante Rui Águas.
Invece Demol, a sorpresa, riceve un offerta dal Tolosa, modesta compagine transalpina, e si impunta per accettarla.
Il motivo è semplice: un milione di dollari.
Stephane ha ancora due anni di contratto con il Porto, ma chiede ufficialmente la cessione.
I lusitani, mercanti di natura, fanno tornare il promettente stopper Fernando Couto dal prestito all’Académica de Coimbra per schierarlo al posto del fiammingo, si accordano col Tolosa per il cartellino di Demol ed accompagnano quest’ultimo in aeroporto.
Artur Jorge, accomiatandosi dal suddetto, gli sussurra all’orecchio: “Dovevi restare qui altri due o tre anni, per poi finire al Real Madrid o al Barcelona. Invece vai a Tolosa e poi solo tu sai dove. Peccato!”.
Profetico, a dir poco.
Perché nessuno può immaginarlo, in quel preciso momento, ma a soli 24 anni d’età la carriera di Stephane Demol, quantomeno ad alti livelli, si chiude praticamente qui.
Infatti gioca il Mondiale di Italia 90, da titolare, col Belgio di Preud’Homme e Ceulemans -guidato naturalmente dal solito Thys- che esce agli ottavi contro l’Inghilterra, subendo gol appena un minuto prima che si chiudesse il secondo tempo supplementare.
Poi si trasferisce in Francia ed dà inizio ad una inesorabile ed inarrestabile parabola discendente.
Tolosa è una bella città e la Francia è un bel paese.
Nessun dubbio a riguardo.
La compagine occitana è però modesta, nonostante alcuni elementi discreti ed i ragguardevoli investimenti del gruppo farmaceutico e cosmetico Pierre Fabre che hanno consentito l’ingaggio dello stesso Demol.
Non a caso il team transalpino chiude al penultimo posto in classifica, ma ha la fortuna di non retrocedere, in quanto -per ragioni finanziarie- in seconda serie finiscono il Bordeaux, il Brest ed il Nizza.
Stephane Demol gioca parecchio ma, così come a Bologna, non è in grado di fare la differenza.
Spesso impacciato, poco determinato, raramente decisivo.
Un innegabile passo indietro rispetto all’avventura portoghese.
Il Tolosa, tenendo conto dell’ingaggio pesante, non vede l’ora di disfarsene.
Si propone lo Standard Liegi, storica compagine belga allenata in quel frangente dall’olandese Haan, che col difensore ha vinto un campionato all’Anderlecht nel 1987.
La società della Vallonia offre un biennale al ragazzo per tornare in patria ed un buon corrispettivo in denaro ai francesi per il suo cartellino.
Lui accetta la destinazione ed il Tolosa stappa una bottiglia di quello buono.
A proposito di bottiglie: Stephane, in Francia, ha preso l’abitudine di regalarsi un bicchierino di troppo, durante la settimana.
Per un giocatore professionista non è il massimo.
Si tratta di un ragazzo oltremodo intelligente e consapevole, quindi se ne rende conto e prova a limitarsi, tornando a respirare l’aria di casa con la speranza di rimettere la carriera nel verso giusto.
Ed in parte ci riesce, esprimendosi a buoni livelli e centrando un terzo e poi un secondo posto, col suo nuovo team.
Un buon mix tra elementi esperti come Bodart, Rednic, André Cruz, Hellers e Wilmots e giovani di prospettiva quali Leonard, Genaux e Goossens.
Con loro, pur non disputando la finale, Demol mette in bacheca un’altra Coppa del Belgio, nel 1993.
Nel frattempo si interrompe la sua avventura con la Nazionale.
Un quinquennio di passione e ardore, con a referto una quarantina di gettoni.
Pian piano il rendimento inizia a calare a vista d’occhio e lo Standard vende Stephane Demol al Cercle Brugge.
Anche nella bella Bruges il giocatore non riesce ad esprimersi con continuità, saltando parecchie gare per infortunio.
Torna a dare troppo spazio a certi vizietti che, sebbene non sfocino in situazioni al limite, conducono ugualmente il calciatore verso una decadenza sportiva ormai irreparabile.
Prova a rigenerarsi tornando nell’adorato Portogallo, firmando con il Braga.
Niente da fare: non scende quasi mai in campo, tranne che per pochissime partite, una delle quali contro l’amato Porto, ed a fine stagione fa le valigie in direzione Grecia, accordandosi per dodici mesi col Panionios.
Ritiro ed ambientamento non vanno nel migliore dei modi e dopo sole tre presenze rescinde il contratto con gli ellenici (che a fine stagione retrocederanno) e si trasferisce al Lugano, in Svizzera.
Pure qui le cose non girano come sperato (la compagine ticinese retrocederà anch’essa, al termine del torneo) e nel mercato invernale ecco presentarsi un altro cavallo di ritorno, la Francia: questa volta in cadetteria, però, al Tolone.
I provenzali sono stati promossi dalla terza serie e cercano rinforzi d’esperienza per mantenere la categoria.
Stéphane Demol contribuisce in parte alla causa nella prima annata, mentre nella seconda il Tolone torna mestamente in terza serie ed il belga fa le valigie nel calciomercato di gennaio, quando si rende conto che i giochi sono oramai fatti.
A trentadue anni Stephane Demol è l’ombra del bel difensore che fu.
Gli infortuni non gli danno più tregua, gioca con antidolorifici ed infiltrazioni ed il rendimento è veramente imbarazzante, per uno come lui che sino a qualche anno prima aveva partecipato -e da protagonista- a ben due mondiali.
Si pente di non essersi sottoposto ad una operazione al ginocchio che lo avrebbe fermato per qualche mese, sì, ma che gli avrebbe di certo allungato la carriera.
Il dolore è forte, eppure la voglia di calcare l’erba di gioco è ancora presente in qualche anfratto della sua mente e, forse, del suo spirito.
Torna nuovamente in patria, a Denderleeuw, nelle Fiandre.
Seconda serie, qualche partita e tanta infermeria.
Un innesto di esperienza più utile a dare sostegno ai giovani della squadra, piuttosto che relativo all’effettiva produttività dell’ex nazionale sul manto verde.
Sarebbe ora di chiudere bottega definitivamente se non fosse che il KSK Halle, una piccola società della provincia del Brabante Fiammingo, è in cerca di un manager e pensa proprio a Stephane, offrendogli il doppio ruolo di allenatore e giocatore, in modo tale da ottenere pure un buon rientro di immagine, sfruttando il discreto passato dell’ex bolognese.
Lui pensa più ad allenare che a giocare, in verità. e nel giro di qualche mese chiude l’esperienza da calciatore per dedicarsi in toto alla nuova professione.
Comincia da dove ha chiuso da giocatore, nelle serie minori del Belgio, poi man mano sale di livello (Mechelen e, da assistente, Standard Liegi) entrando nei quadri tecnici della federazione e facendo da secondo al suo amico René Vandereycken sulla panchina dei Diables Rouges.
Successivamente guida pure Charleroi ed FC Brussels in patria, oltre che alcune compagini cipriote e greche, prima di spendere alcune stagioni in avventure esotiche tra la Thailandia e l’Arabia Saudita.
Risultati nella media, senza picchi.
Spera in una chiamata dal Portogallo, ma si rende conto che dopo essere stato fermo per diverse stagioni è tosta ripartire ad alti livelli.
Negli ultimi tempi rifiuta varie proposte dai mercati mediorientali e dopo aver avuto qualche problema nel paese natio (gli è stata più volte ritirata la patente a causa del tasso alcolemico oltre la norma) si trasferisce definitivamente in Francia, nel Principato di Monaco.
D’altro canto in passato ha frequentato a lungo la zona, soprattutto Saint-Raphaël, per le vacanze estive.
Torna sovente in Belgio, per accudire l’anziano padre.
E si diverte a commentare le avventure della Nazionale, ricordando i bei tempi e non disdegnando di sottolineare pure gli aspetti tristi del calcio: corruzione e doping, innanzitutto, che narra di aver incontrato nell’arco del tempo, in carriera.
Stephane Demol rimpiange la firma col Tolosa e la scelta di puntare in quel preciso momento soltanto sul conto in banca, trascurando un possibile sviluppo più serio del suo percorso professionale.
Si interessa anche ad altri ambiti, avendo buoni contatti come rappresentante di alcune ditte di prodotti medicali, restando però sempre in contatto con quel mondo del calcio del quale non potrebbe mai fare a meno.
Quando si trova dalle parti di casa collabora con alcuni club dell’area di Bruxelles, fornendo consulenza nella speranza che possa stimolare qualche proposta più ambiziosa.
E torna volentieri al ricordo di quei Mondiali, soprattutto quello del 1986.
“Maradona è stato un mondo a parte, inutile discuterne. Solo Futre aveva dei colpi come i suoi, pur non possedendo il medesimo talento dell’argentino. In Messico noi eravamo davvero un bel gruppo, forte e coeso. Pure nel 1990, in Italia, però siamo stati un pizzico sfortunati, altrimenti avremmo potuto provare a ripetere l’impresa e tentare magari di arrivare fino in fondo.”
Nel giugno del 2023 perde la vita, improvvisamente, a causa di un infarto.
Personaggio schietto, sanguigno, simpatico.
Pfaff, Scifo e gli altri membri di quel mitico Belgio lo citano come il compagno ideale, nello spogliatoio.
Esploso giovanissimo, non ha purtroppo mantenuto tutte le promesse.
Troppi infortuni, un pizzico do sfortuna, forse anche un po’ di supponenza e qualche vizietto non grave, ok, ma non adeguato al suo mestiere.
Un mix di fattori che ad un certo punto hanno comportato la fine anticipata dei giochi, facendolo poi campare di rendita.
Dopo la non esaltante esperienza italiana si è diffusa la convinzione che il belga sia stato un bidone.
Non lo era affatto.
La verità è che c’è stato un prima ed un dopo.
Il dopo, in effetti, è ben poca cosa.
Ma il prima no, assolutamente no.
D’altronde ha più presenze in Coppa del Mondo che in Coppa dei Campioni, il nostro amico.
Parabola calcistica strana, curiosa, intrigante.
Stephane Demol: il prima e il dopo.
Per l’appunto.