- Superstar
Romerito
E ritorniamo sempre lì, volente o nolente.
Sul luogo del misfatto, come si direbbe in quei thriller d’annata dove il protagonista di turno cerca disperatamente di capire chi è l’assassino per poi consegnarlo alle patrie galere (da investigatore) o per farne carne da macello (in caso di vendetta).
Sia quel che sia, il Campionato del Mondo del 1986 si conferma una inesauribile fucina di ricordi ed emozioni, oltre che di grandi giocatori.
Tra questi ultimi è d’uopo menzionarne uno che Pelé ha inserito nella celeberrima FIFA 100, ovvero la sua personale lista dei migliori giocatori di sempre ed ancora in vita, agli inizi di questo millennio: ossia il paraguaiano Romerito.
Che, manco a dirlo, ha fatto parte della spedizione della sua Nazionale al Mondiale Messicano supracitato.
La storia non ha inizio a metà anni ottanta, però.
Bensì nell’estate del 1960, allorquando Julio César Romero Insfrán (sin da subito Romerito, per tutti) viene al mondo in quel di Luque, agglomerato urbano posto ad una quindicina di chilometri di distanza dalla capitale del Paraguay, Asuncion.
Famiglia di sportivi, quella di Julio.
Il padre, Cipriano, è stato un ex calciatore dalle doti importanti.
Uno dei suoi cugini, di una decina di anni più grande, avrà una importante carriera suddivisa tra compagini paraguaiane, spagnole, argentine e boliviane.
Un paio di suoi fratelli pure tentano la strada calcistica, con uno di essi che milita per anni nella massima serie locale e l’altro che, con minor fortuna, giocherà per un po’ a livello dilettantistico.
Due zii e due altri suoi cugini animano la squadra locale per anni.
Sua sorella, invece, convolerà a nozze con Raúl Amarilla, noto attaccante sudamericano.
La madre di Romerito, Florinda, deve quindi occuparsi di tutto ciò che non attiene allo sport, in casa.
In realtà più che sport, dovremmo parlare di calcio.
Eh sì, perché qui discorriamo di calciatori.
Ed il piccolo Julio cresce con pallone attaccato ai piedi, come molti suoi compagni.
Se la cava bene pure a scuola, invero.
Col calcio ben altro storia, altroché, datosi che il ragazzino mostra immediatamente un talento fuori dal comune.
Appena dodicenne entra a far parte del Club Sportivo Luqueño, mettendosi in evidenza come uno dei migliori prospetti del settore giovanile del club gialloblu.
A diciassette anni esordisce in prima squadra, in una fase storica nella quale a dominare la scena in patria sono soprattutto Olimpia Asuncion, Cerro Porteno e Sol de America.
Il Loqueno, unitamente a Guarani, Libertad e River Plate, prova a dar fastidio alle prime.
Romerito conquista il posto in squadra con la sua verve ed il suo estro e si guadagna la convocazione per il Campionato Sudamericano Under 19, che si svolge nel 1979 in Uruguay.
Il Paraguay, trascinato dall’astro nascente di Luque, supera il proprio girone iniziale sopravanzando il quotato Brasile e qualificandosi per la fase finale insieme agli stessi verdeoro, all’Argentina ed ai padroni di casa dell’Uruguay.
A trionfare saranno proprio questi ultimi, con l’Argentina seconda ed il Paraguay terzo.
Romerito giunge invece secondo nella graduatoria di miglior giocatore, dinanzi al futuro interista Ramon Diaz ed alle spalle dell’immenso fuoriclasse Maradona.
Il paraguaiano è comunque in rampa di lancio e su di lui mettono gli occhi parecchie compagini di rango.
Il suo exploit gli fa meritare la convocazione per la Coppa America, con la nazionale maggiore.
Ed in coppia con il forte attaccante Cabanas, Romerito trascina il Paraguay alla vittoria del torneo, battendo il Brasile in semifinale nel doppio confronto e superando il Cile in finale per la miglior differenza reti dopo che lo spareggio si è concluso a reti inviolate.
Il giovane, che nel frattempo ha partecipato anche ai Mondiali Under 20 tenutisi in Giappone, finisce inevitabilmente sul mercato.
Insieme proprio al suo amico e connazionale Cabanas, Julio viene acquistato dai Cosmos di New York.
Scelta in controtendenza, per delle giovani promesse che vanno a spendersi in un torneo da molti considerato come un cimitero per elefanti.
Il fattore economico è chiaramente basilare.
Fatto sta che i Cosmos in quel periodo dispongono di una ottima rosa e sono intenzionati a vincere il proprio campionato.
L’ingaggio del santone tedesco Hennes Weisweiler è propedeutico al completamento di un roster di indubbia bontà, ove oltre ai due paraguayani spiccano: il nostro bomber Giorgio Chinaglia, i difensori brasiliani Oscar e Carlos Alberto, il fortissimo centrocampista olandese Johan Neeskens, il talentuoso attaccante belga François Van der Elst e diversi altri buoni mestieranti della pelota.
A fine stagione (1980), grazie soprattutto alle reti di Chinaglia e di Cabanas, arriva per i Cosmos il titolo di Campione della North American Soccer League.
Romerito è un fattore decisivo, con le sue giocate da fenomeno ed i tanti assist sfornati per i compagni.
Nell’annata successiva Julio gioca insieme al mito tedesco Franz Beckenbauer e si ripete in campionato, prima di lasciare gli USA e firmare un contratto pluriennale con i brasiliani della Fluminense, nota società di Rio de Janeiro, dove vince subito il Campionato Carioca e, poco dopo, anche il Campionato Nazionale Brasiliano.
Concede il bis l’anno successivo nel Carioca, regalando spettacolo con la casacca dei tricolor.
In Brasile diventa un idolo assoluto e nel 1986 è il leader di quel Paraguay che vola in Messico, per i Campionati del Mondo.
Ricordo che sulle fonti del tempo (Corriere dello Sport, Gazzetta dello Sport, Guerin Sportivo e riviste varie) Julio Cesar Romero era presentato come un crack, ossia un giocatore in grado di inventare in qualsiasi momento una giocata che può decidere la gara.
Nelle raccolte di figurine del Mondiale era uno dei pochi a giocare all’estero, nella lista dei convocati paraguaiani.
La maggior parte di essi militava in patria, cinque di loro in Colombia ed uno in Messico.
Poi Romerito, che si esibiva in Brasile.
Non era ancora il pianeta globale di oggigiorno, dove mediante il web tutti sanno tutto di tutti.
Si fa per dire, ovviamente.
Poche informazioni.
E quelle poche non affidabilissime, per quanto i giornalisti di allora fossero infinitamente più attenti di quelli odierni, nella stragrande maggioranza dei casi.
Le fonti venivano comunque verificate, abitualmente.
Ma -soprattutto- ciò che si differenziava dalle abitudini attuali era la capacità di immagazzinare i dati, probabilmente figlia dell’impegno che all’epoca bisognava profondere per guadagnarsi una informazione/notizia/conoscenza.
Tralasciando gli aspetti sociologici del caso, di certo Romerito sbarca in Messico tra aspettative importanti e rilevanti responsabilità.
Il Paraguay, inserito nel gruppo B della kermesse, esordisce con una vittoria, 1-0, contro l’Iraq.
Il gol è messo a segno proprio da Romero, con un delizioso tocco che supera il portiere avversario in uscita e regala ai suoi una gioia infinita.
Il fantasista di Luque concede il bis contro il Messico, con un calibratissimo colpo di testa che a pochi minuti dalla fine dell’incontro consente alla Albirroja (la Biancorossa) di pareggiare il gol subito ad inizio gara e di guadagnare un punto, peraltro blindato dal rigore parato da Fernandez al super bomber messicano Hugo Sanchez nell’ultimo minuto del match.
Una doppietta di Cabanas vale invece ai suoi il 2-2 dinanzi al fortissimo Belgio di Ceulemans e Pfaff.
Paraguay che passa il turno e si ritrova ad affrontare, agli ottavi, l’Inghilterra di Shilton e Lineker.
I sudamericani si schierano sul terreno di gioco con una formazione guardinga, imperniata sulle giocate di Romero e sugli spunti di Cabanas e Canete.
Dinanzi al portierone Fernández ci sono più difensori e centrocampisti difensivi che tifosi sugli spalti.
Non bastano, però, a respingere gli assalti degli europei, che vincono agevolmente per 3-0 e superano il turno, rimandando a casa gli avversari ed andando incontro ad una memorabile eliminazione al cospetto di Re Maradona, poi trionfatore incontrastato della kermesse intercontinentale.
Romerito è comunque uno dei migliori del team paraguaiano e scatena parecchi appetiti di mercato intorno al suo nome.
Molti addetti ai lavori sono convinti che sia un elemento di valore, nel pieno della sua crescita sportiva e caratteriale, in grado di esprimersi bene pure in un calcio più tattico di quello sudamericano.
Lo cercano da Francia, Germania, Belgio, Svizzera ed Italia.
Nella nostrana penisola, un paio di anni prima, ci aveva già fatto un pensierino il Torino, che avendo già due stranieri tesserati (l’austriaco Schachner e l’argentino Hernández) non può inserirlo in rosa nell’immediato.
Prova a prestarlo al neopromosso Ascoli, che però si fa dare dai piemontesi proprio Hernandez e libera quindi un posto per il Toro che, negli stessi giorni, riesce a mettere le mani sull’ottimo brasiliano Junior e deve rinunciare ai propositi precedenti.
Alla fine della fiera Romerito resta alla Fluminense sino alla primavera del 1988, quando la storia del calciatore di Loque rischia di cambiare per davvero.
Accade che in Spagna si stia ferocemente duellando per il primato.
Se lo contendono Real Madrid e Barcellona, guarda caso.
i primi sono davanti, i secondi inseguono e sono falcidiati dagli infortuni.
Inoltre vi è una battaglia societaria che è prossima a chiudersi con le elezioni presidenziali interne.
Núñez, presidente da oltre un decennio, nei mesi precedenti ha dovuto affrontare un periodo di crisi culminato con il famoso “ammutinamento di Hesperia“, che prende il nome dall’albergo in cui alcuni calciatori blaugrana si riunirono per cambiare aria.
Lo stesso Nunez decise di fare piazza quasi pulita ed ingaggiò come allenatore il carismatico olandese Johan Cruijff.
Proprio il Profeta del Gol, per ripagare la fiducia riposta in lui e per tentare di evitare al suo presidente la sconfitta nelle elezioni successive, si spende come un matto per guidare la squadra al titolo.
La situazione è delicata ed il Barca, senza alcuni elementi cardine, ha bisogno di un rinforzo a stagione in corso.
Non riuscendo in alcun modo ad anticipare di qualche mese l’ingaggio di Ronald Koeman dal PSV Eindhoven, la dirigenza individua il profilo ideale nel talentuoso Francescoli, reputato il terzo miglior giocatore sudamericano del momento, dopo Maradona e Zico.
La sua società di appartenenza, il Matra Racing di Parigi, non è disposto a trattarne la cessione.
Gli spagnoli pensano quindi al danese Michael Laudrup, che la Juventus, proprietaria del cartellino, cederà solamente in estate (e proprio al Barcellona, tra l’altro).
Virano quindi sul quarto della graduatoria sudamericana sopracitata: Julio Cesar Romero.
Il vincitore del Pallone d’Oro Sudamericano del 1985 ed una delle star dell’ultimo mondiale, mica uno qualunque.
Per giunta Cruijff lo conosce bene e lo stima, avendolo affrontato negli Stati Uniti quando l’olandese ancora sfrecciava sul manto erboso.
C’è un problema, però.
Romero è fermo da alcune settimane, in attesa della ripartenza del campionato brasiliano.
Ha bisogno di tempo per raggiungere una forma adeguata ai furibondi ritmi del calcio europeo ed iberico, nello specifico.
Il suo club, la Fluminense, avalla la cessione per motivi economici e convince il paraguaiano a partire, datosi che il ragazzo sarebbe felicissimo di giocare a Barcellona, ma dall’estate successiva, facendo il ritiro con i compagni, conoscendo il territorio e mettendosi in pari con gli altri sia dal punto di vista fisico che da quello prettamente tattico ed, anche, ambientale.
Invece gli tocca salire sul primo aereo per la Spagna e scendere in campo dopo un paio di giorni e, per giunta, contro il Real Madrid, in un match che potrebbe decidere l’esito della Liga.
Cruijff lo va a prendere in aeroporto e gli regala un paio di scarpette da calcio, per fargli capire quanto creda in lui, nonostante sia arrivato come una sorta di alternativa ed in tempi da record, senza alcun ambientamento di sorta.
Il prepartita è intenso e, come da tradizione, altamente caliente.
Manuel Sanchís, difensore di un Real carico e tonico, provvede a scaldare ulteriormente l’atmosfera:
“Romero è di sicuro un gran bel calciatore. Ma il suo acquisto, in questi termini, certifica la mancanza di rispetto della società nei confronti degli altri giocatori della rosa. Se io fossi una riserva del Barcellona mi chiederei cosa ci faccio in squadra, nel momento in cui il club, dopo un paio di infortuni, acquista un sostituto dall’altra parte del mondo e senza prendere minimamente in considerazione chi è già presente nello spogliatoio. Io, al loro posto, lascerei subito il ritiro“, le parole del madrileno.
Severo ma giusto, oltre che volutamente provocatorio.
I blaugrana schierano Zubizarreta in porta.
I terzini sono Serna e Roberto, i centrali difensivi Alexanko ed il brasiliano Aloisio.
In mezzo al campo agiscono Eusebio Sacristán, Milla e Bakero, con Romerito ad ispirare le punte Julio Salinas e Begiristain.
Il bomber Lineker resta in panca insieme al secondo portiere Unzuè, al centrocampista Amor ed ai difensori Julio Alberto e Soler.
Carrasco, Valverde, López Rekarte ed Ortega sono indisponibili.
Il RM, agli ordini dell’olandese Leo Beenhakker, replica con Buyo tra i pali.
Chendo, Sanchis (che presto lascia il posto a Tendillo, per infortunio) ed Esteban provvedono a gestire la fase difensiva, col cavallone Gordillo a stantuffare sulla corsia mancina.
In mezzo al campo Gallego e Martin Vasquez orchestrano la manovra, con Michel ed il tedesco -fischiatissimo ex- Schuster ad inserirsi in avanti, dove ci sono il velenoso messicano Sanchez ed il mitico Butragueno a tentare di sfondare la retroguardia nemica.
Oltre a Tendilllo, dalla panca entra anche Paco Llorente, che prende parte alla gara giocando alcuni minuti.
Il match è teso ed intenso: d’altronde non potrebbe essere altrimenti, sia per la posta in palio e sia perché è El Clásico e non soltanto una partita di pallone.
Il Barca, proprio con Romerito, ha un paio di nitide occasioni che non riesce a concretizzare anche per la bravura di Buyo, che ci mette una pezza quando oramai parrebbe fatta per i culés.
Le Merengues, a loro volta, sprecano il match point che chiuderebbe definitivamente la questione Primera Division, edizione 1988-89.
Poco muta, comunque.
Romero gioca anche le due gare successive, con Saragozza e Valladolid, entrambe concluse a reti bianche.
Poi un infortunio lo costringe ad uno stop forzato, saltando il 7-1 nel quale il Barca torna al gol.
Senza di lui, cosa che genera un certo malcontento in una tifoseria che ha già appellato il paraguaiano con un altisonante nomignolo: Superstar.
Qualcuno inizia a pensare che il sudamericano porti sfiga, ecco.
La vittoria per 2-0 col Logrones sembrerebbe confermare questa ignorantissima teoria, ma una sconfitta (0-2) a Murcia riporta la stagione del Barcellona sui binari della normalità.
Romero torna in campo contro l’Atletico Bilbao, sebbene venga sostituito sullo 0-0 e la gara finisca poi 3-0 per il Barca.
Inutile ribadire che alcuni iniziano a toccarsi nelle parti intime, quando lo vedono sul terreno di gioco.
Julio accatasta altre tre presenze con i blaugrana, l’ultima delle quali condita da una rete, contro il Malaga.
Sette gettoni ed un gol il sunto della sua porzione di stagione a Barcellona.
Vince pure una Coppa delle Coppe, seppur da spettatore non pagante.
Il Real Madrid festeggia invece in campionato, come si è intuito.
A fine stagione al nostro tocca fare le valigie, perché gli spagnoli non lo confermano.
Anche questo si era ampiamente intuito.
Talento cristallino e tecnica sopraffina: Romero è il più forte calciatore paraguaiano di sempre, a detta dei suoi connazionali e degli appassionati.
Un giocatore che, se in giornata, sposta spaventosamente gli equilibri.
Centrocampista offensivo, abile nel dribbling e con indole da rifinitore/trequartista.
Bravo da regista avanzato, possiede una notevole capacità di inserimento condita da un ottimo tiro, pure dalla distanza e da fermo, che non di rado lascia di stucco i portieri avversari e scatena la gioia dei suoi adoranti tifosi.
Idolo delle folle, ha carisma e personalità e non si tira indietro se c’è bisogno di assumersi delle responsabilità.
Ogni tanto, come tutti i genialoidi che si rispettino, va per i fatti propri, senza un apparente ragione.
Non è discontinuo, però non ha neanche quel ritmo forsennato che per chi si muove in mezzo al campo è fondamentale, ancor di più quando si approccia un calcio tatticamente esasperante come quello europeo.
Se fosse arrivato prima nel Vecchio Continente e magari in una squadra meno blasonata dove avere il tempo di crescere e maturare, beh, la storia sarebbe stata molto diversa, a parer mio.
Giungere in un Barcellona che è già a trequarti di stagione e ritrovarsi dall’oggi al domani a dover fare la differenza, peraltro senza neanche conoscere i compagni e possedere la preparazione fisica adeguata, onestamente è troppo.
Tranne forse che per Maradona.
Ma siamo su un altro pianeta, con tutto il rispetto per il pur bravissimo Romero.
Che (pochi lo ricorderanno) intreccia in alcune occasioni la sua epopea sportiva con la Lazio.
In primis ai Cosmos, che prima di firmare lui e Cabanas provano a prendere il biancoceleste Bruno Giordano.
Con gli stessi Cosmos disputa due amichevoli proprio contro la Lazio: la prima -1980- nell’anniversario della morte del povero Vincenzo Paparelli, vinta dai romani per 4-3.
La seconda, tre anni più tardi, per celebrare l’addio di Chinaglia al calcio statunitense, con la Lazio che vince per 3-1 e proprio Romero che va in gol per i suoi.
Al termine del secondo match Chinaglia, destinato a tornare a Roma come presidente della Lazio, confessa di avere un debole per Cabanas, che vorrebbe portare a Roma, e per Romero, che secondo lui farebbe la differenza pure in una squadra che lotta per il vertice in serie A.
Chiaramente non se ne farà nulla.
idem come sopra qualche anno dopo, quando la compagine biancazzurra acquista l’argentino Troglio dal Verona e lascia cadere una pista di mercato che la voleva pronta a portare Romero a Roma, dopo la stramba avventura spagnola del nazionale paraguaiano.
In questi casi le chiacchiere sono tante ed i procuratori-mediatori sudamericani alla Andrea Bergonzoni (sempre sia lodato!) stanno sempre sul pezzo, ci mancherebbe.
Romero, che avrebbe volentieri accettato un’altra chance in Europa, resta a bocca asciutta.
Molti abboccamenti, tanto per restare in tema gastronomico, ma nessuna offerta concreta.
Anzi: una sì, ma proveniente dal Messico.
Gliela recapita il Puebla e Julio accetta, datosi che si tratta di un contratto molto remunerativo.
In territorio amico il paraguaiano ritrova l’aria a lui congeniale, quella del Mondiale di qualche anno prima, e contribuisce alle vittorie di una squadra che i tifosi chiameranno Campionissimi, come solitamente vengono definiti coloro che riescono a vincere in contemporanea sia il campionato che la Coppa di Lega.
Il Puebla l’appellativo se lo guadagna vita natural durante, però, vincendo pure la Supercoppa ed entrando nell’immaginario collettivo della nazione come una delle compagini più spettacolari dell’intera storia calcistica messicana.
Trentenne ed ospite fisso del celeberrimo Resto del Mondo che impazza in quel periodo, Romero decide di chiudere con la propria Nazionale (oltre trenta presenze e poco meno di una quindicina di reti, a corredo) e di tornare a casa, firmando per il Club Sportivo Luqueño.
Rifiuta alcune proposte da campionati esotici e ritorna a vivere in Paraguay, giocando per un quadriennio sia col suo club natio che con l’Olimpia di Asuncion.
Vola quindi in Cile, accordandosi col Deportes La Serena.
Infine l’ennesimo ritorno in patria, dapprima col Club Cerro Corá di Asuncion e poi, infine, col suo amato Club Sportivo Luqueño, dove chiude la carriera con sporadiche apparizioni sino ad oltre i quaranta anni di età.
Poco prima di appendere gli scarpini al chiodo il buon Romero prova a proporsi per il Campionato Mondiale del 1998, che si disputa in Francia.
Il C.T. della Nazionale del Paraguay, il brasiliano Carpegiani, sembra quasi propenso a convocare la vecchia gloria, salvo ripensarci all’ultimo istante, forse spinto dal famoso portiere Chilavert, che con Romero non ha grande feeling.
Un peccato, perché sarebbe stato oltremodo divertente rivedere l’iconico sudamericano nuovamente impegnato in una kermesse intercontinentale, dopo quella di oltre dieci anni prima.
Come sarebbe stato alquanto spassoso osservarne le gesta nel campionato italiano, in quegli anni ottanta che nella penisola trasudavano di talento e stramberia.
Al termine della sua avventura professionale Romerito si dedica alla politica, per qualche tempo.
Come consigliere comunale ha servito la sua città, Luque, prima di tornare al vero amore e cimentarsi nella formazione di giovani calciatori.
Non ha mai voluto allenare i grandi, non reputandosi caratterialmente adatto a gestire la pressione che ne consegue, soprattutto a certi livelli.
Preferisce occupare il ruolo di vice-presidente nel Loqueno e vivere tranquillo, ricordando i tempi d’oro e seguendo le squadre che, negli anni, hanno accompagnato il suo percorso sportivo.
Ogni tanto allena e gioca a beach soccer e si dedica al canto, sua passione recente che lo ha visto anche coinvolto in alcuni concerti rock nel paese natio.
Dove è una leggenda, il mitico Romerito.
Bacheca pregna di trofei, molti dei quali conferiti a titolo personale.
Un campione che rappresenta il Paraguay nel mondo e che riporta alla memoria il Mondiale più sfizioso di sempre, in cui il sudamericano dette spettacolo.
L’avventura europea non è stata trascendentale, per le succitate ragioni.
Ma un posticino per lui si trova a prescindere, nel cuore di ogni “malato di calcio” che si rispetti.
Assolutamente.
Romerito: Superstar.
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