- 1984
Rock Pop Festival – Dortmund 1984
Da segnali di natura informatica, quindi incontrastabili ed incontestabili, osservo fiero e gaio che il mio piccolo blog di provincia ha raggiunto i 5 lettori fissi.
Ragion per cui voglio festeggiare questo magnificente risultato con un omaggio ai/alle fedeli: un paio di paia di audio-video superbi.
Non miei, chiaro.
Di altri, ben più talentuosi e valenti dello scrivente.
In cambio Vi domando però una piccolissima cortesia: la Macchina del Tempo.
Se ne parla spesso, nel mondo: in letteratura, al cinema, nelle scienze, sul web.
Or bene, so che nessuno la possiede ancora, per carità.
E poi, qualora esistesse, si tenderebbe ad usarla per incontrare chi non è più qui e ci manca, chi non abbiamo mai conosciuto a fondo, chi avremmo voluto avere l’onore, la curiosità e il piacere di approfondire.
Oppure, più semplicemente, sarebbe adoperata per rivivere attimi emozionanti, piacevoli, indimenticabili della nostra miserrima esistenza o della Storia.
Volendo tralasciare drammatiche rivisitazioni di sorta, parlando di cose leggere anche per andare oltre questa seppur legittima cappa di sensazioni intime e matematicamente malinconiche, proprio a conferma del sovrastante miserrima, e mettendo da parte per un attimo pure il Calcio, che mi riporterebbe in altri lidi e momenti, ripongo ufficialmente costì il mio lascito testamentario: nel caso in futuro sia possibile l’uso di una macchina del tempo, ed ammesso e non concesso che la stessa si possa utilizzare anche su chi dovesse aver già salutato la compagnia, beh, speditemi nel 1984, a Dortmund.
Non abbisogno di altro, conosco bene sia la città che la zona.
Mi bastano un paio di giorni, anzi tre: uno a giugno, l’altro ad agosto e l’ultimo, si fa per dire, qualche mese più tardi, per quello che fu un importante Festival di Rock e Pop che si teneva in quegli anni nella Ruhr, denominato -con la celeberrima fantasia teutonica- Rock Pop.
Festival multidata, multiforme e multigenere, notevole pure in altre annate, va detto.
L’84 non si batte, comunque.
Vi è più arte in quella tripletta che in tutta la vita di Hugh Hefner.
E ho detto tutto (cit.), veramente.
Un programma impressionante.
Invero a giugno si potrebbe soprassedere senza troppi patemi, visto che suonarono solamente i BAP, band di Colonia molto popolare in zona e in patria.
Dopo no, non si può.
Impressionante, ribadisco.
Come impressionante è il live dei Talk Talk, con una versione di “My Foolish Friend” da sturbo: fazzolettini assolutamente necessari per asciugarsi le lacrime nella prima parte e per ripulirsi più in basso nella seconda.
Una qualità irraggiungibile dal 99% dei gruppi mondiali: quando penso a Mark Hollis immagino di averlo accanto dinanzi all’inarrivabile bellezza del tramonto foriano visto da casa mia e di sentirlo ripetere le medesime convinzioni del sottoscritto sul mondo, sul senso dell’esistenza, su Marzullo, Battiato, le puzzette in ascensore, il sedile di chi è davanti in aereo, eccetera.
Autoconvincimento genialoide indotto a parte, davvero fatico a trovare menti di siffatta sensibilità, raffinatezza, eccelse e profonde come quella di Hollis.
Un tormento confortante -ossimoro vitale- saperlo in qualche modo ancora qui con la sua straordinaria arte e la cosciente disperazione di chi si gode e respira in solitudine e silenzio quei pochi attimi che gli restano piuttosto che schiattare in corpo e affogare gridando stronzate a dementi che se ne fregano di ascoltarle e/o che manco le capirebbero.
Per la cronaca: nel concerto di Dortmund ha intorno una squadra super.
Fuoriclasse.
Idem i Simple Minds, versione originale, una scarica micidiale di energia e carica: vero è che il mitico Jim aveva 83 anni di meno e 65 chili scontati senza il passaggio di Patsy Kensit sul groppone, ma la sensazione -dirompente- è che privati del tastierista MacNeil e, soprattutto, dell’ottimo bassista Forbes, gli scozzesi abbiano poi smarrito un bel pezzo di verve e talento.
Un po’ come i Depeche senza Alan Wilder: non male dopo, ma altro passo prima.
Qui, 1984, fanno veramente paura.
Nello stesso Festival -in due ondate- hanno suonato U2 (ancora musicisti), Spandau Ballet, Joe Cocker, Icehouse (ottimi!), The Pretenders, Yes e ulteriore roba.
Tutti al Top della carriera e della forma, condensati in una quarantina/cinquantina di minuti a testa, una sveltina musicale intensissima e senza il benché minimo accenno di pausa.
Niente tempi morti o moine, soltanto il necessario.
La Musica e la voglia di divertirsi.
Vederli tutti belli e sinuosi, sparatissimi e grintosi, è indubbiamente una immagine forte.
Un paio di telecamere, al massimo 3/4 cineprese.
Senza telefonini (che, purtroppo, non esplodono mai ai concerti spedendo su Giove chi li maneggia) a massacrare l’apoteosi.
1984: pare il 1849.
Chissà gli organizzatori cosa mettevano nel cibo degli artisti: il doping in Germania, negli anni 80, era cosa nota.
O forse era la fame di emergere, la fame di imporsi, la fame di arrivare, la fame e basta, datosi che erano tutti magrissimi.
L’età, magari.
Vai a sapere.
Organizzatori geniali, tra l’altro, datosi che per sancire e rimarcare le inevitabili differenze del gruppone misto hanno invitato pure Gianna Nannini e Bryan Adams, così da antipastare lo spettatore con un pizzico di salsa di letame per poi renderlo felicissimo sfondandolo di squisitezze su squisitezze.
Per palati fini.
Non mi ringraziate, oh: il merito è di chi crea, poi di chi riprende (uno o due, non 15mila), di chi condivide e in ultimo, solo in ultimo, di chi umilmente suggerisce, in segno di apprezzamento e gratitudine per tutti i precedenti (la Pace sia con Voi/Noi).
Buona visione!
V74