- Clint non delude mai
Richard Jewell
90 e portarli come fossero 40.
O miei 20, per essere precisi ed onesti.
Sveglio, arzillo, illuminato, multiforme.
L’esatto opposto del protagonista del suo ultimo film, Richard Jewell, cioè un tranquillo, sedentario, ordinario, monocorde addetto alla sicurezza americano: uno che però sul lavoro si trasformava nel più attento e metodico appartenente alle forze dell’ordine che il mondo abbia mai sognato di poter schierare a propria difesa.
In sala 3 persone, il venerdì è roba per pochi intimi e Clint qui vive grazie alle merdate che lo hanno preceduto riempiendo la struttura come manco ad una finale dei mondiali.
Tralasciando il resto, il film scorre abbastanza lentamente, mai sotto ritmo, però, con una certa prevedibilità -dettata dalla trama, più che altro- che non si trasforma in noia neppure per un istante, tutt’altro.
Eastwood è un maestro della riflessione e della provocazione e me lo immagino lì, tra il pubblico, a divertirsi nell’annotare la rabbia della gente nei confronti del sistema USA e dei media e poi, sempre loro, alias la gente, a correre schiumanti di odio e rancore sui social ad aprire il post di condanna e centrifugarsi la coscienza per una ventina di minuti buoni.
Genio vero, malignamente fuoriclasse.
Il cast lo segue fedelmente, col protagonista che fisicamente è talmente credibile da riuscire a camuffare/amalgamare l’arte scenica con la somiglianza, finendo col confondere lo spettatore sino a catapultarlo dentro i meandri più profondi della storia dell’uomo, oltre che a quella del suo stesso personaggio.
L’avvocato e la madre sono perfettamente cinematografici, con tonalità ed interpretazioni perfette.
La giornalista d’assalto è ottima: il personaggio leggermente (e volutamente) forzato, talvolta oltre la misura, probabilmente: ma lei, intendo la donna, non l’attrice, è proprio ottima.
Il resto è accademia, come da mano d’autore.
Più che indignare, a mio parere l’opera vuole provocare, far riflettere, insinuare il dubbio.
Quale?
Forse più di uno, in realtà.
Che l’eroe non sempre sia tale, pure quando viene riabilitato dal tempo: e non in quanto colpevole di qualcosa, anzi, quanto piuttosto sia un inarrivabile salame nel presumere di poter difendere gente che gira con una coscienza ignobilmente decaduta e noleggiabile a prezzo di saldo.
Gente, quest’ultima, che caga, fa pompini, rovina esistenze altrui, sfrutta o indaga con il medesimo senso di responsabilità.
Ed i riferimenti, durante le riprese, sono tantissimi.
A quel punto il dilemma non è su cosa sia eroico, reale e/o falso.
Perché l’astuto Clint non ha bisogno di scriverlo sui muri che il problema americano è l’America stessa.
Dove si muore a 40 anni per diabete ed infarto, per frustrazione e sofferenza, oltre che mangiando maccheroni di plastica e zinco inzuppati nel latte e ketchup di alce sbrodolata in crema di diarrea senile.
E dove, soprattutto, ogni cosa è soggetta al caso, al puro caso.
Come altrove, certo.
Ma con una prosopopea del cazzo che altrove, quantomeno ogni tanto, rischia di non trovarsi.
E pure con un livello di professionalità che confonde ogni classificazione sociale, finendo per sbrodolare contenuti morali, filosofici, umani ed etici.
Senza un senso logico che sia uno, uno solo.
Paese da visitare, da girare in treno da est ad ovest ed esplorare nei suoi luoghi più sperduti.
Affascinante e strano.
A viverci, manco per il cazzo.
Nemmeno con la suadente gionalista e manco col mitico Clint.
A proposito: alla prossima, Maestro, ormai la sua è una serie TV.
Questo è meno appariscente di altri, in apparenza meno profondo e direi meno esasperato e sbandierato, si.
Con la proiezione man mano invece si rileva più introspettivo, contorto, pungente, indagatore, realistico e beffardo di parecchi suoi concorrenti, dello stesso regista, del periodo e della cinematografia recente.
Semplicità, arte, aderenza, verità.
Pirandelliana, ovviamente.
Richard Jewell: 8
V74