- Bulgaro col cuore svizzero
Petar Aleksandrov
Eh sì, inutile negarlo.
Chi da bambino ha seguito il campionato svizzero non può dire di aver avuto un’infanzia normale.
Attenzione: non ho detto Infelice.
Anzi: probabilmente il Calcio ha contribuito a far crescere generazioni curiose e combattive.
Un tempo vi era anche il Servizio Militare a dare una mano ai maschietti nel farsi le ossa come si deve, a patto di non incorrere nella sfortuna di ritrovarsi in ambienti eccessivamente dispotici.
Oggi niente divisa militare obbligatoria e niente calcio “old style”, purtroppo.
E i risultati, invero, non paiono propriamente entusiasmanti, a voler concedersi un eufemismo.
E dire che oggigiorno, volendo, gli strumenti per appassionarsi a tornei sportivi meno autorevoli ma di sicuro fascino ed interesse, dove provare a scovare qualche talento e/o qualche pupillo su cui puntare le proprie fiches, non mancherebbero affatto.
Tutt’altro.
Il troppo stroppia e, molto probabilmente, la facilità di arrivare quasi a tutto toglie il desiderio di sforzarsi per ottenerlo.
Un po’ come la pippa su Postalmarket al tempo anziché il porno attuale, ecco.
Tornando alla Svizzera.
Fino a qualche anno fa per saperne di più sul calcio elvetico (come per altri campionati non di vertice) bisognava inventarsi i mostri tra antenne paraboliche di dimensioni ciclopiche, riviste del settore, giornali sportivi, canali internazionali random e, soprattutto, Mondiali ed Europei ove vedere i migliori elementi del globo in azione e, nel contempo, sperare di scovare talenti di qualche nazionale non quotatissima che, per l’appunto, giocavano in paesi esotici e/o poco appetibili.
E proprio ad un Mondiale, quello del 1994 in USA, notai tra le figurine presenti un calciatore che avevo già visto in azione nella Lega Nazionale A (il campionato svizzero di massima divisione) e nel doppio confronto di alcuni mesi prima tra Milan ed Aarau, in quella Champions League che i rossoneri andranno a mettere in bacheca con una fragorosa vittoria per 4-0, in finale, contro il Barcellona allenato dalla leggenda Johan Cruijff: parliamo di Petar Aleksandrov.
Petar nasce nel 1962 a Karlovo, nella zona centrale della Bulgaria, ai piedi dei Balcani ed in quella che è una delle regioni più celebri per la produzione del famoso Olio essenziale di Rosa.
La sua famiglia ha origini modeste e proviene dal piccolo villaggio di Boretz, a poca distanza dalla succitata Karlovo: per fortuna in età giovanile al ragazzo non manca nulla e può dedicarsi sia allo studio, che lo appassiona saltuariamente, che allo sport, che invece gli fa palpitare il cuore.
Sport che per lui significa calcio, per intenderci.
Sin da bambino si diletta con il cuoio ai piedi e poco dopo aver compiuto i quattordici anni d’età entra nel settore giovanile del Levski Karlovo, società che milita nella seconda divisione bulgara e che lo soffia, all’ultimo istante, alla corte dell’Asenovets, altro club della regione.
Il prospetto svolge tutta la trafila di rito e diventa maggiorenne esordendo con la maglia dei bianco-blu, mettendosi subito in evidenza in una stagione nella quale riesce ad andare a segno dieci volte in ventisei gare giocate.
Attaccante, ambidestro e forte di testa: il ragazzo attira su di sé parecchi sguardi ed il Levski, che non naviga nell’oro, decide di monetizzare, vendendo Aleksandrov allo Slavia Sofia.
Petar si trasferisce quindi nella capitale, in un contesto professionale di ben altra levatura rispetto alla precedente avventura a Karlovo.
Lo Slavia, che lotta per i primi posti della graduatoria, ha da poco giocato i quarti di finale della Coppa delle Coppe, dove è stata eliminata dai forti olandesi del Feyenoord che, a loro volta, si arrenderanno in semifinale alla Dinamo Tbilisi, poi vincitrice della competizione.
Petar Aleksandrov, nello Slavia, cresce come calciatore e come uomo.
Per sette lunghi anni è il terminale offensivo di una squadra che rischia addirittura la retrocessione in cadetteria, salvandosi in una occasione ai play-out, ma che poi riesce a tornare nelle zone nobili della classifica e a mettere in bacheca pure due Coppe dei Balcani (1986 e 1988).
Il giocatore, nel frattempo, inizia ad essere attenzionato pure dai tecnici federali e nel 1986, al termine del Mondiale in Messico in cui la rappresentativa balcanica è uscita agli ottavi di finale contro i padroni di casa (0-2), viene inserito nella lista di coloro che dovranno provare a qualificare il team per gli Europei del 1988, in Germania Ovest.
I bulgari, davanti, dispongono di un discreto parco offensivo: Sirakov, Mladenov, Gospodinov, Kostadin Kostadinov, Veličkov, Markov.
Tra punte di ruolo e mezzali offensive la Bulgaria se la cava abbastanza bene.
Di lì a poco arriverà un generazione ancora più forte, con il fuoriclasse Stoičkov e gli ottimi Penev, Balăkov, Emil Kostadinov e Jankov a potenziare la rosa.
La Bulgaria però non ci sarà, ad Euro 88.
E neanche ai Mondiali del 1990, in Italia.
Non sarà presente neppure agli Europei del 1992, in Svezia.
Petar Aleksandrov, nel frattempo, si è trasferito all’estero.
Ventisettenne, può andare a giocare oltre confine senza dover rischiare le sanzioni previste nel caso di abbandono della patria per i calciatori di parecchie federazioni dell’est.
Infatti due anni prima era stato cercato dal PSV Eindhoven, che poco dopo diviene Campione d’Europa.
Lo Slavia non si era opposto, ma alcuni dirigenti del Partito Comunista Bulgaro, il regime che ha governato il paese fino al 1990, non concessero il nullaosta.
Storia diversa nell’estate del 1989, quando la punta riceve diverse offerte: Germania (seconda serie), Belgio, Francia (seconda serie), Grecia, Svizzera.
La proposta più concreta gli giunge dal Kortrijk, club belga di prima divisione con sede nella cittadina di Courtrai, a poca distanza dalla bellissima Gand e dal confine francese.
Compagine da metà classifica e tale è il piazzamento alla fine della Division 1, edizione 1988-89.
La punta bulgara gioca la metà delle gare in programma, quasi sempre da titolare, saltando le restanti per scelta tecnica e, in alcuni casi, a causa di qualche problema di ordine fisico.
Va in gol in quattro occasioni: un bottino abbastanza misero, seppur conseguito alla prima esperienza al di fuori della Bulgaria.
A fine stagione il Kortrijk ingaggia il prolifico Goots dal Beerschot e si disfa di Petar Aleksandrov cedendolo all’Energie Cottbus, Germania Est, dove va a disputare quello che resta a tutti gli effetti l’ultimo campionato di prima divisione del paese, prima della riunificazione tedesca.
In base al piazzamento finale ogni squadra si sarebbe poi ritrovata, dodici mesi più tardi, nella piramide del nuovo ordinamento calcistico teutonico.
Il Cottbus, partito bene, si è affievolito alla distanza e, nonostante ben tre cambi di allenatore, ha chiuso al penultimo posto in graduatoria dovendo quindi ripartire, nella stagione successiva, da quella che era -al tempo- la terza serie tedesca.
Il nostro Petar, con diciotto presenze e soltanto due reti, viene messo alla porta in men che non si dica.
L’umore non è al top, come si può facilmente immaginare.
Ma lui non molla e firma subito un contratto con l’Aarau, che lo aveva già cercato un paio di anni or sono.
Il club svizzero è riuscito a mantenere la categoria -Lega Nazionale A, l’equivalente della nostra massima serie- con qualche difficoltà, nella precedente annata.
Le ambizioni non mancano, però.
In società vi è il forte desiderio di scalare posizioni in graduatoria e magari di beccare il jolly come accaduto qualche anno prima, con l’acquisto del forte neozelandese Rufer, destinato poi alle grande platee del calcio internazionale.
Aleksandrov sembra uno dei profili adatti per contribuire allo scopo: costa poco, ha parecchia voglia di rivalsa ed ha la giusta esperienza.
Petar firma un triennale e si tuffa con entusiasmo nella nuova avventura.
L’Aarau non brilla, salvandosi ancora una volta per il rotto della cuffia, e il suo nuovo cannoniere fatica ad ingranare, con sole cinque reti in una ventina di gare.
L’exploit arriva nella seguente stagione, con Aleksandrov che segna ben 19 reti, capocannoniere del torneo dinanzi a futuri assi del pallone quali Sonny Anderson e Giovane Élber, e trascina i suoi alla vittoria del campionato insieme al futuro laziale Roberto Di Matteo e ad un manipolo di validi mestieranti.
Aarau campione dopo quasi ottanta anni dal successo precedente ed il buon Petar Aleksandrov finalmente decisivo e felice anche fuori dal contesto natio.
In Svizzera l’attaccante bulgaro ci piazza le tende.
L’Aarau non ripete il miracolo ed il centravanti, con sei gol in venti presenze, chiude la stagione al Levski Sofia -che lo aveva cercato più volte in passato e del quale è tifoso sin da bambino-, ritornando in Bulgaria e contribuendo al double, campionato-coppa, in coppia con il talentuoso bomber Sirakov, e preparandosi nel contempo al Mondiale negli Stati Uniti, del 1994.
Perché nella lista dei convocati del C.T. Dimităr Penev c’è anche Petar, che ha dato un buon contributo alla qualificazione dei suoi e sbarca in USA con la speranza di poter scendere in campo in qualche occasione.
La Bulgaria, in America, esordisce col botto, ma in negativo: pesante sconfitta per 0-3 con la Nigeria di Amunike ed Oliseh ed avventura che pare già essere al capolinea.
La bella vittoria per 4-0 con la Grecia di Machlas ed Apostolakis è il segnale di riscatto, che si alimenta ulteriormente con il sorprendente 2-0 con cui i balcanici sconfiggono l’Argentina di Batistuta e Caniggia, ma orfana di Maradona.
Turno superato ed ottavi di finale nei quali i bulgari si ritrovano opposti al Messico di Campos e Garcia Aspe.
1-1 al termine di tempi regolamentari e supplementari: così il superamento del turno si decide dal dischetto, dove gli europei si dimostrano più freddi e precisi.
Ai quarti la Bulgaria incontra la Germania Ovest di Matthäus e Voller.
I tedeschi passano in vantaggio e sembrerebbero avviati verso un tranquillo successo, se non fosse che i bulgari non muoiono mai e, a sorpresa, dapprima pareggiano i conti e, subito dopo, passano addirittura avanti, riuscendo poi a respingere gli assalti finali degli uomini di Berti Vogts.
La Bulgaria, con pieno merito, si ritrova in semifinale.
Ad infrangere i sogni di un intero popolo è l’Italia di Roberto Baggio e Maldini, che vince per 2-1 e va in finale, dove si arrenderà ai rigori al Brasile di Romario e Bebeto.
I bulgari, stanchi e delusi, perdono la finale di consolazione per 4-0 con la Svezia di Larsson e Brolin e tornano in patria con la consapevolezza di aver comunque riscritto la propria storia.
E Aleksandrov?
Ah, sì.
Giusto.
Beh, lui è spettatore non pagante, nella kermesse.
Fa gruppo, è a disposizione: però davanti c’è gente di livello, inamovibile.
E gli spazi, ovviamente, diventano ridotti pure nelle retrovie.
Nessun rimpianto, ci mancherebbe: Petar è felice di aver fatto parte di una spedizione storica, col quarto posto ai Campionati del Mondo che rappresenta un risultato straordinario -e per certi versi quasi irripetibile- per la sua Nazionale.
Al termine del Mondiale il giocatore, trentaduenne, chiude la sua avventura con i Leoni (come vengono soprannominati i bulgari) ed avverte nostalgia per la tranquilla ed affidabile Svizzera: gioca altri sei mesi con il Levski Sofia e poi si accorda con il ricco Neuchâtel Xamax, dove trova compagni quali il compaesano Ivanov (che viaggia insieme a lui), il jolly Gottardi ed il geniale Detari.
La stagione è discreta per il club, ben posizionato in classifica, e straordinaria per Petar Aleksandrov, che torna a vincere il titolo di capocannoniere, con ben 24 gol in una trentina di incontri.
In estate il Neuchâtel Xamax mette le mani sul cartellino del rumeno Moldovan, punta di valore e di una decina di anni più giovane di Aleksandrov, ed il bulgaro finisce sul mercato.
Riceve diverse proposte dall’estero, ma ancora una volta aspetta sei mesi ed a gennaio sceglie nuovamente la Svizzera: valigie spedite in quel di Lucerna, a meno di centocinquanta chilometri di distanza da Neuchâtel.
Petar continua a segnare con una ottima media, realizzando 18 reti che gli valgono il secondo posto nella graduatoria dei cannonieri, preceduto soltanto dal succitato Moldovan.
Il Lucerna sfiora la qualificazione alle coppe europee, centrandola però nella stagione successiva, allorquando perde la finale della Coppa Svizzera contro il Sion, ai rigori, ma viene ammesso alla Coppa delle Coppe in quanto il Sion ha vinto anche il campionato e va quindi in Coppa dei Campioni.
In Europa i lucernesi non fanno molta strada, uscendo ai sedicesimi di finale contro lo Slavia Praga.
Ed in campionato, complice il netto calo realizzativo di Petar Aleksandrov -soggetto peraltro ad un paio di stop forzati a causa di infortuni- le cose non vanno molto meglio.
L’anno dopo Petar si divide tra Lucerna e Baden (seconda divisione), senza brillare.
Poi torna ad Aarau, offrendo un discreto contributo all’ottenimento di due salvezze risicatissime.
Oramai trentottenne, chiude con il calcio professionistico.
Avendo ottenuto la cittadinanza svizzera, volendo vivere nel paese elvetico e, nel contempo, continuare a divertirsi giocando a calcio, a Petar non resta che cercare un ingaggio dalle serie minori.
Accetta un annuale col Kickers Luzern, la seconda squadra della città, e trascina il team alla promozione nella seconda lega interregionale.
Alla soglia dei quarant’anni appone la firma sull’ultimo contratto in carriera, militando nel Blue Stars Zurigo e ritirandosi a fine stagione, definitivamente.
Alto poco meno del metro ed ottanta centimetri e dotato di un fisico asciutto e vigoroso, Petar Aleksandrov è stato un centravanti classico, di quelli della vecchia scuola dell’est.
Ambidestro, tecnicamente non eccelso ma con un buon senso della rete, molto bravo di testa e con un tempismo perfetto sui cross provenienti dalle fasce, dove in area è praticamente una sentenza.
In carriera ha servito parecchi assist, a dimostrazione di quanto fosse intelligente tatticamente, seguendo il gioco ed aprendo gli spazi ai compagni, ove necessario.
In Nazionale ha chiuso con cinque reti in venticinque gettoni di presenza: un bottino non malvagio, soprattutto per un subentrante-comprimario.
Nelle squadre di club è stato stimato per l’attitudine professionale e i tifosi ne hanno sempre apprezzato l’impegno e la voglia messa sul manto verde.
Non ha avuto eccessiva visibilità in campo internazionale e non ha militato in club blasonati.
Una certa incostanza nel rendimento, che nei periodi di magra diventava ancora più cronica, ne ha molto probabilmente limitato le opzioni sportive e le conseguenti prospettive di fama.
Segno di riconoscimento: la fascia in testa, messa a mo’ di gladiatore/combattente, in anticipo rispetto ad una moda che tra i calciatori prenderà piede più avanti.
A fine carriera resta a vivere in Svizzera, insieme alla nuova compagna che gli dona un erede che si va ad aggiungere ai tre (due femmine ed un maschio) già avuti con la ex moglie.
Lavora a lungo come allenatore.
Inizia dalle riserve dell’Aarau, poi è collaboratore tecnico al PAOK, in Grecia.
Successivamente ricopre lo stesso ruolo al San Gallo ed al Grasshoppers, prima di accettare l’offerta della Nazionale Bulgara, dove è assistente dell’allenatore Markov.
Il ritorno in Svizzera è definitivo e lo vede alternarsi tra il ruolo di vice e quello di collaboratore tecnico con Lucerna, Blue Stars Zurigo, di nuovo San Gallo, FC Biel-Bienne, Olten e, nell’ultimo quadriennio e sino ai giorni nostri, ancora con l’amato Aarau, del quale è strenuo tifoso nonché indiscutibile leggenda, dopo l’epico ed indimenticabile trionfo del 1993, oltre a divertirsi con la squadra dei veterani del club.
Sogna una panchina tutta sua, ma continua a svolgere il suo lavoro con impegno e dedizione, mettendosi al servizio della società e dei tesserati.
“Il mio calcio era molto diverso da quello attuale.
P. A.
Il club era come una famiglia, per noi calciatori.
E il denaro non era tutto, per quanto fosse e sia ancora oggi molto importante.
Al Cottbus, in Germania, guadagnavo bene ma non ero felice.
Stava cambiando il paese e si avvertiva una sensazione strana, nell’ambiente.
In Belgio, prima, ed in Svizzera, dopo, ho ricevuto stipendi più bassi ma mi sentivo a mio agio, mi godevo la vita, ero più sereno.
Spero, in qualche modo, di riuscire a trasmettere questi valori ai giovani che alleno.”
Un buon giocatore, una persona equilibrata ed un allenatore appassionato.
Petar Aleksandrov: il bulgaro col cuore svizzero.
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