Paulo Futre - Porto
  • Pallone d’Argento

Paulo Futre

Paulo?
Era il numero 1.
Se il MIlan lo avesse preso da giovane, anziché quasi a fine carriera e oramai da infortunato cronico, lui avrebbe vinto almeno un Pallone d’Oro.
Se non due.

Parole e musica di Rui Costa, mica del primo venuto.
Il lui, protagonista di cotanto apprezzamento, è uno dei più grandi talenti europei degli anni ottanta e novanta: Paulo Futre.

Rui Costa e Futre sono amici e connazionali, certo.
Ma il primo non è lontano dal vero quando afferma che in condizioni diverse e senza i maledetti infortuni che lo hanno tormentato, il secondo avrebbe potuto scrivere pagine ancor più gloriose di quelle che pure è riuscito a vergare nella meravigliosa Storia del Calcio.


Jorge Paulo dos Santos Futre nasce nel 1966 a Montijo, un comune posto nel distretto di Setúbal, nella regione sud-occidentale del Portogallo.
Il padre gioca a calcio nella squadretta locale e gli regala il primo pallone della sua vita.
Va ancora alle elementari quando qualcuno lo vede giocare per strada e ne intuisce le sconfinate potenzialità, convincendo anche la madre che è giunto il momento di varcare i cancelli della scuola calcio del Montijo.
Dove bastano pochi allenamenti e qualche partitella per spingere un osservatore del luogo a segnalarlo allo Sporting di Lisbona.
Una società tra le più importanti del paese e ben nota anche oltre i confini nazionali, soprattutto per l’ottimo livello di scouting.
E come ti sbagli: un paio di dirigenti si recano a dare una occhiata al piccolo prodigio e pochi mesi più tardi, alla fine dell’annata sportiva, Paulo entra ufficialmente a far parte del settore giovanile dei Leões (Leoni).
Un’ora di viaggio in barca per andare, un’ora di viaggio in barca per tornare: nel mezzo il sogno di diventare un calciatore “vero”.

Futre, Sporting Lisbona

A Lisbona cresce, sia fisicamente (nell’età dello sviluppo si attesta definitivamente intorno al metro e settantacinque di altezza) che caratterialmente, mostrandosi maturo e determinato, tanto da suggerire ai tecnici della prima squadra dei biancoverdi l’idea di aggregarlo con una certa frequenza agli allenamenti dei “grandi”.
Paulo, sfrontato e sveglio, non si lascia sfuggire l’opportunità di mettere in difficoltà chiunque gli si pari dinanzi.
Agisce da attaccante esterno, quando non da centrocampista offensivo.
E lo fa in maniera efficace, altroché.
Tanto è vero che ben presto esordisce, da minorenne, nella prima divisione portoghese.
Ventuno presenze e tre reti in una annata che lo Sporting conclude al terzo posto in graduatoria.
Futre si rende conto di avere qualità rare e bussa alla porta del presidente Rocha, chiedendo un contratto da top player.
Il massimo dirigente non gradisce affatto la richiesta di un prospetto che, per quanto intrigante, resta pur sempre ancora tale.
Si infuria e pensa di mandarlo in prestito punitivo all’Académica de Coimbra.
Poi si rende conto che il ragazzo è già in orbita della Nazionale maggiore, dopo aver dato spettacolo nella Under 16, nella Under 18 e nella Under 21.
No, non è possibile spedirlo in provincia a meditare.

Così lo propone in giro, chiedendo in cambio la Luna.
I Dragões (i Draghi) del Porto non dispongono di astronavi, però offrono in cambio i nazionali Jaime Pacheco e António Sousa e, soprattutto, riempiono di denari il giocatore, peraltro già contattato mesi or sono -in incognito- dagli stessi dirigenti di Oporto.
Il pressing dei biancoblù scatena la rabbia di Rocha, che dapprima pensa di denunciare tutto alle autorità sportive del paese ed infine, da buon banchiere, finisce con l’accettare la contropartita tecnica e per deglutire meglio la pillola fa aggiungere ad essa anche un discreto conguaglio in denaro.

Futre, al Porto

Costi elevati, giustificati dal fatto che si discorre di un calciatore dalle doti indubbie, che ha esordito nella rappresentativa lusitana più importante a soli diciassette anni e che sembra destinato a raggiungere vette d’assoluta eccellenza.

Il Porto si è assicurato il futuro“, scrivono i giornali.

E gli inizi sembrano confermare questa teoria, con i ragazzi allenati dal rampante Artur Jorge che vincono la Supercoppa Nazionale (Supertaça Cândido de Oliveira) battendo il Benfica e tornano a trionfare in campionato, pur perdendo -in finale- la Taça de Portugal (Coppa del Portogallo), ancora con gli abituali rivali del Benfica.
Futre disputa un’ottima stagione, risultando decisivo nei momenti chiave ed ergendosi a protagonista allorquando l’atmosfera tende a surriscaldarsi.
La rara capacità di unire classe e concretezza lo pone al centro delle attenzioni di parecchie squadre europee di vertice.
In patria è ormai un mito conclamato, con la famiglia che ne paga le conseguenze a livello di privacy, datosi che i suoi tifosi si appendono alle finestre di casa dei poveri genitori, sperando di beccarlo in qualche rientro a sorpresa nel focolare domestico.

Il Porto, tra l’altro, gioca un buon calcio.
La squadra è compatta, solida, qualitativa.
Davanti, insieme a Paulo Futre, vi è quel marpione di Fernando Gomes che trasforma in oro (leggasi: gol) tutto ciò che tocca.
In porta Zé Beto sa il fatto suo.
Dietro João Pinto è un ottimo cursore di fascia destra, a sinistra Augusto Inácio copre con attenzione la sua zona, mentre i nazionali Lima Pereira ed Eurico Gomes costituiscono una affidabile coppia di centrali difensivi.
In mezzo al campo António Frasco, Vermelhinho e Quim si occupano di costruire il gioco e di randellare gli avversari, con il forte Magalhães che fa da raccordo tra i reparti e Futre, come detto, che assiste il bomber Fernando Gomes.
Le alternative (António André, Eduardo Luís, José Semedo, Walsh e altri) sono consapevoli del proprio ruolo ed il tecnico, il succitato Artur Jorge, gestisce la rosa con pragmatismo e buonsenso.


La società non si ferma ai successi di cui sopra.
Rafforza ulteriormente il roster con acquisti mirati e valenti e rivince il campionato.
In Coppa dei Campioni esce al secondo turno contro il Barcellona, anche a causa di una buona dose di sfortuna.
Paulo Futre continua a giocare come un veterano, pure con la casacca della Nazionale.

La stagione 1986-87 è epocale.
In Primeira Divisão il Porto è secondo, alle spalle del Benfica campione.
Ma i lusitani di Jorge conquistano nientepopodimeno che la Coppa dei Campioni, battendo nella finale di Vienna il forte Bayern Monaco di Matthäus, Brehme e Pfaff.
I tedeschi, allenati dal mitico Udo Lattek, passano in vantaggio: ma complici le assenze di baluardi quali Augenthaler e Dorfner, si fanno rimontare dalle reti dell’algerino Madjer e del brasiliano Juary, con Futre eletto all’unanimità come miglior calciatore del match.
Il 2-1 finale premia gli uomini di Jorge e regala al popolo di Oporto una gioia infinita.
L’annata è inoltre impreziosita dal trionfo in Supercoppa del Portogallo contro, nemmeno a dirlo, il Benfica.

Paulo Futre, vincitore del premio come giocatore portoghese dell’anno da un biennio, è sul tetto d’Europa, col numero 10 sulle spalle e la nomea, meritata, di elemento in grado di accendere passioni tra la folla e di riempire la bacheca della società d’appartenenza.

In estate si fanno avanti parecchi top club, per colui che sfiora la vittoria del Pallone d’Oro, arrivando secondo dietro all’olandese Gullit.
Anni più tardi Paulo si dirà convinto che a far primeggiare il tulipano nero -che ne avrebbe meritati tanti, come ammesso dello stesso portoghese- in quella stagione fu il boss del Milan, Berlusconi, tramite un’azione condivisa tra diplomazia e poteri forti.
Diego Maradona, il giocatore preferito di Futre insieme al connazionale Chalana ed all’italiano Bruno Conti, già all’epoca aveva dichiarato che il premio lo avrebbe meritato Paulo: e questo prescindendo dalla sua (dell’argentino) storica rivalità col Milan degli orange.

Paulo Futre, Atletico Madrid

Sia quel che sia, il funambolo è sul mercato.
L’Atletico Madrid offre uno stipendio da favola al lusitano e convince il Porto a cederlo, con un’offerta cash irrinunciabile: l’equivalente di oltre dodici miliardi delle nostre vecchie lire.
L’Inter prova ad inserirsi nell’affare, non andando a dama.
Il vulcanico presidente degli spagnoli, Gil, lavora sotto traccia con la politica lusitana per evitare al ragazzo il Servizio Militare.
Ci riesce ed ambisce a costruire intorno al portoghese una squadra che possa rivaleggiare con Real Madrid e Barcellona.
Il progetto funziona sino ad un certo punto.
L’Atletico migliora le sue posizioni precedenti, vince parecchie sfide con le grandi di Spagna e per un triennio si assesta nelle posizioni di vertice della Liga, senza però portare a casa alcun trofeo e facendo pochissima strada nelle competizioni europee.
Nel 1991 arriva secondo in campionato, sebbene a distanza siderale dal Barcellona campione di Spagna, e riesce a portare a casa la Coppa del Re, superando nell’ultimo atto -ai supplementari- il Maiorca, per una rete a zero.
Futre è il leader e capitano dei suoi.
Negli anni ha saputo guadagnarsi la stima e l’affetto di compagni e tifosi, pur dovendo lottare con diversi infortuni muscolari che ne hanno spesso condizionato il rendimento.
I Colchoneros si ripetono in Coppa del Re dodici mesi più tardi, superando (2-0) in finale i cugini del Real Madrid, grazie ad un Paulo Futre in forma mondiale e all’ottima prestazione del tedesco Schuster.
La punta Manolo, diventata prolifica mediante gli assist di Futre, è il terzo caposaldo di una compagine agonisticamente molto valida e tecnicamente più che discreta.
I continui cambi di allenatore non aiutano, va detto.
Per quanto sulla panchina dei Rojiblancos si accomodi gente di livello, eh: Luis Aragonés, César Luis Menotti, Tomislav Ivić, Javier Clemente.
Ma anche un’altra decina di tecnici che, in questo caos, alla fine hanno infinite difficoltà a dare una identità precisa al team.

Paulo Futre si mette al servizio di tutti loro e a Madrid fa in tempo a vincere pure una Coppa Iberica, una specie di Supercoppa Ispanico-portoghese, nel 1991, battendo -guarda un po’- il Benfica.
Perde in finale ben due Supercoppe di Spagna, entrambe contro il Barcellona guidato da Johan Cruijff: nel 1991 e nel 1992.
L’Atletico Madrid arriva quasi in fondo nella Coppa delle Coppe del 1992, fermato in semifinale dal Parma di Scala, che andrà poi a vincere il trofeo.
Ma senza Futre che, dopo un lungo stop per infortunio ed una serie di furiosi litigi con Aragones, firma un ricco contratto quadriennale con il Benfica e torna in patria.

A Madrid lascia una società in crisi, una tifoseria che lo adora e la sensazione che non abbia espresso tutto il suo potenziale.
In Portogallo entra nel selezionatissimo club di coloro -pochi, per l’appunto- che hanno indossato le maglie delle tre società più importanti del paese: Sporting, Porto e Benfica, in rigoroso ordine di comparizione.
Con le Águias (Aquile) gioca solo qualche mese e vince, da par suo, una Coppa del Portogallo: 5-2 al Boavista.
Poi fa le valigie, cercato da un altro presidente vulcanico, Tapie, per il suo Marsiglia.


In Francia non si ambienta al meglio, tormentato dai soliti infortuni.
La squadra è forte, ma la società è travolta da uno scandalo -gare truccate- di dimensioni cosmiche.
Inoltre nel suo ruolo vi è quel geniaccio malefico di Dragan Stojković.
Incompatibilità conclamata e sanzioni in arrivo per l’OM, con Futre che decide prima di subito di cambiare aria.
Il Real Madrid lo compra a pochi spicci: lui è entusiasta, fin quando non si ricorda di essere un idolo dell’Atletico e cambia idea.
Lo cercano quindi da Germania, Francia, Belgio, Svizzera e, soprattutto, Italia.
Il campionato più bello del mondo, negli anni 80 e 90.
E Paulo non è insensibile al fascino tricolore e ai climi caldi, sul terreno di gioco e anche nei dintorni.
Quando militava nel Porto la Roma era stata ad un passo dall’ingaggiarlo, con un blitz del presidente Dino Viola non concretizzatosi per un pesante gioco al rialzo degli iberici.
Poi lo avevano cercato Udinese e Verona, senza esito.
Ad un certo punto, mentre è a Madrid, la Juventus pareva essere riuscita ad accaparrarselo, salvo poi fermarsi dinanzi alla concorrenza del Barcellona e scoprire, a breve giro di posta, che tra i due litiganti non aveva goduto nessuno, manco il terzo.
Torino, Bologna e Fiorentina si interessano a lui nei periodi meno caldi, tra un infortunio e l’altro, per provare il colpaccio.
Viene accostato al Napoli e lui ammicca, firmando due settimane più tardi il rinnovo con l’Atletico.
E quando vengono date per certe le chiusure con l’Inter e la Sampdoria, puntualmente disattese e smentite in poche ore, è fortissima la sensazione che il portoghese sia diventato un nome buono per tutte le stagioni, da spendere per acquietare i bollori estivi di quelle tifoserie che sognano il grande nome.


Alla fine della fiera Paulo Futre finisce alla Reggiana, che stacca un assegno di cinque miliardi di vecchie ed adorabili lire: in seria A, sì, ma con l’attacco più abulico del torneo ed in un contesto decisamente modesto, se paragonato alla notevole fama del lusitano.
Lui, elegantemente, guarda oltre:
Ho cambiato quattro squadre in pochi mesi, anche a causa dei problemi economici di Gil e Tapie, a Madrid e a Marsiglia.
Avevo parecchie richieste, ma seguo il campionato italiano sin da quando ero giovanissimo.

Vengo a Reggio Emilia con motivazioni e gioia, per raggiungere la salvezza insieme ai miei compagni e magari per mettermi in mostra agli occhi di qualche top club.

Perché Paulo Futre sarebbe giocatore da Top Club, per dirla tutta.
Il condizionale è d’obbligo, a causa di persistenti infortuni muscolari che ne minano il percorso sportivo e, ancor di più, per una congenita attitudine all’indolenza che scatena istinti omicidi negli allenatori che, man mano, si ritrovano a gestirlo.
Paulo è un talento vero, dotato di una tecnica mostruosa e di un fisico che, quando sano, sa accompagnarlo nei suoi repentini e sinuosi spostamenti.
Difatti ha uno spunto devastante che sul breve lo rende praticamente immarcabile e che negli spazi ampi lo porta a tiranneggiare con irresistibile progressione sui poveri difensori avversari.
Dribbling e finte fanno parte del repertorio ed accompagnano le sue giocate, talvolta visionarie ed in grado di infiammare le platee.
Ottimo uomo assist, calcia benissimo da fermo ed in corsa, con entrambi i piedi.
La sua abilità nell’uno contro uno è tale sia quando parte dalla fascia -tendenzialmente a sinistra, da ala/esterno, ma spesso pure da destra- che nelle occasioni in cui si accentra, andando a scombinare i piani delle difese avversarie.
Centrocampista alquanto offensivo con numeri da punta, nella fase migliore della sua carriera.
Dalla trequarti in su può giocare ovunque e, se ha voglia, decidere i destini di ogni gara.
La testa ondivaga, oltre ai muscoli fragili, ne ha delimitato maggiormente i confini.
Con la sua classe infinita e con un carattere più deciso ed una concentrazione più feroce avrebbe potuto ottenere molto più di ciò, pur degnissimo di nota e ci mancherebbe, che ha messo in bacheca.
Vedendolo giocare si aveva perennemente la sensazione che da un momento all’altro potesse accendersi e determinare: qualità propria dei fuoriclasse.
Un Portogallo non eccelso, in quegli anni, non lo ha aiutato a responsabilizzarsi ulteriormente ed acquisire la mentalità del Campione vero.
Quando poi sono saltate anche le ossa, è calato il sipario.


In Italia Futre inizia alla grandissima, con una super gara all’esordio contro la Cremonese ed una rete che decide le sorti del match.
Peccato che negli ultimi minuti di gara uno scontro con il suo diretto marcatore gli comporti un grave infortunio, stavolta di origine traumatica.
Lacerazione del tendine rotuleo del ginocchio destro, la infame diagnosi.
Il portoghese scagiona subito Pedroni, il terzino dei lombardi, spiegando di essere caduto male, seppure sotto la spinta del rude intervento dell’altro.
Paulo salta l’intera annata, con la Reggiana che si salva miracolosamente e non senza qualche ombra generata da risultati oltremodo “strambi” nelle ultime giornate di gara che hanno coinvolto nella lotta per la retrocessione anche l’Inter, oltre a diverse altre compagini.

Futre, Reggiana

Caduta agli inferi rimandata di dodici mesi, comunque, nei quali Futre rientra e prova, ad intermittenza, a dare il suo contributo ad una rosa non attrezzata adeguatamente per ripetere il miracolo della stagione precedente.
Paulo accetta di partecipare col MIlan, che lo segue da tempo, ad una tournée in Asia, dove impressiona l’allenatore Capello ed un paio di team giapponesi, che gli offrono contratti miliardari.
Lui preferisce il corteggiamento milanista e rimanda al mittente pure una proposta dell’Atletico Madrid, per un romantico ritorno.
Si accorda con Berlusconi, che gli deve un Pallone d’Oro e che ne è innamorato, e la Reggiana concede il prestito con diritto di riscatto, non potendosi permettere un ingaggio di tale levatura in serie B.

A Milano Paulo Futre continua a collezionare infortuni e, come se non bastasse, trova Roberto Baggio, Savićević, Donandoni, Weah, Tomas Locatelli, Di Canio, Lentini e, sebbene a fine corsa, Van Basten.
Risultato: una sola presenza, all’ultimo tuffo, giusto per potersi fregiare del titolo di Campione d’Italia.


Il portoghese è avviato verso la pensione, inutile girarci intorno.
Ne è consapevole e se ne va al West Ham, dove passa un paio di mesi a litigare con 3/4 di Inghilterra per ottenere la maglia numero 10 ed altri 5/6 a giocare senza troppa convinzione.
Il romantico ritorno all’Atletico Madrid si materializza nel 1997, ma si rivela una minestra riscaldata.
I soldi del Giappone -Yokohama Flügels- ci mettono una pezza, attenuando la delusione.
Però è ora di chiudere la saracinesca.
In Nazionale, con una quarantina di gettoni, Paulo Futre si era già fermato da oltre un triennio.

E qui tocca aprire una parentesi: il lusitano è uno dei partecipanti al mitico Mondiale del 1986, in Messico.
I portoghesi iniziano alla grande e battono per 1-0 l’Inghilterra di Lineker e Shilton.
Poi perdono (0-1) con la Polonia di Smolarek e Boniek, prima di crollare definitivamente (1-3) dinanzi al Marocco di Zaki e Timoumi, abbandonando mestamente la kermesse.
Paulo Futre, non in condizioni ottimali di forma, partecipa da subentrante alle prime due gare.
Gioca titolare la terza, che sancisce l’eliminazione degli iberici.
L’occasione della vita, forse.


Dopo tre operazioni chirurgiche, ed una cartella clinica lunga un chilometro, nel 1998 si chiude l’epopea di Paulo Futre da calciatore.
Senza scomodare Re Diego, poteva essere quantomeno una storia alla Platini, per dire.
O alla Zico, ecco.
Invece no.
Futre resta nell’immaginario collettivo un fuoriclasse incompiuto, pur avendo vinto una Coppa dei Campioni -da protagonista- ed altri trofei di minor importanza.

Riposti gli scarpini nell’armadietto, e d’accordo con la consorte Isabel, rispedisce al mittente alcune proposte per tornare in campo in campionati esotici e si rimette in gioco nella dirigenza dell’Atletico Madrid per un po’, prima di dedicarsi all’attività di imprenditore nel campo immobiliare ed alla TV, come commentatore e come intrattenitore.
Mesi or sono, al funerale della madre, ha accusato un malore che lo ha costretto ad una operazione cardiaca ed una degenza che ha messo in allerta tutto il mondo del Calcio.
Per fortuna, nel giro di un paio di mesi, tutto è andato per il meglio.

Il figlio Fabio e tre nipoti hanno provato inizialmente a seguirne le impronte calcistiche, con risultati abbastanza modesti.
L’altro figlio, Paulo Jr., è musicista per hobby e lavora in altri ambiti.

2023

Inserito in tutte le classifiche che si rispettino dei migliori giocatori di sempre, Paulo Futre è stato per me -e non soltanto- uno dei centrocampisti offensivi più forti della sua generazione, senza dubbio.
Parliamo di anni in cui il Calcio era veramente tale.
Peccato sia giunto in Italia quando oramai il meglio era alle spalle.
In alcuni sprazzi ha comunque evidenziato il suo talento cristallino.

Mi piaceva moltissimo.
Ed era al Mondiale dell’86.
Basta e avanza.

Paulo Futre: Pallone d’Argento.

V74

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