- Schumacher, ma non solo
Patrick Battiston
Nella Storia del Calcio vi sono molti suoi protagonisti che sono rimasti nella memoria collettiva per un singolo episodio.
Talvolta bello, quando non brutto.
Un gol importante, un’autorete clamorosa, un’espulsione decisiva, un rigore sbagliato o parato, una giocata da fuoriclasse, una rete della domenica o un malore inaspettato.
Basta poco, un singolo episodio, per assurgere alla gloria o sprofondare nel dramma.
Che poi sia gloria effimera o dramma transitorio, beh, questo lo decide il seguito in combutta col destino.
Vi sono però pure delle situazioni ove ci si ricorda soltanto di un evento specifico, tralasciando -forse immeritatamente- tutto il resto.
E Patrick Battiston è un caso emblematico, a riguardo.
Patrick nasce nel 1957 ad Amnéville, una cittadina situata nella ridente regione della Lorena, sulle rive francesi della placida Mosella, un fiume che amo alla follia.
Siamo nel territorio orientale del paese, non troppo distanti dai confini con la Germania, con il Belgio e con il Lussemburgo.
E molto vicini alla bella Metz, che ho avuto il piacere di visitare anni addietro.
La sua famiglia proviene dalla provincia di Venezia e lo zio Raymond ha giocato nel Metz dal termine della della seconda guerra mondiale sino alla metà degli anni cinquanta.
Lui cresce con il sussidiario in una mano ed il pallone nell’altra.
A scuola è diligente ed attento, ma è il cuoio ad essere il suo miglior amico.
Non ha compiuto ancora 9 anni quando entra a far parte della scuola calcio del Talange, praticamente a due passi da casa.
Cresce rapidamente, sia dal punto di vista fisico che da quello caratteriale.
A 16 anni il Metz, dopo averlo seguito per un bel po’, decide di inserirlo nel proprio settore giovanile, uno dei migliori del paese transalpino e dotato di un centro che negli anni 70 è all’avanguardia per progettualità, strutture ed interazione tra organizzazione scolastica e sportiva.
Quattro giorni dopo aver compiuto il diciassettesimo anno d’età arriva l’esordio in prima squadra.
Division 1, serie A.
Sei presenze nella prima stagione, quattro nella seconda.
Dalla terza in poi è titolare inamovibile e lo sarà per un quinquennio.
Les Grenats fluttuano in tranquille posizioni di centro classifica, grazie alle reti del bomber lussemburghese Nico Braun ed a quelle del prolifico argentino Hugo Curioni.
Patrick Battiston è uno dei perni della retroguardia granata ove agisce da jolly, essendo in grado di ricoprire svariate posizioni difensive.
Man mano prende anche una certa confidenza con il gol, grazie al tempismo dei suoi inserimenti abbinato ad una buona tecnica di base che gli consente di destreggiarsi con profitto nell’aria avversaria.
Nella stagione 1979/80 il Metz si salva con qualche patema, incappando in un’annata storta.
Battiston è comunque tra i migliori del team e la società decide che è giunto il momento di monetizzarne la cessione.
Il ragazzo ha parecchie richieste, in effetti.
Tra l’altro ha già disputato un Mondiale, quello del 1978, dopo aver ricevuto convocazioni nelle rappresentative giovanili ed in quella olimpica, che nel 1976 in Canada si arrese alla Germania Est che andò a vincere la medaglia d’oro.
In Argentina, sebbene giovanissimo, viene schierato contro i padroni di casa.
La Francia viene presto eliminata, ma Patrick resta in orbita “Blues” e si trasferisce all’ambizioso Saint-Étienne di Michel Platini e Johnny Rep, allenati dal mitico Robert Herbin.
Con la casacca de Les Verts il calciatore lorenese vince subito il campionato, perdendo in finale la Coppa di Francia (contro i corsi del Bastia) ed uscendo ai quarti in Coppa Uefa.
Agisce da terzino destro e da marcatore centrale, è il più presente nella rosa ed il suo ottimo rendimento si rivela fondamentale per raggiungere la vetta.
Nella seconda stagione arriva una prematura eliminazione in Coppa dei Campioni, mentre in Division 1 per un solo punto è il Monaco a trionfare sulla compagine della Loria.
In Coppa di Francia ancora una volta giunge la sconfitta in finale, ai rigori con il Paris Saint-Germain.
Agli inizi del mese di maggio del 1982, proprio poco prima della finale di Coppa di Francia e della successiva partenza dei calciatori per il Mondiale di Spagna, uno scandalo di carattere economico travolge la società, comportando le dimissioni del presidente in carica e collocando parecchi calciatori al centro di indagini e polemiche.
Battiston in Spagna parte titolare, poi scala nel ruolo di riserva.
I galletti chiudono al quarto posto, sconfitti nella finale di consolazione dalla Polonia.
Ma è in semifinale che il nome di Patrick passa alla storia, per un episodio alquanto controverso.
La “Notte di Siviglia”, un match indimenticabile tra Germania Ovest e Francia.
Ad un certo punto della ripresa Platini, capitano transalpino, inventa letteralmente dal nulla un brillante corridoio verso la gloria per il suo fedele scudiero, amico e cavallone di razza dalla progressione irresistibile e che è da qualche istante subentrato al centro della contesa, indi fresco come una rosa e decisamente più in palla dei panzer Kaltz e Stilieke che annaspano alle sue spalle in sofferenza come manco Enzo Paolo Turchi sull’Isola dei Famosi.
Patrick Battiston arriva in area ed ha solamente Schumacher tra sé e la porta avversaria: il portiere esce come un disperato, ormai conscio di non avere altra possibilità che tentare l’impossibile.
Il francese, possente ed atletico, ad un certo punto ha forse una esitazione fatale, un rallentamento che si rivelerà funesto: infatti l’estremo difensore avversario gli arriva addosso come un tir, quasi cento chili di autentica potenza fisica made in Germany, un impatto devastante per il blues che riesce appena a toccare la sfera, la quale beffardamente e con ritmo scandito dall’intero stadio in tensione andrà lemme lemme a terminare la propria corsa a pochi centimetri dal palo.
Nel frattempo Battiston è a terra, immobile: attimi di autentico terrore per tutti coloro che sono in campo, fuori e davanti allo schermo televisivo.
Schumacher si ferma nervosamente a palleggiare a pochi passi dalla sua porta, lamentandosi del tempo perduto dai francesi e brandendo la sfera come una freccia da scagliare addosso al primo che gli si fosse parato innanzi.
In tutto ciò arbitro e guardalinee non si accorgono di nulla, tralasciando il fatto che l’azione si era sviluppata in area di rigore e che l’intervento dell’estremo difensore teutonico era stato di una violenza immane e, va detto, assolutamente gratuita, in quanto tutti avevano chiaramente compreso che lo scontro non era stato affatto casuale ma bensì cercato, voluto.
Schumacher, anche in passato, aveva in più occasioni dichiarato che per lui l’avversario è un nemico non soltanto da sconfiggere ma, se possibile, pure da abbattere: lui si vede come un ultimo ostacolo prima della caduta del fortino ed è quindi obbligato a fare in modo che ciò non accada, con tutti i mezzi, leciti o non leciti che possano esistere.
Si sente come “un drago volante, agile e invalicabile, un diavolo rosso con le ali pronto a proteggere il suo sacro tempio ad ogni costo”.
Parole che lasciano poco spazio alla fantasia.
Fatto sta che Patrick Battiston perde i sensi e si risveglia in ospedale con due denti rotti, varie costole incrinate, una commozione cerebrale ed una condizione di coma, seppur in controllo, che induce tutti al feroce odio nei confronti dell’altro, appellato come un criminale insensibile e bestiale.
Come se non bastasse, negli spogliatoi il pipelet accusa Battiston di aver fatto scena e, venuto a conoscenza dei danni riportati dal laterale del Saint-Etienne, si dichiara pronto a ripagarlo con una dentiera d’oro.
As usual, tempo dopo, Schumacher chiederà venia per quel comportamento e quando avrà l’occasione di incontrare Battiston proverà a spiegare il suo punto di vista, invero poco ortodosso.
Nel Mondiale messicano dell’86 i due si rincontreranno anche in campo, per fortuna senza conseguenze, e nuovamente in semifinale: ancora una volta sarà il tedesco a trionfare per poi arrendersi, come quattro anni prima, in finale, stavolta contro l’Argentina di Maradona.
Al ritorno dalla kermesse intercontinentale iberica Patrick trova un ambiente in subbuglio: il Saint-Étienne vende il suo fuoriclasse Platini alla Juventus e lo sostituisce con Genghini, ingaggiato dal Sochaux.
Altri elementi vengono ceduti per questioni di bilancio e l’ambiente inizia a mostrare crepe importanti.
Ne consegue che la stagione finisce per essere disastrosa, con l’esonero dello storico tecnico Herbin e la squadra che termina pochi punti più su della quota salvezza.
Battiston, da leader, tiene su la baracca.
Ma il suo ingaggio è ritenuto fuori dai parametri attuali e così gli tocca cambiare aria.
Il Saint-Étienne retrocederà dopo un paio di anni, certificando una crisi che attanaglierà i verdi per diverso tempo.
Per Patrick Battiston arriva una proposta irrinunciabile: infatti ad accaparrarsi i suoi servigi è il Bordeaux, vice-campione di Francia, che col vulcanico presidente Bez e col bravo tecnico Jacquet -che nel 1998 porterà la Nazionale Francese sul tetto del mondo- si avvia ad aprire un ciclo di grandi vittorie.
Con i girondini Battiston conquista tre campionati (1984, 1985, 1987), due Coppe Nazionali (1986, 1987) e una Supercoppa (1986).
Raggiunge pure le semifinali di Coppa dei Campioni nel 1985, eliminato dalla Juve di Platini che poi andrà a sconfiggere il Liverpool nella maledetta finale di Bruxelles, all’Heysel.
Giresse, Tigana, Lacombe, Tusseau, Thouvenel, Rohr e altri ancora: un buon team, una rosa completa e ben amalgamata, con i migliori giocatori che compongono anche l’ossatura della Francia che in casa propria trionfa agli Europei del 1984.
Patrick Battiston riempie la sua bacheca e la vittoria da assoluto protagonista con la maglia della Nazionale lo consacra come uno dei migliori interpreti della propria generazione.
Difensore completo, eclettico e generoso.
Nasce come terzino destro, poi agisce spesso da centrale puro, da stopper e da libero.
Può adattarsi a tutti i moduli, sia come marcatore puro in mezzo che come centrale di destra e, se necessario, anche di sinistra.
Viene utilizzato da terzino puro in parecchie gare e sono le volte in cui può sfruttare al meglio la sua ottima progressione.
Nella parte finale della sua carriera è saltuariamente impiegato da diga mediana, a centrocampo.
Dotato di forza atletica e di notevole grinta, è stilisticamente impeccabile dal punto di vista calcistico.
Inoltre ha spirito di gruppo ed attaccamento alla maglia.
Col compagno di reparto Bossis forma una cerniera di insindacabile solidità, che consente ai Blues di ottenere risultati di indubbio pregio.
Posato, corretto e diligente, mai espulso e raramente ammonito nonostante si dovesse occupare quasi sempre degli avversari più talentuosi e non di rado li affrontasse entrando in tackle con estrema decisione.
Di testa è molto forte ed è discreto negli inserimenti offensivi.
Segna abbastanza ed ha piedi dignitosi, per essere un difensore.
Mostra qualche difficoltà sullo scatto a causa del suo fisico possente, soffrendo gli attaccanti sguscianti e dal baricentro basso.
Inoltre tende ad avere alcuni cali di concentrazione che possono rivelarsi alquanto pericolosi per la sua retroguardia.
Al Mondiale in Messico è ancora titolare e finisce terzo, con qualche rimpianto.
Viene convocato fino alla fine degli anni ottanta e colleziona cinquantasei gettoni e tre reti, con i galletti.
Nell’estate del 1987, dopo aver conquistato il terzo “scudetto” con il Bordeaux, Patrick viene contattato dal Monaco di Wenger, che pianifica di competere per vincere la Division 1 e farsi strada in Europa.
Il giocatore è affascinato dai progetti ambiziosi, come è stato al Bordeaux, ed accetta la sfida, anche perché sin da giovanissimo è attratto dall’atmosfera che si respira nel principato monegasco.
Nel nuovo Stadio Louis II il lorenese ritrova alcune vecchie conoscenze di club e di Nazionale come Rohr, Amoros, Sonor, Ettori e altri ancora.
Gli inglesi Hoddle ed Hateley completano un buon roster e danno quella spinta in più che consente ai biancorossi di conquistare il titolo di campioni di Francia al primo tentativo.
Un autentico colpaccio per Patrick Battiston, di nuovo al top della classifica.
A Monte Carlo si trova benissimo: ama il luogo, stima il tecnico ed i compagni e adora l’aria che si respira nello spogliatoio.
Nella stagione successiva i monegaschi non riescono a ripetersi -nonostante le reti del succitato Hoddle e del futuro Pallone d’Oro George Weah-, finendo terzi alle spalle dei vincitori dell’Olympique Marsiglia e del PSG.
In estate il Monaco decide di ringiovanire ed ingaggia Roger Mendy, difensore senegalese del Tolone che più avanti militerà nel Pescara di Galeone.
Battiston, che inizia a riflettere sul post calcio, avendo legami forti con la città di Bordeaux prova a riallacciare i contatti con la sua ex squadra.
Il santone belga Raymond Goethals, tornato alla corte girondina, cerca rinforzi di esperienza ed accoglie con gioia il ritorno del figliol prodigo.
Il Bordeaux gioca un bel calcio, ma perde lo scontro diretto con l’OM nel rush finale e deve accontentarsi della seconda piazza.
Dodici mesi dopo la situazione è totalmente capovolta: una devastante crisi di natura economica spinge il club a disputare un’annata mediocre, culminata in una retrocessione a tavolino a causa di dissesti finanziari ormai non più arginabili da parte della vecchia dirigenza.
Patrick Battiston ha 34 anni: fisicamente ha qualche acciacco, in buona parte derivante da quell’impressionante frontale con Schumacher, ma è nella testa che non si sente più pronto a scendere in campo.
La delusione per gli ultimi accadimenti è fortissima e rimanda al mittente la proposta di dare una mano per la risalita, quantomeno in campo.
Ben oltre cinquecento gare a referto in Division 1, praticamente tutte da titolare.
Un monumento del calcio francese, campione d’Europa con i Blues nel 1984 e pluridecorato in patria.
Con tre squadre diverse, per giunta.
Forse un’esperienza all’estero lo avrebbe consacrato ulteriormente a livello internazionale, per quanto i tre mondiali ai quali ha preso parte -due di essi da indiscusso protagonista- dovrebbero dire già abbastanza su un calciatore che, volente o nolente, viene sempre ricordato ed associato a quella notte sivigliana ed allo spaventoso scontro con Toni Schumacher.
Fermatosi a vivere a Bordeaux con la moglie Anne ed i suoi due figli, Patrick ha poi lavorato con la società girondina come direttore sportivo, responsabile del settore giovanile, allenatore della squadra riserve ed addetto alla comunicazione del club.
Ogni tanto commenta in TV le gesta dei suoi amati galletti.
Di recente gli è stata conferita la cittadinanza onoraria da parte del comune italiano di provenienza della sua famiglia, a certificare un legame forte con la nostra Nazione.
Un curioso episodio emerso solo posteriormente agli accadimenti ne disegna l’indole ed il carattere: durante la finale degli Europei del 1984 contro la Spagna, la gara più importante della sua vita, Patrick Battiston chiede il cambio ad una ventina di minuti dal termine.
Il tecnico Hidalgo inserisce al suo posto Manuel Amoros, forte laterale di difesa che dopo essere stato espulso nella gara iniziale del torneo si è ritrovato fuori dai giochi a causa della lunga squalifica rimediata ed è tornato disponibile soltanto per l’ultimo atto.
Le Roux, che con Domergue si è alternato nel prenderne il posto, viene a sua volta espulso poco dopo l’uscita di Patrick e la Francia soffre per alcuni minuti, fin quando Bellone non sigla il 2-0 che chiude il match e consegna la Coppa a nostri cugini d’oltralpe.
Battiston anni più tardi ammetterà, come si era intuito da varie circostanze, di aver finto l’infortunio che lo portò a chiedere la sostituzione.
Questo perché a suo dire Amoros -col quale ha condiviso molti momenti di Nazionale ed un periodo al Monaco più tardi, ma senza che vi fosse un rapporto strettissimo di amicizia- meritava di scendere sul terreno di gioco, in quella finale.
Nei minuti di recupero, con i suoi rimasti in inferiorità numerica, Patrick ha sudato freddo, prima di esplodere per la gioia.
Manuel è sorpreso dal gesto del compagno, pur apprezzando l’omaggio.
Hidalgo, buonanima, ha invece bestemmiato in turco quando si è accorto della cosa, per poi tornare a brindare come se nulla fosse ad una vittoria indimenticabile nella storia sportiva del suo paese.
27 giugno del 1984.
Io ero incollato dinanzi alla TV, ad ingurgitare la squisita torta che mia mamma/nonna aveva appositamente preparato per il decimo compleanno del sottoscritto.
Bei tempi.
E ricordi stupendi.
Calcio e vita.
C’era anche lui, nel televisore: Monsieur “Patrick Battiston“.
Lo scontro con Schumacher, sì: ma non solo.
Di più.
Sicuramente di più.
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