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  • Riflessioni di carattere strettamente personale

PATERNITÀ POST-MORTEM

Un argomento delicato.
Molto delicato.

Che mi ha preso parecchio e per diversi giorni, dopo aver casualmente letto alcuni spunti a riguardo.

Difatti in diversi paesi è possibile utilizzare, nel processo di fecondazione assistita, i gameti di una persona deceduta, purché quest’ultima abbia acconsentito a farlo in maniera “burocraticamente ufficiale” quando si trovava ancora in vita. 

Paternità

Mah, come da presumibile sottotitolo.
Un grosso mah.

Premetto che in queste situazioni la mia normalmente inoppugnabile, variegata e vasta cultura tende a vacillare miseramente.
Inutile girarci intorno: sono un ignorante conclamato allorquando si discute di concepimento, inseminazione, fecondazione e tutto quel che ne consegue, artificiosità ed assistenze incluse.

Quel che conosco, invero molto poco, è legato ad alcuni approfondimenti che mi sono imposto per comprendere -o per meglio dire: per provare a comprendere- quale potrebbe essere il mio punto di vista sulla materia.

Difficile averne uno chiaro ed indubitabile, in realtà.
Si rischia di scadere nel (pre)giudizio e forse non sarebbe manco del tutto un male, invero, perché ci sono situazioni in cui, a parer mio, è doveroso esporsi, anche con forza e coraggio, ove necessario, senza nascondersi dietro facciate di comodo.


Ho superato da un bel po’ la fatidica soglia dei quaranta anni di età: la società odierna tenderebbe a presumere che fare un figlio ad una certa, con tutte le problematiche che ne conseguirebbero, rischi di diventare complesso.
In fondo è vero: sia per ragioni etiche (sarebbe un bastone della vecchiaia, ammesso e non concesso che uno la raggiunga), sia fisiche (idem come sopra).
Ogni cosa ha i suoi tempi: ed al contrario di come si tende spesso a credere, non vale soltanto per le donne, che possiedono geneticamente delle scadenze quasi sempre improrogabili.

Il sottoscritto, oltretutto, colleziona patologie come francobolli e manco si preoccupa più di tanto di tenerle a freno o, quantomeno, sotto controllo.
Un autentico kamikaze, che porta in dono un profilo psicologico che, stando ad alcuni pareri specialistici, ondeggerebbe tra il borderline, il disturbo bipolare, la depressione endogena e l’interferenza psicotica.
In sintesi: non ci capiscono un cazzo nemmeno loro, quelli che studiano e sperimentano, perché alla fine siamo tutti esperimenti, volente o nolente.
Figuriamoci se posso capirne io, che tra l’altro mi riconosco in tutto e nel contrario di tutto ciò che mi hanno suggerito di approfondire nei percorsi di ordine psicologico.

La verità è che forse la mente è una fottuta sfoglia di cipolla ed al momento ne conosciamo solo una minima parte, alquanto insufficiente a permetterci di conseguirne certezze assolute.
Basarsi su comportamenti abituali e farne regola è possibile, certo.
Semmai pure utile, al limite, ma indubbiamente rischioso.


Non ho mai avuto un forte desiderio di paternità.
O perlomeno credo di non averlo saputo riconoscere sino in fondo.
Forse sarei/sarei stato un buon padre, piuttosto che un compagno/marito ideale.
Oppure entrambe le cose, che per me viaggiano parallelamente.

Vivo le relazioni tendenzialmente in maniera profonda, rispettando la mia partner (il femminile è per la mia natura etero, a scanso di equivoci che oggigiorno diventa doveroso evitare con delle fastidiosissime specificazioni anti-politically correct) e riponendo in ella una fiducia cieca ed amorevole.
Non mi riferisco a corna o similari, eh.
In caso di corna, la relazione sarebbe già conclusa.

Penso piuttosto alla gestione di un rapporto, alla capacità di reinventarsi ogni giorno, alla potenza di un sentimento ed alla temerarietà -perché ci vuole audacia, per amare davvero- di metterlo in pratica.
Fottersene ampiamente di chi rema contro, per invidia, stronzaggine e/o gelosia.
Difendere e difendersi, con feroce coraggio.

Un figlio/una figlia sarebbe conseguenza di un amore folle, nel mio personale e soggettivo immaginario: non certo un prodotto della rottura del contraccettivo -che io per altro non uso manco sotto minaccia armata- o l’alibi per un post su FB/INSTA o per una giornata di festa nel miglior ristorante della zona.

Eh no, porca troia.
Un figlio è altro, per me.
Completamente altro.


Per questo non ci ho messo mano (cazzo, sarebbe giusto dire) sinora e difficilmente ce la metterò in futuro.
Mi sono trovato a vivere per molti anni all’estero per scelta e per piacere, ma l’idea di crescere un erede al di fuori della mia stronza quanto adorata Nazione non mi allettava affatto.
L’Italia è l’Italia e nessun paese è migliore di Lei.
Nessuno.
Inoltre vent’anni di diabete non curato mi avranno probabilmente pure reso meno fertile di un chiodo e mi avranno convinto che lasciare lui/lei e la madre in braghe di tela non sarebbe stato un atteggiamento maturo ed onorevole.
E poi, sì, l’istinto mi ha sempre spedito oltre.
Non altrove, ma oltre.

Ho avuto relazioni lunghe e d’altronde sono stato procreato con un’indole quasi consacrata.
Relazioni con donne dalle qualità indubbie e meritevoli, non si discute.
Profili matrimoniali e materni che oserei definire ideali, ammesso e non concesso che si possa stabilire una immaginaria graduatoria di merito, per essere madri e mogli.

Troppo ideali, forse.
Anzi: troppo ideali e basta.

Nel mio immaginario, accanto ad un profilo come quello del sottoscritto, è fondamentale esprimere una dose di follia.
Una importante dose di follia, ecco.

Quando parlo di follia non mi riferisco a ciò che solitamente si tende ad abbinare all’idea di pazzia in e di coppia.
No, no.
Mi riferisco ad un profilo che mi piace assimilare al mio: passionale, selvaggio, impetuoso.
Libero, più di ogni altra cosa.
Chi è libero, anche libertino se fosse, è in grado di trasformarsi nel partner più devoto ed adorabile allorquando stimolato, protetto ed amato come pensa di meritare.

A me datele matte, storte ed imperfette, insomma.
Perché di lucide, rettilinee e precise ne ho collezionate a iosa e gli esiti, pure per colpa mia, sono stati mediocri.

E comunque oramai è tardi.
Ogni cosa ha un suo tempo, a parer mio.
E forzarlo, questo succitato tempo, può essere pericoloso.
Molto pericoloso.
Tranne rare eccezioni che, con la mia epica e celeberrima ciorta, difficilmente si potranno avverare.

Ciorta

Tutto questo chiacchiericcio per tentare di motivare il perché non mi gradirebbe affatto -per usare un eufemismo- l’idea di lasciare il mio seme, peraltro indebolito (se non proprio annientato) -come detto in precedenza- da decenni di diabete sfasciato o, peggio ancora, curato a cazzo di cane, a futura memoria per un erede che mai avrò la fortuna di crescere e per una Lei che dovrebbe occuparsi di tutto, incluso uno stronzone che sostituisca lo stronzone che scrive.
Se capita perché è vita, OK.
Se invece è tutto studiato a tavolino, mi fa ribrezzo solo l’idea.

Condivido un recente -Maggio 2019- articolo (L’ATTRIBUZIONE DI PATERNITÀ POST-MORTEM) che tratta il tema in oggetto e continuo a pensare che un’adozione, per quanto sia un’altra situazione di complessissima attuazione e con una miriade di complicazioni di natura etica e burocratica a corredo, sarebbe senza alcun dubbio una soluzione più intelligente e concreta -per tutta una serie di ragioni- rispetto alla per me triste ipotesi del seme ritardato e a presa calcolata.


De gustibus.

Ad maiora.

V74

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