- Big Pat
Pat Jennings
Nel 1986, prima del Campionato del Mondo che più mi è rimasto nel cuore, uscì nelle edicole il corrispondente album delle Figurine Panini.
Un’edizione bellissima, con una veste grafica tanto semplice quanto accattivante: le bandiere delle nazioni partecipanti in bella vista ed a sovrintendere il tutto la simpaticissima mascotte Pique, il peperoncino baffuto col sombrero.
Oggi si apre il sito internet della federazione tal dei tali e si ottengono tutte le risposte alle varie curiosità.
Ai tempi no.
Toccava sfogliare Corriere dello Sport e Gazzetta, oltre che Guerin Sportivo, Intrepido e tanto altro ancora.
Ma per Europei e Mondiali gli album della Panini diventavano fondamentali.
E le informazioni, come quelle prese recandosi in biblioteca e non cliccando su wikipedia, restavano scolpite nella memoria.
Per sempre.
Nel succitato album della Panini noto la presenza di un giocatore che c’era pure nel 1982, in Spagna.
Era anzianotto, nella Penisola Iberica.
Quindi in Messico sarebbe dovuto essere “in pensione”, a rigor di logica.
Un Dino Zoff II , viene da pensare.
Anche perché la sua figurina pare quella di un allenatore alle prime esperienze in panca, quando non di un attore stagionato appena sbarcato in Costa Azzurra o di un ex tennista sponsorizzato da Sergio Tacchini ed aromatizzato da Nino Cerruti.
Invece no.
Il personaggio in oggetto nella primavera/estate del 1986 è in attività, sebbene ancora per poco, ed è un portiere di calcio.
Un signor portiere, per essere precisi: Pat Jennings, estremo difensore dell’Irlanda del Nord.
Newry, nel Regno Unito.
Irlanda del Nord, per l’appunto.
Dove Patrick Anthony Jennings viene alla luce nel giugno del 1945.
E ove cresce sereno e curioso, con una passione per i libri d’avventura e per lo sport.
A dieci anni gioca a calcio, entrando a far parte della Juniores dello Shamrock Rovers e confrontandosi con ragazzi molto più grandi di lui.
Poi prende una sbandata per il calcio gaelico, una sorta di calcio più basico che riscuote un discreto successo nelle lande nordiche.
Un quinquennio più tardi decide di tornare al calcio ad 11 e firma il cartellino col Newry City, campionato dilettanti, a pochi passi da casa sua, datosi che il portiere della squadretta locale si è trasferito altrove e lui, che dopo aver fatto apprendistato in una fabbrica di materiale tessile sta prendendo una specializzazione da falegname, è arruolato dal fratello, che nel Newry è centrocampista.
Ha 16 anni, Pat, e promette bene: ha un fisico asciutto e scattante e mostra un discreto carisma.
Manca di esperienza e deve migliorare su alcuni fondamentali, ma l’età è dalla sua parte e lui mostra un’ottima predisposizione nel cercare di crescere il più possibile dal punto di vista tecnico ed agonistico.
Nel biennio al Newry è quasi sempre il migliore in campo e diverse squadre mettono gli occhi addosso al prospetto di zona.
Poche settimane prima di compiere diciotto anni viene messo sotto contratto dal Watford, in terza serie.
Il club, allenato dal grintoso Bill McGarry, ha chiuso al terzo posto il suo campionato ed in quello successivo vuole tentare di raggiungere la promozione in seconda divisione.
Non ci riesce, purtroppo.
Ma Pat Jennings disputa una stagione strepitosa, da titolare, guadagnandosi addirittura la convocazione in Nazionale, dopo essere passato rapidissimamente nella Under 21.
Tenendo conto che si parla di un giovanissimo esordiente in terza serie, è forte la sensazione di trovarsi dinanzi ad un futuro campione.
Per lui si scatena un’asta tra diverse società blasonate ed a spuntarla, per un corrispettivo di circa trentamila sterline, è il Tottenham, che agli inizi degli anni sessanta ha vinto il secondo campionato della propria storia, un paio di FA Cup, una FA Charity Shield (oggi Community Shield) e, soprattutto, una Coppa delle Coppe, oltre ad arrivare sino alle semifinali della Coppa dei Campioni.
Uno squadrone, insomma.
Che però, proprio in quella fase, inizia un lungo periodo di transizione che in campionato dura per oltre un decennio, con ottimi piazzamenti ma senza riuscire a tornare in cima alla First Division, quella che nel 2022 è la Premier League.
Pat Jennings conquista presto il posto da titolare e non lo molla più.
Vince la FA Cup nel 1967, sconfiggendo il Chelsea per 2-1 in finale.
Una sua uscita a vuoto genera il gol della bandiera dei rivali, ma per fortuna senza mutare l’esito della contesa.
Mette inoltre in bacheca due Coppe di Lega, nel 1971 (2-0 all’Aston Villa, nell’ultimo atto) e nel 1973 (1-0 al Norwich City ), e la Charity Shield nel 1967 (3-3 con il Manchester United, col trofeo assegnato in condivisione), gara che resta nella memoria degli appassionati per una rete messa a segno proprio da Pat, con un lungo rinvio che beffa il portiere avversario e spedisce il nordirlandese direttamente nel tabellino dei marcatori.
Il trofeo più importante vinto da Jennings con la maglia degli Spurs è però conquistato in Europa: la Coppa Uefa, nel 1972.
Europa sì, ma senza allontanarsi dal mondo britannico.
In quanto la doppia finale vede opposte due compagini inglesi: Tottenham e Wolverhampton Wanderers, con i primi che vincono 2-1 in trasferta ed impattano 1-1 in casa, potendo così festeggiare il trofeo continentale dinanzi ai propri tifosi.
Bis sfiorato nel 1974, allorquando sono gli olandesi del Feyenoord a conquistare la coppa, sconfiggendo in finale gli inglesi, con un marchiano errore di Pat che spiana la strada agli avversari, nel ritorno.
Pat Jennings si esibisce nel White Hart Lane, lo stadio dei Lilywhites, per tredici lunghi anni.
Diventa un idolo dei tifosi ed una colonna della squadra che, nelle ultime stagioni, manifesta alcune crepe tecniche e societarie figlie dell’abbandono del totem Bill Nicholson, che lascia la panchina degli spurs dopo oltre tre lustri.
Nel 1978 il Tottenham retrocede in Second Division e decide di separarsi dal pipelet nordirlandese.
Promuove il suo storico secondo, Daines, che contribuirà all’immediato ritorno nel calcio che conta, e dopo oltre cinquecento gare con i londinesi, cede Jennings, ormai trentaduenne e ritenuto avviato sul viale del tramonto, ai rivali dell’Arsenal.
Nessuno può neanche lontanamente immaginarlo, ma il portiere giocherà con i Gunners per otto stagioni, con buona continuità di rendimento e lasciando spazio alla concorrenza solamente in un paio di circostanze, tra l’altro per intervalli di tempo di breve durata.
Nel frattempo Pat continua ad essere una colonna portante della propria Nazionale insieme a quel fantastico genialoide talento di George Best.
L’Irlanda del Nord non ottiene risultati di rilevo sin quando, nel 1982, non riesce a qualificarsi per il Mondiale in Spagna.
Nella penisola iberica Best non c’è: il preparato commissario tecnico Billy Bingham riesce comunque ad allestire una compagine guardinga e ben organizzata, solida in difesa e grintosa a centrocampo, con in attacco il giovanissimo Whiteside (diciassettenne) a creare scompiglio ed il più esperto Armstrong (ex compagno di Jennings al Tottenham) a tentare di trasformare in oro tutto quello che luccica.
In porta, manco a dirlo, Pat Jennings.
L’amico Jim Platt, del Middlesbrough, gli fa da secondo, mentre come terzo è convocato George Dunlop, che milita nel Linfield.
Il buon pareggio (0-0) con la Jugoslavia di Šurjak e Susic e quello successivo con l’Honduras (1-1) mettono la Green & White Army (l’armata bianco-verde, come viene chiamata la Nazionale nordirlandese dagli appassionati) in condizione di giocarsi la qualificazione al turno successivo.
La sorprendente vittoria (1-0) contro i padroni di casa della Spagna di Juanito e Gordillo certifica il superamento del turno e manda in orbita gli uomini di Bingham, che però nel turno successivo vedono i loro sogni infrangersi contro la forte Francia di Giresse, Rocheteau (2 reti a testa, per il 4-1 finale) e Platini, dopo aver impattato per 2-2 con l’Austria di Pezzey, Prohaska e Schachner.
Pat Jennings torna in Inghilterra con i compagni e viene idolatrato dal suo popolo, che apprezza l’impegno dei propri ragazzi.
Il giocatore con l’Arsenal, dopo aver vinto la FA Cup del 1979 battendo in finale il Manchester United (3-2), disputa delle buone stagioni senza però riuscire a vincere altri trofei.
Un pizzico di sfortuna, con due sconfitte nelle finali di FA Cup del 1978 e del 1980.
E poi la finale di Coppa delle Coppe del 1980, persa ai rigori -a Bruxelles- contro il Valencia.
In campionato occupa spesso le zone nobili della graduatoria, ma senza riuscire mai a lottare davvero per il primato, con un Liverpool che in quegli anni lascia solo le briciole agli avversari.
Jennings conferma anche all’Arsenal di essere un portiere di ottimo livello, va detto.
Non particolarmente alto, è coraggioso ed ha un ottimo autocontrollo.
Nelle uscite alte usa spesso i pugni per non rischiare la presa, se non si sente sicuro.
In quelle basse è bravo a mettere il corpo per coprire il più possibile lo specchio della porta.
Guida la difesa con piglio e personalità ed è sempre -dicasi sempre- il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via negli allenamenti.
Un professionista esemplare, che vince per due volte il premio di miglior giocatore del campionato e che per oltre un ventennio è lì, in campo, in prima divisione inglese.
Con la Nazionale rischia di saltare due campionati del mondo: in Spagna arriva con un fastidiosissimo infortunio all’inguine patito mesi prima, ma stringe i denti e recupera in tempo.
In Messico, nel 1986, è reduce da una stagione trascorsa praticamente da spettatore, però si impegna allo spasimo per recuperare la forma ed è presente a difendere la porta dei suoi.
Carattere tosto e determinazione feroce: d’altronde non si superano le mille gare da professionista in carriera e non si resta al vertice per tanti anni se non si possiedono caratteristiche di un certo tipo.
Qualche errore vistoso in gare importanti ha fatto storcere il naso ad alcuni esperti, insinuando il dubbio che Pat potesse risentire della eccessiva pressione, in frangenti decisivi.
In realtà ha fatto più spesso la differenza in positivo e gli errori fanno parte del gioco, ancor di più se il gioco dura più di ventitré anni.
D’altro canto discorriamo di un portiere efficace, più che spettacolare.
Come detto, Pat Jenning è protagonista pure ai Campionati del Mondo del 1986.
In Messico si presenta da giocatore dell’Everton, che lo assume per coprire l’infortunio di uno dei due portieri in rosa, prelevandolo dal Tottenham che, a sua volta, lo aveva ripreso come portiere della squadra riserve, così da concedere a Jennings la possibilità di tenersi in allenamento per la kermesse intercontinentale.
Platt gli fa ancora una volta da secondo, mentre come terzo il C.T. Bingham stavolta chiama il giovane Hughes, del Bury.
L’Irlanda del Nord non ripete il buon torneo del 1982 ed abbandona la competizione al primo turno, pareggiando 1-1 con l’Algeria di Belloumi e poi perdendo per 2-1 con la Spagna di Butragueno e per 3-0 col Brasile di Socrates, Zico e Careca.
Pat Jennings compie 41 anni e li festeggia sul prato verde nella gara contro i sudamericani, chiudendo la carriera.
Il risultato è brutto, ma la sua storia è bellissima.
119 presenze in Nazionale, parecchie da leader e capitano, con sei qualificazioni tentate per i mondiali e due di esse andate a buon fine.
Un ragazzo di sani principi, con dei valori profondi e con la convinzione che chi è famoso non debba mai dimenticare chi non ha avuto la fortuna con sé, nella vita.
E chi più di lui, cattolico e pacifista, poteva “sentire” anche sul terreno di gioco il conflitto nordirlandese di quei tempi?
Il matrimonio con Eleanor, sua concittadina, gli ha regalato 4 eredi.
Uno di essi, Patrick (Pat Jr.), ha giocato a buoni livelli.
Ruolo?
E c’è bisogno di specificarlo?
Portiere, naturalmente.
Pat senior, appesi gli scarpini al fatidico chiodo, ha lavorato come allenatore dei portieri al Tottenham e, successivamente, ha ricoperto ruoli all’interno del management che si occupa dell’ospitalità del club.
Continua a seguire il calcio e, quando può, organizza eventi di beneficenza e gioca a golf.
Ha il rimpianto di non aver vinto almeno un campionato: lo avrebbe meritato, senza alcun dubbio.
I tanti premi personali vinti in carriera ne attestano la indiscutibile bravura tecnica.
La stima e l’affetto della gente è indicativa dell’altrettanto indubbio spessore dell’uomo.
Nominato Ufficiale e Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico, oltretutto: una rilevante onorificenza che dalle sue parti vuol dire tanto.
Perché lui è Pat Jennings: Big Pat.
Cioè il “grande Pat”.
Una vera e propria leggenda.
V74