Oreste Didonè - Como
  • Miraggio

Oreste Didonè

C’è stato un tempo in cui un accecante bagliore illuminò il panorama calcistico italico, lasciando la sensazione di poter essere dinanzi all’esplosione di un radioso campione destinato a splendere per anni ed anni a venire.

E così fu, invero.
Però il suddetto campione, Roberto Baggio, era inizialmente un’alternativa -valida, ma pur sempre alternativa- all’altro, cioè colui che incarnava appieno il profilo della promessa pronta a sbocciare ed a scrivere la storia: Oreste Didonè.

Un doveroso, fragoroso ed immancabile “e chi cazz’è?” riecheggia nell’universo, lo sento.
Eppure questo giocatore, peraltro sfortunato come pochi altri, ha rappresentato davvero una speranza notevolissima per il nostro pallone.
Poi, purtroppo, le cose non sono andate per il verso giusto.
Ma proviamo a procedere con ordine, come d’abitudine.


Oreste Didonè nasce a Milano nel luglio del 1967.
Fin da bambino lascia presagire un futuro roseo nel calcio, perché lo gioca divinamente.
Ancor di più in relazione alla sua tenerissima età.
Frequenta diverse scuole calcio, prima che su di lui poggi lo sguardo un signore che di nome fa Fermo Favini, noto come “Mino”: ex professionista e, soprattutto, grandissimo talent scout.
Uno al quale bastano pochi minuti per capire se davanti a sé ha un probabile talento o un possibile brocco, per capirci.
Nel caso di Oreste, al buon Mino bastano pochi secondi -secondi, non minuti- per intuire che il ragazzo ha stoffa da vendere.
“Tecnica, spirito di sacrifico, attenzione al fisico ed educazione”: queste sono le linee guida che Favini reputa fondamentali per trasformare un giovane promettente in un calciatore di successo.
Dal punto di vista tecnico Didonè non ha rivali: il suo bagaglio è letteralmente impressionante.
Lo spirito di sacrificio non gli manca di certo, tutt’altro.
Il fisico è adeguato alla tipologia di giocatore che sogna di diventare (fantasista-trequartista): non un corazziere, chiaro, però un’anguilla sgusciante e resistente, pronta a fare ammattire i suoi diretti marcatori.
Per quel che concerne l’educazione, Oreste è un ragazzo d’oro.
Senza se e senza ma: educatissimo, altroché.

Favini porta Didonè al Como e provvede ad organizzare la vita al ragazzo, sia dal punto di vista sportivo che da quello, ancor più importante, scolastico e logistico.
Siamo negli anni ottanta e dal florido vivaio dei lariani, a metà del decennio, iniziano ad emergere parecchi prospetti destinati a calcare i campi delle categorie che contano.
Notaristefano, Borgonovo, Simone, Sinigaglia, Braglia, Invernizzi, Maccoppi, De Marchi, Viviani ed altri ancora: giocatori giovani e pronti ad esordire in prima squadra e/o andare in prestito a cercar fortuna.
Chi più, chi meno, sembrano tutti pronti a spiccare il volo.
Ma il più intrigante del lotto è proprio Didonè, che entra a far parte stabilmente della rosa del Como nella stagione 1984-85 ed esordisce in quella seguente.
Gli azzurri, guidati dapprima da Clagluna e successivamente da Marchioro, centrano un ottimo nono posto in una serie A tosta quanto qualitativa, spingendosi inoltre sino alle semifinali di Coppa Italia (eliminati dalla Samp a causa di una sconfitta a tavolino rimediata allorquando il passaggio del turno ed il conseguente sbarco in finale erano oramai ad un passo).

Oreste Didonè - Como

Oreste mette in saccoccia tre presenze, da subentrante.
Un anno più tardi riesce a collezionarne una soltanto, all’ultima giornata di campionato, in una squadra che allenata da mister Mondonico ripete il piazzamento di dodici mesi prima e si salva senza patemi.
Purtroppo ad inizio stagione Didonè incappa in un bruttissimo infortunio.
In un match della Primavera un difensore avversario gli entra da dietro, lesionandogli i legamenti del ginocchio.
Un colpo durissimo per un ragazzo che è in rampa di lancio ed è regolarmente convocato nelle giovanili della Nazionale Italiana, dove fa coppia sulla trequarti con un altro calciatore di cui si parla un gran bene: Roberto Baggio.
Anche quest’ultimo, nello stesso periodo, finisce sotto i ferri.
Una maledizione, che costringe Oreste ad una operazione ed a tutta una serie di controlli, anche in Francia presso specialisti di grido, e che gli fa saltare l’intera cosiddetta stagione della consacrazione.

Ripresosi dal dispiacere, il giovane prova a trasformare la delusione in rabbia agonistica: ma ha bisogno di spazi e di fare esperienza.
Ragion per cui la casa madre lo spedisce alla Virescit Boccaleone, in C1.
In quel di Bergamo, dove gioca la Virescit, i dirigenti comaschi possono facilmente valutarne la ripresa e, nello stesso momento, vagliarne la crescita ed attenzionarne i progressi di natura tecnica e caratteriale.
Ed Oreste risponde alla grande, disputando un’ottima stagione in maglia viola -culminata con un terzo posto finale che ancora oggi è il miglior risultato raggiunto dalla società bergamasca nella propria storia- e mettendo a segno sei reti in una trentina di incontri.
Gioca con compagni più esperti quali Foscarini, Cambiaghi, Adami e Messina, nonché con “apprendisti calciatori” come lui, tra i quali spiccano Monti, Salvatori e quel Marco Simone, anch’egli proveniente dal Como, col quale inizia un sodalizio sportivo ed umano che si protrarrà negli anni a venire.

Virescit Boccaleone

A fine anno il ritorno alla casa madre è scontato, per quanto sul giocatore piombino diversi club di serie B, interessati ad acquisirne le prestazioni.
Lo monitora pure il Torino (A), nel quale Oreste ha disputato in prestito un torneo di Viareggio, anni prima.

Il Como fa muro, rispedisce al mittente tutte le proposte ricevute e riporta il suo baby fenomeno sul Lago.
Il ritorno di Marchesi in panchina trasmette entusiasmo alla piazza.
Dal mercato giungono in Lombardia il forte brasiliano MIlton, i mastini di difesa Colantuono e Biondo e l’esperto centrocampista Verza, oltre ad alcuni rincalzi meno noti.
Per salvarsi andrebbero pure bene, se la squadra lariana non incappasse in una annata alquanto tremebonda, conclusa con una inevitabile retrocessione.
Oreste Didonè colleziona quattordici presenze, perlopiù da subentrante, mettendo a segno un gol contro il Pescara.
Alterna sprazzi di pura classe a momenti di profondo vuoto: l’infortunio è “tecnicamente” alle spalle, però il calciatore non sembra ancora quello del pre-mazzata, per così dire.

Per lui, in estate, si fa avanti l’Ascoli del presidentissimo Costantino Rozzi.
I marchigiani sono alla ricerca di validi profili offensivi a costi, possibilmente, abbordabili.
Il confermato e navigato tecnico Bersellini chiede rinforzi anche negli altri reparti, in realtà.
Dal Como i bianconeri prelevano pure il difensore Colantuono, oltre a Didonè.
Dall’Ancona acquisiscono il cartellino del bomber Garlini, mentre dal Cesena prendono l’ala Chierico, ex Roma.
Il portiere Lorieri ed il centrocampista Sabato arrivano dal Torino, il giovane Cavaliere dal Campobasso.
Didonè, nelle idee tattiche di Bersellini, dovrebbe ispirare le bocche di fuoco ascolane, cioè il brasiliano Casagrande e lo jugoslavo Cvetković.
Garlini pronto a subentrare in caso di bisogno e tutti gli altri coesi e concentranti a lottare per difendere il fortino.
Tutti, ma proprio tutti.
D’altronde tocca fare di necessità virtù, ecco.
E l’Ascoli ci prova, a battagliare.
Il problema è la sterilità in attacco, per i piceni.
Segnano col contagocce e dietro, volente o nolente, soffrono parecchio.
Carillo corre per tre, Giovannelli ha ottimi piedi e Arslanović, Destro, Aloisi e Colantuono stringono i denti, cercando di arginare le folate nemiche.
Lorieri para il parabile, talvolta qualcosina in più.
Non basta ugualmente: l’Ascoli chiude all’ultimo posto in classifica, con Agroppi in panca nel disperato quanto inutile tentativo di risollevare le sorti del proprio campionato.

Ascoli Calcio - 1989-90

Il nostro Oreste?
Non pervenuto.
O meglio: pervenuto male.
Una quindicina di presenze, perfettamente descritte e sintetizzate dal nomignolo affibbiatogli dai tifosi marchigiani, esasperati dai continui problemi fisici del ragazzo e, quando riesce a scendere in campo, dalle mediocri prestazioni dello stesso: bidonè.

Nel frattempo il Como, proprietario del suo cartellino, è sprofondato in C.
Una doppia retrocessione catastrofica: Didonè torna nel Lario, ma ci rimane soltanto per qualche mese.
Dopo aver svolto la preparazione estiva con gli azzurri di Bersellini (sì, proprio lui) ed aver giocato qualche gara di campionato, viene ceduto al Siracusa.
Ancora in C, ma nel girone meridionale.

Poco tempo dopo essersi allontanato per la prima volta da casa, militando nell’Ascoli, per Oreste si aprono ora le porte del Sud Italia.
Vista la distanza si può affermare, e senza rischio di smentita, che il cordone ombelicale che ha legato Didonè alla Lombardia si è definitivamente spezzato.
Fisicamente, s’intende.

Il fantasista, ventitreenne, ha ancora la speranza di costruirsi una carriera all’altezza delle premesse/promesse.
Non può immaginarlo, ma le ventotto presenze accumulate in serie A non andranno ad incrementarsi.
Mai più.
La carriera sportiva ad alti livelli di Oreste Didonè si chiude agli albori dei Campionati del Mondo di Italia 90.

In Sicilia si ferma per un biennio, entrando nei cuori dei tifosi locali.
Stavolta, a differenza di Ascoli, il coro che gli viene dedicato è affettuoso: Gioca meglio di Pelé, gioca meglio di Pelé! Oggi segna Didonè, oggi segna Didonè!
Oreste in terza serie regge la scena, segna diverse reti e disputa alcune gare che restano impresse nella memoria dei tifosi siracusani.
Una, in particolar modo, è divenuta epica: la vittoria degli Aretusei sul campo del Catania, dove non trionfavano da secoli.
Un 4-1 che non ammette repliche.
Il Siracusa, dopo essere passato in svantaggio con un bellissimo gol di Del Vecchio, guidato da un ispiratissimo Didonè -che ha messo letteralmente a ferro e fuoco la retroguardia etnea- ha rimontato ed ha finito col dominare in un derby molto sentito da entrambe le tifoserie.
A fine stagione i siciliani, allenati dal bravo Cadregari e con diversi buoni giocatori in rosa (Maragliulo, Bizzarri, Mazzuccato, Balleri, Circati, Russo, Rondini, Raise, Paradiso) chiudono a metà classifica, mentre l’anno dopo si salvano per il rotto della cuffia dalla caduta in C2.
Nel 1992 Oreste Didonè gioca una gara in quel di Ischia: poco prima di Pasqua, se ricordo bene.
Tornai a casa per le festività con un certo anticipo.
Solitamente ero con la mia Lazio, ma in quell’occasione Ischia-Siracusa mi fece compagnia in un tranquillo pomeriggio domenicale di ormai un bel po’ di anni or sono.
Tra le fila dei siciliani ero incuriosito dal duo Didonè-Maragliulo: giocatori con i piedi buoni, entrambi schierati a centrocampo ed alle spalle di un tridente vero e proprio, oserei dire “zemaniano”, seppur alquanto mobile sia nelle ripartenze che nei ripiegamenti.
Un Ischia solida ed efficace ebbe la meglio ed i miei pupilli in maglia azzurra non brillarono affatto, sopraffatti dalla verve dei gialloblù isolani.


Oreste Didonè è stato un calciatore enormemente sfortunato.
Il suo bagaglio tecnico era indiscutibilmente da giocatore Top, senza alcun dubbio a riguardo.
E la sua indole professionale non prevedeva colpi di testa a gratis, eh.
Vi erano tutte le componenti, insomma, per far sì che il ragazzo esplodesse ad alti livelli e diventasse un Campione.
La Storia del Calcio è pregna di campioni mai divenuti tali, a causa di una moltitudine di fattori.
Però nel caso di Oreste si può affermare senza timore di smentita che soltanto la malasorte ci ha messo il suo dannato zampino.
Su di lui, oltre alla garanzia Favini, avevano messo gli occhi tutti i migliori DS ed osservatori del periodo.
Non era un abbaglio, ecco.
Classica mezzapunta dal talento sopraffino e dal tasso tecnico eccellente, possedeva un piede -destro- fatato ed in grado di illuminare la scena.
Da fantasista, da mezzala, da trequartista e, nel caso, pure da regista arretrato, Oreste disponeva di un lancio illuminante, di un dribbling portentoso e di un estro che gli consentiva di produrre assist e giocate che aprivano autostrade dove gli altri vedevano viuzze.
Aveva un buon tiro, calciava bene punizioni e rigori.
Come tutti i funamboli tendeva ad estraniarsi dalla lotta, di tanto in tanto.
Quando ciò accadeva, diventava un peso morto per la squadra.
Purtroppo si ruppe nel momento meno indicato della carriera e non riuscì, come accaduto ad alcuni suoi colleghi, a tornare in alto.
Un peccato.


A proposito di colleghi che hanno vissuto l’inferno e son poi riusciti a risalire sino alle vette più nobili del Paradiso, ecco il pensiero di uno che -come detto- con lui ha condiviso gli esordi nelle nazionali giovanili italiane di categoria:

Il giocatore più forte che ho visto in carriera?
Beh, ti faccio due nomi: Maradona e Didonè.
L’accostamento può far sorridere, ma Oreste era un fuoriclasse e se non si fosse gravemente infortunato sarebbe arrivato a livelli inimmaginabili.

Roberto Baggio

Serve aggiungere altro?
Tra l’altro Baggio è il calciatore preferito di Oreste.
Un attestato che fa curriculum e che rende la misura delle potenzialità, malauguratamente inespresse nella maggior parte di esse, del ragazzo.

Nel 1992 Didonè torna al nord, firmando per l’Alessandria.
Sempre C1, girone A.
I grigi, allenati da Sabadini, hanno discrete ambizioni: d’altronde la squadra non è affatto male.
Nomi quali Avallone, Sabato, Zanuttig, Serioli, Banchelli, Battistini, Gallo, Chiappino, Bertotto, Tonini, Perugi ed altri sono un intrigante viatico per sperare nel salto di categoria.
Ma il mix tra esperti marpioni e giovani rampanti non rende come ipotizzato e l’ingaggio di Ferruccio Mazzola come mister, nel tentativo di raddirizzare la baracca, non muta la situazione.
L’Alessandria non va oltre il centro classifica, con Didonè che gioca da titolare con Sabadini e finisce in panca con l’avvento di Mazzola.

A fine stagione il nuovo tecnico non gradisce la conferma del fantasista milanese, che ritorna al suo amato Como.
C1, identico girone dell’annata precedente.
In panchina c’è Tardelli ed in campo una lunga serie di ottimi mestieranti per la categoria.
I lariani, nella prima stagione in cui la vittoria vale 3 punti, riescono a raggiungere i play-off e quindi eliminare in serie Mantova (semifinale) e Spal (finale), tornando finalmente in cadetteria.
Oreste Didonè gioca pochissime partite, spezzoni di gara da subentrante, poi sparisce dai radar e guarda i compagni dalla tribuna.

Oreste Didonè - Como

Non segue la squadra in B, chiaramente.
Ed abbandona definitivamente quella maglia che gli ha regalato il sogno e che, nel contempo, ha rappresentato anche la fine di ogni illusione.
Per un decennio mastica ancora calcio in zona militando nel Lecco (C2), poi Fidenza (CND), Sassuolo (CND), nuovamente Fidenza (CND), Canzese (Promozione ed Eccellenza), Usmate (CND) e Virtus Pavullese (CND).

Quindi, alla soglia delle trentasei primavere, nel 2003 chiude la sua avventura col calcio giocato ed inizia a lavorare come allenatore.
Si occupa soprattutto di settori giovanili (Legnano, Novara, Como), anche se in diverse occasioni si cimenta pure nel ruolo di vice (Novara, Pro Patria, Alessandria).
Partecipa spesso ad aventi di natura benefica, tornando a calcare quel terreno di gioco che tanto ha amato e che gli procura sempre emozioni forti.

Tanti ricordi, parecchi rimpianti.
Lui, di indole mite e di animo dolce, non nasconde di essere stato felice anche solo di aver sfiorato la gloria.
Giocare in serie A, in un periodo in cui il nostro era di gran lunga il campionato più importante del mondo, non è cosa di tutti i giorni.

Oreste Didonè

“Le parole di Baggio su di me?
Ovviamente fanno tanto piacere.
Con Roberto siamo amici, anche se non ci sentiamo spesso.
Abbiamo militato insieme nelle Nazionali Giovanili e lui ha incontrato tanti campioni, nella sua splendida carriera.
Se per lui io sono tra i più forti che abbia visto giocare, lui per me è stato il più forte in assoluto”.

oreste didonè

Per molti addetti ai lavori e per tanti appassionati del meraviglioso calcio degli anni ottanta Oreste Didonè rappresenta il ricordo di ciò che è stato -un miraggio- e la conferma che nella vita, senza un pizzico di fortuna, è quasi impossibile arrivare in alto.

E chissà che alla fine della fiera per qualcuno non vada bene anche così.

Oreste Didonè: miraggio.

V74

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