- Il piccolo Lothar
Olaf Thon
La Bundesliga (DL) è sempre stato uno dei miei tornei preferiti.
Clima rigido, gioco muscolare, rivalità profonde, controversie politiche, talenti insospettabili.
E tanta caparbietà.
“Alla fine comunque vince il Bayern”, potrebbe obiettare qualcuno.
Ultimamente sì, ma non è sempre stato così.
Molti campionati, soprattutto nei decenni passati, sono stati combattutissimi e, non di rado, hanno regalato sorprese inaspettate.
Di queste immani tenzoni conservo nel cuore e nella mente tanti ricordi e svariati piccoli totem, uno dei quali è Olaf Thon.
Thon, oltre ad essere stato un bel giocatore, tra i migliori della sua generazione, detiene anche un record, in condivisione con parecchi altri suoi colleghi: è il recordman di presenze sui giornali tra i calciatori trattati in fase di calciomercato dalle squadre italiane e mai giunti nella nostrana serie A.
Juventus, Milan, Inter, Napoli, Roma, Sampdoria, Fiorentina e fino a compagini meno blasonate quali Bologna, Bari ed altre ancora: quasi tutte le squadre italiane sono state accostate, nel tempo, a questo bel centrocampista di matrice teutonica.
In verità in almeno un paio di occasioni pareva veramente fatta: la Roma, sotto pressione di Sven-Göran Eriksson che adorava Olaf, era arrivata davvero ad un passo dal chiudere i giochi, poi tutto saltò per una questione di natura prettamente economica.
L’allenatore svedese torna alla carica durante la sua permanenza alla Fiorentina, quando elogia pubblicamente il tedesco e lascia intendere che a breve avrà il piacere di allenarlo: ma ancora una volta problemi di cifre e scelte societarie faranno saltare il banco.
La Juventus lo tiene sotto controllo per anni, ma non affonda mai il colpo.
L’Inter e -più tardi- il Bari hanno la possibilità di ingaggiarlo quando è un po’ in avanti con gli anni ma ancora solido, però rinunciano e puntano su altri obiettivi.
Beh, è cosa nota, le vie del calciomercato sono infinite.
All’estero è l’Atletico Madrid a farlo suo, più o meno ad ogni mese di giugno, salvo poi cambiare idea a luglio e risalire sulla giostra l’anno successivo.
Fatto sta che il buon Thon non si muoverà mai dalla sua Germania, a livello professionale, militando per tutta la carriera soltanto in due club, lo Schalke 04 (in due frangenti) ed il Bayern Monaco.
Ma che giocatore è stato Olaf Thon?
Un bel prospetto, come detto.
Per raccontarlo adeguatamente servono un paio di doverose -appunto- premesse.
Innanzitutto va detto che la natura non è stata con lui generosissima, quantomeno a livello di impatto fisico: un metro e settanta di altezza ed un peso piuma, ancor di più durante la carriera, quindi un vero e proprio “scricciolo” se contrapposto alla consueta immagine del panzer tedesco, tutto muscoli e prestanza.
Pur non essendo Maradona, Olaf dispone però di un talento eccelso e, al contrario delle apparenze, di una sorprendente resistenza fisica, messa a repentaglio da infortuni pesanti in alcune circostanze, purtroppo.
Tosto, grintoso, determinato e capace di agire tra le linee, con una ottima tempistica di inserimento nell’area avversaria, Thon ad appena 17 anni è già protagonista nella prima squadra dello Schalke 04, la più importante squadra di Gelsenkirchen, la città che nel 1966 gli ha dato i natali, nella parte occidentale della Germania.
Prima di ciò, un lungo apprendistato giovanile nello STV Horst-Emscher, piccola squadra della zona, ove il giocatore ha iniziato a muovere i primi passi nel calcio ed è successivamente notato dagli osservatori dello Schalke.
Seconda premessa: il ruolo.
Thon, durante la sua carriera ventennale, ha ricoperto diverse posizioni, in campo.
Ha iniziato come attaccante esterno, quindi fantasista e mezzala, arretrando da centrocampista centrale-schermo difensivo e finendo poi come libero, più di impostazione che di difesa, naturalmente.
Un elemento polivalente, dinamico, con un ottimo piede destro, un buon sinistro, un bel calcio da fermo, molto freddo dal dischetto, dotato di un tiro forte e preciso e capace di una più che discreta attitudine realizzativa.
La mia definizione di piccolo Lothar nasce dall’accostamento con quel fortissimo giocatore che è stato Matthäus, più anziano di Olaf, ma che lo vede simile all’altro per tipologia di gioco e di approccio calcistico.
Lothar era più forte, più completo e più versatile: non si discute nemmeno.
Fisicamente era un po’ più alto, decisamente più potente, più resistente e meno soggetto agli infortuni che ad Olaf Thon renderanno complicati gli ultimi periodi della carriera.
Inoltre il ruolo: entrambi avanti con gli anni schierati da liberi arrembanti e di sostegno al centrocampo dopo aver giocato per lungo tempo proprio nel settore nevralgico del campo.
E gli intrecci: Olaf che va al Bayern a sostituire Lothar che passa all’Inter, per poi rientrare a Monaco e condividere un paio di stagioni con l’amico e sodale pure in Nazionale, per quanto non siano mancati screzi ed equivoci tattici che più che riguardare loro a livello personale hanno creato polemiche e discussioni tra i tifosi, allenatori e compagni.
Insomma, una vicenda comune che in certi frangenti acquisisce i caratteri della reciprocità, con diverse situazioni sovrapponibili e, di fondo, un percorso che è divertente confrontare, sempre tenendo bene a mente che parliamo di un Campione indiscutibile nel caso di Matthäus e di un ottimo giocatore nel caso di Thon.
Il quale, come detto, esordisce nemmeno maggiorenne trascinando lo Schalke in prima serie dopo che era retrocesso per la seconda volta nella propria storia nel campionato cadetto, a seguito della sconfitta nello spareggio con il Bayer Uerdingen.
Thon in quella fase è a pieno titolo un attaccante, esattamente il ruolo che ricopriva nella Primavera dello Schalke.
D’altro canto una quindicina di reti e neanche una gara saltata la dicono tutta sulle indubbie qualità del funambolo tedesco, giovanissimo quanto promettente.
Va detto che la sua squadra è una autentica macchina da gol, con vari elementi in doppia cifra a fine stagione ed un attacco che è un lusso per la categoria, potendo contare su un ottimo mix di esperienza e gioventù.
Ottimo pure il cammino dei biancoblu in Coppa di Germania fino ad una epica semifinale contro il Bayern che termina addirittura 6-6, con una magnifica tripletta del buon Olaf che purga Pfaff con un tiro secco dal limite dopo una splendida finta che manda al bar i due centrali avversari, poi anche di testa -!- ed infine all’ultimo minuto del secondo tempo supplementare con una prodezza balistica, portando i suoi alla bella a Monaco dove il Bayern riesce ad imporsi per 3-2 e raggiungere la finale, persa con il Bayer Uerdingen.
Seguono diversi anni di crescita per il calciatore che diventa un perno inamovibile della formazione di Gelsenkirchen, il vero leader in una società che si assesta a metà classifica per un quinquennio senza eccessivi acuti e, anzi, con una bruciante retrocessione giunta al termine del torneo 1987-88.
Olaf Thon non segue i suoi compagni in seconda serie, però, perché sull’onda di quello che negli anni seguenti diventerà un solido asse di mercato, passerà ai potenti e vincenti bavaresi del Bayern in sostituzione del succitato Matthäus, ceduto all’Inter.
A Monaco resta per ben sei stagioni, vincendo tre campionati (i primi due e l’ultimo disputati in maglia biancorossa) ed una Supercoppa Tedesca nel 1990, quest’ultima, peraltro, senza scendere in campo nella sfida vinta per 4-1 contro i Kaiserslautern.
Poi qualche altro buon piazzamento, un paio di discrete avventure europee culminate in una bruciante eliminazione in semifinale di Coppa dei Campioni persa ai supplementari contro il Milan, futuro vincitore della competizione.
Un bottino non eccezionale ma comunque ragguardevole, giocando quasi sempre da centrocampista puro tranne nell’ultima annata dove Franz Beckenbauer lo ha per lo più visto da libero-alternativa (in realtà dando seguito all’intuizione di un altro ex CT tedesco, Ribbeck, che fino a gennaio ha allenato il team), lasciando a Matthäus -rientrato da Milano l’anno prima- le chiavi del settore nevralgico del campo e, in diverse occasioni, pure la maglia di libero.
Al Bayern Thon ha offerto un rendimento altalenante: ottimo nelle prime due tornate, seguite da una fase di leggero calo, con qualche problema fisico e parecchie alternanze che non hanno permesso al giocatore di esprimersi al meglio, complice la presenza di elementi come Effenberg (scarsissima affinità tra loro, sia in campo che fuori), Wouters, Strunz, Dorfner (con lui le cose vanno meglio) e altri con i quali non sempre riusciva ad integrarsi perfettamente nei meccanismi di gioco e nei dettami dei tecnici.
Tutto sommato un’esperienza positiva, ma un pizzico al di sotto delle aspettative e, ancor di più, di quelle mirabilie di inizio carriera.
Ultimato il percorso nel Bayern, per Olaf Thon si riaprono le porte di casa: lo Schalke riesce infatti ad accordarsi con i bavaresi e il calciatore decide di non accettare la corte di altri club europei, nella convinzione che solamente il posto da titolare fisso nel proprio club possa garantirgli di continuare la propria avventura in Nazionale dove, alla soglia dei 28 anni e nella piena maturità, vi è più di qualcuno che vorrebbe già metterlo da parte definitivamente.
Nonostante si parli di un Campione del Mondo, eh.
Perché nel 1990 Olaf fa parte della spedizione tedesca agli ordini del sopracitato Kaiser che in Italia si aggiudica il torneo.
Gioca solamente due gare: uno spezzone da subentrante contro la Colombia all’esordio e la semifinale contro l’Inghilterra da titolare, quando realizza il penalty che si rivelerà decisivo nella lotteria dei rigori.
In finale con l’Argentina di Maradona, per ragioni di ordine tattico, resta in panca ma festeggia come un matto un trionfo epocale.
E dire che la sua storia con la Fußballnationalmannschaft non è stata agevole, datosi che non di rado son sorte questione e polemiche sul suo utilizzo, essendo una figura non facilissima da collocare dal punto di vista tattico -ribadirlo è d’uopo- in un reparto impregnato di talenti, personalità imponenti e caratteri sguscianti, per così dire.
Da giovanissimo pare destinato a scriverne la Storia: in realtà ne farà parte, a pieno titolo, ma non da assoluto protagonista, come altri.
Oltre al Mondiale vinto Olaf Thon partecipa al precedente, perso in finale sempre contro l’Argentina, ma senza mai scendere in campo.
Agli Europei del 1988 se la cava bene ed è titolare fisso, con la Germania padrona di casa che si arrende agli olandesi -poi trionfatori della kermesse- in semifinale e Ronald Koeman che al termine di una sfida sentitissima scambia la maglia col Nostro e poi va sotto il settore riservato ai tifosi locali e finge di usarla a mo’ di carta igienica.
Del 90 si è già raccontato, mentre per gli Europei in Svezia del 1992 persi in finale dai tedeschi contro la Danimarca, Thon non sarà nemmeno preso in considerazione.
Però non vorrebbe ancora mollare la presa, seppur non sia stato incluso dal CT Vogts neanche nella squadra che parteciperà -uscendo ai quarti contro la Bulgaria- ai Mondiali del 1994 in USA.
Lo Schalke che riaccoglie il figliol prodigo si è appena salvato per un punto dalla retrocessione in seconda liga: mira a stabilizzarsi nel centro classifica e, contemporaneamente, vuole riorganizzare il settore giovanile.
In tal senso, Olaf Thon è un acquisto ideale.
Uomo immagine e leader, avrà il compito di rilanciarsi e trascinare compagni e tifosi verso stagioni più tranquille, magari ricche di soddisfazioni.
E ci riuscirà, in pieno.
Nell’arco di sei stagioni Thon offre un rendimento di livello e contribuisce a riportare lo Schalke nelle parti alte della classifica, vince due Coppe di Germania (2001, 2002), sfiora un clamoroso Scudetto nel 2001, sfuggito per una rete del Bayern giunta in un rocambolesco recupero dell’ultima giornata di gare e, soprattutto, vince una storica Coppa Uefa nel 1997, sconfiggendo nella doppia finale l’Inter.
Al ritorno a MIlano, ai rigori, Olaf Thon segna il suo e festeggia da capitano il suo primo ed unico trionfo europeo in carriera.
Con la Nazionale il percorso riprende per il Mondiale del 98 in Francia dove Olaf gioca da libero e titolare nelle prime tre gare del girone, poi si accomoda in panca nella sofferta vittoria agli ottavi contro il Messico e nella debacle ai quarti contro la Croazia che sancisce l’eliminazione dei teutonici e l’uscita di scena definitiva del giocatore dal giro delle convocazioni.
Si interrompe così un percorso di una quindicina d’anni, con una cinquantina di presenza e l’acuto del Mondiale del 90 a suggellare il rapporto e mettere in secondo piano le tante, troppe pause di assenza e/o i momenti vissuti da comparsa.
Particolarmente curioso pure l’andamento nel ruolo: inizialmente da punta nelle rappresentative giovanili, poi da trequartista, centrale di centrocampo, schermo difensivo dinanzi alla retroguardia e, infine, libero.
Con gli anni Olaf, che è uomo di estrema intelligenza, ha saputo reinventarsi seguendo le esigenze di squadra ed il proprio corpo che, volente o nolente, cambia.
Sebbene privo della forza fisica, della potenza, del carisma e del talento del suo compatriota ed ex compagno che in buona parte della carriera ha finito per metterlo in ombra, il piccolo Lothar ha avuto una parabola degnissima e non priva di soddisfazioni, che negli ultimi ha avuto una tranquilla conclusione con la maglia dei Knappen (minatori) di Gelsenkirchen.
Quasi quattrocentocinquanta match in Bundesliga, una media gol di rilievo, un palmares discreto ed impreziosito del massimo successo ottenibile in Nazionale, oltre che da un Argento Mundial quattro anni prima ed una Coppa Uefa con una squadra non certo tra le più blasonate del continente.
Insomma, niente male per uno dei miei pupilli che, come detto, ogni anno era lì, pronto a venire in Italia, sul punto di indossare la maglia del club di turno che lo aveva cercato, in attesa della firma e del conseguente annuncio ufficiale e tac, non se ne fa niente, puntualmente, una maledizione.
O forse no, semplicemente il destino.
La gara di addio nel 2003, durante la pausa invernale della Bundesliga, davanti ad oltre sessantamila suoi ammiratori vede contrapposte Schalke e Bayern, non servirebbe nemmeno specificarlo.
Olaf Thon, a fine gara, è commosso e dispiaciuto di non aver potuto proseguire per un altro paio di stagioni giostrando da libero, con esperienza e senso della posizione, limitando gli sforzi e giocando con la testa ed il cuore più che con il fisico.
Ma, confessa, gli infortuni degli ultimi tempi lo stavano martoriando e gli impedivano di esprimersi al meglio, sia mentalmente che di gamba.
E lui, ammette, se non si sente all’altezza di un compito preferisce farsi da parte, piuttosto che appendersi al tram.
Un breve interregno di qualche mese seduto su una panchina di quinta serie, come allenatore, per rendersi conto che quel carattere fondamentalmente introverso che talvolta lo aveva condizionato da giocatore sarebbe stato un limite invalicabile per fare il tecnico professionista.
Troppa pressione, troppo stress.
Inoltre desidera avere più tempo libero per dedicarsi alla moglie ed alle due figlie.
Arguto, appassionato, elegante, sobrio, competente, equilibrato.
Sì, è perfetto come commentatore in TV.
Ed infatti appare in diverse trasmissioni e gestisce alcune rubriche per emittenti televisive e radiofoniche, oltre a curare l’editoriale della rivista sportiva Kicker.
Se la cava bene anche come dirigente nello Schalke, col quale instaura rapporti di collaborazione inerenti al marketing ed al settore giovanile.
D’altronde è nato il primo di Maggio, è lavoratore per eccellenza.
Un bel numero 10 che regala spettacolo in età giovanile da mezzapunta e poi giostra con esperienza da libero negli ultimi anni: il compimento di uno dei miei sogni adolescenziali.
Olaf Thon, il piccolo Lothar.
Anzi, per dirla alla tedesca, col suo soprannome: “Der Professor”.
A misura d’uomo.
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