- Il Mago di Rabat
Mohamed Timoumi
In questi giorni non si parla altro che del Marocco, straordinaria sorpresa dei Campionati del Mondo 2022, in Qatar.
Una squadra ben organizzata, grintosa e generosa, stoppata soltanto in semifinale dalla fortissima Francia.
Un Marocco che ha messo in evidenza una generazione di elementi dotati di talento e forza fisica, oltre ad una buona dose di mestiere appresa nei campionati esteri dove ormai militano praticamente tutti i migliori calciatori africani.
Accadeva anche in passato, ma per tutta una serie di ragioni -culturali, attitudinali, logistiche, etc.- la maggior parte di essi non riusciva ad imporsi ad alti livelli.
Tra i ricordi più sfiziosi della mia infanzia vi erano due figurine Panini legate al meraviglioso Campionato Mondiale del 1986, svoltosi in Messico: una è quella di Lakhdar Belloumi, icona dell’Algeria ove ha speso tutta la sua lunghissima carriera, ad eccezione di una fugace tappa in Qatar.
L’altra fa riferimento a Mohamed Timoumi, numero 10 e leader del Marocco negli anni ottanta.
Mohamed Timoumi nasce nella capitale marocchina, Rabat, nel 1960.
I genitori vivono con qualche disagio, senza alcun lusso, anche perché con sei figli (4 maschietti e due femminucce) a carico non c’è spazio per sfizi superflui.
Lui ha un carattere placido, sin da bambino, con una spiccata inclinazione per il Calcio.
Nei polverosi vialoni che circondano il popoloso rione dove abita si mette presto in mostra ed a soli sei anni viene “iscritto” nella scuola calcio del quartiere.
Nel frattempo viene a mancare il padre ed è un durissimo colpo per tutta la famiglia, ovviamente.
Mohamed si attacca ancor di più a quel pallone che per lui rappresenta molto più di un semplice passatempo e compagno di giochi.
A dieci anni si muove in campo come un adolescente, attirando le attenzioni dell’Union Touarga Sport, società che ha il suo quartier generale nel centro di Rabat e che proprio in quegli anni, grazie al sostegno del Re Hassan II, sta mettendo su una squadra per iscriversi ai campionati professionistici, dopo aver organizzato tempo prima un discreto settore giovanile.
Timoumi diventa immediatamente una delle promesse del team, attirando l’attenzione dei più importanti osservatori del paese.
Possiede davvero un altro passo, rispetto ai suoi coetanei.
E ha i piedi ben piantati per terra, nonostante una situazione a casa che, come detto, non ispira il massimo della serenità.
L’UTS, dopo aver vinto il torneo amatori, si ritrova così in quella che è l’odierna Botola Pro2, il secondo livello del calcio professionistico in Marocco.
L’appetito vien mangiando e l’assalto alla prima divisione è consequenziale.
Nel 1980 il club vince il torneo di seconda divisione e sbarca in Division 1, l’attuale Botola Pro1 che corrisponde alla nostra Serie A.
L’esperienza non è esaltante e giunge una immediata retrocessione, con l’ultimo posto in graduatoria.
Il saliscendi continua per un paio di stagioni: promozione immediata, retrocessione -ancora una volta ultimo posto in classifica- susseguente.
Mohamed Timoumi per ben sei stagioni veste la maglia gialloverde, esordendo da giovanissimo e non saltando praticamente neanche una gara.
Segna diverse reti ed è sempre tra i migliori in campo.
Su di lui posano gli occhi le società più blasonate della nazione, proponendogli un contratto.
A spuntarla è il FAR Rabat, la squadra delle Forze Armate del Marocco.
Il giocatore non è però un militare, quindi gli viene trovato posto nella segreteria del Palazzo Reale, ove lui non metterà piede manco per sbaglio, chiaramente.
Il contratto è buono per i parametri locali, ma non certo adeguato allo status di calciatore professionista in un paese che non sia africano.
I tempi sono quelli che sono e Mohamed riesce comunque ad ottenere una paga che gli consente di aiutare la propria famiglia, oltre che a mantenere se stesso.
Il Far si è appena laureato Campione del Marocco ed aspira ad arrivare sino in fondo anche nella Coppa dei Campioni d’Africa.
Timoumi è l’uomo sul quale lo staff tecnico punta per salire ulteriormente di livello.
Il giocatore ha già debuttato da un quadriennio, giovanissimo, in Nazionale (dopo una fugace apparizione nelle rappresentative giovanili), vincendo i Giochi del Mediterraneo nel 1983, a Casablanca.
Ha partecipato pure alle Olimpiadi di Los Angeles, nel 1984, col Marocco che è stato eliminato al primo turno dopo aver destato una buona impressione, pur perdendo con la Germania Ovest (0-2, reti di Rahn e Brehme) e col Brasile (ancora 0-2, Dunga e Kite), inframezzando le due sconfitte con la vittoria sull’Arabia Saudita (1-0, gol di Merry).
Mohamed è titolare inamovibile della Nazionale allenata dal brasiliano José Faría, che allena proprio il FAR, oltre all’Olimpica ed allo stessa Nazionale del Marocco.
Il centrocampista, perché lui è il faro di metà campo, non soffre il salto di qualità, prende in mano le redini della mediana del FAR e conduce i suoi alla semifinale di Coppa dei Campioni Africana, dove i magrebini hanno la meglio ai rigori contro i rivali egiziani dello Zamalek.
All’andata, a Rabat, un rude intervento dell’ala Gamal Abdel-Hamid costa a Mohamed Timoumi la rottura dei legamenti ed una lesione al perone.
Un dramma sportivo immane per la compagine marocchina, con l’intero stadio in rigoroso silenzio mentre osserva il proprio beniamino uscire in barella.
Il Far, come detto, raggiungerà ugualmente la finale e la vincerà nel doppio confronto con i congolesi dell’Amicale sportive Bilima, portando a casa l’agognato trofeo.
Metterà in bacheca anche la Coppa del Marocco (Throne Cup), come accaduto nell’anno precedente e come accadrà in quello successivo.
In campionato non riesce a ripetersi, invece, dopo il successo del 1984.
Intanto Mohamed Timoumi -che da infortunato salta la Coppa d’Africa del 1986, dove la sua nazionale è quarta- vince il premio come miglior giocatore del continente africano.
Meritatissimo, anche perché è stato il trascinatore del Marocco che ottiene le qualificazione ai Campionati del Mondo in Messico, nel 1986.
Re Hassan convoca i giocatori del FAR in Francia, nella sua residenza parigina, per congratularsi del successo continentale e per spronarli a disputare un grande mondiale.
A Timoumi, il leader e l’elemento cardine della squadra, penserà lui, in persona.
Anzi: ci ha già pensato, affidando il calciatore alle cure dei migliori dottori del paese, nella speranza che possano rimetterlo in sesto nel giro dei pochi mesi che mancano alla kermesse internazionale.
Si tratterebbe di un mezzo miracolo, tenendo conto che siamo negli anni 80 e che la chirurgia sportiva non è certo attrezzata come oggigiorno.
Il piano, mediante pure l’impegno costante di Mohamed in allenamenti mirati, funziona alla grande.
Mohamed Timoumi è tra i convocati della rappresentativa marocchina che vola in Messico, sebbene non venga rischiato nella Coppa d’Africa del 1986, che vede il Marocco uscire in semifinale, con l’Egitto.
Nel torneo calcistico più importante è lui il numero dieci e capo carismatico di una compagine che si fonda per la maggior parte su elementi che militano nel campionato interno.
Fanno eccezione Bouderbala, Krimau, Merry e Amanallah , che giocano in Francia, ed El Haddaoui, che milita in Svizzera.
Il portiere Zaki, del Casablanca, è l’altro cardine del team insieme a Timoumi ed ai succitati calciatori che esibendosi all’estero possono apportare un bel po’ di esperienza al gruppo di Faría.
Oltreoceano i Leoni dell’Atlante, come vengono soprannominati i giocatori del Marocco, disputano un torneo sorprendente.
Zaki è un muro invalicabile.
La difesa è coriacea e concentrata.
A centrocampo Dolmy dispensa intelligenza tattica ed El Haddaoui provvede a chiudere tutti i varchi, mentre spetta a Timoumi ed allo sgusciante Bouderbala il compito di azionare i fratelli Merry (uno dei due chiamato Krimau) e Khairi, deputatati a far male alle difese avversarie.
Nel girone di qualificazione dapprima impattano per 0-0 contro la forte Polonia di Boniek poi si ripetono (ancora 0-0) con la solida Inghilterra di Robson e Lineker ed infine sconfiggono per 3-1 il Portogallo di Gomes e Futre, issandosi al primo posto della graduatoria.
Agli ottavi i marocchini, che sono arrivati in Messico con oltre un mese di anticipo per acclimatarsi e far gruppo, si difendono strenuamente contro la fortissima Germania Ovest di Matthaus e Voller.
Poi, a pochissimi istanti dai supplementari, è una punizione proprio di Matthaus a bucare Zaki ed eliminare i nordafricani dal torneo.
Un peccato, ma anche la dimostrazione dei passi in avanti compiuti dal calcio africano a livello internazionale.
Hassan II premia i suoi beniamini lasciandoli in Messico sino alla finale e poi regalando loro due soggiorni, una o New York e l’altro a Ginevra, al rientro in Europa, per poi omaggiarli con la passarella finale in patria, dinanzi ad un popolo fiero e felice del risultato raggiunto.
A fine Mondiale, mentre il globo inneggia alla sempiterna gloria di Maradona, diversi giocatori della compagine marocchina si trasferiscono in Europa.
Mohamed Timoumi incluso.
Il celebre Socrates, con cui si allenato per alcune ore, lo definisce “un brasiliano nato in Marocco”.
Centrocampista completo, a suo agio dietro le punte e sulla trequarti, in grado di ispirare i compagni d’attacco ed anche di dare una mano in fase di copertura.
Ha una visione di gioco notevole, gioca a testa alta e possiede un sinistro che canta, letteralmente.
In campo non si risparmia mai, caso raro per una tipologia di giocatore -fantasista- che generalmente tende ad allentare i ritmi, di tanto in tanto.
Lui no: corre anche per i compagni e rincorre gli avversari.
fantasia, geometria, polmoni e talento al servizio della squadra.
Leader silenzioso e carismatico, è continuo nel rendimento e, nonostante qualche infortunio pesante, è pronto a recuperare velocemente con tigna e rigore.
Calcia bene da fermo, lancia i compagni negli spazi come se fosse dotato di un goniometro ed è un buon rigorista e tiratore di punizioni.
Inoltre ha un ottimo dribbling, eredità degli inizi di carriera, allorquando si dilettava nel ruolo di ala destra.
Oltre agli infortuni, mostra qualche limite caratteriale quando si ritrova al di fuori del suo abituale contesto.
Come accade nell’estate del 1986, col trasferimento al neopromosso (in Primera División) Real Murcia, in Spagna.
Ad onor del vero a Mohamed non erano mancate le offerte dall’estero, neanche in passato.
Prima dell’infortunio lo avevano cercato con insistenza diverse compagini straniere: Laval, Lens e Brest dalla Francia, Siviglia, Saragozza e Malaga dalla Spagna.
Lui, fedele alla causa, non aveva mai voluto contrastare il Re che desiderava fortemente averlo al FAR, pur rinunciando a stipendi di ben altro tenore.
“Il Pelé d’Africa”, “il Platini del Maghreb”, “il Mago di Rabat” e “la Perla Nera” sono gli altisonanti soprannomi -troppo altisonanti, eh- con i quali il nostro viene appellato negli stadi ove si esibisce.
Il bel Mondiale giocato dopo aver recuperato velocemente da un infortunio a dir poco devastante ha contribuito a diffonderne la fama e, in particolar modo, ha convinto pure gli scettici che il giocatore ha qualità superiori alla media, non soltanto in riferimento al calcio africano.
A Murcia il buon Mohamed Timoumi trova un clima non troppo diverso da quello abituale e non vive distante dai suoi familiari ed amici.
La squadra è discreta, con l’attaccante Manolo (futuro nazionale spagnolo) ed il difensore Tendillo (anch’egli nazionale e pronto a spiccare il volo nel Real Madrid) che alzano la media.
Il marocchino gioca titolare, ma senza impressionare.
Non mancano le giocate di qualità, però espresse a sprazzi, senza quella continuità che sarebbe lecita attendersi da un -presunto- campione.
A fine anno, ottenuta la salvezza, il Real Murcia decide di congedarsi dal magrebino, cedendolo al Lokeren, in Belgio.
Lui non è convinto: nella penisola iberica si è trovato bene e vorrebbe restare, ma ormai l’affare è concluso e gli tocca partire per il nord Europa.
Il Lokeren si è appena affacciato nelle zone che contano, nella prima divisione belga, centrando la qualificazione alla Coppa Uefa.
Con l’ingaggio di Mohamed Timoumi le ambizioni sono quelle di ripetersi e, perché no, provare a migliorarsi.
Le cose vanno ben diversamente, purtroppo.
La società fiamminga esce prima di subito dalla Coppa Uefa ed in campionato stenta, salvandosi per un soffio dalla retrocessione.
Dodici mesi più tardi, nonostante l’acquisto dei validi nazionali nigeriani Rufai (portiere) e Siasia (attaccante), l’andazzo non cambia: salvezza risicata e Timoumi, mai brillante e/o decisivo, invitato a far le valigie.
La lontananza dagli affetti più cari, i frequenti infortuni che ne minano il rendimento sul terreno di gioco e l’incapacità di adattarsi ad ambienti differenti da quello natio hanno sicuramente creato problemi notevoli al ragazzo.
Mettiamoci pure il meteo (sebbene un calciatore professionista non dovrebbe essere meteoropatico, oh), con l’intrigante Belgio che vede il sole a Natale e a Pasqua se tutto va bene, ed il quadro di complessità psicofisica è bello che completo.
Mohamed Timoumi, volente o nolente, non è stato in grado di mantenere le aspettative, tante, riposte su di lui dopo una ottima carriera in patria ed un Campionato del Mondo nel quale aveva mostrato doti da calciatore vero.
Dopo una cinquantina di gare si conclude anche la sua epopea in Nazionale.
A nemmeno 30 anni Timoumi si accorda con l’Olympique de Khouribg e torna in Marocco, ponendo di fatto la fine alle ambizioni di gloria del centrocampista magrebino.
Al termine della stagione, conclusa al quarto posto in classifica, Mohamed si trasferisce in Oman e firma un triennale per l’ Al-Suwaiq.
Arricchisce il proprio conto in banca e si diverte in un calcio poco più che dilettantistico.
Nel 1993 torna in patria accasandosi all’Olympique de Casablanca, con la quale conquista un altro Scudetto del Marocco.
Un anno più tardi, trentacinquenne, va a terminare romanticamente la carriera nel FAR Rabat.
Si chiude così la parabola di una leggenda del calcio africano, capace di stupire il pianeta in quel meraviglioso Mondiale del 1986, oltretutto recuperando in tempi da record da un pesantissimo infortunio.
Un anno prima della kermesse messicana aveva vinto tutti i premi possibili ed immaginabili, sia individuali che di squadra.
L’avventura oltreoceano sembrava poterlo lanciare nel gotha del calcio che conta, mentre invece si è rivelata essere quasi un crepuscolo, piuttosto che un trampolino.
Lui, che nel palmares vanta anche un terzo (1980) ed un quarto posto (1988) in Coppa d’Africa, è stato eletto tra i migliori 200 calciatori africani del secolo.
Qualche infortunio di troppo, come detto.
Un carattere schivo, forse troppo.
Le ragioni dell’insuccesso di Mohamed Timoumi nelle sue esperienze europee potrebbero prestarsi a varie interpretazioni.
Di certo non era Pelé e manco Platini, non scherziamo.
Ma i numeri li aveva, eccome.
Ha comunque scritto la storia calcistica del suo paese ed è stato tra i protagonisti dei miei campionati mondiali preferiti.
Lui, che sognava di emulare le gesta di Larbi Ben Barek (idolo di Pelé), primo calciatore del Marocco a far fortuna nel vecchio continente, acquisendo la nazionalità francese e dando spettacolo con le maglie di Marsiglia, Stade Français ed Atletico Madrid.
Si è dovuto accontentare di molto meno e, dopo aver chiuso la carriera, si è dedicato alla sua famiglia ed è stato per diverso tempo a contatto con la Federazione Calcistica del Marocco, oltre a rappresentarne l’immagine, come ambasciatore, in diverse occasioni.
Un paio di anni or sono, dopo un intervento chirurgico -organizzato dal Re Mohammed VI in persona- in quel di Parigi e resosi necessario per l’aggravarsi deli dolori alla gamba destra operata nel 1985, l’ex giocatore è entrato in coma ed è stato per undici giorni in condizioni molto critiche.
Per fortuna si è ripreso e le attestazioni di affetto nei suoi confronti, a partire dai regnanti fino all’uomo della strada, gli hanno dimostrato ancora una volta l’amore che il popolo marocchino prova per lui.
Idolo delle folle marocchine e pupillo di tutti coloro che hanno amato Mexico 86, il sottoscritto in primis.
Mohamed Timoumi: il Mago di Rabat.
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