- Dibattito perenne
Miles Davis – Tutu
Uscito nel 1986 e dedicato all’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu e a Mandela, questo pluripremiato lavoro di 8 tracce firmato da Miles Davis ha generato una marea di discussioni e polemiche tra critica, addetti ai lavori, fans ed appassionati.
Controverso sin dalla genesi, oltretutto.
Premessa necessaria: il fuoriclasse aveva pensato inizialmente di coinvolgere un altro matto di talento, Prince, nel progetto.
L’idea suona ancora oggi intrigante come poche altre al mondo e verteva sulla coincidenza del periodo, che vedeva entrambi contrattualizzati dalla stessa etichetta musicale.
Inoltre Prince, a metà decennio 80, era circondato da gente che amava il jazz e lo spingeva verso determinati confini non troppo distanti da alcune contaminazioni estreme di Davis.
Sull’onda emotiva -e non solo- il folletto di Minneapolis scrisse così un paio di cose e le fece recapitare all’altro, che parve gradire.
Poi si incontrarono di persona e, pur stimandosi reciprocamente, non scoccò la scintilla decisiva.
Decisero di tenersi comunque in contatto, si sfiorarono in altre occasioni, flirtarono con distaccata empatia e, infine, Davis salutò questo mondo e pose fine alla questione, con rimpianto di tanti e con la inusitata freddezza della casa discografica che mai, sin dagli inizi, aveva supportato il progetto e tentato di farlo concretizzare, in quanto i dirigenti della stessa presumevano -forse non a torto- che un esito musicalmente valido non avrebbe corrisposto, nel caso specifico, guadagni adeguati agli investimenti.
Ragionare sul talento è una cosa, muoversi per profitto ben altra.
Purtroppo, col succitato rimpianto in oggetto.
Va detto che a Prince subentrò, nella collaborazione con Miles, un allora ventisettenne che non era e non sarà Prince, ma che sapeva e sa il fatto suo alla grande.
Difatti Marcus Miller è un bassista e produttore di talento, metodico e preparato.
Oggigiorno è considerato un asso, ma già ai tempi se la cavava più che dignitosamente.
Tutu è praticamente un album di Miller col tocco felpato di Miles Davis.
La tromba del fuoriclasse diventa protagonista e talvolta compartecipe di un disco inaspettato, fusion, innovativo, elettronico.
I puristi del jazz lo brucerebbero in Tutu/toto, eccezion fatta per la bella copertina di artistica fattura.
Gli amanti della sperimentazione ne farebbero un’icona permanente di stile all’ipotetico museo dell’eccezionalità musicale.
A me che non sono né l’uno né l’altro e manco il cuckold di turno, piace.
Eccome, se piace.
Nelle mie spaziose orecchie e nella mia mente sopraffina suona verace, secco, limpido, elegantemente intriso di ricerca e passione.
Queste sensazioni si trasferiscono poi in pancia, o nell’anima o dove si vuole, e trasmettono attrazione.
Il ritmo è ondeggiante, malinconico in alcuni tratti, elettrico in altri e sempre, e comunque, coinvolgente.
Gli anni 80 sono sinonimo di qualità e talento e Davis ha coraggio nel rischiare, anche perché proviene da un periodo complesso ed artisticamente non egregio, anzi.
Rischia e lo fa non col tono della disperazione di chi non ha ormai nulla da perdere, bensì col piglio della personalità di chi sa (ri)mettersi in gioco.
Si confronta, in primis con se stesso, e rilancia la sfida.
Vincendola, secondo me.
Vincendola alla grande con un’opera che non va messa in parallelo con roba precedente/successiva e/o paragonata con cose apparentemente simili.
Qui le regole sono mutevoli e, ammesso e non concesso che vadano rispettate, seguono il movimento di un genio e il gusto di un fenomeno e, di conseguenza, appaiono complesse da giudicare.
Il segreto, credo, stia proprio nell’evitare il giudizio e concentrarsi sull’ascolto.
Per insita e plateale incoerenza e per abituale e cronica schematicità, il mio voto interessato lo pubblico ugualmente.
Miles Davis – Tutu: 8
V74