- Il Sindaco
Marco Osio
Gran bel giocatore, Osio.
“Il Sindaco“, come lo ebbero a soprannominare i tifosi del Parma.
Calciatore tremendamente atipico e dall’indubbio talento, con una parabola sportiva di assoluto interesse.
La Befana del 1966 è passata da una settimana, allorquando viene al mondo, in quel di Ancona, Marco Osio.
Ragazzino vispo ed intelligente, Marco vive una adolescenza spensierata.
Adora giocare a calcio e ben presto evidenzia doti di rilievo, che gli valgono il passaggio al Torino a neanche tredici anni di età.
Lui sogna di imitare le gesta del concittadino Zaccarelli, centrocampista anconetano che proprio con la maglia dei granata -dei quali diviene capitano e bandiera- ha vinto uno Scudetto ed una Coppa Italia ed ha ottenuto un bel po’ di presenze con la Nazionale Italiana, giungendo anche quarto ai Campionati Mondiali del 1978, disputati in Argentina.
Rispetto a Zaccarelli, Marco Osio è più offensivo.
Gioca a centrocampo, pure lui, però maggiormente sulla trequarti.
Corre come un matto, si propone ogniqualvolta che può, va spesso alla conclusione.
Gli osservatori che lo segnalano al Toro sanno il fatto loro.
E difatti il ragazzo conquista i suoi spazi nelle rappresentative giovanili dei piemontesi, tra le migliori d’Italia per organizzazione del vivaio e serietà dei dirigenti.
Tra questi ultimi spicca in particolar modo il bravissimo Sergio Vatta, un autentico maestro che si occupa di governare le giovanili granata e che individua in Osio un profilo, a suo parere, destinato alla prima squadra, una volta maturato e pienamente inserito in un contesto tosto e complicato come è la serie A del periodo.
In effetti Eugenio Bersellini, allenatore esperto e valido, lo lancia nella mischia ad appena diciotto anni, facendolo esordire in massima serie nel febbraio del 1984.
Osio risponde presente e, nella stagione successiva, vince il Campionato Primavera ed il prestigioso Torneo di Viareggio con i granata, mettendosi in luce come uno dei migliori prospetti dell’intero panorama calcistico tricolore.
Il Torino, che davanti dispone di elementi come Schachner ed Aldo Serena, chiude al secondo posto, dietro al Verona scudettato di Bagnoli.
Osio non trova spazio, nonostante le partenze di Patricio Hernández e Franco Selvaggi.
Il bravo tecnico Radice, subentrato a Bersellini, quando ha bisogno di linfa vitale in avanti preferisce affidarsi a Comi e Pileggi, piuttosto che rischiare Osio, a suo parere ancora troppo acerbo per fare la differenza in serie A.
A livello personale le cose vanno meglio nell’annata seguente, con Osio che colleziona cinque presenze in un Toro che finisce quinto in graduatoria, disputando un campionato tutto sommato discreto.
L’abbondanza di elementi offensivi in rosa spinge i dirigenti torinesi a mandare Marco Osio in prestito, nell’estate del 1986.
Ad accaparrarsene i servigi è l’Empoli, sbarcato in massima serie in seguito agli sviluppi del Calcioscommesse che finiscono per penalizzare Lanerossi Vicenza (promosso inizialmente sul campo) e, in seconda istanza, Triestina (quarta come i toscani, con i quali avrebbe dovuto spareggiare per conquistare un posto in A).
Nella cittadina empolese Osio si ambienta rapidamente, segnando il gol che vale una storica vittoria (la prima, in serie A) per i toscani, che superano 1-0 l’Inter alla prima giornata di campionato.
Marco fa il bis all’ultima giornata, contro il Como, sancendo una sorprendente quanto meritata salvezza per i suoi.
Nel mezzo una quindicina di presenze, utili a dar manforte ad un club che vede nello svedese Ekström il suo uomo di punta, con una lunga serie di ottimi mestieranti a corredo.
L’allenatore Salvemini, a fine anno, chiede la conferma di Osio.
Il Torino sarebbe disposto pure a trattare, se non fosse che sul ragazzo spunta l’ambizioso Parma, riuscendo a mettere le mani sul suo cartellino.
Cessione in prestito (ma a cifre prestabilite per il riscatto), con Osio che si trasferisce alla corte del neo allenatore Zeman, giunto in Emilia per sostituire Arrigo Sacchi, passato alla guida del Milan di Berlusconi.
L’anconetano scende in cadetteria, ma lo fa con la consapevolezza di potersi giocare le sue carte sino in fondo.
Il Torino, a sua volta, mostra di non essere convintissimo delle doti del prodotto del proprio vivaio, preferendo monetizzare subito anziché aspettarne l’eventuale esplosione definitiva.
D’altronde, poco tempo prima, il noto dirigente Moggi arriva ad un passo dall’escluderlo dalla rosa della Primavera, poiché Marco si reca ad un concerto abbandonando il ritiro della squadra e motivando la sua assenza, al ritorno in albergo, con una spiegazione oltremodo sorprendente: “Amo la musica e non mi sarei perso questo concerto, per nulla al mondo“.
La verità, insomma.
Che nell’ambiente calcistico è quasi una rarità assoluta, è cosa nota.
Moggi, astuto e diabolico, fa buon viso a cattivo gioco e conta fino a cento, per non disperdere un talento che potrebbe divenire realmente tale, un giorno.
Però questa storia conferma quel che si dice in giro di lui: Marco Osio è forte, tecnicamente dotato e caratterialmente tosto.
Ma è un tipo particolare, ai limiti della bizzarria.
A Parma il buon Zeman dura da Natale a Santo Stefano, sostituito dal grintoso Vitali.
I ducali terminano la stagione a metà classifica, con Osio -acquisito a titolo definitivo già da alcuni mesi- che è il miglior cannoniere del club (7 reti), insieme al centrocampista Zannoni.
Nella successiva annata i crociati chiudono ancora una volta al centro della graduatoria, con Marco Osio che segna meno (soltanto due gol) ma entra più spesso nel vivo della manovra, agendo da centrocampista offensivo con compiti anche di copertura.
L’ex torinese ha stoffa e temperamento ed il Parma, affidato al nuovo allenatore Scala (preferito in volata ad uno Zeman di ritorno e ad un Orrico in rampa di lancio), decide di puntare ancora su di lui, nella terza stagione in terra emiliana, quella della definitiva consacrazione per il giocatore.
Difatti il Parma, alla fine promosso per la prima volta in serie A, costruisce una rosa di assoluto rispetto.
In porta c’è il solido Zunico.
Dietro Apolloni e Susic costituiscono una grintosa cerniera difensiva, con l’elegante libero Minotti a chiudere ogni varco e ad impostare la manovra dalla retrovie.
L’arrembante Gambaro ed il più accorto Donati si occupano del traffico sulle fasce, mentre in mezzo al campo agiscono il metronomo Zoratto, il talentuoso Catanese, il raffinato Pizzi e, appunto, l’estroso Osio.
Davanti il cinico Melli è incaricato di trasformare in oro tutto il lavoro dei compagni.
Giandebiaggi, Monza, Ganz, Orlando ed altri ancora contribuiscono ottimamente al quarto posto in classifica che vale la promozione in massima serie.
La proprietà investe sapientemente in pochi e mirati rinforzi, per partecipare alla prima storica stagione del Parma in serie A: i crociati acquistano il portiere brasiliano Taffarel, il difensore belga Grun, l’attaccante svedese Brolin e l’esperto centrocampista Cuoghi, oltre a diversi elementi meno qualitativi ma di certo utili a rimpolpare la rosa.
I gialloblù partono col freno a mano tirato, poi man mano aumentano i giri del motore ed a fine stagione centrano il sesto posto, utile alla qualificazione nella successiva Coppa UEFA.
Marco Osio è tra i migliori dei suoi, con sei reti ed un rendimento costante e ottimale.
I tifosi coniano per lui un soprannome che gli resterà appiccicato addosso a vita: il Sindaco.
Difatti Marco è appassionato di politica.
Inoltre ha un portamento stiloso, che talvolta sembra porlo al di sopra di ogni apparente “normalità”.
Come se tutto ciò non bastasse, le sue reti risultano spesso essere decisive, se non storiche.
Inoltre in quel periodo il sindaco di Parma, Mara Colla, non si decide a concedere il nullaosta per ampliare lo stadio Tardini.
Ne nasce un polemico tira e molla con la tifoseria ducale che porta quest’ultima a sostenere il proprio leader, Osio (per l’appunto), come ideale successore della stessa signora Colla.
Il Parma, con il gruppo Tanzi alle spalle, è pronto a spiccare il volo.
Un anno dopo arriva difatti l primo trofeo importante in bacheca: la Coppa Italia edizione 1991-92, con la vittoria in finale nientepopodimeno che contro la Juventus di Roberto Baggio e Totò Schillaci, allenata peraltro dal mitico Trapattoni.
1-0 per i bianconeri all’andata in Piemonte, con la firma del Divin Codino.
Osio si divora un gol ed a fine gara promette di rifarsi al ritorno.
Ogni promessa è debito, per lui: e difatti nel match di Parma mette a segno il 2-0 che sancisce, dopo il vantaggio di Melli, il trionfo degli uomini di Scala.
Un calciomercato semplice quanto arguto, con gli innesti degli arrembanti laterali difensivi Benarrivo e Alberto Di Chiara, oltre ai soliti -utilissimi- comprimari, è la chiave di volta del successo parmense.
Scala modella un team che gioca con un modulo a cinque in difesa e con tre centrocampisti pronti a coprire e ad attaccare, con i terzini che agiscono da ali aggiunte e con una punta centrale sopportata da un trequartista che si muove senza dare punti di riferimento agli avversari.
Il trequartista in questione, una sorta di falso nueve, per usare un termine caro ai calciofili moderni, è proprio Marco Osio.
Si inizia quindi a parlare di lui pure in ottica Nazionale.
D’altronde il ragazzo di Ancona ha classe ed è spesso risolutivo, per il suo club.
La concorrenza è tanta ed estremamente qualitativa, inutile girarci intorno: Vialli, Zola, Signori, Roberto Baggio, Totò Schillaci, Casiraghi, Baiano, Lentini, Donadoni, Lombardo, Rizzitelli e vai con la rumba.
Invero nessuno dei succitati, alcuni dei quali campioni indiscutibili, possiede le medesime caratteristiche del parmense.
Un pro, ma anche un contro.
Marco, calciatore oltremodo atipico, non è di semplice collocazione tattica in un ambiente che non ricalchi, pedissequamente, le orme del modulo di Scala.
Il ragazzo vince comunque un altro trofeo importantissimo, con gli emiliani.
Ovvero la Coppa delle Coppe, nel 1993, sconfiggendo in finale i belgi dell’Anversa, per 3-1.
E lo fa da protagonista, as usual, giocando una gara suntuosa al servizio dei compagni.
Il Parma è ormai una realtà consolidata del calcio italiano.
In campionato giunge terzo, alle spalle di Milan (campione) ed Inter.
Perde invece la Supercoppa Italiana proprio con i rossoneri di Gullit e Van Basten, allenati da Capello (2-1 per i lombardi, l’esito della gara).
Osio si destreggia ottimamente in tutte le competizioni, per quanto inizi a manifestare qualche problematica di ordine fisico e soffra, quantomeno in parte, la concorrenza e la presenza del nuovo arrivato, il colombiano Asprilla, nel reparto offensivo del club.
In realtà i due diventano amici per la pelle e riescono di sovente a muoversi all’unisono, anche in campo.
E quando ciò accade per gli avversari sono dolori veri.
In altre occasioni, invece, finiscono per pestarsi i piedi, sebbene abbiano caratteristiche completamente differenti.
In estate il Parma mette le mani su Zola, prelevandolo dal Napoli per una quindicina di miliardi delle vecchie lire.
Un chiaro segnale di una ulteriore riduzione degli spazi in rosa, per Marco Osio.
Un idolo, per la sua gente, oltre che un simbolo di una squadra che sta iniziando a stupire.
O per meglio dire: che sta continuando a farlo.
La dirigenza ducale è però convinta che l’ex torinese non offra grandi garanzie dal punto di vista fisico.
Il giocatore non si discute, dal punto di vista tecnico.
E l’uomo è professionista serissimo, per quanto bizzarro in alcuni atteggiamenti extra campo.
Un paio di infortuni hanno però fatto drizzare le antenne allo staff tecnico parmense e così si è preferito puntare su Zola, mettendo Osio sul mercato.
Dodici mesi prima il fantasista era stato vicinissimo all’Inter (ed attenzionato a fasi alterne da Milan, Lazio, Juventus, Napoli, Arsenal e Monaco).
Scala aveva posto il veto sulla sua cessione, salvo poi cambiare idea dopo alcuni infortuni di cui si è già detto.
Marco suscita l’interesse della Sampdoria e del Torino: incrocia i destini con Gullit, in uscita dal Milan e cercato dalle medesime compagini.
Alla fine Gullit firma per la Samp ed il Parma spedisce il suo giocatore in Piemonte -in comproprietà- per tre miliardi di lire, con Osio che quindi torna alle origini.
Il ragazzo del Filadelfia, cresciuto a pane e granata, è di nuovo a casa.
Il Toro, che non è riuscito ad accordarsi col succitato Gullit, lo preferisce in volata al russo Shalimov ed al danese Brian Laudrup, chiudendo un cerchio durato ben sette anni, tra Empoli (1) e Parma (6).
Lo zio, come lo chiamano i suoi compagni al Parma, è una mezzapunta alquanto atipica, tocca ribadirlo.
Fantasista, trequartista, falso nueve, seconda punta, eccetera: Osio sa fare un po’ di tutto, o quasi.
Questa sua notevole duttilità tattica si rivela talvolta essere un’arma a doppio taglio, in quanto i suoi allenatori, giocoforza, sono costretti a ritagliarsi un modulo che possa far spiccare le sue caratteristiche tecniche -ragguardevoli- e la sua intelligenza tattica -sublime-, che è figlia del suo innato istinto a trovare l’assist e, non di rado, la rete.
Al Toro, da giovane, mostra doti promettentissime.
All’Empoli, poco dopo, centra una salvezza storica.
A Parma inizia tra la B e le discoteche della zona e, grazie anche alla conoscenza con la donna della sua vita, Federica, conclude alzando trofei e conquistando la stima degli addetti ai lavori e dei tifosi.
Idealmente si muove sul centro-destra di un tridente di mezzali/interni alle spalle della prima punta, oppure da fantasista puro dietro al centravanti classico o, nel caso, a due attaccanti vecchio stampo.
In pratica va per i fatti suoi ed è un bene che sia così, per certi versi.
Sfiora la Nazionale e chiude prestissimo col grande calcio, praticamente alla soglia dei trent’anni, a causa di una marea di infortuni e, giova confessarlo, forse pure per una certa indolenza che fa parte del suo DNA e che lo guida verso l’alto quando il corpo lo asseconda ma che lo affossa quando il fisico inizia ad evidenziare crepe rilevanti.
Un peccato, in quanto un calciatore come Osio, inserito in un contesto adeguato e motivato come da copione, è una gemma preziosa, con la sua capacità di incidere (segna gol pesantissimi) e, soprattutto, con la sua bravura nell’aprire spazi per i compagni e nel creare occasioni laddove non parrebbe esserci neanche lo spazio per un dribbling.
A Torino il buon Osio incappa in una serie infinita di infortuni, alcuni dei quali non di poco conto.
Tutt’altro.
Un paio di stiramenti, una sublussazione alla caviglia, una frattura al piede, un perone rotto.
A Parma ci avevano visto lungo, ecco.
La società granata, peraltro, vive un periodo complesso, a causa di disagi di natura economica.
Eppure la squadra non sarebbe affatto malvagia, anzi.
Agli ordini del bravo allenatore Mondonico vi sono difatti parecchi elementi di valore: Francescoli, Silenzi, Jarni, Sergio, Giovanni Galli, Fusi, Venturin, Daniele Fortunato, Gregucci, Benito Carbone, Mussi, Annoni ed altri ancora.
Niente male, in teoria.
Il Toro chiude ottavo in campionato, si spinge sino alle semifinali di Coppa Italia (estromesso dall’Ancona) e perde la Supercoppa Italiana (alla quale partecipa come detentore della Coppa Italia) contro il Milan (0-1), gara che Osio definisce “la peggiore della sua carriera“.
Dodici mesi più tardi i problemi societari dei granata si acuiscono, con una serie di cambi di allenatore e la squadra che risente del caos tecnico e dirigenziale e chiude undicesima, grazie alle reti di Rizzitelli ed Abedi Pelé, avviandosi comunque verso una inesorabile discesa negli inferi della cadetteria, che avverrà non molto tempo dopo.
Marco Osio ancora una volta è rallentato dagli infortuni, ma riesce almeno a togliersi la soddisfazione di realizzare la sua prima -e purtroppo ultima- rete con la casacca del Toro, in questa annata.
A fine stagione il Toro lo mette alla porta ed il Parma, ancora comproprietario del suo cartellino, ha altri piani per il futuro.
Osio, martellato dagli infortuni, non ha mercato.
Tramite i buoni uffici della Parmalat, colosso che governa il club gialloblù, il fantasista viene acquistato dal Palmeiras, in Brasile.
Primo italiano a giocare nel campionato Paulista.
La partenza non è brillante, eh.
L’allenatore dei verdi di San Paolo, Carlos Alberto Silva, commenta così l’ingaggio dell’ex parmense: “Osio? Non lo conosco. Mi dicono che giochi da punta, ma a me serve gente di fatica, in mezzo al campo. Datemi Dino Baggio, ecco. Lui sarebbe perfetto, per rinforzare la squadra. In attacco siamo messi piuttosto bene, quindi di questo Osio non so davvero che farmene, con tutto il rispetto“.
Per fortuna il tecnico in questione dura poco, ed è sostituito da Luxemburgo, allenatore che ama i tipi fantasiosi ed apprezza Osio, tanto da aspettarlo anche dopo l’ennesimo infortunio patito dal calciatore nativo di Ancona.
Marco lo ripaga con alcune prestazioni più che discrete, perlopiù da subentrante, che contribuiscono a far vincere al club il Campionato Carioca.
D’altronde quando hai gente come Rivaldo, Cafu, Djalminha, Flavio Conceicao, Muller e Veloso, per fare qualche nome, parti decisamente avvantaggiato.
Una gran bella squadra, nella quale Osio è accolto benissimo.
La società brasiliana vorrebbe riconfermarlo, con l’avallo della Parmalat: se non fosse che Federica, la moglie di Osio, è in dolce attesa.
Si ritorna in Italia, con la prospettiva -per il calciatore- di accasarsi in una serie A “bassa” o, mal che vada, in una serie B “alta”.
Shattered Dreams, direbbero i simpatici Johnny Hates Jazz.
Il grande calcio ha già dimenticato il buon Marco Osio, in sintesi.
E pure quello di provincia non è che impazzisca all’idea di puntare su di lui, ormai roso da una serie infinita di problemi fisici.
Nel 1996, trentenne, Osio resta fermo per qualche mese: si offre al Verona ed al Cagliari, senza suscitare entusiasmo.
Poi si accorda con l’ambizioso Saronno del presidente Preziosi, dividendo lo spogliatoio con un’altra grande promessa del vivaio torinista, lo sfortunato Alvise Zago, e sfiorando la conquista della serie B, sfumata nelle semifinali dei playoff.
Un anno alla Pistoiese, ancora in C1, poi un biennio al Faenza, C2.
Ormai trentaquattrenne, Marco Osio disputa le sue ultime partite con la maglia del Crociati Parma, nei dilettanti, per poi dedicarsi alla carriera di allenatore.
Guida Brescello, Valle d’Aosta, Pergolati, Crociati Noceto, Nuorese, Fortis Juventus, Ancona, Bellaria Idea Marina, Rimini, Felino e Vicofertile.
Una parabola non paragonabile a quella vissuta da calciatore, poco ma sicuro.
Scrive una interessante autobiografia, qualche anno or sono.
Nel tempo libero si diverte con i cavalli, che adora, ed ascolta musica, della quale è un fervido cultore.
E si cimenta pure in politica, venendo eletto come Consigliere Comunale a Parma.
D’altro canto parliamo pur sempre del Sindaco, oh.
Il figlio Edoardo gioca a calcio sino alla maggiore età, per poi dedicarsi ad altro.
Anche Marco, di recente, ha intrapreso alcune attività parallele, nel settore informatico.
Capello lungo e barba incolta: con la sua andatura dinoccolata e il suo gioco arzigogolato Marco Osio ha rappresentato una sorta di hippy, una figura iconica sbarcata in un calcio che negli anni ottanta e novanta era straordinariamente qualitativo.
Ha scritto la storia del Parma ed avrebbe sicuramente meritato qualche comparsata con la maglia azzurra, diciamocelo.
Il fisico non ha retto troppo a lungo all’esame della continuità, purtroppo.
Però quel che ha fatto -non poco- è impresso nella memoria e nel cuore dei calciofili, oltre che dei tifosi delle squadre in cui Marco ha militato.
Mi piaceva parecchio, il buon Osio.
Quel Parma era maledettamente divertente e lui, volente o nolente, rappresentava una delle anime più vive del sodalizio gialloblù, che in quella fase storica andò a collocarsi tra le migliori compagini del continente europeo.
La parentesi sudamericana, con un italiano che compie il percorso inverso a quello che solitamente vede i brasiliani venire a giocare dalle nostre parti, certifica l’essenza anticonformista di un personaggio davvero originale e, a suo modo, raro.
Marco Osio: il Sindaco.
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