- Il polivalente
Manuel Amoros.
I polivalenti.
Rari, quantomeno a certi livelli.
Ne abbiamo parlato spesso.
Trovare terzini che sappiano giocare bene su entrambe le fasce, poi, è veramente un’impresa.
Oggi il più noto è forse il portoghese Cancelo, del Manchester City.
Bravo anche lo spagnolo Azpilicueta, del Chelsea.
Se la cava discretamente Marusic, che milita nella Lazio.
Pure l’argentino Ansaldi, oggi al Parma, rientra in questa categoria.
Darmian, dell’Inter, può essere adoperato su entrambe le corsie laterali, come accade anche per il brasiliano Danilo, della Juventus.
Tornando indietro di qualche anno i migliori ambivalenti sono stati, per me, i tedeschi Lahm e Brehme.
La lista sarebbe comunque lunga, sia del presente che del passato.
Il difficile è essere all’altezza del ruolo sia a destra che a sinistra, magari con identico rendimento.
Per far ciò sono necessarie una serie di skills che non tutti i giocatori, come ovvio che sia, possiedono.
Un altro laterale che era bravo a destra come a sinistra risponde al nome di Manuel Amoros.
Classe 1962, francese di Nîmes, nella splendida regione dell’Occitania.
Sud del paese, non distante da quella Spagna dalla quale proviene la sua famiglia, in fuga dal regime franchista.
Nel DNA score sangue iberico e sin da bambino questa miscela tra la garra spagnola e lo stile francese ne segnerà il carattere, oltre che le movenze sportive.
Ancora ragazzino si diverte nella scuola calcio del Lunel.
Qui lo nota un osservatore del Monaco, che gli propone di trasferirsi nel Principato per giocare nei cadetti.
Manuel, al ritorno a casa, si scontra con la inappuntabile logica del padre, che si chiede come un ragazzino di quindici anni possa fare un simile passo.
Ha ragione: ma Alberto Muro, ex attaccante argentino che allena e si occupa di scouting, è convinto di trovarsi davanti ad un potenziale campioncino ed inoltre ha apprezzato moltissimo l’educazione del ragazzo.
La mattina dopo bussa a casa Amoros e convince il capofamiglia, appassionato di calcio ed accanito tifoso del Real Madrid, a lasciar partire Manuel per la sua nuova destinazione.
In società si occuperanno di lui, sia per quel che concerne la scuola che per lo sport e tutto il resto.
La madre lo aiuta a preparare le valigie, con le lacrime agli occhi.
Il padre è fiero dell’erede, ma è anche un pizzico preoccupato.
Normale che lo sia, ci mancherebbe.
Però Manuel è davvero un giovane con la testa sulle spalle: oltre all’ottima educazione ricevuta, che colpisce Muro come chiunque altro abbia a che fare col ragazzo, è anche un tipo sveglio, attento, curioso, assennato.
E poi ha talento, col pallone.
Nel Monaco, che negli anni settanta ancora non possiede un vero e proprio centro di allenamento, si ambienta bene.
Vive in un piccolo albergo, dove a lui ed altri ragazzi è stata assegnata una grande mansarda con vista sul porto, e si allena nel campo della compagine francese per due volte al giorno.
Pranza e cena in un ristorante convenzionato con la sua società d’appartenenza ed esce raramente di sera.
Gli piace fare tutto quello che amano i giovani della sua età, ma intuisce che senza determinati sacrifici non riuscirà a sfondare nel calcio.
Ha cervello, come detto.
E cuore.
Lotta e si impone nelle giovanili, fino ad arrivare alle porte della prima squadra.
A 18 anni è nel Monaco B ed è nel mirino dei grandi.
Quando il tecnico della seconda squadra -Banide, che lo conosce benissimo- viene promosso sulla panchina della prima, il gioco è fatto.
L’ex portiere non ci pensa un attimo a dargli fiducia e lo lancia senza remore, spesso da titolare.
L’altro lo ripaga con prestazioni sorprendenti, per un esordiente nel massimo livello del calcio nazionale.
Il Monaco dispone di una buona rosa, imperniata sul portiere Ettori, nel giro della Nazionale dei galletti, sul centrocampista Petit, colonna della squadra, e sul bomber Trossero, argentino, che morirà a soli trent’anni in patria, per un aneurisma cerebrale.
Con Manuel Amoros salgono in prima squadra il centrocampista Puel, che diventerà un pilastro dei monegaschi per oltre quindici stagioni, e l’attaccante Bellone, che insieme a Manuel formerà un solido asse pure nella nazionale francese.
Perché Manu -il suo nomignolo- viene convocato giovanissimo, nella rappresentativa di Hidalgo.
Il C.T. sarà una delle persone più influenti nella vita del giocatore, insieme ai suoi genitori ed alla futura moglie Celine.
Hidalgo ne intuisce immediatamente le molteplici doti sportive ed umane e lo inserisce in lista per il Mondiale in Spagna, nel 1982.
Il giocatore, che agisce nella posizione di terzino destro, non gioca la prima partita , una sconfitta contro l’Inghilterra, per 3-1.
Poi entra tra i titolari nella seconda e non esce più sino alla semifinale, tranne che per un match saltato per squalifica.
Nel penultimo atto della competizione, in una gara combattutissima contro la Germania Ovest e passata alla storia per il durissimo scontro tra Schumacher e Battiston, il giovanissimo esterno colpisce una clamorosa traversa negli ultimi secondi di gara, col risultato fermo sul pari (1-1).
Poi, al termine degli scoppiettanti supplementari (3-3), mette a segno il suo rigore.
Gli errori dei compagni Six e Bossis condannano la Francia al quarto posto, però , dopo la sconfitta con la Polonia nella finalina per il podio.
Manuel Amoros vince il premio di miglior giovane del torneo, ulteriore conferma della sua bravura, datosi che prima di partire per la Spagna è tra i protagonisti del trionfo del suo Monaco, che vince lo scudetto transalpino.
Manu -a nemmeno venti anni- è campione di Francia e disputa un mondiale strepitoso.
I genitori si emozionano, a vederlo giocare dalle parti di casa e con la maglia del paese che ha regalato loro una nuova vita.
Dodici mesi più tardi il Monaco è quarto, fuori dalla lotta per le coppe europee.
La squadra esce al primo turno in Coppa dei Campioni, eliminata dai bulgari del CSKA Sofia.
La sete di rivincita è forte e nella Ligue 1 successiva i monegaschi arrivano primi pari merito col Bordeaux, con gli avversari che diventano campioni per la migliore differenza reti.
In Coppa Uefa ancora una volta è il CSKA Sofia ad estromettere i francesi.
Nel frattempo Amoros è tra i convocati per i Campionati Europei che hanno luogo proprio in Francia, nel giugno del 1984.
Inizia da capitano rimediando una espulsione contro la Danimarca, incontro vinto per 1-0.
Si becca tre giornate di squalifica: Hidalgo non gradisce affatto, modifica l’assetto difensivo dei suoi ed inserisce Domergue, che si trasforma nella reincarnazione di Djalma Santos (per quanto a sinistra, eh).
Manuel Amoros torna a calcare il terreno di gioco soltanto in finale, allorquando il compagno Battiston, cuore d’oro e spirito di gruppo, finge un leggero infortunio e gli concede l’ultimo quarto d’ora di gloria, nella vittoria contro la Spagna.
Manuel è Campione d’Europa, alla fine.
Intanto il Monaco ingaggia ottimi calciatori quali Anziani, Genghini e altri ancora.
Vince la Coppa di Francia nel 1985, battendo in finale il PSG di Susic, e poi anche la Supercoppa, contro il Bordeaux di Giresse e Tigana.
Nel 1986 Manu è ovviamente uno dei leader della spedizione francese ai Campionati Mondiali in Messico.
L’allenatore è Henri Michel, subentrato ad Hidalgo dopo la vittoria degli Europei.
I francesi mostrano un bel calcio, battendo ai quarti i campioni uscenti dell’Italia ed agli ottavi il forte Brasile, uscendo in semifinale ancora contro la Germania Ovest e vincendo la finale di consolazione per il terzo posto, contro il Belgio.
Amoros mette a segno due reti e viene inserito nella Top 11 della kermesse.
Come accaduto in Spagna, è tra i migliori della formazione transalpina e di tutto il torneo.
Un difensore completo, solido dietro ed arrembante davanti.
Fisicamente non preponderante, essendo alto poco più del metro e settanta, ma atleticamente devastante.
Tosto, tenace, resistente, con polmoni capienti e muscoli possenti.
Bravo con entrambi i piedi, capace di agire su entrambe le corsie laterali e, non di rado, da difensore centrale e da centrocampista difensivo.
Ha giocato per la maggior parte della carriera a destra, ma ha vinto molto anche a sinistra.
Un palmares di assoluto rilievo, recordman di presenze con i Bleus per tanti anni (82), giocatore chiave per tutte le squadre nelle quali ha militato.
Buon rigorista, ottimo uomo assist -bravissimo nei cross, anche in corsa: oggi una rarità- e, soprattutto nella prima parte della carriera, discreto goleador, tenendo conto che parliamo pur sempre di un calciatore di indole difensiva.
La formazione calcistica che ha ricevuto a Monaco, da giovanissimo, con l’addestramento a ricoprire ogni zona di campo e l’attitudine a sapersi disimpegnare in ogni situazione tattica che potrebbe verificarsi sul manto verde, si rivelerà fondamentale per il prosieguo della sua carriera.
Il corretto posizionamento di Amoros nei vari scacchieri tattici delle sue compagini è difatti una delle migliori caratteristiche espresse del calciatore durante la sua storia sportiva, in aggiunta alle succitate doti tecniche ed alla assoluta professionalità che ha accompagnato le sue avventure agonistiche.
In un paio di occasioni, in particolar modo nei mondiali, avrebbe potuto ulteriormente arricchire la sua bacheca, entrando ancor più nella storia di questo meraviglioso sport.
I suoi molteplici premi personali confermano che ha fatto il suo, al netto di qualche errore che -volente o nolente- fa parte del percorso.
Indole vincente, quindi: Manuel Amoros ha una personalità forte, in grado di assumersi le proprie responsabilità e di integrarsi alla perfezione con i compagni.
Con il Monaco perde pure due finali di Coppa di Francia (1984, 1989), andando a vincere un altro campionato nel 1988, con Arsène Wenger in panchina e con in campo il suo amico Battiston, gli inglesi Hoddle ed Hateley ed il sempreverde Ettori in porta.
Nel 1986 è quarto nella graduatoria del Pallone d’Oro, nel 1986 è il calciatore francese dell’anno, in altre svariate occasioni è presente nella migliore formazione della Ligue 1.
La Francia, clamorosamente, non si qualifica agli Europei del 1988 ed ai Mondiali del 1990.
Riesce ad esserci agli Europei in Svezia, del 1992, dove arriva con i favori del pronostico ma esce mestamente al primo turno.
Manuel Amoros, titolare e capitano del team, chiude praticamente qui la propria avventura con la Nazionale.
Da un paio di anni si è trasferito a Marsiglia: il magnate Tapie, che ha strappato il terzino franco-spagnolo ad una folta concorrenza (Fiorentina inclusa), ha intenzione di allestire una compagine che possa salire sul tetto d’Europa.
E ci riesce, nel 1993, con l’OM che sconfigge a Monaco di Baviera il Milan di Capello e vince la Coppa dei Campioni.
Manu è a casa, nemmeno convocato, ma festeggia ugualmente il trofeo.
Due anni prima era invece in campo a Bari, nella finale della medesima competizione, contro la Stella Rossa di Belgrado.
Il suo errore dal dischetto, unico nella serie dei rigori che decidono la sfida, costa caro ai francesi.
Il Marsiglia in quegli anni è uno squadrone: Boksic, Voller, Papin, Deschamps, Abedi Pelè, Desailly, Boli, Barthez, Mozer, Waddle, Stojković, Vercruysse, Tigana ed altri ancora.
Allenatori come Beckenbauer, Goethals, Ivić, Gili.
E dirigenti come Hidalgo, a cementare un gruppo intriso di qualità ma poco omogeneo, che riesce comunque a vincere anche quattro campionati consecutivi (1990, 1991, 1992, 1993).
Nell’ultima stagione l’ascesa di Angloma (anch’egli destro, ma discreto pure a sinistra), lo scandalo Valenciennes che porterà alla revoca del titolo ed alcune polemiche col presidente Tapie, porteranno Manuel Amoros a giocare molto meno.
Il terzino è tra i più pagati della rosa ed il massimo dirigente dell’OM avrebbe preteso un rendimento migliore, oltre che una maggiore tutela all’interno dello spogliatoio.
Manuel, sangue caldo e temperamento indomabile, rispedisce al mittente tutte le accuse (in verità i casini erano stati creati proprio dallo stesso Tapie) e saluta la compagnia, accasandosi al Lione.
Firma un contratto biennale e tra Saona e Rodano ritrova la continuità e l’umore, contribuendo a riportare la sua nuova squadra nelle zone che contano con un sorprendente secondo posto nella stagione 1994-95, seppur a distanza siderale dai campioni del Nantes.
A trentaquattro anni e dopo quasi cinquecento presenze in Ligue 1 accetta poi di tornare a Marsiglia, nel frattempo retrocesso a causa dello scandalo di cui sopra e privato della vittoria della successiva Ligue 2 vinta, per illeciti di ordine finanziario.
Una situazione complicatissima, che spinge Manuel a gettare il cuore oltre l’ostacolo e dare una mano ai suoi ex compagni, con i quali chiude al secondo posto in classifica ed ottiene la promozione nella massima serie, stavolta ratificata anche dalla Lega.
A fine stagione, nonostante abbia alcune proposte per continuare, decide di appendere gli scarpini al chiodo.
Uno dei migliori laterali europei degli ultimi decenni.
Protagonista di Europei e Mondiali, incluso quello strepitoso del 1986.
Per qualche anno allena in Africa (dapprima le Isole Comore, poi la rappresentativa nazionale del Benin), dopo si dedica a collaborare con alcune società che si occupano di calcio giovanile ed interviene spesso per commentare il suo amato calcio, soprattutto se si parla di Monaco, di Marsiglia e di Nazionale Francese.
Si lancia pure nella gastronomia e si diverte a giocare a poker.
E segue con attenzione uno dei suoi eredi, Sebastien, che gioca a calcio nelle serie minori d’oltralpe.
Mi piaceva davvero parecchio, questo giocatore.
Manuel Amoros è stato un terzino estremamente moderno, che interpretava la “battaglia” con slancio ed ardore, non tirando mai indietro la gamba e cercando in continuazione la giocata vincente, pur senza tralasciare i suoi compiti difensivi.
Coraggioso, serio e forte.
Molto forte.
Molto, molto forte.
Manuel Amoros: il polivalente.
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