- Non è mai troppo tardi
Manfred Burgsmüller
Signori & Signore,
per la rubrica “Non è mai troppo tardi” ecco a Voi…
…Manfred Manni Burgsmüller!
Personaggione non molto famoso dalle nostre parti, se non per malati di Calcio tedesco e malati di mente a prescindere, ma un vero e proprio idolo in Germania.
Manni è stato uno dei migliori attaccanti germanici, un cecchino dai numeri impressionanti e con una storia personale alquanto particolare.
Ad oggi risulta essere il quinto miglior marcatore della Bundesliga con oltre 200 reti in quasi 450 gare durante più di venti anni di carriera.
Continuità e bravura, eppure nemmeno una volta capocannoniere.
E soltanto 3 presenze in Nazionale, spese nell’arco di pochi mesi, quindi in un frangente decisamente ristretto.
Una traiettoria inusuale che prende il via nel Rellinghausen, un antico club di Essen, dove il giovane Manfred inizia il suo percorso di atleta.
Nella città della Ruhr la squadra più importante è il Rot-Weiss, che si assicura il ragazzo prima che sia maggiorenne e lo inserisce nella sua Under 21, l’odierna Primavera nostrana, per valutarne la crescita.
Pochi allenamenti ed è già è chiaro che Manfred Burgsmüller farà presto il suo esordio in prima squadra.
Il Rot-Weiss è stato promosso in Bundesliga da pochi mesi e la prima gara giocata è contro lo Stoccarda, quando Manni rileva un compagno infortunato a metà primo tempo, con i suoi che sono in vantaggio di una rete e ne segnano altre due dopo il suo ingresso.
A fine primo tempo lo Stoccarda si riavvicina mettendo a segno due gol in pochi minuti e ad inizio ripresa riesce anche a pareggiare.
Manfred però non sarà in campo nella seconda frazione, poiché il calo nel finale della prima ha spinto il tecnico a sostituirlo per modificare l’assetto tattico dei suoi uomini.
Un debutto da non tramandare ai posteri, insomma.
La prima stagione termina con 8 presenze, senza realizzazioni.
Nella seconda due soli gettoni, con l’ultimo posto in classifica e la conseguente retrocessione dell’Essen.
La società decide di girare Manni al Bayer Uerdingen, per fargli fare esperienza e perché, in fondo, la sensazione è che ancora non sia maturo per certi livelli.
In tre anni un centinaio di presenze ed una ottantina di gol: non sarà la Coppa dei Campioni, ma il fiuto del gol non gli manca di certo.
Burgsmüller è pronto per tornare alla casa madre che, nel frattempo, è di nuovo nel massimo torneo nazionale.
Due tranquille salvezze raggiunte, 32 gol in due stagioni, una media di una rete ogni due gare, ed ottime prestazioni in maglia biancorossa anche in Coppa di Germania certificano la qualifica di punta prolifica per il suddetto, che attrae le attenzioni di un club importante come il Borussia Dortmund.
I gialloneri -in seconda serie- nel calciomercato di ottobre lo prelevano dall’Uerdingen, dove era rientrato da un paio di mesi, per completare la rosa dopo aver riagguantato la Bundesliga.
L’allenatore è Otto Rehhagel, con quale Manni sin da subito stringe un feeling speciale: piena fiducia e parecchie porte buttate giù, nonostante il tecnico abbia arretrato il suo raggio d’azione in campo, schierandolo da centrocampista offensivo.
A questo punto una parentesi è d’obbligo: Manfred è un calciatore di buon talento, in grado di giocare da esterno sinistro, come ala di raccordo, trequartista/mezzala e punta centrale.
Partendo qualche metro dietro, l’idea di Rehhagel, diventa imprevedibile, può muoversi in spazi più larghi, sfruttare il suo dribbling secco e andare al tiro con maggiore facilità.
Ormai è un 9 e 1/2, volendo giocare con i numeri di maglia che ai tempi erano rigorosamente in formato classico, tranne rare eccezioni.
Al Borussia diventa capitano, miglior marcatore della storia giallonera e leader, in campo e fuori.
Unico problema: gli allenatori.
Partito Otto, il suo mentore, finisce a litigare praticamente con tutti gli altri, incluso un totem come Lattek e un monumento come Helmut Schön che lo convoca in Nazionale e che poi lo fa subito fuori in quanto ne ricava la medesima idea che Luca Cupiello ha della figlia nelle celeberrima commedia di Natale del grande Eduardo: “Ha sempre la risposta troppo pronta”.
In effetti Manfred Burgsmüller non le manda a dire, a prescindere dal contesto, dagli uomini che lo compongono e dal ruolo che questi ultimi occupano.
Inoltre la stramba attitudine tattica del giocatore viene considerata inadatta per una Nazionale reduce da risultati mediocri e bisognosa di ritrovare una identità stabile, basata su elementi giovani e di prospettiva sui quali costruire il futuro.
In sintesi: nemmeno trentenne, ma già considerato sul viale del tramonto.
La risposta di Burgsmüller non tarderà ad arrivare, semplice ed allo stesso tempo fragorosa: gol su gol.
Sempre tra i primi nella classifica dei bomber, pur -come detto- non giocando da punta pura.
Alcune reti da antologia, perché a Manni piace stupire, sorprendere, affascinare.
Ha una simpatia naturale, è un trascinatore delle folle: i tifosi lo adorano, i compagni idem, gli allenatori lo schierano ma con quale remora di ordine comportamentale.
Non che sia uno che non rispetti le regole, eh.
In campo è inappuntabile: corre come un matto, non si ferma mai, mette ogni sua goccia di sudore al servizio del team.
Solo che nel rapporto con la disciplina “societaria” non riesce ad essere altrettanto continuo.
Per questo nel mercato di riparazione novembrino del 1983 dirigenti del Borussia non esitano oltre il necessario nell’accettare un’offerta improvvisa del Norimberga per portarlo in Franconia: Manni non vorrebbe trasferirsi a stagione in corso ed in questa maniera, senza preavviso, ma Bosman non è ancora apparso nel panorama calcistico, i procuratori non comandano la nave come nel 2020 e nel 1984 i calciatori non hanno il potere odierno, quindi firma e saluta Dortmund, scatenando l’immane tristezza del popolo giallonero.
Un mito, un goleador, un estroso.
Segna cinque volte in un solo match, non di rado mette dentro doppiette e triplette a dimostrazione che quando è in giornata diventa immarcabile.
Rimarrà nel cuore della gente e nella storia del club.
A Norimberga fa il suo, segna un bel po’ di gol ma la squadra è impresentabile e retrocede senza colpo ferire.
Manfred Burgsmüller ha un ingaggio importante, la società vuole rifondare e quindi a fine anno rifà le valigie, direzione Oberhausen.
Seconda Liga, l’obiettivo è una tranquilla salvezza, centrato in realtà con qualche patema e grazie ai ben 29 sigilli di Burgsmüller, capocannoniere con un bottino che è quasi il doppio rispetto al corrispettivo di colui che gli finisce alle spalle.
Ormai ha 35 anni e la clamorosa performance, pur non passando inosservata, non scatena appetiti nella serie maggiore, mentre un paio di società che vorrebbero salire di categoria ci fanno un pensierino.
Manfred Burgsmüller non ha intenzione di traslocare nuovamente, firma per un altro anno e riparte così come aveva chiuso la stagione precedente, cioè segnando.
A novembre accade un fatto che cambierà gli eventi futuri e donerà loro una nuova luce, imprevedibile.
Il suo vecchio mentore Otto Rehhagel, che allena il Werder Brema, ha bisogno di un attaccante: la cessione di Reinders ai francesi del Bordeaux ha liberato un posto e per un’annata ricca di impegni i pur ottimi Völler (vice-capocannoniere nella stagione precedente, conclusa dal Werder alle spalle del Bayern scudettato), Ordenewitz e Neubarth non garantiscono adeguata copertura.
Una quarta punta è necessaria e l’idea è quella di cercare un calciatore esperto, pronto, senza eccessive pretese ed in grado di integrarsi bene nello spogliatoio biancoverde.
I dirigenti anseatici si mettono alla ricerca, valutando diversi profili.
Ma in una riunione tecnica per concordare la scelta è lo stesso allenatore a proporre un nome.
O per meglio dire, un cognome: Burgsmüller.
La cosa genera un pizzico di perplessità negli astanti, che pensano sia troppo vecchio (36 anni) e pure complicato da gestire, per via della fama di “casinaro/piantagrane” con gli allenatori che ha avuto in carriera.
Tutti tranne uno, Otto.
Il quale ribatte che è un giocatore maturo e consapevole dei propri mezzi, in grado di gestirsi fisicamente, che può offrire svariate combinazioni tattiche ed essere inserito a gara in corso per dare verve alla squadra, perché “quando uno è forte, non conta mica l’età”.
La telefonata al giocatore dura giusto un paio di minuti: il tempo di accertarsi che non sia uno scherzo, iniziare a preparare i bagagli e chiamare in stazione per chiedere gli orari del treno per Brema.
Il Rot-Weiß Oberhausen non fa resistenza e l’affare va in porto.
E che affare sarà, per il Brema.
Manfred Burgsmüller segna 13 gol in una ventina di gare, contribuendo ad un campionato di vertice che il Werder non chiude nello scontro diretto sbagliando un rigore a pochi istanti dal termine nella penultima partita e poi perde inopinatamente all’ultima giornata, per la differenza reti, soccombendo contro lo Stoccarda e cedendo il titolo -letteralmente- al solito Bayern, che se ne riappropria dopo essere ormai entrato nell’idea di doverlo passare ai rivali.
Una beffa atroce.
Una mazzata che avrebbe affossato chiunque, ma a Brema a metà anni 80 vi era parecchia gente con i controcoglioni.
Si riparte, quindi, con alti e bassi ed un torneo non eccelso.
A questo punto Rehhagel, durante il ritiro estivo, si convince che bisogna cambiare registro e puntare maggiormente sul gioco di squadra, con alcuni accorgimenti tattici che possano migliorare l’assetto del team e donare maggiore equilibrio in fase di non possesso.
Salutano due pezzi da novanta come il forte centrale austriaco Pezzey, che torna in patria, ed il bomber Völler, ceduto alla Roma.
Al loro posto sbarcano a Brema il grintoso difensore Borowka ed il forte attaccante Riedle.
Viene inoltre sfoltita la rosa, trasferendo nelle serie minori diversi elementi che non hanno trovato spazio negli ultimi mesi.
Il gruppo, coeso e forte, dovrà essere l’arma vincente del Werder.
Il piano del tecnico è evidente: solo lavorando tutti uniti e con fortissime motivazioni sarà possibile scardinare il muro bavarese e andarsi a prendere ciò che un paio di stagioni prima era stato gettato via in modo allucinante.
E funziona, codesto piano.
Eccome.
Il progetto si rivela vincente, in quanto a maggio il Werder vince la Deutsche Meisterschale davanti al Bayern.
Una vittoria storica, la seconda per gli anseatici, ottenuta con merito e tenacia.
Manfred Burgsmüller, a quasi 39 anni, è Campione di Germania.
Il suo primo, importantissimo, trionfo in carriera.
Meritato, sudato, voluto.
Impiegato da subentrante, una sorta di titolare aggiunto, pronto a metterci una pezza quando le cose non vanno al meglio.
Segna sei volte, non pochissime tenuto conto dello scarso minutaggio, ma soprattutto entra sempre con lo spirito giusto, ripagando la fiducia dell’allenatore e facendo spellare le mani ai tifosi che lo apprezzano tantissimo per il suo carisma, la sua verve e la sua voglia di vincere, sebbene non sia un ragazzino.
Alla sua età molti sono dinanzi alla TV con una panza abnorme o, ben che vada, girano le serie minori alla ricerca dell’ultimo ingaggio.
Manfred, invece, dopo un paio di mesi dal trionfo in campionato va a segnare la rete del 2-0 che chiude la gara, in Supercoppa di Germania, contro l’Eintracht Francoforte, mettendo un ulteriore sigillo in bacheca.
L’eliminazione in semifinale di Coppa di Germania contro lo stesso Eintracht è vendicata e quella contro il Leverkusen , ancora in semifinale in Coppa Uefa, resta una delusione mitigata dal successo in patria.
Tra le altre cose lui ha perennemente dato spettacolo in Coppa, sin da giovanissimo, sfiorando in diverse occasioni la vittoria e comportandosi sempre benissimo in questa competizione di scontri diretti.
Nelle settimane successive alla conquista dello Scudetto teutonico Manfred Burgsmüller pensa al ritiro, ma in fondo si sente ancora fisicamente a posto e il mister gli garantisce di averne ancora bisogno, quindi rinuncia volentieri al proposito e allunga il contratto.
In effetti il Werder aprirà un ciclo di straordinari successi con un ulteriore scudetto nel 1993, una Coppa delle Coppe nel 1992, due Coppe di Germania ed altre due Supercoppe nello stesso periodo.
Ma Burgsmüller non ci sarà: fa in tempo a diventare il giocatore più anziano a segnare in Champions League, ad un passo dai 39 anni, poi si ritira quando ne ha 41.
Segna anche nella sua ultima gara, la finale di Coppa di Germania, persa per 3-2 contro il Kaiserslautern.
Nell’ultima stagione i segni del tempo iniziano ad essere evidenti, eppure Manni sorprende tutti, per l’ennesima volta, dedicandosi al Football Americano che inizia a praticare alla veneranda età di 46 anni e che lo diverte sino ai 53, diventando il più anziano giocatore nella storia di questo sport in Europa e vincendo addirittura due World Bowl, una sorta di CL, nel 1998 e nel 2000.
Uomo dei record, simbolo di volontà e perseveranza, ai limiti dell’ostinazione.
Un Mito.
Simpatico e giocherellone, commenta il suo primo sport in modo spontaneo, onesto, lucido.
Piace a tutti, anche a tifosi di compagini dove non ha mai militato.
Manfred Burgsmüller è apprezzato e stimato da chiunque ami il Calcio: una bella cosa, non abituale.
Quando l’anno scorso (2019) arriva la notizia della sua morte tutti ne restano colpiti: un malore, nella casa di Essen.
Un amico, preoccupato dal fatto che Manni non rispondesse ai suoi messaggi, si è recato da lui e lo ha trovato in condizioni gravissime.
I medici, prontamente accorsi, non sono riusciti purtroppo a rianimarlo.
A nemmeno 70 anni, pochissimi per uno come lui, l’uomo dei record di longevità ha salutato la compagnia.
Vero è che da un po’ si aiutava con un bastone, per camminare: una fastidiosa e dolorosa artrite ne aveva minato il fisico, ma non lo spirito.
Goliardico, estroverso, espansivo.
Viveva solo ma era in contatto con le sue tre figlie, nate dal matrimonio con la signora Barbara conclusosi dopo una ventina di anni ad inizio secolo, e con tanti amici.
Tanti, per davvero.
Le “sue” tifoserie gli hanno tributato grandi onori.
Le altre hanno manifestato estremo rispetto.
Perché Manfred Burgsmüller è stato un personaggio unico, vero, divertente.
Autore di gol assurdi, di giocate impensabili, di colpi da fuoriclasse, di dichiarazioni geniali.
Senza mollare mai, neanche quando tutti lo davano per finito.
A soli 29 anni in Nazionale, a ben 36 in prima serie.
E invece no.
Anzi…
A modo suo, una piacevolissima rappresentazione del Calcio.
E della vita.
Ciao, Manni.
V74