- Al botteghino, però
L’inganno perfetto
Confesso di essermi recato al Cinema senza eccessive pretese.
Un bel thriller in sala, dopo secoli che non se ne vede uno come si deve, sarebbe stata troppa grazia per Sant’Antonio.
Ed infatti mi sono beccato un filmetto da Rete4 in seconda-tarda serata, tipo il ciclo “I Bellissimi”, con la suadente e conturbante Folliero che quasi sempre valeva la visione dell’intro più che la stessa opera successiva in toto.
L’inganno perfetto
Solita poltrona, clima esterno umido e freddino, più gente del solito: è giovedì ed un terzetto di fanciulle contribuisce a raggiungere il poker di spettatori, incluso il sottoscritto.
Per il periodo tocchiamo vette himalayane, da record.
Il film inizia simpaticamente, si sviluppa con una certa gradevolezza nei tratti mediali e mostra due interpreti di valore in grado di reggere ottimamente la scena: lei a 74 anni suonati è ultra MILF da primato, lui ad 80 pare uno scolaretto.
Estetiche a parte, sono bravi e con una carriera serissima alle spalle che (ovviamente) io beatamente ignoravo, presumendo che in Italia fossero noti al massimo ai loro nipoti in Erasmus nel Bel Paese.
Il regista pure ha qualche altro lavoro importante nel C.V. e la produzione mi è sembrata adeguata al contesto, elegante e con uno stile non invadente.
Parte delle riprese sono state girate a Berlino e, per me, è stato un bel tuffo nel passato.
Non quello bellico, per fortuna.
Bei ricordi, di una città unica e tanto sputtanata oggi quanto irresistibilmente affascinante nei decenni trascorsi.
Ciò detto e finiti i pro, ecco i contro: sceneggiatura, ritmo, finale.
Non starò a spoilerare oltre il dovuto, ma il simpatico garzone che un paio di volte a settimana mi prepara la merenda per la pausa pranzo lavorativa avrebbe di sicuro -e dico: di sicuro- saputo fare di meglio a livello di fantasy ed attinenza, datosi che le combinazioni tra crudo, cotto, Philadelphia, Galbanone/ino che lui crea sono quantomeno più credibili dell’accozzaglia di pretenziose mire storico-sociologiche che la sceneggiatura, ad un certo punto della visione, inizia a sparare a profusione, senza un domani e, più che altro, senza un coerente quadro logico con la realtà circostante.
Va bene che si tratta di finzione, ok, ma ad una certa il grottesco prende il sopravvento su tutto il resto, iniettando nello spettatore il maligno dubbio che la truffa sia celata nel botteghino, piuttosto che dietro la macchina da presa.
Superfluo aggiungere che il colpo di scena finale è prevedibile da qualsiasi mente normodotata dopo meno di una decina di minuti dall’inizio e da qualsivoglia cervello mediocre entro la prima mezzora di rappresentazione.
Fastidiosamente didascalico ed eccessivamente ambizioso per un prodotto ben confezionato ed ottimamente recitato, si, bene ribadirlo, ma che resta una mistura indecifrata di generi e con un’accozzaglia di riferimenti storici pseudo invoglianti alla riflessione metafisica sull’uomo, le sue profondità più recondite, il complicatissimo tema sulla verità/menzogna e la scelta della tazza del cesso che generano fastidio e voglia di rivalsa sul regista a colpi di sorte avversa.
Tutto sicuramente voluto da chi ci ha messo mano, non vi è dubbio alcuno, quindi ulteriore aggravante perché chi ci ha messo appunto mano non è un fuoriclasse e l’ambizione può trasformarsi nella peggiore arma a doppio taglio presente sul pianeta, se non supportata da talento autentico e mezzi adeguati all’impresa e alle idee di partenza.
La “cosa” scorre comunque senza patemi da travaglio, va detto, pur andando a terminare con una sensazione di pesantezza immane e, a parere dell’ignorantone che scrive, senza valorizzare fino in in fondo la coppia di attempati talenti di cui sopra.
Ultima mezzora da colonscopia, doveroso e coscienzioso avviso ai naviganti.
Se non altro un weekend a Berlino tocca metterlo su: ci pensavo già da un po’, per la verità.
La verità, appunto.
Mentire è un’arte, ma lo è anche saper fare del buon Cinema.
L’inganno perfetto: 5
V74