- Il nipotino di Puskas
Lajos Detari
Pazzoide serio.
Un ossimoro, eppure è così.
Qualche fantasista genialoide lo abbiamo raccontato, da queste parti.
Da Stojković a Slišković e a Susic, perché da questo punto di vista la scuola dell’Est non tradisce mai le aspettative.
Esotico pure il greco Hatzipanagis, mentre lo sono un pizzico di meno il nostro Dell’Anno e i tedeschi Bein e Wuttke o il portoghese Chalana.
Altri ce ne sarebbero, senza scomodare il Re del genio e della sregolatezza per eccellenza.
La lista sarebbe pressoché infinita, ma c’è un calciatore che è ospite fisso in questa graduatoria e che, a parer mio, pur meritando pienamente la citazione, andrebbe meno criticato per la sua fama di scapestrato -non che non lo fosse, intendiamoci- e, nel contempo, maggiormente apprezzato per altre doti, oltre che per l’incredibile talento calcistico.
Ci proviamo?
Lajos Detari (Détári) da Budapest, capitale dell’Ungheria.
Nazione interessante e gran bella città, per una serie di ragioni che partono da ambiti tutt’altro che calcistici e proliferano in contesti ancor meno sportivi.
Diciamo che merita la visita e fermiamoci qui.
Di Lajos invece tocca dire che è nato nel 1963, allorquando il calcio magiaro è vicinissimo a concludere il suo ciclo storico migliore, con due secondi posti mondiali (1938, 1954), un terzo posto europeo (1964) e tre titoli olimpici (1952, 1964, 1968).
Sin da bambino mostra una fortissima attrazione per il calcio.
Va a scuola per giocare a pallone con i compagni, piuttosto che per studiare.
Ha un’intelligenza vivida ed un talento innaturale, che già a sette anni mette in mostra nei tornei scolastici.
Qualche mese più tardi ha la possibilità di assistere al primo match “vero” allo stadio: è un derby tra due squadre storiche e gloriose del paese, l’Honved ed il Ferencváros.
Il piccolo Lajos Detari è impazzito di gioia e giura a sé stesso che da grande queste gare le vivrà da protagonista, anziché da spettatore.
“Lo scorbutico”, lo soprannomina una vicina di casa.
Lajos Detari ha un bel caratterino, sin da ragazzo.
Prima di compiere nove anni è iscritto dalla famiglia nella scuola calcio del FC Aszfaltútépitő, vicino casa, dove si confronta con compagni ed avversari più grandi di lui.
Dopo qualche mese un osservatore della Honved -sì, proprio la Honved- lo nota e si appunta il suo nome sul taccuino.
A fine anno fa recapitare un bel po’ di materiale sportivo negli spogliatoi dell’Aszfaltútépitő ed inserisce il giovane Lajos nel settore giovanile di quella che un tempo era la squadra dell’esercito magiaro.
Il piccolo ha talento, lo si intuisce immediatamente.
Però è mingherlino.
Leggero come una piuma.
Qualcuno pensa che sia un limite pesante, per un campioncino.
Lui deve accorgersi della cosa datosi che in pochi mesi, tra i tredici ed i quattordici anni, cresce di una quindicina di centimetri d’altezza.
Mette su pure qualche chiletto, di conseguenza.
Il problema fisico è risolto.
La tecnica c’è, l’estro anche.
Il prospetto Lajos Detari è davvero completo, trequartista di classe e potenza, ed a diciassette anni passa nella prima squadra dell’Honved.
Esordisce poco dopo, in un sabato della settimana antecedente la Pasqua del 1981.
Per ben sette anni regala spettacolo al pubblico rossonero di Budapest e segna come un attaccante.
Vince tre volte (1984, 1985, 1986) la Nemzeti Bajnokság I, il massimo livello del calcio ungherese.
Nel 1985 porta a casa anche la Coppa d’Ungheria e nell’annata successiva la sua Honved è protagonista pure in Coppa dei Campioni uscendo agli ottavi di finale contro i futuri vincitori della Steaua Bucarest, con Lajos Detari che mette a segno 5 gol in 4 gare nella competizione.
Per tre volte consecutive è capocannoniere del torneo magiaro, con un picco di 27 reti nella stagione 1985-86, quella che porta al Mondiale Messicano.
Sì, il Mondiale del 1986: il mio amore incontrastato.
Perché Lajos Detari è il leader della Nazionale Ungherese che arriva in Messico con buone speranze.
La rosa è compatta, per quanto non eccelsa a livello di individualità.
Ha destato scalpore in patria la mancata convocazione del bomber Nyilasi.
Il C.T. Mezey si dice convinto che si possa superare quantomeno il primo turno, ma nel match d’esordio contro l’Unione Sovietica al barbuto portiere Péter Disztl viene il mal di schiena, a forza di raccogliere palloni nella rete.
6-0 e polemiche a non finire, con i magiari che parlano di dolori sospetti patiti dopo un pranzo prepartita.
Nella seconda gara arriva una vittoria contro il Canada, 2-0, col raddoppio firmato proprio da Lajos Detari.
Lo 0-3 rimediato dalla Francia di Platini e Tigana chiude mestamente il discorso qualificazione.
Detari si è messo però in mostra.
Prima del Mondiale, in una gara amichevole contro il Brasile di Telê Santana, aveva letteralmente dato spettacolo facendo ammattire Alemao ed Elzo e segnando di testa il primo dei tre gol con i quali la sua selezione ha sconfitto i sudamericani.
In tribuna per lui, così come al Mondiale, vi erano sguardi interessati.
Dopo aver vinto diversi premi a livello individuale, tra i quali quello di miglior giocatore ungherese dell’anno (1985), ormai il tempo per lasciare la Honved è maturo.
Lajos è pronto a spiccare il volo verso la gloria.
La prima squadra a fare un’offerta per il giocatore è addirittura il Barcellona.
Un super club, che però visiona il ragazzo in tre diverse occasioni.
Nella prima Lajos sembra Maradona.
Nella seconda un agente immobiliare, con tutto il rispetto.
Nella terza una via di mezzo tra i primi due.
Gli spagnoli, per non rischiare, giocano al ribasso.
Gli ungheresi, per ripicca, aumentano la richiesta e fanno sfumare l’affare.
Il Monaco, dalla Francia, si dice interessato, ma con un assegno di due milioni di dollari è l’Eintracht di Francoforte a conquistare il cuore ed il portafoglio del presidente della Honved, che ringrazia e firma i contratti.
Il Muro di Berlino è ancora su, ma le cose stanno iniziando a cambiare pure ad est.
Lajos Detari si trasferisce così in Germania, in una società che dopo un campionato decisamente mediocre ha deciso di rivoluzionare la propria rosa.
L’ungherese prende il posto di Andreas Möller, ceduto al Borussia Dortmund.
E viene sottoposto ad una cura intensissima di lingua tedesca, con i primi mesi di soggiorno nell’Assia in cui gli è vietato di esprimersi nella propria lingua madre, al fine di velocizzarne l’ambientamento nel contesto germanico.
L’Eintracht non brilla come sperato, chiudendo a metà classifica in Bundesliga.
Vince però la Coppa di Germania, battendo in finale il Bochum per 1-0 con una rete di Lajos Detari, che alza al cielo il suo primo ed ultimo trofeo in terra teutonica, dopo aver messo a segno 11 gol in campionato ed essersi assicurato il premio di miglior straniero del torneo.
Nell’estate del 1988, mentre in Germania si gioca l’Europeo vinto dai Paesi Bassi (l’Ungheria non è riuscita a qualificarsi per la fase finale), il magnate greco Georgios Koskotas diviene il proprietario dell’Olympiakos, in Grecia, e prova a far spesa in Bundesliga.
Corteggia Wuttke, ma il Kaiserslautern non vuole saperne di lasciarlo andare.
Cosicché approccia Lajos Detari, garantendogli di essere pronto a costruire uno squadrone in grado di lottare per traguardi ambiziosi.
Con un corrispettivo di circa nove milioni di euro odierni è abbastanza semplice convincere anche l’Eintracht e pure la Honved, che è ancora in possesso di alcune quote del cartellino del giocatore, unitamente ad una società di mediazione che andrà ad interferire con i suoi trasferimenti negli anni a venire.
Un mezzo caos, insomma.
Il fantasista sognava l’Italia, in quel periodo.
Il Milan ci aveva fatto un pensierino, poi erano cambiati i progetti societari.
La Juve lo aveva praticamente preso, dopo un serrato ballottaggio con l’uruguagio Francescoli.
Si erano scomodati per visionarlo addirittura Boniperti ed Agnelli, prenotando due posti in tribuna durante il match tra Francoforte e Borussia Mönchengladbach.
Quel giorno l’ungherese aveva replicato le mediocri prestazioni offerte dinanzi agli osservatori del Barcellona in un paio di occasioni, giocando una gara modesta.
L’ Avvocato ne adora l’indiscutibile classe, ma con grande intuito subodora l’indole complessa del calciatore ed invita Boniperti a guardare altrove.
La Vecchia Signora prenderà il bravo ma timido Magrin, per sostituire Platini, e sarà come passare da Diletta Leotta a Gegia, con tutto il rispetto erotico per la simpaticissima salentina.
Lajos Detari in Grecia si ferma per due stagioni alzando al cielo una Coppa di Grecia (4-2 in finale all’OFI Creta, con doppietta del magiaro) e venendo eletto come miglior giocatore del campionato (1989).
Nella Alpha Ethniki, la serie A ellenica, l’Olympiakos -allenato da Imre Komora, padre della prima moglie di Lajos e suo ex tecnico alla Honved- ottiene un secondo ed un quarto posto.
Il suo numero dieci mette a segno oltre trenta reti in poco più di una cinquantina di partite, una media da bomber.
Al termine dei Mondiali Italiani del 1990, con l’Ungheria che non si è qualificata per la kermesse intercontinentale, per Lajos Detari arriva finalmente la chiamata proprio dall’Italia, il paese che reputa calcisticamente più competitivo al mondo.
Lui, che è ospite fisso nelle gare del Resto del Mondo, ha sempre dichiarato di voler giocare nel Bel Paese.
La Roma lo aveva quasi preso l’anno prima, poi si era concentrata su altri elementi e l’accordo era saltato.
La Fiorentina ci aveva fatto un pensierino, virando su altri obiettivi a causa dei costi.
A prenderlo è invece il Bologna di Corioni, che deve sostituire il deludente brasiliano Geovani.
I felsinei sono reduci da un buon torneo, culminato con la qualificazione in Coppa Uefa.
Il tecnico Maifredi si è trasferito alla Juventus ed al suo posto è stato ingaggiato il professor Scoglio.
La squadra non sarebbe affatto male, se non fosse che vi è una intensa crisi societaria in atto (Corioni vorrebbe cedere) e i giocatori ne risentono, disputando una pessima annata, culminata in una cocente retrocessione.
Scoglio salta dopo poche gare, sostituito dal sergente di ferro Radice.
Tutto inutile, nonostante gente come Cabrini, Villa e Tricella in difesa, Detari, Bonini, Notaristefano e Poli a centrocampo e Türkyılmaz e Lorenzo davanti.
Il buon percorso in Coppa Italia (fuori col Napoli, ai quarti) e l’ottimo cammino in Coppa Uefa (eliminazione ancora ai quarti di finale, contro lo Sporting di Lisbona) certificano la bontà della rosa, di sicuro non da ultimo posto in graduatoria.
Detari parte benissimo in precampionato con un gol da casa sua contro il Napoli, in amichevole.
Poi si infortuna spesso, dapprima al ginocchio ed in seguito ai muscoli della coscia destra.
Litiga con tutti i compagni di squadra, con Radice e con 3/4 dei dipendenti felsinei.
I tifosi lo adorano, Corioni idem: forse perché lo vede come un assegno da riscuotere, piuttosto che come un calciatore e/o un essere umano.
A Natale l’ungherese è costretto ad andare sotto i ferri, in Svizzera.
Recupera abbastanza velocemente, ma non riesce quasi mai ad incidere.
Peccato, in quanto nei rari sprazzi in cui sta bene gioca davvero come un campione.
Purtroppo chiacchera senza sosta: come in Germania e come in Grecia si è preparato da vero e proprio professionista all’approdo nella penisola più bella del pianeta.
Parla italiano perfettamente, infatti.
Ma non è un vantaggio, nel suo caso.
Oltre a battibeccare con chiunque gli passi a tiro, quando capisce che il Bologna è destinato alla B si defila e si propone a tutto il globo terracqueo.
Astuto come una volpe, intuisce che è il momento di vendersi al miglior offerente.
Appena arrivato in Emilia il presidente Corioni, oltre a ricoprirlo di denaro, gli aveva promesso nel contratto una fuoriserie, a patto che non superasse i 2000 cc di cilindrata.
Lui, dopo aver girato tutte le concessionarie della regione, aveva indicato una Maserati di un soffio al di sotto della soglia.
Gran figlio di, senza dubbio.
Una Maserati, eh.
Colleziona auto di lusso, il funambolo.
Un modo per dimenticare la povertà patita in Ungheria, da giovane.
Ma pure un segno distintivo nei confronti degli altri, visti come inferiori.
Il magiaro è forte, manco poco, ma anche diretto fino a sfiorare l’arroganza.
Sicuro di sé sino allo sfinimento, si lancia in predizioni che non si avverano e propone contratti con premi a vincere che neanche Maradona ai tempi d’oro.
Troppo, anche per i pazienti bolognesi, che iniziano ad infastidirsi e decidono di toglierlo dal mercato, piuttosto che cederlo a prezzo di saldo.
Intanto a Bologna ritorna Maifredi in panchina, ma dura poco.
Il cambio societario non sortisce effetti degni di nota e va già bene agli emiliani il mantenimento della categoria, datosi che per mezza stagione ondeggiano in zone pericolose della classifica.
Lajos Detari in B segna una decina di reti, raddoppiando quelle dell’annata precedente in A, e gioca con maggiore continuità di rendimento, fermandosi solo a marzo per un infortunio e chiudendo anticipatamente la stagione.
In estate guarda gli Europei in Svezia alla tv, come i suoi connazionali, e legge avidamente i giornali, in attesa di capire quale sarà la sua nuova destinazione.
La Lazio, alla ricerca di una mezzapunta che possa sostituire l’infortunato Gascoigne appena prelevato dal Tottenham, ci ragiona su, prima di virare sul tedesco Doll.
Il Bari tratta col Bologna per settimane, con un gioco continuo al ribasso da parte dei pugliesi ed al rialzo dalla controparte: entrano nella trattativa diversi giocatori, ma alla fine l’affare salta definitivamente.
La Samp si propone per il prestito, senza esito.
Dalla Germania arrivano un paio di offerte di squadre di medio cabotaggio (Stoccarda e Bayer Leverkusen), idem dalla Spagna (Valencia e Tenerife).
La Juventus lo porta in tournée negli USA, chiarendo di non essere più desiderosa di acquisirne i servigi, come in passato.
Berlusconi mantiene la fissa sull’ungherese, senza ricevere riscontri a riguardo dal suo entourage tecnico.
Il Napoli lo vorrebbe al posto di Maradona, fermo restando le differenze di potenziale, ma se ne parla per mesi ed alla fine non si arriva mai a dama.
Lajos Detari come la Sora Camilla: tutti la vogliono e nessuno la piglia.
Tranne l’Ancona, che mette sul piatto cinquecento milioni e lo piglia in -ehm- prestito.
Contratto di un anno per il fantasista: 700 milioni più eventuale premio salvezza.
Nelle Marche si presenta con una Lancia Delta HF Integrale di color giallo che si nota dal satellite e con la solita prosopopea, spiegando che è lì per regalare un sogno alla sua gente.
La squadra è di una scarsezza immane e lui omaggia i presenti con i soliti momenti di luce estemporanea.
All’inaugurazione del nuovo Stadio Del Conero, per farsi ricordare dalla storia, gioca una partita clamorosa contro l’Inter di Bagnoli: due reti, di cui una assurda, ed un dribbling nel quale supera pure alcuni dirigenti e tifosi interisti prima di essere abbattuto in area per un rigore che sarebbe solare se non intervenisse un suo compagno (il mediano Lupo) a ribadire la sfera in rete.
Una decina di gol a corredo, ma non bastano.
L’Ancona retrocede e Lajos deve cambiare nuovamente aria.
Torna in patria, ai campioni in carica del Ferencváros, in attesa di trovare una nuova squadra.
Vince la Supercoppa d’Ungheria, prima di passare al Genoa nel calciomercato novembrino.
Gioca meno di una decina di partite, poi arriva Scoglio in panchina e tocca combattere per salvarsi.
Lajos Detari finisce ai margini della rosa e, nei dintorni del trentesimo anno d’età, chiude praticamente col calcio, quantomeno con quello di un certo livello.
Talento veramente esplosivo, dotato di una tecnica spettacolare e di uno spirito estroso tipico dei fuoriclasse autentici.
Visione di gioco da regista, con lanci millimetrici e giocate e lampi di classe cristallina, purissima, da fantasista: è un centrocampista e, allo stesso tempo, una mezzapunta che inventa autostrade per i compagni e che segna come un attaccante.
Destro al fulmicotone, sinistro nella norma, stacco di testa discreto per un giocatore delle sue caratteristiche.
Dribbling secco che più secco non si può.
Tira bene punizioni e rigori, inoltre.
Ha personalità e carisma, ma è troppo, troppo, troppo altalenante.
Ha perennemente bisogno di una platea adeguata a quello che per lui è il massimo livello mondiale, cioè il suo.
Si gasa in contesti di qualità, si deprime se -per lui- il gioco non vale la candela.
Qualche infortunio di troppo ed una mancanza cronica di continuità, soprattutto ove richiesta.
Non è un lavativo, però: arriva per primo agli allenamenti ed è l’ultimo a rientrare negli spogliatoi, al termine delle sessioni.
Studia ed impara tutte le lingue delle nazioni in cui si reca a giocare, perché si dice convinto che soltanto integrandosi totalmente nei luoghi dove si vive e si svolge la propria professione è possibile ottenere risultati apprezzabili.
Dice quasi sempre quello che pensa, a patto che però coincida con la sua medesima convenienza.
Astuto come una volpe, sa vendersi ancor meglio di quanto -molto- valga, sia come calciatore che come personaggio mediatico.
Ha parecchie presenze nel Resto del Mondo, a conferma della stima e dell’affetto di tantissimi tifosi nel globo, oltre che di quella dei suoi colleghi calciatori.
Potenzialmente -ho detto: potenzialmente- era quanto di più vicino a Platini, in quegli anni.
Fisico, classe, tecnica.
Al netto delle attenuanti (che non mancano di certo) e delle coincidenze giuste (che possono fare la differenza tra il bianco ed il nero, nel calcio come nella vita) il suo limite, è evidente, si trovava al di sopra del collo.
Con la Nazionale chiude nel 1994, dopo dieci anni di protagonismo assoluto ed una sessantina di presenze, parecchie delle quali da capitano.
Nel 1994 dal Genoa passa agli svizzeri del Neuchatel Xamax.
Lo cercano anche Lecce, Udinese e Colonia.
In men che non si dica si defilano tutte e lui firma con l’unica penna che gli viene messa a disposizione, attraversando le Alpi.
Ha una panza che manco all’Oktoberfest e litiga con l’allenatore Gilbert Gress un paio di volte a settimana, ma salta pochissime gare e viene eletto miglior giocatore del campionato.
Lo Xamax chiude al terzo posto.
L’annata successiva mette a referto tre gare, poi si infortuna e salta tutta la stagione.
Nell’estate successiva non lo cerca neanche la famiglia, prima che gli austriaci del St. Pölten ne richiedano i servigi.
Nella locale seconda serie fa la differenza, divenendo capocannoniere del campionato.
Non riesce a centrare la promozione e dodici mesi dopo, ai play-out ed ai rigori, retrocede addirittura in terza serie.
A 35 anni è di nuovo in Ungheria, retrocedendo in seconda serie con il BVSC Budapest nonostante metta a segno una decina di reti in una ventina di gare.
Firma quindi per il Dunakeszi VSE, sempre serie cadetta ungherese, dove non riesce ad imporsi in maniera continuativa.
Torna allora in Austria, al SC Ostbahn XI di Vienna, in quarta serie.
Regala guizzi dell’antico talento, prima di lasciare a metà stagione per trasferirsi al Družstevník Horná Potôň, quinta serie slovacca, in una zona dove è presente una folta comunità ungherese.
Al suo arrivo pare festa nazionale, ma si infortuna prima di subito e capisce che è giunto il momento di salutare la compagnia ed appendere gli scarpini al chiodo, nonostante gli arrivino diverse offerte da compagini dilettanti di Austria, Germania, Slovacchia e Ungheria.
Il suo nome tira ancora parecchio, i suoi piedi molto meno.
Si chiude così la carriera di un calciatore che avrebbe potuto scrivere pagine fondamentali nella Storia del Calcio e che invece ha lasciato la sensazione di essere un simpaticone, impregnato di classe e talento, con tutto quello che servirebbe per essere un fuoriclasse ed invece è catalogato come incompiuto (giusto, in relazione alle premesse) e, talvolta, come bidone (no, non scherziamo proprio).
Due divorzi e due figlie.
Un po’ di famiglia e via ad allenare, in giro per il mondo.
Romania, Grecia, Vietnam e tanta Ungheria, dalla Nazionale (come assistente) a squadre dilettantistiche magiare.
Allena ovunque lo chiamino ed i risultati, come prevedibile, non sono esaltanti.
Tenta pure la carriera dirigenziale, senza brillare.
Troppo diretto, per lavorare alle pubbliche relazioni.
Lui che a Messina, con la maglia del Bologna e dopo un incredibile errore sotto porta, dichiarò di averlo fatto appositamente per punire i compagni che non gli passavano mai la sfera.
Polemiche a non finire, prima che il D.S. dei felsinei spegnesse il fuoco spiegando che “Detari ha un cervello troppo piccolo per sperare di sapere cosa dica“.
“Nel mio piede cantano gli uccellini“, confessò un giorno Lajos ad uno sbigottito giornalista che gli chiedeva conto della sua classe.
E tante altre sarebbero le sue perle verbali, pari a quelle viste sul prato verde.
Elegante e sinuoso in campo, spesso distratto e strafottente nella vita di tutti i giorni.
Qualche anno fa, alla presentazione della sua autobiografia, si è dimenticato di presenziare, addormentandosi in casa.
I maligni sostengono che lo abbia fatto in compagnia di una bella bottiglia di quello buono -che non disdegnava nemmeno da atleta in attività-, forse per darsi forza nel progetto di entrare in politica, l’ennesimo coupe de theatre di un personaggio perennemente sopra le righe.
Quel Mondiale del 1986 me lo fece scoprire, visto che negli anni 80 bisognava guadagnarselo, il Calcio.
Ricordo che si parlava tantissimo di lui e che le figurine della kermesse sembravano quasi raccontare di una Ungheria da medaglia.
- Rimpianti?
“Sì, la Juventus.
In un contesto importante avrei potuto fare la mia parte, sicuramente.
Io non vinco le partite da solo, ma in mezzo ai campioni posso offrire un ottimo contributo.
Mi è mancata l’occasione della vita, purtroppo.“
Non fa una piega, in effetti, sebbene scarichi sempre le responsabilità sul destino, sulla fortuna e sugli astri.
Furbone, altroché.
D’altro canto parliamo di uno che in Italia cambiava due auto al mese e cronometrava il tempo impegnato per raggiungere i parenti in patria, tentando di ridurlo ogniqualvolta che ripercorreva il medesimo tragitto.
Per non dire di quando, durante un ritiro, prestò le cuffie ad un compagno di squadra curioso di sapere che musica ascoltasse lo stravagante magiaro.
Rock?
Pop?
Jazz?
Classica?
Niente di tutto ciò, bensì una cassetta con registrati tutti i cori dedicati a Lajos da parte della calda tifoseria dell’Olympiakos.
In rigorosa ripetizione continua, superfluo specificarlo.
Allora: come è andata la difesa del professionista Lajos Detari?
Maluccio, vero?
Beh, come avvocato non credo di poter avere un futuro.
Sono un sentimentale, io.
E poi, nel suo caso, è una battaglia persa in partenza.
Troppo forte, troppo imprevedibile, troppo matto.
Lajos Detari: il nipotino di Puskas.
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