- 1972
L’avventura del Poseidon
Treni, navi, aerei: tutto molto bello, sia al cinema che nella realtà.
E poi qui si parla di Poseidon, che per un ischitano -foriano, oltretutto- è proprio aria di casa.
Inoltre il genere catastrofico è tra i miei preferiti, in assoluto.
Purtroppo vive di parecchi stereotipi, spesso ripetuti sino alla nausea: e questo, alla lunga, può risultare eccessivamente fastidioso.
L’avventura del Poseidon, invece, riesce a mantenere alta la tensione dal primo all’ultimo minuto di visione.
A dire il vero i succitati stereotipi ci sono tutti, proprio tutti.
Ma sono ben incastonati in una sceneggiatura confezionata con cura e garbo ed esaltata da una regia -dell’inglese Ronald Neame- lineare e rigorosa.
La storia si basa sul romanzo dello statunitense Paul Gallico, pubblicato nel 1969, che con qualche ovvia modifica viene riadattato nella versione cinematografica.
L’ingegnoso e noto produttore Irwin Allen ci lavora su per diversi mesi, collabora alla regia ed alla sceneggiatura e convoca una lunga serie di star e di ottimi comprimari per dar vita a quello che, nel tempo, diverrà un vero e proprio cult.
La trama è piuttosto basica: un transatlantico proveniente da New York, in navigazione nel Mar Egeo per raggiungere Atene, viene travolto da un’onda anomala sviluppatasi a causa di un violento maremoto.
La nave è vecchia e già destinata alla demolizione, quindi offre ben poca resistenza all’impatto che, oltretutto, risulta ancor più devastante a causa dell’alta velocità che la società proprietaria dello scafo, per mezzo di un suo dirigente presente a bordo, impone al capitano per accelerare i tempi in vista del prossimo smantellamento della struttura.
L’onda capovolge l’imbarcazione ed i pochi superstiti, all’interno, debbono conquistarsi la salvezza mediante la lotta contro il destino fatalmente avverso.
A capo della ciurma un tonico Gene Hackman (Frank), irascibile prete di forte ispirazione cristiana, che colpisce per la sua focosa attitudine a lottare per la vita piuttosto che sguazzare nell’abituale attitudine del clericale moderno, in perenne attesa di ricevere la paghetta mensile canticchiando la solita, deprimente, canzoncina.
Il suo antagonista è il sempre bravo Ernest Borgnine (Mike), un valente poliziotto che avrebbe pure del coraggio ma che preferisce utilizzarlo il meno possibile per portare in salvo la pellaccia e vivacchiare senza slanci pericolosi.
Intorno a loro si muove tutta una fauna di personaggi apparentemente minori che, con pieno merito, contribuiscono tutti alla riuscita del film con delle performance di assoluto rilievo.
A partire dalla intensa quanto romantica coppia di coniugi formata dall’ex moglie di Vittorio Gassman, Shelley Winters (Belle) e da Jack Albertson (Manny), per proseguire con la procace e simpatica consorte di Mike, Stella Stevens (Linda).
Un insospettabilmente serio Leslie Nielsen interpreta il capitano Harrison, mentre Red Buttons veste i panni del solitario e tenero James.
I pochi altri non sono da meno e tutti insieme compongono una squadra affiatata e vincente che, come detto, spinge il pubblico a tifare per essa con tutta la forza possibile ed immaginabile.
Gli effetti speciali, soprattutto per l’epoca, sono di tutto rispetto, tanto è vero che valsero all’opera uno dei due Premi Oscar vinti (l’altro gli fu assegnato per la colonna sonora di John Williams: una garanzia).
L’atmosfera è talvolta claustrofobica ed impregnata di pathos e suspense.
Nonostante la tragedia avvenga poco dopo lo scoccare della mezzanotte di Capodanno, nella pellicola non viene mai meno una apprezzabile cifra stilistica.
Direi un contegno o forse, meglio ancora, una sobrietà nella narrazione che cozza con l’impronta leggera della data dell’evento e con quella tumultuosa del disaster movie, finendo col regalare al lungometraggio, a parer mio, un fascino che gli consente di superare le barriere del tempo.
La figura di Frank ed i suoi contrasti con Mike e con il suo stesso mondo interiore rappresentano una storia nella storia, con la nave che, metaforicamente, si trasforma in un vera e propria arca di Noè, con tutti gli annessi e connessi filosofico-religiosi del caso.
Alla fine il nostro finisce per sacrificarsi, salvando la ciurma rimasta e bruciando tra le fiamme dopo aver sfidato l’ira degli Dei.
Ogni volta che vedo “L’avventura del Poseidon” mi immagino a guardare il mare dall’oblò di una camera in mezzo a qualche Oceano in tempesta.
Invero non sono un fan di questa modalità di viaggio.
Invece mi piacciono moltissimo le crociere fluviali, dove si vive a bordo e si possono ammirare paesaggi e, nel caso di scali, anche visitare seriamente i luoghi di passaggio.
Le crociere marittime, quelle classiche, per intenderci, mi attirano molto meno.
In questo caso sarebbe la nave il vero spettacolo e la maggior fonte di curiosità, per il sottoscritto.
Non come il bambino interpretato magistralmente da Eric Shea (Robin), però: un immane scassacazzi che scatena istinti omicidi, quando parla.
De gustibus non est disputandum.
Tra le tante perle del film, mi permetto di segnalarne una clamorosa: il doppiaggio dell’addetto all’Osservatorio Marino di zona che avvisa il comando della nave di un terremoto subacqueo di 7,8 gradi Richter, con epicentro a 130 miglia a nord-ovest di Creta, possibile cagione di onde di dimensioni bibliche.
In lingua originale, pure pure.
Nel nostro idioma hanno recuperato un barese/sardo alticcio con accento veneto/romagnolo appena uscito da un’osteria bergamasca/piemontese e lo hanno messo dinanzi ad un microfono: il risultato è a dir poco esilarante.
A proposito: L’avventura del Poseidon ha avuto un seguito –L’inferno sommerso, 1979- tutt’altro che indimenticabile.
Il remake del 2006 –Poseidon– è una svolta per chi ha problemi di stitichezza: 5/6 minuti di visione ed il gioco è fatto.
Ad oggi l’originale, pur non essendo un capolavoro, ancora non si batte.
L’avventura del Poseidon: 7
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