• Figlio della Torre

Klaus Berggreen

Ho trascorso una marea di tempo, in quel di Pisa.
Non ci ho mai vissuto, invero, ma per ragioni sanitarie sono passato spessissimo in zona per oltre una decina di anni.
Ad un certo punto mi sono affezionato alla città toscana come se la conoscessi da secoli.
Ci manco da un bel po’, sinceramente: debbo ammettere che la ricordo ancora oggi a memoria, comunque.

Poco più di un anno fa, proprio nella città della Torre pendente, è stata conferita la cittadinanza onoraria a due calciatori stranieri che hanno militato nella compagine locale: uno è il danese Henrik Larsen, discreto mediano che agli inizi degli anni novanta ha indossato la casacca nerazzurra per un biennio.
L’altro, anch’egli danese, è stato uno dei migliori centrocampisti del suo paese ed ha scritto pagine importanti del nostro calcio targato anni ottanta, quello che ai tempi era il migliore del mondo.


Parliamo di Klaus Berggreen, danese di nascita e pisano di adozione.
Klaus nasce nel febbraio del 1958 a Virum, un centro abitato che dista pochissimi chilometri dalla cittadina di Kongens Lyngby, a sua volta posta nella periferia settentrionale della capitale Copenaghen.

Pure dalla Danimarca manco da alcuni anni, ad onor del vero.
L’ho girata abbastanza, anche se non ho mai avuto il piacere di visitare Lyngby.

Sia quel che sia, negli anni sessanta il piccolo Berggreen inizia le scuole dell’obbligo e si mette in mostra come uno studente modello.
Intelligente, sveglio, serio.
Il figlio ideale, insomma.
E se la cava alla grande anche nello sport, come se non bastasse.
Ne pratica diversi, con esiti interessanti.
Poi ne sceglie uno, il calcio, e non lo abbandona più.

A soli sei anni entra nel vivaio del Lyngby e compie tutta la trafila nel settore giovanile del club, migliorando col tempo ed impressionando i suoi tecnici: difatti Klaus ha discreta tecnica, buon fisico, è rapido di gambe e possiede polmoni d’acciaio.
Gioca tra centrocampo ed attacco, mettendosi in mostra come uno dei migliori prospetti danesi.
Viene convocato -sotto età- nella nazionale di categoria (Under 17) e conquista ben presto la maglia di titolare della prima squadra, appena promossa(1975) nella seconda serie danese.

Klaus Berggreen è di gran lunga uno dei calciatori più forti in rosa, nonostante sia giovanissimo.
Il Lyngby retrocede nuovamente in terza serie nel 1976, ma rivince subito il campionato e torna in cadetteria, assestandosi nelle zone alte della graduatoria al primo anno dopo la promozione (1978) e cogliendo un ottimo secondo posto nell’annata successiva (1979), che gli vale l’accesso alla prima divisione danese.
Un exploit non causale, va detto.
La società dei Blue Vikings (Vichinghi Blu) aspira a scalare posizioni nel calcio locale, programmando il futuro con largo anticipo e puntando sul mix tra elementi di esperienza e giovani in rampa di lancio.
Berggreen è il fulcro del gioco del team: con le sue reti trascina il club a due promozioni a breve distanza e col suo carattere, tosto e determinato, sospinge i compagni verso la gloria.

Diventa il leader della Under 19 della Danimarca, disputando una ventina di gare, poi è protagonista fugace nella Under 21.
Ma soltanto perché viene già ritenuto pronto per esordire nella Nazionale maggiore.
Siamo nell’agosto del 1979: prima gara del nuovo C.T. Piontek, un tedesco che siede sulla panca scandinava grazie alla sponsorizzazione della Carlsberg (birra).
I soldi vengono sganciati dall’azienda a patto che siano stabiliti standard professionistici: la Danimarca ha parecchi calciatori forti, ma non dispone di organizzazione e mentalità adeguati a saperli gestire.
Piontek viene scelto per questo scopo.
E si rivelerà l’uomo giusto per centrare il bersaglio.


Klaus Berggreen, dopo l’esordio con la Danimarca, per un paio di anni rallenta la sua corsa con la sua Nazionale.
Una sola presenza nel 1980, poi un biennio di assenza.
Un paio di piccoli problemi fisici, la concorrenza di altri buoni elementi e poi il rapporto ballerino con Piontek, che è un allenatore tanto permissivo con i suoi giocatori quando le cose vanno bene quanto esigente e duro nei momenti in cui vede qualcuno che allenta la tensione.

Inoltre Klaus è concentratissimo sul suo Lyngby, che conduce ai piani alti del massimo torneo danese.
Secondo nel 1981 (ad un solo punto di distanza dai vincitori del Hvidovre) e quinto nel 1982, con l’intermezzo di un’avventura -breve- in Coppa UEFA, eliminato dagli svedesi del Brage.
Oramai il club danese è pronto per issarsi ancor più in alto ed in effetti vince per la prima volta nella propria storia la 1. Division (odierna Superligaen) nel 1983 e la sua prima Coppa di Danimarca nel 1984.

Klaus Berggreen non è però tra coloro che festeggiano i due trionfi.
Difatti lascia il Lyngby nell’estate del 1982.

Il ragazzo ha molte richieste dall’estero.
In primis lo cerca l’Ajax, che ha un canale privilegiato con la piazza danese.
Arrivano chiamate anche da Francia, Germania, Italia, Svizzera, Belgio, Spagna.
La sua società d’appartenenza, che non vuole tarpargli le ali, capisce che è il momento di monetizzare il cartellino del promettente centrocampista.

Klaus spiega ai suoi dirigenti che vorrebbe trasferirsi in Germania o in Italia.
Nel campionato tedesco avrebbe la possibilità di ambientarsi rapidamente, senza allontanarsi eccessivamente da casa e ritrovando condizioni ambientali abbastanza simili a quelle a lui abituali.
In Italia, invece, andrebbe a misurarsi con i migliori giocatori del mondo, in un torneo che è di certo il più tosto a livello continentale e che lo costringerebbe, tra virgolette, a migliorarsi giorno dopo giorno.

Una crescita graduale o una sfida epocale?
Il dubbio è notevole e, nel contempo, intrigante.
Dalla Bundesliga lo cercano Kaiserslautern, Fortuna Düsseldorf, Karlsruhe e Bochum.
In Italia è l’Inter a mandare un paio di osservatori per visionarlo, datosi che con l’apertura al secondo straniero in rosa si è creata una possibilità di ingaggio per un centrocampista e visto che il francese Platini, elemento estremamente offensivo che già da tempo ha un accordo con i nerazzurri, è appena finito ai rivali della Juventus.
L’Inter cincischia: Klaus piace, ma proviene da un torneo non eccelso dal punto di vista tecnico e non possiede esperienza internazionale adeguata alle ambizioni dei meneghini.
Ecco quindi spuntare la pista Hansi Muller, nazionale della Germania Ovest, che viene messo sotto contratto.
Inoltre i milanesi spediscono l’austriaco Prohaska alla Roma ed acquistano il funambolico brasiliano Juary dall’Avellino, completando la lista degli stranieri tesserabili in stagione.


Berggreen non ha manco il tempo di restarci male, in quanto per lui giunge l’offerta del Pisa, neopromosso in serie A, col vulcanico presidente toscano Anconetani che vola a Copenaghen per chiudere l’affare con una valigetta contenente un contratto triennale ben remunerato per il giocatore ed un assegno di duecentosettanta milioni di lire per il Lyngby.

I danesi, che vendendo Klaus in Germania avrebbero guadagnato -in marchi- circa il doppio, non sono abili mercanti come i cugini olandesi, ad esempio.
Preferiscono non tirare troppo la corda, sebbene nella vicenda compaia pure un mediatore che, mesi dopo, si rivolgerà alla Magistratura per esigere i cinquanta milioni che, a suo dire, gli erano stati promessi dall’entourage del calciatore.

Vada come vada, il presidente pisano con i milioni risparmiati acquista l’uruguaiano Caraballo, su input del figlio Adolfo.
Il Lyngby invece mette in cassaforte la cifra incassata.
Diciamo che un affare per entrambi, sebbene per soli due terzi della posta in gioco: perché Berggreen vale parecchio di più della cifra pattuita ed il Lyngby con quei soldi può camparci di rendita per anni.
Caraballo è invece un bidone epocale.
Non si può avere tutto dalla vita, su.

Klaus Berggreen sbarca in Italia con l’entusiasmo alle stelle.
Adora il cibo nostrano ed il vino buono:
E la Toscana, beh, è la Toscana.
Il patron Anconetani è certo di aver messo a segno un colpaccio, confidando sulle doti tecniche ed agonistiche del ragazzo al quale avrebbe voluto affiancare, come secondo straniero, Francescoli.
Invece il consanguineo Adolfo ha optato per Caraballo, seguendo il proprio istinto e, leggenda metropolitana, fidandosi di un tassista di Montevideo e di un barbiere conosciuto in città, i quali hanno entrambi decantato le doti del secondo e sminuito quelle dell’altro, che inoltre aveva un costo decisamente più proibitivo.
Il tempo chiarirà adeguatamente le circostanze del caso.
Tutte.

Il Pisa, che ritrova la serie A dopo tredici anni, ha in panchina il brasiliano Vinicio, subentrato al tecnico Agroppi che ha condotto la squadra in massima serie.
La rosa dei nerazzurri è abbastanza omogenea: davanti al portiere Mannini c’è il libero Vianello, mentre i marcatori difensivi sono Secondini e Garuti.
In mezzo al campo Occhipinti e Gozzoli coprono la retroguardia, con Berggreen che parte della fascia destra per dar manforte ai compagni di reparto e, nel contempo, per avviare la manovra offensiva.
A sinistra agisce Riva, da terzino più che da laterale di spinta.
Sorbi organizza il gioco, con Casale mezzala e Todesco punta.

Caraballo dura da Natale a Santo Stefano, essendo impresentabile per determinati livelli.
Il portiere di riserva Buso, il terzino destro Massimi, lo stopper Pozza, il centrocampista Mariani e gli attaccanti Birigozzi ed Ugolotti completano il roster a disposizione di Vinicio.
Un Pisa combattivo e grintoso, che lotta per la salvezza e che riesce a centrarla, seppur con qualche patema nel finale.

Klaus Berggreen - Pisa

Berggreen è il principale protagonista dell’annata dei toscani: gioca con una continuità di rendimento impressionante, senza soste e sempre da top player.
Una sorpresa per molti tifosi e per parecchi addetti ai lavori.
Non per Romeo Anconetani, che lo aveva attenzionato in alcune videocassette e lo aveva poi visionato dal vivo, in una amichevole estiva organizzata col Lyngby proprio per valutare le qualità del ragazzo.
Il patron del Pisa ha un occhio clinico, per i giocatori in rampa di lancio.
Visionario e figlio ‘e ‘ntrocchia, Romeo è innamorato dello scandinavo, che corrisponde appieno il sentimento del suo boss.

Klaus ritrova anche la maglia della Nazionale Danese e si ambienta a Pisa come se fosse da sempre un abitante del posto.
Tranquilla e piacevole, la cittadina della Torre è un luogo ideale dove vivere di calcio.
Poche pressioni e tanta passione: un mix ideale, ancor di più per uno scandinavo serio ma anche capace di esprimere un’allegria che sorprende, se sollecitato a dovere.
Klaus è un ottimo professionista, che fa gruppo e conduce il Pisa al mantenimento della categoria in un campionato oltremodo difficile come quello tricolore.
Ventinove presenze condite da ben otto reti: un bottino davvero ragguardevole, per un centrocampista.

In estate Anconetani fa orecchie da mercante dinanzi alle numerose richieste che giungono per il suo pupillo.
Romeo, che al giusto prezzo venderebbe anche la sua anima al Diavolo, si è veramente affezionato al biondino ex Lyngby.

Il quale ripaga la fiducia del suo presidente pure nella stagione successiva, con ventotto presenze e sette reti che, purtroppo, non bastano però ad evitare al Pisa una bruciante retrocessione.
E dire che i toscani prima dell’inizio del campionato hanno messo le mani sul forte attaccante olandese Kieft, oltre che sugli affidabili centrocampisti Criscimanni, Patrizio Sala e Scarnecchia e sui grintosi difensori Armenise, Azzali e Longobardo.
A lasciare il team sono Casale, Todesco, Secondini, Riva, Gozzoli, Pozza e, last but not least, il mitico Caraballo, che è fuggito in Sudamerica già da un bel po’ di mesi.
I nerazzurri, che iniziano a concludono il campionato con Pace in panchina (nel mezzo una quindicina di match con Vinicio alla guida), pareggiano diverse gare che avrebbero potuto vincere e ne perdono altrettante che avrebbero dovuto pareggiare, finendo per soccombere nel finale e chiudere al penultimo posto in classifica, scendendo in B.

Klaus Berggreen, nuovamente miglior cannoniere dei suoi, è appetito da parecchi club, in Italia e all’estero.
Le sue doti sono oramai palesi, ma il giocatore non ne vuole sapere di lasciare Pisa con una retrocessione.
Si impunta e convince Anconetani, che è sul punto di cederlo al neopromosso Como, a tenerlo in rosa.
Idem per Kieft, ex Scarpa d’Oro e pagato oltre un miliardo di lire, che nonostante una annata non eccezionale ha comunque mostrato doti di rilievo e viene confermato.

Il Pisa ingaggia Gigi Simoni come allenatore: una garanzia, per la categoria.
Poi prende il promettente attaccante Baldieri, dalla Roma, ed allestisce una rosa pregna di mestieranti della cadetteria e di giovani affamati di gloria.
Kieft segna quindici reti, Berggreen ne aggiunge altre dieci ed il Pisa ritorna in serie A vincendo il campionato, per la gioia del suo popolo.

Simoni saluta la compagnia in estate, trasferendosi alla Lazio, ed Anconetani offre la panchina al giovane Guerini.
La rosa non è male, con parecchi innesti di prospettiva.
Il nuovo mister la gestisce con accortezza per buona parte del girone di andata, col Pisa che frequenta per diverse settimane le zone nobili della graduatoria.
Poi un rallentamento a metà corsa e, infine, un inaspettato crollo nelle ultime fasi della stagione, con un ritorno in B che, per lungo tempo, pareva quasi impossibile.

Pisa Calcio - 1985-86

Klaus Berggreen, che in questa annata giostra più da centrocampista che da ala, rispetto al biennio recente, è amareggiatissimo.
Vorrebbe ancora una volta, da capitano quale oramai è, riportare i suoi in massima serie.
Ma è consapevole che sia lui che Kieft dovranno lasciare Pisa, ove nel frattempo è tornato Simoni per ripetere il capolavoro di due stagioni or sono.

Il danese chiude la sua avventura sotto la Torre con la vittoria della Mitropa Cup, edizione 1985.
Poi si accorda con la Roma, su richiesta del tecnico dei capitolini, lo svedese Sven-Göran Eriksson, che non riesce a convincere il connazionale Stromberg a lasciare l’Atalanta ed individua nel pisano il suo sostituto ideale.
I giallorossi, che hanno appena gettato al vento uno Scudetto già vinto, hanno voglia di rivalsa.
Schiumano rabbia da tutti i pori ed hanno necessità di sostituire Cerezo, passato alla Sampdoria.
Sfumato Stromberg, puntano su Berggreen pensando che possa essere l’uomo adatto allo scopo, ma c’è un problema: Romeo Anconetani ha già una bozza di accordo per il nordico col Napoli di Ferlaino, Allodi ed Ottavio Bianchi (un miliardo e ottocento milioni di lire più il cartellino di Daniel Bertoni, oppure due miliardi e mezzo cash).

Il danese si trova all’estero, quando Romeo lo chiama al telefono, d’urgenza.
Il dialogo tra il presidente pisano ed il suo giocatore è -più o meno- il seguente:
A: “Klaus, ho un accordo col Napoli per il tuo cartellino
B: “Lo so, presidente. Ma io ho parlato con Eriksson e con Viola, vado alla Roma
A: “Ma a Napoli c’è Maradona, eh
B: “Sì, Diego mi ha anche chiamato. Lui è il numero 1 al mondo, certo, però ho scelto di giocare con i giallorossi
A: “Ma il Napoli mi darebbe due miliardi e mezzo di lire!
B: “Presidente, Viola mi ha garantito che può arrivare a spendere sino a cinque miliardi, per comprarmi
A: “Sei proprio sicuro?
B: “Assolutamente!
A: ” E che aspetti a cercare casa nella capitale? Sei ancora al telefono?
B: “Vado
A: “Muoviti, che io intanto chiamo Viola
B: “Va bene, ciao presidente!
A: “Ciao, caro!

Klaus Berggreen - Roma

Il Napoli resta senza il secondo straniero e vende Bertoni all’Udinese, inserendolo in uno scambio col friulano Carnevale, che proprio la Roma aveva opzionato in precedenza: un tipico intreccio da calciomercato.
Fatto sta che a fine stagione il club partenopeo va a vincere il primo Scudetto della propria storia.
Per quel che concerne Klaus Berggreen, lo scandinavo rifiuta cortesemente un tentativo last minute della Fiorentina e si trasferisce nella capitale al termine del Mondiale Messicano del 1986.

E qui è doveroso aprire una parentesi.
O una parente (cit. Totò), se preferite.
Klaus è tra i convocati alla kermesse in questione, dopo aver preso parte anche agli Europei del 1984, svoltisi in Francia.
La sua Danimarca, nel paese transalpino, disputa un gran bel torneo.
Perde la prima gara contro i padroni di casa di Platini e Giresse (0-1), poi si riscatta prontamente demolendo la Jugoslavia di Susic e Stojković (5-0, a segno anche Berggreen) e superando di misura il Belgio di Ceulemans e Vercauteren (3-2), raggiungendo le semifinali, ove soltanto la sfortuna si frappone tra i danesi e la finale.
Difatti i nordici perdono ai rigori con la Spagna, dopo l’1-1 dei tempi regolamentari.
Nei supplementari, che non mutano il punteggio del match, Klaus Berggreen viene espulso, per doppia ammonizione.
Il pisano adottivo è comunque uno dei miglior giocatori della banda di Piontek, unitamente al capitano Morten Olsen, al dinamico Lerby, al tecnico Arnesen, al talentuoso Michael Laudrup, al poderoso Elkjær ed all’ex Pallone d’Oro Simonsen, purtroppo infortunatosi nella partita iniziale della competizione.

In Messico poi la Danimarca si trasforma nella mitica Danish Dynamite.
Il gruppo scandinavo, al suo primo mondiale di sempre, sciorina un calcio spettacolare e redditizio.
All’esordio batte la Scozia di Souness e Strachan (1-0), poi rifila sei pere all’Uruguay di Francescoli e Alzamendi (6-1), quindi batte per 2-0 la fortissima Germania Ovest di Matthäus e Voller.
Agli ottavi i danesi beccano ancora la Spagna (perdendo con i tedeschi avrebbero trovato il Marocco, ma sono calcoli che a Piontek non piacciono) e passano in vantaggio.
Parrebbe l’anno loro, se non fosse che l’assenza di Arnesen (squalificato per una ingenua espulsione rimediata nella gara precedente) in mezzo si fa sentire e che un black-out collettivo nel secondo tempo li manda completamente fuori giri.
Butragueno gliene fa ben 4, al quale aggiungere un rigore del macellaio di Bilbao, Andoni Goikoetxea, per un 5-1 finale che non ammette repliche.
Fine della favola nordica.

I biancorossi sono in forma strepitosa ed hanno un roster di tutto rispetto.
In porta si alternano Rasmussen ed Hogh.
In difesa ci sono Morten Olsen, BuskSivebaek, Andersen e Nielsen.
In mezzo al campo ecco Lerby, Molby, Arnesen, Berggreen, Bertelsen, Olsen.
Davanti ci pensano Laudrup, Elkjær, Simonsen, Eriksen.
Non basta per arrivare alla fine, ma per impressionare i tifosi di tutto il pianeta sì.


Klaus Berggreen, che in Nazionale gioca praticamente ovunque, fa la sua figura.
I tifosi della Roma, che sono avvelenati per la partenza di Cerezo, si rendono conto di aver preso un bel giocatore, peraltro ammirato col Pisa in diversi frangenti.

E Klaus nella capitale parte col botto, segnando alcune reti e giocando un ottimo calcio.
Poi qualcosa si rompe nel rapporto tra il mister e la squadra: Eriksson mette un po’ in disparte l’idolo locale Bruno Conti e nello spogliatoio qualcuno gli rema contro.
I risultati iniziano a scarseggiare e l’allenatore svedese rassegna le proprie dimissioni, prima della fine del campionato.
Roma che chiude settima, deludendo le attese.
Oltre ai succitati Berggreen e Conti, in rosa ci sono Giannini, Nela, Ancelotti, Tancredi, Boniek, Pruzzo e altri ancora.
Insomma: materiale più che sufficiente per fare meglio.
Anzi: molto meglio.
Ma gli equilibri non reggono a lungo e il campo dice altro.

In estate la Roma richiama il barone Liedholm al proprio capezzale e rivoluziona il parco giocatori.
L’ingaggio del tedesco Voller, unitamente alla conferma del polacco Boniek, è un chiaro segnale nei confronti di Klaus Berggreen, che viene messo in lista di sbarco.
Lui non ci sta e mediante il suo manager, che è anche il presidente della Lega Calciatori del suo paese, preannuncia battaglia.

Per giunta il Napoli, che in passato era stato vicinissimo al danese, si è regalato il bomber Careca, per festeggiare la vittoria del campionato.
E a cercare Berggreen è soltanto l’Ascoli di Rozzi, che trova pure un mezzo accordo con i giallorossi per il cartellino del nordico.
Quest’ultimo non gradisce la destinazione (e l’eventuale ingaggio ridotto, per essere onesti) e punta i piedi: la situazione è alquanto tesa tra le parti.
Quantomeno fin quando spunta il Torino, interessato alle prestazioni di Klaus.
I granata, che hanno ingaggiato come primo straniero il bomber austriaco Polster, decidono di rinunciare all’acquisto del brasiliano Casagrande, praticamente concluso, a causa di una frattura alla tibia rimediata dal giocatore pochi mesi prima.
Come secondo straniero i piemontesi puntano dapprima sull’argentino Barbas, che il Lecce non vuole cedere.
Quindi virano proprio su Berggreen, offrendo trecento milioni di lire alla Roma per il prestito del calciatore, al quale propongono seicento milioni di contratto.
La Roma accetta l’offerta, a patto che il Toro, nel caso voglia acquisirlo definitivamente, a giugno versi nella casse giallorosse un miliardo e duecento milioni di lire.
Klaus e il Torino dicono sì e il danese parte per il nord Italia.

Klaus Berggreen - Torino

L’Ascoli, imbufalito, si rivolge alla Lega, vantando un accordo firmato con la Roma.
Tutto vero: peccato che manchi la firma più importante, ovvero quella del centrocampista.
La Roma aiuta l’Ascoli a centrare un paio di obiettivi consolatori, sul mercato, mentre il Torino fa cadere l’opzione su Casagrande, che passa proprio alla compagine del presidentissimo Rozzi, dove si esibirà per un quadriennio prima di andare proprio al Toro.
Si chiude il cerchio.


Tutto è bene quel che finisce bene, insomma.
Klaus Berggreen, che vanta ancora due anni del contratto triennale in essere con la Roma e che respinge un romantico tentativo di Anconetani di riportarlo in Toscana, è un nuovo calciatore torinista.
I granata, che hanno perso Junior e Kieft (sì, proprio l’ex pisano), confidano in Polster e Berggreen per risollevarsi dopo un’annata abbastanza deludente.
Mister Radice dispone di una rosa tutto sommato valida: oltre ai succitati, vi sono elementi quali Cravero, Sabato, Crippa, Comi, Lorieri, Gritti e altri ancora, più i giovani Lentini, Fuser e Bresciani.

Klaus si ambienta alla grande in Piemonte.
La squadra lotta per la qualificazione nelle coppe europee, sfuggita solo allo spareggio, perso con i cugini della Juventus ai rigori, dopo lo 0-0 al termine dei tempi supplementari.
Cocente sconfitta anche in Coppa Italia, in finale contro la Sampdoria, dopo aver eliminato in semifinale proprio la Juve: i blucerchiati vincono per 2-0 il match di andata, poi perdono con identico punteggio quello di ritorno.
Si va a i supplementari, con un gol di Salsano che permette ai genovesi di alzare al cielo il trofeo.

Klaus Berggreen si infortuna nella parte finale della stagione, saltando le gare più importanti e strappando in extremis, con un miracoloso recupero, la convocazione per gli Europei del 1988, che si tengono in Germania Ovest.
La Danimarca, lontana parente del team ammirato negli ultimi anni, perde tutte le gare del girone eliminatorio e torna mestamente a casa, con Klaus che Piontek relega a panchinaro di lusso, anche a causa delle recenti problematiche fisiche di cui sopra.
Si chiude qui, con una cinquantina di presenze a corredo -e l’ultima gara disputata contro l’Italia, un segno del destino-, l’epopea decennale del danese con la casacca biancorossa indosso.
Pur con la bacheca vuota, si tratta indubbiamente di un periodo stupendo.
Per lui e per la sua gente, s’intende.

Tornato a Torino, Klaus Berggreen scopre di non essere stato riconfermato.
Nonostante sia entrata in vigore la regola che consente il tesseramento di tre stranieri, Radice ha espresso il suo gradimento per altri profili, rispedendo -di fatto- l’ex pisano a Roma.
D’altronde l’era Bosman è ancora ben distante ed i calciatori sono proprietari delle società che detengono il loro cartellino.
Klaus, che ha ancora un anno di contratto con la Roma, riceve parecchie offerte da compagini italiane ed europee.

Lui, professionista serio e ragazzo perbene, chiede di essere reintegrato nella rosa giallorossa.
Liedholm, che siede sulla panchina dei romani, ha altre idee: insieme al tedesco Voller, riconfermato, ed al brasiliano Renato, già preso, vuole un altro sudamericano.
Stravede per il brasiliano Andrade, una sorta di Falcao dei poveri.
Anche se è lento ed è esploso tardi, Andrade è un campione vero. Chi nutre dubbi su di lui, non capisce di calcio“, le parole dello svedese.
Ottimo allenatore e persona simpaticissima, il caro Nils: ma che non di rado ha beccato delle cantonate clamorose.
Andrade è una di esse: il verdeoro è un elemento mediocre e non vale un decimo di Berggreen, pur possedendo caratteristiche differenti.


Klaus è un centrocampista completo, moderno e ben strutturato fisicamente.
Atleta a tutto tondo, dinamico e con polmoni inesauribili, il danese possiede pure una più che discreta tecnica di base.
In carriera ha giocato pressoché ovunque, dalla metà campo in su.
Ala destra vecchio stampo, da ex attaccante trova spesso la rete ed ha un ottimo tempismo nello stacco di testa.
Intermedio/mezzala di destra, in grado di muoversi anche in un tridente offensivo da ala pura, oppure di agire da interno, come gli accade spesso in Nazionale.
In alcuni match si occupa addirittura del fantasista avversario, da marcatore puro.
In altri è in attacco, da centravanti atipico.
Buon dribbling, ottima lettura tattica delle gare, feroce concentrazione agonistica, carattere tosto sul terreno di gioco ed amabile fuori.
Laureato in Economia e Commercio, con una specializzazione in Sociologia, Berggreen è un ragazzo estremamente arguto, che parla cinque lingue e che sa farsi rispettare in ogni contesto, lottando su tutti i palloni e dando sempre il massimo, sia in allenamento che in partita.
Qualche infortunio in momenti chiave ed un pizzico di sfortuna nelle scelte sportive gli hanno impedito di avere una bacheca più florida, che avrebbe di sicuro meritato.
In quanto parliamo di uno dei migliori centrocampisti della sua generazione e del campionato italiano degli anni ottanta.
Cioè il migliore al mondo, senza girarci troppo intorno.


Klaus sogna i Mondiali del 1990, che si terranno in Italia.
Ma non li giocherà.
Viola, presidente della Roma, scatena una guerra col giocatore, pur di non tenerlo in rosa.
Come accaduto e come accadrà con Falcao, Cerezo, Renato, Voller e parecchi altri.
Non è una novità, per un dirigente capace e generoso, ma abituato a giostrare da padre-padrone con la sua società e con i suoi dipendenti.

Klaus Berggreen stavolta non cede di un millimetro.
Aveva accettato il Toro dodici mesi prima, sperando di restare in Piemonte o di tornare a Roma a fine prestito.
Invece niente.
Si ritrova senza squadra e col mercato italiano oramai definito.
Non accetta proposte dall’estero, che pur gli giungono in abbondanza.
Preferisce tornare in patria, a patto che la Roma gli conceda lo svincolo gratuito e gli riconosca una sostanziosa buonuscita.
Viola dapprima si inalbera, minacciando di adire per vie legali.
Poi si rende conto che non è il caso e liquida Klaus con un assegno di ottocento milioni (il suo ingaggio annuo, praticamente), oltre a concedergli la facoltà di accordarsi con una nuova squadra, senza che la Roma abbia nulla a pretendere.

Berggreen declina un paio di altre avances e firma con il Lyngby, salutando l’Italia dopo sei anni ed oltre duecento gare nella penisola.
Il Toro, nel frattempo, precipita in serie B.
La Roma veleggia a metà classifica, senza un direzione stabile.

In Danimarca il buon Klaus gioca una sola annata, sufficiente a vincere la Coppa Nazionale nel 1990.
Poi, a soli trentadue anni di età e con qualche fastidio muscolare che inizia a far capolino con una certa frequenza, si convince a dire basta col calcio.

Appende le scarpe al chiodo ed inizia a lavorare come Direttore Sportivo dello stesso club nel quale ha chiuso la carriera, ottenendo ottimi risultati.
A causa di problemi societari Klaus si dimette dalla carica alla fine del 1992, concentrandosi sull’azienda di famiglia.
Difatti suo padre è un produttore di indumenti intimi femminili.
Il figlio crea a sua volta la PiRo (dalle iniziali di Pisa e Roma), ampliando la clientela paterna ed immettendosi sul mercato come imprenditore nel campo della moda.
Coltiva inoltre una passione che già lo vedeva partecipe durante la sua carriera sportiva, ovvero l’investimento in campo finanziario.
Segue sempre il calcio con attenzione e trasporto, in particolar modo quello italiano.
Inutile dire che quando gioca la Nazionale Danese lui è lì, con sciarpetta e bandiera d’ordinanza.

Sono danese e giocare per la mia Nazionale è stato un sogno che si è avverato.
Ho amato ed amo ancora l’Italia, naturalmente.
In fondo è pur sempre il mio secondo paese.
Col Pisa ho vissuto un periodo meraviglioso, anche se eravamo una piccola società ed in campo gli arbitri ci trattavano malissimo.
Invece con la Roma avrei potuto vincere lo Scudetto, ma a stagione in corso subentrarono dei problemi tra dirigenza ed allenatore e lo spogliatoio ne risentì parecchio.
Al Toro mi sono divertito e sarei rimasto volentieri: se non fosse stato per lo staff tecnico, che aveva altre idee.
Non rimpiango la scelta di andare alla Roma piuttosto che al Napoli, davvero.
Certo, sarebbe stato meraviglioso giocare accanto a Maradona, il numero uno al mondo.
Però ognuno segue la propria strada ed io, evidentemente, dovevo seguire la mia.
Ricordo con piacere ogni momento passato sui campi di gioco.
Tranne la gara contro la Spagna, ai Mondiali del 1986, quando venimmo letteralmente sommersi di gol dopo essere andati in vantaggio.
Assurdo.
Ecco: da allora non ho mai più voluto rivedere le immagini di quel match.
Ci penseranno i miei eredi, nel caso.
Io ho tantissimi altri ricordi ai quali dedicarmi.
Belli.
Anzi: bellissimi!

Klaus Berggreen

Di tanto in tanto torna a calcare i campi da gioco, esibendosi per beneficenza.
E si diletta pure da attore e comparsa, in alcuni show delle televisioni scandinave.

Klaus Berggreen

Personaggio a tutto tondo, che spesso torna in Italia, soprattutto in quel di Pisa, ove è di casa.
Conserva il rimpianto di non aver vinto uno Scudetto: se avesse accettato la corte del Napoli, molto probabilmente, ci sarebbe riuscito ed avrebbe sviluppato un finale di carriera diverso.

I se e i ma non fanno la storia, questo è sicuro.
Però è altrettanto indubbio che negli anni ottanta Klaus Berggreen sia stato uno dei migliori centrocampisti del nostro campionato, capace di mettersi in mostra in un Pisa non trascendentale, dimostrandosi all’altezza della situazione in una Roma abbastanza caotica e contribuendo all’ottima annata di un Torino non eccelso.

Io lo ricordo sovente al centro della scena, dinamico e concreto, con quel baffo sornione e quella zazzera bionda che non poteva passare inosservata.
Non vi era la copertura calcistica odierna, ovvio.
Ma lui non mancava mai, anche nel più divertente Campionato del Mondo che il pianeta abbia visto (1986) e nel mio Europeo preferito (1984).

Un indefesso lavoratore del centrocampo, pronto ad abbandonare temporaneamente la zona nevralgica del terreno di gioco per sganciarsi in avanti e/o a ripiegare immediatamente nelle retrovie, ove necessario.

Bel tipo.
E mio omonimo: Vi pare poco?

Klaus Berggreen: figlio della Torre.

V74

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