- Sedotto e abbandonato
Juan Lozano
Lo volevano in tanti.
Se lo son conteso addirittura due nazioni e non certo di poco conto (Spagna e Belgio), tutt’altro.
Alla fine non è andata come nelle fiabe, però Juan Lozano -poco conosciuto nel nostro paese- è stato uno dei migliori elementi espressi dal calcio belga negli anni ottanta ed ha scritto pagine importanti anche in quel di Madrid, con la gloriosa casacca del Real.
La macchina del tempo ci riporta indietro di qualche decennio: estate del 1955, nella bella regione dell’Andalusia.
Per la precisione a Coria del Río, un paesino non molto distante da Siviglia, una delle più belle città della Spagna.
Qui, sulle rive del fiume Guadalquivir, nasce Juan José Lozano Bohórquez.
Nella penisola iberica si tira avanti, a patto di possedere un buon lavoro e/o una rendita che consenta di alzarsi al mattino senza eccessive preoccupazioni.
La famiglia di Juan non rientra nel novero dei fortunati ed è costretta ad emigrare.
Negli anni sessanta il Belgio è una delle mete più gettonate tra chi spera di trovare un’opportunità che possa cambiare il proprio destino.
In Spagna si sta vivendo il Desarrollo (lo sviluppo), un periodo di rinascita economica che viene definito come “miracoloso” in relazione ad alcune riforme che il regime franchista ha deciso di mettere in atto per tentare di risollevare le sorti del paese dopo anni di guerre, isolamenti e lotte intestine.
In realtà le condizioni di vita della maggior parte della popolazione non erano propriamente idilliache.
I Lozano Bohórquez fanno le valigie e si traferiscono nelle Fiandre, ad Anversa.
Città carina, regione interessante.
Di sole manco a parlarne, chiaro.
Non è la Spagna.
Juan ha una decina d’anni e non bada molto alle condizioni meteorologiche della zona.
Che piova o che sia nuvoloso (di sole, come detto, ne gira poco), lui ha voglia soltanto di correre dietro ad un pallone.
Ama il calcio e inizia a giocarlo prestissimo.
La sua famiglia abita a pochissima distanza dallo stadio Olimpico di Anversa, soprannominato “t Kiel” in quanto sorge nel quartiere omonimo.
Lui, da casa, sente il calore del pubblico e si esalta ai boati della gente, quando vi è qualche gol che scatena i tifosi.
Festeggia anche lui, come un matto, quando a poco più di undici anni entra a far parte della accademia giovanile del Beerschot, gloriosa società che in quegli anni sta cercando di ritornare ai fasti del passato, allorquando riusciva a competere per la vittoria finale del campionato.
Juan Lozano è appena un ragazzino, ma dimostra una tecnica calcistica che sorprende gli appassionati locali e che lo pone immediatamente sotto l’attento occhio degli scout, alla perenne ricerca di talenti.
Il suo percorso di crescita prosegue senza intoppi e poco prima di compiere la maggiore età, dopo essersi messo in mostra nelle varie categorie giovanili, il Beerschot decide di sottoporgli il primo contratto della sua carriera, propedeutico all’esordio nella maggiore divisione nazionale belga.
La squadra non brilla particolarmente, ma Juan fa il suo e con 3 reti in 25 presenze conferma di essere all’altezza del ruolo.
Altezza tecnica, intendiamoci.
Perché il ragazzo di origine spagnola è fisicamente bassino: un metro e settantadue.
Per fortuna non gioca da stopper e nemmeno come portiere: è un centrocampista offensivo, che sfrutta il baricentro basso per dribblare gli avversari e sgusciare tra le linee avversarie.
Il quinto posto finale della stagione successiva rilancia le ambizioni del Beerschot, con Lozano che contribuisce alla grande (36 presenze ed 8 reti) e conquista definitivamente la maglia da titolare dei viola di Anversa.
Nelle tre annate seguenti Lozano continua a segnare come un attaccante, pur saltando qualche match per infortunio.
Il team chiude nelle posizioni di rincalzo, non trovando la giusta continuità per dare l’assalto alla vetta della classifica.
Idem nella stagione 1977-78, quando Juan segna ben 13 gol ed inizia ad attrarre su di sé le mire dei più forti club del Belgio.
Dodici mesi più tardi realizza 11 reti in campionato guida i suoi al trionfo in Coppa del Belgio, battendo nel doppio confronto -in rimonta- il forte Anderlecht in semifinale e poi sconfiggendo per 1-0 nella finale di Bruxelles i campioni in carica del Club Brugge di Ceulemans.
Oltre a Juan Lozano i protagonisti principali del successo sono gli altri giocatori di origine straniera del Beerschot, tutti nazionali: l’affidabile portiere polacco Tomaszewski, il duttile difensore finlandese Tolsa ed il possente haitiano Sanon.
La vittoria nella coppa nazionale apre ai belgi le porte della Coppa delle Coppe: il sogno dura pochissimo, comunque, con l’eliminazione al primo turno per mano degli jugoslavi del Rijeka.
La compagine di Anversa stenta anche in Division 1, ritrovandosi nelle zone basse della classifica.
Lozano continua ad impressionare e su di lui mettono gli occhi parecchi club blasonati, anche europei.
Ma, a sorpresa, l’offerta migliore per acquisirne i servigi proviene da oltreoceano e precisamente dal Washington Diplomats, società della NASL (North American Soccer League), che tra le sue fila vanta la presenza del mitico olandese Johan Cruijff, eletto miglior giocatore della Lega statunitense e prelevato da quei Los Angeles Aztecs che pochi mesi prima hanno eliminato proprio il club della capitale dalla corsa alla vittoria del campionato.
Tra la metà degli anni settanta e gli inizi degli anni ottanta il soccer in quegli anni in USA pare in netta crescita e può vantare parecchi nomi di grido tra le sue schiere: Pelé, Beckenbauer, Best, Carlos Alberto, Chinaglia, Cubillas, Neeskens, Bogićević, Krol, Romero, Cabañas, Rensenbrink, Granitza, F. Van der Elst ed altri ancora.
Insomma: gente da far tremare i polsi, eh.
Purtroppo il seguito non è all’altezza degli “attori”, la crisi finanziaria incombe e le cose non vanno come sperato.
I Diplomats sono tra i primi ad alzare bandiera bianca.
Lozano, dopo aver salutato affettuosamente i genitori ed il fratello ed essere decollato da Bruxelles con tante speranze ed un ricco contratto in saccoccia, ha giocato negli USA soltanto per qualche mese, peraltro senza riuscire ad evitare una precoce eliminazione del suo team durante la stagione regolare.
Al termine della quale saluta la compagnia e torna in Europa.
Lo cerca il Barcellona del Mago Helenio Herrera, che però sottopone il calciatore ad una serie infinita di provini, non essendo convinto del tutto delle sue potenzialità.
Un paio di settimane intense e sfiancanti ed Juan Lozano non ne può più: prende un aereo e torna in Belgio firmando per i campioni in carica dell’Anderlecht -che gli stavano facendo una corte serrata da un paio di mesi-, guidati dal santone jugoslavo Ivić.
Squadra quadrata e tosta: in porta Munaron, in difesa il danese Morten Olsen e Renquin, a centrocampo Vercauteren e Coeck, in avanti l’altro danese Kenneth Brylle.
Juan Lozano si inserisce alla perfezione nei meccanismi dei bianco-malva e fa in tempo a partecipare alla vittoria dello scudetto e della Supercoppa belga, edizione 1981.
Si mette in mostra pure in Coppa dei Campioni, giocando divinamente contro la Juventus di Trapattoni ed eliminandola gli ottavi di finale, nel doppio confronto.
Ai quarti è la Stella Rossa di Belgrado a doversi inchinare alla forza degli uomini di Ivić, mentre in semifinale sarà poi l’Aston Villa a far fuori l’Anderlecht dalla competizione, andando a vincere il trofeo.
Nell’estate del 1982 si svolgono i Campionati del Mondo, in Spagna.
L’Italia di Bearzot e Paolo Rossi alza la Coppa in finale, contro la Germania Ovest.
Il Belgio supera alla grande la prima fase a gironi, per crollare miseramente nella seconda.
Guy Thys, santone ed allenatore dei Diavoli Rossi, avrebbe voluto portare Lozano nella penisola iberica.
La Federazione ha acconsentito, garantendo una rapida conclusione del processo di naturalizzazione del ragazzo.
Siamo agli inizi degli anni ottanta e la pratica, molto più complessa di quanto lo sarebbe oggigiorno, si complica maledettamente.
“Juan non ha ancora svolto il servizio militare nel suo paese natio e per questo potrebbe essere interessato a prendere il passaporto belga”, è il pensiero di alcuni burocrati che analizzano la sua documentazione.
Il giocatore spiega che lui è cresciuto in Belgio ed è sinceramente legato e grato alla nazione che ha ospitato la sua famiglia e le ha concesso di vivere dignitosamente.
Ammette inoltre, con apprezzabile sincerità, che accortosi delle complicazioni ad essere convocato con la Spagna per la questione dei cosiddetti “nativi” -cioè coloro nati in un paese e cresciuti altrove-, sarebbe felice e fiero di indossare la maglia dei nordici.
La vicenda sbarca addirittura in Parlamento e si trasforma in una questione politica, piuttosto che sportiva.
La Camera approva in primis il progetto, ma successivamente il Senato lo boccia definitivamente, sia perché servirebbe quantomeno un anno di tempo per completare tutto l’iter previsto e sia perché il calciatore, che ha partecipato già ad un mini-ritiro della Nazionale, è stato immortalato con la divisa belga senza che nessuno avesse autorizzato la sua convocazione.
Uno scandalo, per qualcuno, oltre che una beffa per i collezionisti, datosi che la Panini lo ha già dato per presente in Spagna, nella stampa delle sue epiche figurine.
Al termine del Mondiale l’Anderlecht rifonda il suo attacco e preleva il bomber Vandenbergh dal Lierse ed il forte puntero Czerniatynski dall’Anversa.
Dalle giovanili vengono promossi in prima squadra il solido difensore Grun ed il promettente centrocampista (di origini italiane) Scifo: entrambi raggiungeranno la notorietà e, più in avanti, pure il campionato nostrano.
In panchina si insedia Paul Van Himst e porta i suoi a vincere la Coppa Uefa, nel 1983, sconfiggendo in finale i portoghesi del Benfica di Chalana e Strömberg, allenati da Sven-Göran Eriksson.
La rete del pareggio dell’Anderlecht (1-1) in terra lusitana, che in virtù dell’1-0 dell’andata regala la coppa ai belgi, è firmata proprio da Juan Lozano.
Un trofeo importante che per poco non viene bissato dodici mesi dopo, allorquando l’Anderlecht perde ai rigori la finale di ritorno contro gli inglesi del Tottenham.
Ma Juan Lozano è già altrove.
Insieme a lui saluta pure il suo grande amico Coeck, che passa all’Inter.
Al loro posto in rosa entrano il talentuoso danese Arnesen ed il bravo belga Vandereycken.
Lozano finisce invece nientepopodimeno che al Real Madrid.
Sì, proprio in Spagna.
In realtà sembra destinato alla Roma, che gli fa firmare un pre-contratto in quanto non riesce a chiudere per il brasiliano Cerezo, primario obiettivo dei capitolini.
Poi l’Atletico Mineiro cala le pretese, probabilmente anche a causa della trattativa per Lozano, e lo spagnolo si ritrova per l’ennesima volta sedotto e abbandonato.
In questo caso non gli va affatto male, ad onor del vero.
Difatti, come detto, va al Real, in cerca di elementi dotati di fantasia e velocità.
Juan è inoltre di nazionalità spagnola, il che combacia a pennello con l’identikit di cui sopra, in quanto le Merengues hanno già due stranieri in rosa (il tedesco Stielike e l’olandese Metgod), il massimo consentito in quella fase storica.
Il Madrid paga un botto di cartellino (duecento milioni di pesetas, oltre un milioni di euro odierne: record di spesa, a quel tempo) ed offre un lauto ingaggio al giocatore, che inizia la sua avventura nella capitale con voglia e determinazione.
L’impatto è ottimo, con giocate notevoli nelle amichevoli di preparazione al campionato ed una rete all’esordio, contro il Betis Siviglia.
Neanche il tempo di festeggiare ed ecco che nel derby contro l’Atletico, in un contrasto, Lozano si frattura il perone della gamba sinistra.
Evita l’operazione, ma necessita di quattro mesi di stop completo.
Al rientro, in un march col Salamanca, gli cede nuovamente il medesimo punto.
A fine annata mette insieme una decina di gare e quattro reti a corredo.
Pochino, per uno sul quale è stato investito un autentico capitale.
La seconda stagione, quella del riscatto, non si rivela tale: una quindicina di partite e due soli gol, anche a causa dell’esplosione di quella che diverrà famosa come la Quinta del Buitre.
Il Real Madrid nel 1985 vince la Coppa Uefa, sconfiggendo gli ungheresi del Videoton in finale.
Poi decide di disfarsi di Juan Lozano, poco partecipe nel successo europeo, rispedendolo all’Anderlecht in cambio di un corrispettivo spaventosamente inferiore rispetto a quello messo sul piatto al momento del suo acquisto.
Una minusvalenza che potremmo definire da record, ancora una volta.
Tra le cause del fallimento i troppi infortuni patiti dal centrocampista e le parecchie voci sul suo conto che lo raccontano come un professionista non sempre esemplare.
Lui smentisce, rimanda le accuse al mittente e torna in Belgio con la consapevolezza di aver dato tutto, per quanto abbia dovuto combattere contro una sfortuna immane.
Juan Lozano perde la sfida col calcio che conta, ma continua ad essere considerato uno dei migliori centrocampisti del continente e trai più forti della storia del calcio belga.
Trequartista classico, tecnica sopraffina e piede fatato (soprattutto il sinistro).
Pur essendo bassino, si fa sentire in mezzo al campo.
Ha personalità e gioca sempre “pulito”, semplice, lineare.
Bravissimo nel lancio lungo, così come nel fraseggio.
Tira bene punizioni, rigori e calci da fermo, in particolar modo gli angoli che disegna con traiettorie arcuate e ricche d’affetto che mettono in difficoltà i portieri avversari e le difese nemiche.
Assist man per eccellenza, segna parecchie reti e si muove come un serpente tra le linee di trequarti.
In campo è tatticamente inattaccabile.
Fuori forse ha i suoi vizi -come tutti, del resto-, che non sarebbero manco troppo gravi se a tutto ciò non si aggiungesse una cronica tendenza agli infortuni, spesso figlia della sfortuna piuttosto che di fragilità fisica, che però finisce inesorabilmente per delimitarne gli orizzonti professionali.
E poi la Spagna, il Belgio, il Barcellona, la Roma: sedotto ed abbandonato, più volte.
Capita.
Juan Lozano torna a casa e ritorna a giocare alla grande.
Prende possesso del centrocampo dell’Anderlecht e conduce la squadra a vincere il campionato, oltre a giungere sino alle semifinali di Coppa dei Campioni, quando è estromessa dai futuri vincitori, i rumeni della Steaua Bucarest.
Il bis nella Division 1, un anno dopo, non coincide col percorso in Europa che, nonostante la rivincita sulla Steaua, battuta agli ottavi di finale, si conclude però ai quarti, contro il Bayern Monaco.
Lozano, ad aprile, si infortuna gravemente.
Un tackle assassino di un avversario, un intervento gratuito e cattivo che gli costa una doppia frattura di tibia e perone e quasi due anni di stop.
La vicenda finisce in tribunale con Juan Lozano che in prima istanza vince la causa, salvo poi ritrovarsi nel torto in quanto al contendente viene riconosciuta la possibilità, durante una gara, di procurare un danno (involontario, s’intende) all’avversario per ragioni agonistiche.
Nel frattempo mette in bacheca un altra Supercoppa (1987) e due Coppe Nazionali (1988, 1989), allenato da un altro santone della panchina, Goethals.
Inoltre nel 1987, nonostante l’infortunio a stagione in corso, è eletto calciatore dell’anno in Belgio.
A fine contratto, ormai trentaquattrenne, firma un annuale con l’Eendracht Aalst, nelle Fiandre.
Si rimette in gioco dopo un lungo stop e mette a referto una ventina di gare, in seconda serie.
Poi opta per un altro annuale con il Berchem Sport di Anversa, in Derde Klasse (terza serie).
Gli viene offerto pure il rinnovo, ma Lozano capisce che non è il caso di forzare oltre ed appende gli scarpini al chiodo.
Juan avrebbe meritato una maggiore visibilità internazionale, come anche di un bel po’ di fortuna in più.
Gran bel giocatore: elegante, tecnico, caparbio, intelligente.
E con qualche serio rimpianto in carriera.
Oggi vive ad Edegem, nei pressi di Aversa.
Non si perde una gara del Real Madrid e segue con affetto anche l’Anderlecht.
Ha lavorato come consulente, nel calcio.
E al calcio è riconoscente, per tutto quello che gli ha dato.
A proposito: da diversi anni è in possesso della cittadinanza belga, oltre che di quella spagnola.
Sì, proprio così.
Juan Lozano: sedotto e abbandonato.
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