• Josibar

Josimar

Campionati del Mondo del 1986, in Messico.
Che spettacolo!

Una serie infinita di campioni e, soprattutto, di pupilli.
Tra questi ultimi non può mancare quello che è, a tutti gli effetti, uno dei personaggi più iconici della kermesse in oggetto, cioè il mitico Josimar.
Terzino destro forte e completo, che non trova spazio nel mio epico Resto del Mondo soltanto per la feroce concorrenza di gente come Jorginho e Gerets, oltre che di Cafu, Dani Alves ed altri ancora.
Mettiamo ordine, però.


Josimar Higino Pereira nasce a Rio de Janeiro, in Brasile, nel settembre del 1961.
Come tutti i bambini, ancor di più se brasiliani, ha un pallone come amico del cuore e poca voglia di studiare.
Il quartiere dove vive, Cidade de Deus (Città di Dio), negli anni sessanta è uno dei più poveri e difficili dell’intero stato che lo ospita.

Inoltre il piccolo viene abbandonato dal padre all’età di sei anni e cresce, insieme a cinque fratelli, in un ambiente degradato, con la madre che viene costantemente maltrattata dal suo nuovo compagno.

Il piccolo Josimar usa il suo piede destro per emergere da questo contesto oltremodo complicato ed entra, giovanissimo, nelle giovanili del Botafogo, una delle più importanti e blasonate società del paese.
L’idolo è quel Garrincha che sulla fascia è stato un autentico treno, indomabile ed imprevedibile.
Josimar è meno offensivo, pur agendo sulla medesima corsia laterale.
Lo fa da centrocampista, piuttosto che da ala.
E tra i suoi coetanei fa la differenza, spingendo con continuità e rinculando, alla bisogna, con apprezzabile impegno.

Ma agli inizi degli anni ottanta, appena maggiorenne, deve arretrare il suo raggio d’azione perché l’allora tecnico dei bianconeri, Zé Mario, ha necessità di un terzino di fascia che possa sostituire il velocissimo Perivaldo, destinato a salutare la compagnia.
Josimar non si tira affatto indietro e, pur senza possedere ancora un contratto stabile da professionista, entra in squadra e non ne esce più.

Con i primi risparmi affitta un appartamento alla madre e sposa la sua fidanzatina Elisa.

Per una decina di stagioni indossa la gloriosa casacca de O clube da Estrela Solitária (la squadra della Stella Solitaria, il principale simbolo del club), in una fase storica non eccezionale per il Botafogo che, comunque, porta a casa una Coppa di Rio e, soprattutto, un Campionato Carioca, nel 1989, dopo una trionfale cavalcata.
Era da oltre venti anni che i bianconeri non riuscivano a festeggiare una vittoria che, manco a dirlo, scatena entusiasmi a non finire, con calciatori e tifosi che, all’unisono, celebrano per settimane il suddetto trionfo, senza badare a spese e a salutismi di qualsivoglia natura.
Parola d’ordine: sfondarsi.
Ed in Brasile, per eccellenza regno della perdizione e del sommo gaudio, è immancabile che sia così.

Jpsimar - Botafogo

Josimar è il re della festa.
Ma tocca fare un passo indietro, per approfondire la questione.
E tornare, con la macchina del tempo, al 1986, allorquando si disputa quel che è, a parer mio e non soltanto, il più bel Campionato del Mondo di Calcio della storia.
O, quantomeno, uno dei più divertenti in assoluto.
Mettiamola così, dai.


Siamo in Messico ed il Brasile, dopo la cocente delusione di quattro anni prima in Spagna, arriva alla kermesse con la abituale baldanza -e non potrebbe essere altrimenti, ci mancherebbe- ma anche con un pizzico di circospezione in più del solito, datosi che l’abituale status di favoriti ha spesso tradito i verdeoro.

La squadra è forte, senza discussioni a riguardo.
O per meglio dire: qualche discussione c’è ed è anche feroce.
Ma si tratta di “cose interne”, che in qualche modo finiscono per riguardare il nostro Josimar.
Accade che Renato Gaúcho, una delle migliori ali brasiliane dell’epoca, col suo comportamento indisciplinato ed irrispettoso delle regole violi il coprifuoco durante un ritiro e finisca per essere letteralmente sfanculato dal C.T. Telê Santana, che ha voglia di dare un chiaro segnale a tutti gli altri membri della spedizione messicana.
Il terzino destro Leandro, grande amico di Renato, per solidarietà nei confronti del compagno e per coerenza personale (era uno dei quattro “ritardatari”, in realtà, ed inoltre si sente un centrale di difesa, piuttosto che un terzino, ed è già in rotta di collisione con il suo mister per questo motivo) rinuncia a partire con la squadra, rifiutando la convocazione.
Il buon Telê non fa una piega, contando sul fatto di avere a disposizione Édson Boaro, nel ruolo, oltre ad una pletora di campioni tra i quali spiccano nomi come Zico, Junior, Careca, Falcao, Socrates, Alemao, Edinho e vai con la samba, per restare in tema.
Il fortissimo Eder, matto come un cavallo, fa la medesima fine di Renato, autoeliminandosi dalla spedizione messicana con una serie di comportamenti che mandano il c.t. verdeoro su tutte le furie e lo spingono a cancellare anche la mitica ala sinistra dalla lista definitiva dei suoi.
Socrates e Casagrande si salvano perché, a differenza di Renato e di Leandro, riescono a scavalcare il muro di cinta dell’hotel che ospita il ritiro dei sudamericani ed a rientrare in camera prima che la scure dei dirigenti federali e dell’allenatore brasiliano si abbatta su di loro.

Al netto dei bordelli di cui sopra, una riserva di Edson è comunque necessaria.
E Santana opta per la convocazione proprio di Josimar, che fino a quel momento la maglia della Nazionale Brasiliana maggiore l’aveva vista solamente in televisione, pur avendo indossato per un breve periodo quella della selezione Under 20 e pur essendo uno dei migliori esterni del campionato sudamericano.

Josimar - Brasile

Il mister spiega al ragazzo che partirà come riserva, senza grandi possibilità di impiego.
Starà poi al giocatore sapersi far trovare pronto, in caso di necessità.
Josimar non batte ciglio e fa la valigia con l’entusiasmo di un ragazzino e l’orgoglio di essere parte di una missione speciale.

In Messico i brasiliani iniziano a spron battuto, sconfiggendo la quotata Spagna di Michel e Butragueno per 1-0.
Nel secondo incontro arriva un’altra vittoria per 1-0, contro l’Algeria di Madjer e Belloumi.
In questa gara Edson si infortuna seriamente e chiude anzitempo il suo torneo.
Telê Santana ha diversi giorni di tempo per trovare un sostituto, datosi che può portare in panchina sino ad un massimo di cinque giocatori e Josimar, sino a quel momento, è stato ospite fisso in tribuna.
Tornati nel ritiro dei verdeoro, il commissario tecnico avvicina il terzino ed il dialogo è più o meno il seguente:
TS: Josi, alla prossima tocca a te, probabilmente. CI sto ancora pensando, perché al Mondiale ogni dettaglio può fare la differenza e tu non hai molta esperienza, a questi livelli.
JO: Lo so, mister. Sono onorato di essere qui a rappresentare il mio paese e mi sento pronto, se serve. D’altronde sono l’unico in rosa a giocare da terzino destro, giusto?
TS: Giusto, anche se stavo ragionando sull’ipotesi di utilizzare di nuovo Alemao come esterno, con te da subentrante nella ripresa.
JO: togliere dal centrocampo uno forte come Alemao per metterlo difensore di fascia equivale a schierare il sottoscritto da centravanti, secondo me. Comunque qualsiasi cosa farai e chiunque sceglierai, per me andrà benissimo. Ti stimo e ti sono immensamente grato per avermi portato con voi, davvero.
TS: Ci penso su, poi ti dico.
JO: Grazie.
Santana, che odia a morte i giocatori insolenti (come si è intuito nel rapporto con Renato ed Eder), vede in Josimar lo spirito giusto: convinto dei propri mezzi, sì, ma nel contempo disponibile per la squadra e predisposto a qualsiasi sacrificio pur di contribuire al bene comune.
Lo stesso Alemao, d’altronde, confessa al suo allenatore di preferire la posizione di centrocampista puro all’ipotesi di dover coprire la fascia come contro l’Algeria, seppur dinanzi ad un avversario -anch’esso non particolarmente ostico- come l’Irlanda del Nord del vecchio portierone Jennings e del giovanissimo funambolo Whiteside.

Alla fine Josimar parte titolare da terzino destro di una difesa a quattro, con Branco sul versante opposto ed Edinho (libero) e Julio Cesar (stopper) centrali di difesa davanti al portiere Carlos.
In mezzo Elzo, a coprire tutto il globo terracqueo, con Alemao a dargli una bella mano.
Il trino Junior organizza la manovra, copre la fascia sinistra e supporta Socrates sulla trequarti, con Careca e Muller a sfidare i difensori avversari.
Un Brasile talentuoso ed equilibrato, caratteristica che spesso è venuta a mancare ai sudamericani.
Zico, il migliore dei suoi, si accomoda in panca, non essendo al meglio della condizione.

I sudamericani giocano una gran bella gara, vincendola per 3-0 e volando agli ottavi a punteggio pieno, nel girone.
Josimar è man of the match, come si suol dire.
Spinge come un ossesso sulla sua fascia di competenza e difende con tenacia, annullando chiunque osi presentarsi al suo cospetto.
Come se non bastasse, sigla il raddoppio dei suoi (dopo il vantaggio messo a segno da Careca) con una bordata dalla distanza che si spegne all’incrocio di uno Jennings immobile nella cosiddetta “zona di mezzo” ed uccellato senza possibilità di redenzione.
Un gol meraviglioso, che scatena l’esultanza impazzita del ragazzo di Rio e conferma la bontà della scelta di Telê Santana.
Careca poi andrà di doppietta, nel finale, facendo calare definitivamente il sipario sulla gara.

Agli ottavi di finale il Brasile becca gli ostici polacchi di Boniek e Smolarek, semifinalisti nel mondiale spagnolo.
I sudamericani, con la medesima formazione in campo nella gara precedente, spazzano via gli europei con un secco 4-0 che non ammette repliche.
Josimar, per la cronaca, si ripete: disputa una super partita, coronandola con una rete che entra di diritto nella storia delle più belle viste ai Mondiali, saltando avversari in serie e spedendo la sfera all’incrocio dei pali opposto a quello di partenza, rispetto al bolide del laterale carioca.

Un treno, inarrestabile e continuo.
E pensare che quando gli è arrivata la chiamata per avvisarlo della convocazione in Brasile, lui ha riattaccato.
Questo è uno scherzo, vero?“, ha replicato al suo interlocutore.
Eh sì, il dirigente federale ha dovuto richiamarlo per ben due volte, prima di riuscire a convincerlo del fatto.
D’altronde Josimar, prima dei Mondiale, è disoccupato.
Quantomeno dal punto di vista burocratico, perché il Botafogo non gli ha ancora rinnovato il contratto scaduto da un paio di settimane e non è molto solerte nel trattare le richieste del terzino (una cinquantina di milioni delle vecchie lire cash alla firma ed uno stipendio di circa dieci milioni al mese, volendo ragionare nella nostra moneta degli anni ottanta).
L’intenzione è quella di proseguire insieme, in qualche modo, e l’esplosione del giocatore in Messico accelera velocemente la pratica.
I dirigenti bianconeri volano nel paese che ospita la manifestazione intercontinentale, subodorando l’affare e pronti a scatenare un’asta per il laterale.

Quest’ultimo intanto si presenta ai nastri di partenza del match che vede il Brasile opposto alla Francia, nei quarti di finale.
Una gara iconica, tra le più emozionanti di sempre.
E non soltanto dei Campionati del Mondo, s’intende.
Identica formazione delle due gare precedenti, per i verdeoro.
I transalpini rispondono con una squadra ricca di qualità e di quantità.
Il portiere è Bats.
In difesa ci sono Amoros e Tusseau sulle corsie laterali, con Battiston e Bossis a comporre la cerniera centrale.
A centrocampo il celeberrimo magico quadrilatero costituito da Platini, Giresse, Tigana e Fernandez.
In avanti ecco Rocheteau e Stopyra.
Sbavo solo a ripensare a partitoni di siffatta spettacolarità.
W il Calcio, quello vero.

Il match è oltremodo combattuto ed avvincente, sotto l’infame calura di Guadalajara.
Careca porta avanti i suoi, dopo il quarto d’ora di gioco.
Platini rimette in parità la sfida, al tramonto della prima frazione.
Nel secondo tempo entra Zico e proprio il fuoriclasse sudamericano sbaglia il rigore che potrebbe regalare ai suoi il meritato passaggio del turno.
I supplementari scorrono via senza sussulti decisivi e si arriva ai rigori.
Zico si riscatta, segnando il proprio.
Platini erra, sbagliando il suo.
Gli errori di Socrates e Julio Cesar spediscono il Brasile all’inferno e mandano avanti i blues, poi fermati dalla Germania Ovest che, a sua volta, si dovrà inchinare in finale all’inarrivabile genio di Maradona.

Il Brasile torna a casa da imbattuto, fondamentalmente.
Ai punti avrebbe meritato la vittoria, ma nel calcio vince chi segna e l’errore di Zico nel secondo tempo della partita risulta essere letale.


Josimar, all’altezza delle aspettative anche contro i galletti, viene inserito nella squadra ideale del torneo e torna in patria con in tasca un succulento rinnovo di contratto col Botafogo.
Il suo club, invero, prova a cederlo immediatamente in Europa, per monetizzarne il cartellino.

Sul calciatore piomba l’Ascoli, del vulcanico presidente Rozzi: accordo triennale, con villetta ed auto di lusso a corredo, oltre a diversi bonus legati alle prestazioni del ragazzo.
Il suo manager, Leao Moreira, e l’intermediario Gilbert Oliveira, noto faccendiere che traffica in giocatori sudamericani, si dicono sicuri del buon esito della trattativa.
Ma si sa, le vie del calciomercato sono infinite.
E l’Ascoli, neopromosso, in A, preferisce affidarsi all’esperienza dell’irlandese Brady, che ben conosce il campionato italiano, rinunciando all’ingaggio di Josimar, che viene quindi proposto a diverse altre squadre, senza suscitare particolari entusiasmi.

Molti non si fidano, pensando al classico fuoco di paglia
La Fluminense, altro club di Rio, offre un ricco contratto al calciatore, ma senza soddisfare le richieste del Botafogo.
Niente di fatto, quindi.
Come accade per alcuni interessamenti provenienti da Germania, Francia e Grecia, per il Nazionale Verdeoro.

Josimar resta al Botafogo, alla fine della fiera.
Partecipa a tutte le gare del Resto del Mondo e si gode la fama, in patria.
Non salta una festa che sia una, mettendo la libidine dinanzi alla professione.
Sua moglie, che era in dolce attesa quando è arrivata la convocazione al Mondiale, lo lascia, stanza dei continui tradimenti.
Donne, alcol e sostanze proibite: l’ordine è casuale, ma Josimar diventa per tutti Josibar.
Fa ridere, ma nemmeno troppo.
Josi ha paura di perdere i figli e prova a metterci una pezza.
Anni più tardi, a riguardo, tenterà anche di difendersi dalle accuse.
O per meglio dire: da alcune, di queste accuse.

Al termine del Mondiale del 1986 sono uscito di senno, partecipando ad ogni sorta di festino e sfruttando la fama raggiunta per tradire ripetutamente mia moglie e comportarmi in una maniera che oggi è quanto più distante dal mio modo di essere e di intendere la vita.
Ci ho rimesso un matrimonio ed ho rischiato di perdere ciò che più conta al mondo per me, i miei figli.
Ho esagerato anche nel bere ed ho abusato di parecchie sostanze stupefacenti, non lo nego.
Però non è vero che sono stato arrestato più volte e che sono scappato dal Commissariato di Rio, in una occasione.
La Polizia mi ha attenzionato per lungo tempo, questo è innegabile.
Ma non sono mai stato un drogato e né, tantomeno, uno spacciatore.
Mai.
E sono fiero di essere riuscito a rimettermi in carreggiata, grazie ad alcuni amici e, soprattutto, alla fede in Dio.
Lui mi ha salvato ed a Lui debbo tutto.

Josimar

Onesto, sino in fondo.
Ha sbagliato, molto.
Ed ha pagato, altrettanto.

Perché Josimar butta nel vespasiano una carriera che senza i succitati eccessi smodati avrebbe potuto essere di ben altra levatura, rispetto a quella -pur bella- vissuta dal calciatore di Rio.
Terzino destro arrembante e dalla muscolatura potente e scultorea, inarrestabile in progressione ed attento in fase difensiva.
Il suo background da centrocampista gli consente di vantare un bagaglio tecnico di spessore e di cavarsela bene negli inserimenti, pure centrali.
Difatti è bravo anche da intermedio, finendo per essere un attaccante aggiunto quando il suo team è in attacco.
Ha una cavalcata poderosa e, pur non essendo un colosso, sa farsi sentire nei contrasti ed in marcatura.
Corre come un velocista, dribbla come un’ala e tira come un bomber, accompagnando il tutto con un carattere tosto e tignoso.
Non ama perdere e rispetta le scelte dei suoi allenatori, anche quando non le condivide.
Peccato che sia tendenzialmente pigro e che che pecchi maledettamente sotto il profilo della disciplina extra-campo, in particolar modo dopo il Mondiale Messicano, che lo rende una star e, nello stesso tempo, lo spedisce all’inferno.
Talvolta è talmente indolente da generare rabbia, per le potenzialità che potrebbe sviluppare in qualsiasi momento.
Prendere o lasciare, dopotutto.
E noi ce lo prendiamo così.


Per quel che concerne l’inferno, il nostro amico non ci arriva subito.
In quanto Josimar vince con il Brasile la Coppa America del 1989, disputata in casa.
La gioca col suo abituale numero 13 sulle spalle e da riserva, chiuso dall’ascesa di Jorginho e di Mazinho.
Viene quindi utilizzato per le qualificazioni al Mondiale del 1990, in Italia, senza peraltro essere preso in considerazione per il torneo che si svolge nella nostra penisola e chiudendo, in pratica, la sua avventura con la Nazionale, con sedici gettoni di presenza (undici vittorie, tre pareggi e due sole sconfitte) e quelle due reti, al Mondiale, che lo rendono indimenticabile.

Sul finire degli anni ottanta alza trofei anche col Botafogo, come raccontato poc’anzi, prima di accettare la corte del Siviglia, in Spagna.
Trecentomila dollari per il prestito semestrale, con un eventuale riscatto in estate a cifre già pattuite.
Lui accetta dopo aver sognato, pochi mesi prima, il trasferimento al Manchester United di Ferguson, al quale il sudamericano era stato proposto.
Pure gli scozzesi del Dundee United avevano provato a prenderlo, ma il Botafogo aveva sparato alto.
In Italia -oltre che per il sopracitato Ascoli- il suo nome era circolato per Como, Cesena, Pisa e Pescara.
Tutte, poi, avevano optato per altre scelte.

Josimar - Siviglia

In Spagna il buon Josimar gioca poco e senza acuti.
In estate il Siviglia compra il portiere russo Dasaev ed il bomber austriaco Polster, decidendo di non riscattare il terzino brasiliano, che ritorna in patria ed inizia uno strambo peregrinare tra svariate compagini del proprio paese.
Flamengo, Internacional di Porto Alegre, Novo Hamburgo, Bangu Atletico Club, Uberlândia, Ceará Sporting Club: poco più di un triennio e sei società cambiate, una dietro l’altra.
La trasformazione da Josimar in Josibar è oramai palese.
La birra, il whisky, la cocaina e le prostitute diventano la sua compagnia abituale.

Josimar - Flamengo

Una breve parentesi in Bolivia, al Club Jorge Wilstermann, fa da antipasto al ritorno in Brasile, al Nacional Fast Clube.
Dura poco anche qui.
Il Venezuela è la nuova tappa del viaggio di Josi, che firma con l’Asociación Civil Mineros de Guayana.
Poca gloria, neanche a dirlo, prima dell’ultima tappa al Baré Esporte Clube, in Brasile, che anticipa di pochi mesi il ritiro di Josimar dall’attività sportiva, avvenuto nel 1997 a quasi trentotto anni di età.


Appese le scarpe da calcio al fatidico chiodo, per il ragazzaccio di Rio si sono aperte le porte della cosiddetta “normalità”.
Si è risposato con Sandra, ha sviluppato un fortissimo rapporto con la religione e si è dedicato all’attività di promotore di eventi.
Il legame con i figli si è fortunatamente rinsaldato ed uno di essi ha pure tentato di ripercorrere le orme paterne, senza troppa fortuna.
Josimar, quando può, gioca delle gare di beneficenza ed è vicino ad alcune associazioni che si occupano di problematiche sociali, soprattutto a livello giovanile.

Lui, che è sceso negli inferi ed è risalito alla grande, ama veicolare un messaggio di positività e di forza.

Irrefrenabile stantuffo di fascia, è uno dei “pupilli” più cult tra gli appassionati del calcio degli anni ottanta.
In Norvegia gli hanno dedicato la rivista calcistica più importante della nazione, per dire.

Io, come tantissimi altri cresciuti a pane e pallone, lo ricordo perfettamente in quello stupendo mondiale messicano.
Ci arrivò a sorpresa, sia per molti tifosi che, addirittura, per tanti addetti ai lavori, anche brasiliani.
Ma seppe farsi valere, entrando nel Mito.

Josimar

Una parabola strana, la sua.
Arcuata quasi come la traiettoria di certi suoi tiri e dannatamente intrigante, altroché.


Josimar, poi Josibar e di nuovo Josimar.
Perché così va la vita.
E, in fondo, è bella anche per questo.

Pupillo ed idolo: semplicemente indimenticabile.

Josimar: Josibar.

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