- Il leone di Utrecht
Jan Wouters
Sì, la contrapposizione è evidente.
Difatti Utrecht, pittoresca cittadina posta al centro dei Paesi Bassi, nel 1964 ha dato i natali al fortissimo Marco Van Basten, “il cigno di Utrecht”, la cui storia andrà ad intrecciarsi con quella di un suo concittadino meno celebre e nato pochi anni prima, Jan Wouters.
E sarà un intreccio dapprima controverso, per così dire, poi assolutamente vincente per i due personaggi in questione e per tutto il loro paese d’appartenenza.
Come sempre, proviamo ad andare per ordine.
Jan Wouters, classe 1960, è stato uno dei migliori centrocampisti difensivi della sua epoca, in Europa.
Sin da ragazzino flirta col Calcio, ma durante l’adolescenza non brilla per talento: fisicamente è tosto come la roccia, pur non essendo un gigante.
Dinamico e resistente, corre per sé stesso e per altri 5/6 amichetti.
Sarà perché ha ben otto fratelli e lui è il più piccolo della tribù.
Il padre tifa PSV e la madre è una fan sfegatata del piccolo Jan che pure con i piedi non è malaccio, a dire il vero, per quanto si sia ben distanti da motivazioni logiche che ne possano giustificare lo schieramento in zone offensive del terreno di gioco.
Alla fine della fiera il ragazzo viene utilizzato come mediano difensivo.
Trattasi di un difensore aggiunto, in pratica, con l’ordine di coprire le spalle ai più talentuosi che si muovono dinanzi a lui e proteggere il fortino innalzato dai meno dotati tecnicamente che agiscono alle sue spalle.
Se la cava più che dignitosamente nell’incarico affidatogli , dapprima nel settore giovanile del VV Utrecht e poi imponendosi nella juniores del più quotato FC Utrecht, dove diventa Campione dei Paesi Bassi per la categoria nel 1979.
Il suo allenatore, Jan Verkaik, segnala allo staff tecnico della prima squadra che a parer suo il ragazzo è ormai pronto per livelli più importanti e che potrebbe tranquillamente esordire con loro.
Verkaik è uno che conosce il fatto suo e che per anni, oltre ad allenare i giovani, ha lavorato sullo scouting e vestito i panni dell’osservatore per il suo club.
I dirigenti si fidano di lui e così fa anche il tecnico Han Berger, che guida i “grandi” e che, dopo alcuni mesi di apprendistato per saggiarne gli aspetti caratteriali oltre che agonistici, inserisce ufficialmente Jan Wouters nel gruppo che prenderà parte alla Eredivisie 1980-1981.
Per le abitudini del tempo non è giovanissimo -ha già compito vent’anni- quando debutta contro il PSV, ad Eindhoven, dove l’Utrecht non aveva mai vinto in campionato sino ad allora.
Jan aiuta i suoi a centrare un successo epocale per 3-2 e si prende la scena.
Viene considerato semi-titolare nella prima stagione, mentre dalla seconda in poi è inamovibile.
Cambiano i tecnici ma lui è sempre lì, titolare e leader della squadra, composta per lo più da elementi provenienti dal vivaio ed originari della zona.
Un gruppo solido e coeso che ottiene discreti risultati in campionato, va malino in Europa non avendo molta esperienza e centra due finali di KNVB-Pokal, la Coppa dei Paesi Bassi.
Nella prima occasione, 1982, l’AZ Alkmaar s’impone per 5-1 al ritorno, dopo aver perso l’andata per 1-0, e porta a casa il trofeo.
Nella seconda l’FC Utrecht sconfigge in finale -gara unica- l’Helmond Sport con una rete del suo bomber John van Loen al novantesimo minuto e vince il primo trofeo importante della propria storia.
Jan Wouters resta ad Utrecht per sei stagioni.
Nell’estate del 1986 il giovane Alflen, da qualche mese già in rampa di lancio, è pronto a prenderne il posto in squadra.
L’Utrecht vuole monetizzare e così Jan viene ceduto allo Strasburgo, in Francia.
Se non fosse che all’ultimo minuto la società transalpina fa saltare l’affare decidendo di investire in un calciatore che possiede maggiore confidenza con la rete e prelevando, quindi, lo scafato bulgaro Andrey Zhelyazkov -ex Feyenoord- dallo Slavia Sofia.
Wouters è imbufalito: conosce bene Zhelyazkov, col quale ha spesso incrociato i tacchetti nel torneo olandese.
Pur reputandolo un buon giocatore, non si sente affatto inferiore a lui.
Lo Strasburgo a quel punto prova a ricucire lo strappo per un eventuale acquisto futuro ed invita Jan ad una partita di prova, andando a solleticare ulteriormente l’orgoglioso carattere del giocatore.
Il quale rifiuta ogni altro approccio e si dice convinto che i francesi avranno a pentirsene, di questo loro comportamento.
Mai parole furono più profetiche, datosi che dopo alcuni mesi il Racing Club de Strasbourg retrocederà mestamente in seconda serie unitamente al succitato Zhelyazkov, autore di una sola rete in 33 gare, che si avvierà ad un anonimo finale di carriera.
E Jan?
Beh, per lui arrivano subito altre proposte.
La migliore, circa 600 milioni delle allora lire, giunge da Amsterdam.
A formularla non è un signore qualunque, bensì tal Johan Cruijff, da pochi mesi insediatosi sulla panchina del glorioso Ajax.
Il santone olandese è convinto che Wouters sia uno di quei centrocampisti di sostanza che danno equilibrio all’intera squadra ed apportano peso e carattere in tutta la rosa.
I tifosi locali sono abbastanza perplessi sull’investimento e a dar loro manforte è il centravanti Van Basten, che in una intervista si dichiara poco entusiasta del mercato fatto dal suo club, con l’arrivo di elementi di sicuro valore, ok, ma non adeguati alle ambizioni europee dell’Ajax.
Wouter invece spazzerà via i pregiudizi in men che non si dica, imponendosi come fulcro del team e portando la squadra a rivincere il campionato olandese nel 1990, dopo una selva di secondi posti alle spalle del forte PSV.
Per non farsi mancare nulla alza al cielo pure una Coppa delle Coppe nel 1987, battendo in finale il Lokomotive Lipsia.
Sfiora il bis un anno più tardi, con la sconfitta contro i belgi del Malines nella gara conclusiva.
E mette in bacheca un’altra Coppa d’Olanda, nel 1987, 4-2 dopo i supplementari contro il Den Haag, nell’ultimo atto.
Nel frattempo si impone anche con la maglia della Nazionale.
Dopo aver ricevuto la prima convocazione nel 1982, il mediano è pian piano diventato un cardine degli Orange.
In una fase storica dove l’Olanda non è stata particolarmente brillante, tutt’altro, il nostro ha dovuto attendere gli Europei del 1988, per partecipare ad un torneo di rilievo.
In Germania si è rifatto con gli interessi, però, andando a trionfare con i suoi compagni.
Una vittoria ancora una volta storica, rappresentando il primo successo di tale portata per gli arancioni.
Wouters è tra i principali artefici del magnifico risultato ottenuto: regge il settore nevralgico della squadra, protegge la difesa, va in supporto ad ogni compagno che ne abbia bisogno, raddoppia su qualsiasi rivale transiti dalle sue parti, si occupa solitamente del trequartista nemico e/o del calciatore offensivo avversario potenzialmente più pericoloso.
Un tuttocampista, rude e atleticamente instancabile.
Fiato e cuore.
L’Olanda che vince il torneo continentale a Monaco di Baviera è un gran bel mix di qualità e quantità: il succitato Van Basten, Gullit, Ronald Koeman, Vanenburg, John van ‘t Schip, Bosman, Kieft, Mühren, Winter e altri ancora pensano alla prima.
Alla seconda provvedono Jan Wouters in mezzo e Frank Rijkaard dietro.
Rinus Michels -che indica Jan come l’indispensabile fulcro del team- è metodico e preciso nell’organizzare un meccanismo che funziona alla perfezione, a partire dalla difesa sino alla bocca di fuoco di Van Basten, che ha ormai imparato ad apprezzare oltremodo l’oscuro ma prezioso lavoro di quel medianaccio che sol pochi anni prima non avrebbe voluto come compagno nell’Ajax.
Jan Wouters viene inserito con pieno merito nella lista dei migliori giocatori del torneo.
Parteciperà anche ai Mondiali del 1990, in Italia.
L’Olanda allenata da Leo Beenhakker delude nel modesto girone di qualificazione, guadagnandosi soltanto per un soffio gli ottavi di finale dove, peraltro, esce con la Germania Ovest.
Negli Europei svedesi del 1992 Wouters se la cava discretamente ma l’Olanda saluta la compagnia in semifinale, ai rigori contro i sorprendenti danesi, che andranno a vincere la competizione.
Anche ai Mondiali statunitensi del 1994 Jan è titolare: il C.T. Advocaat gli affida le chiavi del centrocampo e lui, con l’abituale numero 6 sulle spalle, guida i compagni sino agli ottavi dove, dopo una gara bella e combattuta, saranno i brasiliani -anche loro futuri vincitori del torneo- ad avere la meglio sugli Orange, estromettendoli dalla kermesse intercontinentale.
Per Wouters l’avventura con la Nazionale si chiude qui.
Con un bel bottino di settanta gare e quattro reti.
Durante le qualificazioni al Mondiale Usa rischia di concludere in anticipo la sua epopea con gli arancioni, datosi che nel match contro l’Inghilterra rifila una violenta gomitata a Paul Gascoigne generando una marea di polemiche e di richieste di una lunga squalifica ai danni di colui che, nella sfilza di soprannomi appioppatogli dagli inglesi, diverrà “l’Infame delinquente olandese“.
In effetti il gesto è gratuito, vile, cattivo.
Lo stesso padre di Jan Wouters ne risulta alquanto deluso e l’olandese, anni dopo, ammetterà di non sentirsi affatto fiero dell’accaduto, pur giurando di essere intervenuto con durezza e rabbia ma senza voler arrecare danni all’avversario.
Gazza ne uscirà con uno zigomo rotto e la fortissima sensazione che Wouters sia un gran bel calciatore, ma pure un sublime bugiardo.
Agonisticamente velenoso, Wouters lascia l’Ajax nel 1991.
La stagione precedente è stato eletto miglior giocatore del campionato, un riconoscimento notevole per un elemento delle sue caratteristiche.
Nei mesi successivi alla vittoria agli Europei parecchie società si interessano per ottenere i suoi servigi.
L’Ajax tiene duro, ma dopo la vittoria dello Scudetto nel 1990 capisce che è l’ultima occasione per cedere a buon prezzo un calciatore di 31 anni, fisicamente valido e di grande esperienza, ma pur sempre più vicino alla conclusione della carriera piuttosto che agli inizi della stessa.
Jan è cercato dall’Arsenal, in Inghilterra.
Lì non lo amano affatto, però la Premier League è un torneo che sembra fatto apposta per un combattente come lui.
Dopo la vittoria ad Euro 1988 il Napoli ci prova seriamente, ma l’Ajax spara alto e i partenopei abbandonano la trattativa.
La Juventus lo valuta a lungo, poi opta per il portoghese Rui Barros.
Anche l’Inter si fa avanti, prima di riuscire a chiudere per Lothar Matthäus.
La Samp è indecisa se investire sull’olandese o sullo spagnolo Victor, del Barcellona: alla fine prende quest’ultimo, a prezzo di saldo.
Jan Wouters riflette sul da farsi e nel frattempo riceve una chiamata da Monaco di Baviera.
Sì, proprio la città dove ha trionfato all’Europeo.
Dall’altra parte del telefono vi è Sören Lerby, neo allenatore del Bayern che ha sostituito Jupp Heynckes, esonerato dopo un disastroso inizio di stagione.
Lerby conosce benissimo Wouters per averlo spesso affrontato in carriera.
Lo stima come calciatore, lo apprezza come uomo.
Ha bisogno di tigna ed mestiere in mezzo al campo e Jan -entusiasta all’idea- sarebbe perfetto per i suoi progetti tattici.
Rummenigge, Beckenbauer ed Uli Hoeneß, cioè il board al completo del Bayern Monaco, danno appuntamento a Wouters all’Hotel Vier Jahreszeiten, per il giorno successivo.
Chi ha tempo non aspetti tempo.
L’olandese, che proviene comunque da un club di livello, è sorpreso dalla perfetta organizzazione della società tedesca.
Per un corrispettivo di un paio di miliardi delle nostre vecchie lire l’Ajax lo accompagna fino in aeroporto e gli prepara la borsa con la merenda per il viaggio: affare fatto.
In allenamento dà il 100% e in gara il 120, però la sua prima annata in Germania è avara di soddisfazioni.
Lerby dura pochissimo, in panchina: gli subentra Erich Ribbeck, che lavora già nell’ottica di una rifondazione.
A fine stagione torna Matthäus dall’Inter e la squadra, seppur con pause imbarazzanti, riesce a giocarsi il Meisterschaft fino all’ultima partita, dove pareggiando con lo Schalke 04 lascia campo libero al Werder Brema, che vince a Stoccarda e festeggia la vittoria della Bundesliga.
Esattamente un anno dopo stessa scena: questa volta però il Bayern batte lo Schalke e vince il campionato in volata, contro il Kaiserslautern.
Sulla panchina dei bavaresi siede Franz Beckenbauer, che nella pausa invernale ha preso il posto di Ribbeck.
Jan Wouters ha però già salutato la compagnia.
Poco prima del ribaltone in panchina si è trasferito al PSV, tornando in patria.
Una sua precisa richiesta, datosi che entrambi i suoi anziani genitori stanno male e lui vuole riavvicinarsi a casa.
Il Bayern vorrebbe trattenerlo, proponendogli un rinnovo di contratto per altre due stagioni.
La sua tigna e la sua professionalità potrebbero essere ancora utili, alla squadra.
Ma le motivazioni di ordine familiare impongono una sua immediata partenza.
Purtroppo la madre verrà a a mancare appena pochi giorni dopo il ritorno nei Paesi Bassi.
E un mese e mezzo più tardi anche il padre di Jan seguirà la medesima sorte.
Il PSV versa nelle case dei tedeschi un miliarduccio e fa firmare al mediano un triennale.
In extremis fa un tentativo a vuoto per lui il Pescara di Galeone, col DS Marino che cerca rinforzi per agguantare una salvezza che non arriverà.
Arriverà invece, come detto, la vittoria del Bayern Monaco in Bundesliga e gli ex compagni invitano Wouters ad unirsi a loro per festeggiare tutti insieme.
Un gesto elegante ed affettuoso, che testimonia il forte legame che intercorre tra l’ambiente bavarese ed il cagnaccio orange.
Quest’ultimo ha più volte dichiarato che se avesse soltanto potuto immaginare che i suoi genitori avessero avuto ancora solo poche settimane di vita, lui sarebbe tornato solo momentaneamente in Olanda, firmando senza remora alcuna il prolungamento di contratto col Bayern.
I se e i ma non fanno la storia e Jan è impegnato nel finale di Eredivisie, quindi non può recarsi a Monaco di Baviera per i festeggiamenti.
Invia un biglietto di felicitazioni ai vecchi compagni e chiude il campionato olandese in terza posizione.
Idem nella stagione successiva, mentre nella terza ed ultima annata del suo contratto il PSV si piazza secondo, dietro al solito Ajax.
Il PSV tornerà a trionfare dodici mesi più tardi ma, come da tradizione, Jan Wouters avrà già salutato tutti, annunciando il suo ritiro dall’attività, a 36 anni suonati.
Prima di chiudere si diverte a giocare con Ronaldo, “il fenomeno”, dopo aver protetto le spalle al bomber Van Basten, anni prima.
Insieme al brasiliano vince un’altra KNVB Cup, nel 1996, con uno squillante 5-2 in finale allo Sparta Rotterdam.
Una cinquantina di reti in oltre quattrocento gare tra Eredivisie e Bundesliga.
Una carriera più che dignitosa, con ragguardevoli risultati raggiunti e qualche piccolo ed immancabile rimpianto a corredo.
Un centrocampista dotato di polmoni e cervello.
Concentrato, rude, generoso.
Mediano, centromediano, metodista.
Irreprensibile nel chiudere varchi, discreto in caso serva organizzare il gioco dalle retrovie.
Gran temperamento , inarrivabile senso tattico, assoluta devozione alla squadra.
Un calciatore prezioso, per certi versi indispensabile.
Uno di quelli che non sempre vengono illuminati adeguatamente dalle luci dei riflettori ma che ogni allenatore vorrebbe avere in rosa.
Amatissimo dai tifosi, tra l’altro, per l’impegno profuso – e fino all’ultima goccia di sudore- per la causa.
Non di rado capitano di club e anche in Nazionale, a dimostrazione di una leadership innata, costruita con l’applicazione quotidiana e col continuo desiderio di crescere, migliorarsi, perfezionarsi.
A fine carriera interrompe il contratto con i pochi capelli ormai rimastigli accanto, taglia per coerenza estetica i tipici baffoni da combattimento ed inizia la carriera di allenatore.
Ama dedicarsi ai giovani e trasmettere le sue idee sul campo, mentre non regge volentieri la pressione di tecnico in prima.
Per questo motivo tende ad accettare ruoli di assistente e di mister in seconda.
In patria lavora con Utrecht, Ajax, PSV, Feyenoord.
All’estero è in azione in Scozia con i Rangers di Glasgow, dove ottiene parecchie vittorie, e in Turchia col Kasimpasa.
L’impressione di parecchi addetti ai lavori, di molti suoi ex compagni e dello scrivente è che Jan Wouters non sia mai riuscito ad essere “velenoso” in panchina come lo era sul terreno di gioco da calciatore.
Prospettive diverse, atteggiamenti diversi.
A prescindere dalle valutazioni personali il personaggio resta -al di là di qualche eccesso saltuario- di una simpatia unica.
Spontaneo, diretto, sincero.
Quando non ha a che fare con un pallone si diverte ad ascoltare musica, col suo mito Jim Morrison in perenne loop.
Gli sport di squadra sono i suoi preferiti, in TV.
Tifa Utrecht nel calcio e tutto ciò che è olandese nelle altre discipline sportive.
Segue il calcio femminile, con la figlia Rowan che lo ha praticato per un bel po’.
Adora gli animali, in particolar modo il suo cane Barney, che vive alle porte di Eindhoven con Jan e la moglie Mathilde.
Un altro aspetto che me lo rende degno di apprezzamento è il come ha saputo gestire la sua evoluzione personale, nell’arco del tempo.
Quando Cruijff lo portò ad Amsterdam, Jan Wouters rimase lo stesso giocatore dell’Utrecht.
Nessuna fuoriserie, nessuna lussuosa dimora, nessun investimento per trucco e parrucco.
Provenendo da una famiglia di umili origini ha saputo mantenere un profilo basso, senza abbisognare del classico e triste riscatto sociale acquisito con assegni a multipli zeri.
Idem nei successivi passaggi di carriera e nei momenti di gloria.
Quando esordì in Nazionale, al termine della gara contro la Francia, tornò in campo e ci rimase per oltre venti minuti, andando avanti e indietro tra le due porte.
Si era perso una collanina regalatagli dalla sua fidanzata.
Si arrese sol quando gli venne in mente che poteva averla lasciata all’interno dei suoi abiti, nello spogliatoio.
E lì la ritrovò.
Era il suo esordio in maglia Orange e di collanine così ne avrebbe potute ricomprare una cinquantina il giorno dopo.
Ma Jan è un tipo viscerale, passionale, attaccato ai valori.
Quelli autentici.
E con uno smaccato senso dell’umorismo in aggiunta.
Insomma, è proprio uno di quelli come piacciono a me.
Jan Wouters: il leone di Utrecht.
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