- 1987
Icehouse – Man of Colours
Un bel gruppo, gli australiani Icehouse.
Il cantante Iva Davies è il carismatico leader della band -attiva ancora oggi- ed è anche l’unico elemento della formazione originaria, quella che iniziò nel 1977 ad affacciarsi sulla scena rock nazionale e che poi, man mano, ha saputo conquistarsi un seguito importante pure in Europa, finendo per aumentare soprattutto il numero dei partecipanti al progetto, oltre a quello dei fans.
Perché in effetti pur avendo ottenuto risultati degni di nota ed essersi messi in mostra in 3/4 del pianeta meritandosi l’ingresso nella Hall of Fame del proprio paese, i nostri amici australiani non hanno mai toccato la vera fama che, a parer mio e non solo, avrebbero meritato di raggiungere.
Il loro meglio lo hanno tirato fuori negli anni 80 e, parzialmente, nei 90, con almeno tre album oltre la media ed altri lavori che ne tratteggiano l’indubbio talento e la notevole cifra stilistica.
Nel 1987 danno alla stampe il sesto capitolo della propria discografia, l’ottimo Man of Colours, che in patria vende un botto e che grazie ad un discreto tour promozionale si fa conoscere ed apprezzare pure altrove, finanche nel vecchio continente.
Crazy |
Electric Blue |
Nothing Too Serious |
Man Of Colours |
Heartbreak Kid |
The Kingdom |
My Obsession |
Girl In The Moon |
Anybody’s War |
Sunrise |
10 tracce dal ritmo incessante, impregnate di piacevole melodia e di malinconico romanticismo.
Un sound tipicamente ottanta, con una bella sezione fiati che riporta alla memoria un senso di reale libertà e di leggerezza mai scialba, tutto ciò di cui oggi avremmo maledettamente bisogno.
Nostalgia e flashback, senza dubbio.
Man of Colours suona moderno, comunque, nonostante siano trascorsi oltre trent’anni dalla sua uscita sul mercato.
Pop nel vero senso della parola, con incursioni New Wave che la attenta produzione provvede a mettere accuratamente in risalto.
Il resto lo fa la voce di Iva, evocativa e persuasiva.
*Crazy apre le danze, da singolo aizza pubblico con riverberi di Bryan Adams e Bon Jovi che però sulle svolte romantico-rockettare arriveranno più tardi, finendo per aprirci conti in banca a parecchi zeri.
*Electric Blue vede la collaborazione nei testi di John Oates, dei celebri Hall & Oates.
Un pezzo tipico del periodo, che riporta alla memoria almeno una trentina di artisti del tempo e che, nonostante ciò, riesce a mantenere una propria identità e cogliere nel segno.
*Nothing Too Serious è una sfiziosissima ballata all’insegna di un battito sempre più energico e pulsante, mezzo country e mezzo rockabilly, una mistura in teoria inascoltabile e che invece alla fine funziona benissimo così.
*Man of Colours, la title track, è tra i migliori pezzi dell’album, con una garbata quanto profonda immersione nel viaggio musicale della band.
Un manifesto del talento che gli Icehouse posseggono ed una locandina di quanto Davies abbia una voce da frontman di grande livello.
*Heartbreak Kid è un brano che, pur non apparendo tra i migliori del lotto, finisce per contrassegnare un’epoca col suo incedere che trasporta nel decennio pop per eccellenza.
*The Kingdom è per il sottoscritto -uno che ne capisce, è bene ricordarlo- il momento top del disco e, probabilmente, tra i migliori in assoluto dell’intera discografia della band.
Un tappeto sonoro che contiene i migliori elementi presenti a fine secolo scorso e che tutt’oggi suona elegante, tonico, raffinato.
Il canto di Iva qui, ancor più che altrove, si sposa idilliacamente con testi e musiche e consegna all’ascoltatore un biglietto di sola andata per l’Eden sonoro.
Versione acustica e dal vivo: da brividi.
Versione classica in sala di registrazione e su vinile: idem.
*My Obsession è talmente ben prodotta da sembrare studiata per la classifica, piuttosto che per il disco stesso che la contiene.
Non male, ma non mi soffermerei oltre il dovuto.
*Girl In The Moon sembra una canzone dei Duran Duran scartata dai Duran Duran nella scelta del loro the best tra le b-sides mai pubblicate dai Duran Duran.
Non malaccio, ma passerei rapidamente oltre.
*Anybody’s War riporta su la pressione sanguigna, mediante bassi adeguati alla causa e sintetizzatori scatenati.
*Sunrise chiude l’opera in maniera apprezzabile, esprimendo una evidente ricerca musicale che per qualità ed andatura mi fa pensare a determinate cose dei Talk Talk (sempre siano lodati), mica pizza e fichi.
Iva Davies è una sorta di Jim Kerr meno bordellaro ma con lo spirito di Holly Johnson ad indiavolarne l’indole sensuale e sognante.
Uno che scrive, suona e canta e che, insieme ad i suoi compari, si è esibito nientepopodimeno in tournée con sua maestà David Bowie.
Oh, Bowie.
Ad Iva piaceva parecchio pure Bryan Ferry ed una telefonata per sapere se gli interessava partecipare a dei progetti comuni la ricevette anche da Peter Gabriel.
Stimava molto Lou Reed e David Byrne e tra gli umani apprezzava Simple Minds, Tears for Fears, INXS e Depeche Mode.
A livello religioso stravedeva invece per i Pink Floyd.
Vagli a dire qualcosa, sui gusti musicali.
Insieme al chitarrista Bob Kretschmer ha disegnato la copertina del disco, inoltre.
Man of Colours ha spopolato in Australia e dintorni, vendendo bene in Asia ed in USA e sbarcando in Europa in una fase in cui la concorrenza era a dir poco spietata, musicalmente parlando.
Rappresenta il punto di partenza ideale per riscoprire -o scoprire, nel caso- una band che nel proprio apogeo ha pubblicato lavori di sicuro interesse, per quanto in alcuni casi troppo tendenti alla ripetizione di alcuni passaggi.
Una sorta di autocompiacimento che si può notare pure in MoC, allorquando ad una parte iniziale che sforna in serie croccantissimi e deliziosi bomboloni alla crema si contrappone una fase finale che mette in tavola 2/3 cornetti mollicci e rinsecchiti che magari in altri contesti avrebbero potuto reggere la scena, a patto di non ribadire concetti espressi solo qualche minuto prima, ma che dopo una simile scorpacciata di gusto finiscono per stancare il già sazio utente vizioso, andando a riverberare situazioni già trattate e senza sfoderare la medesima qualità di partenza.
Otto pezzi e passa(va) la paura, insomma.
Calcolando che questo disco è stato il primo pubblicato nella terra dei canguri a tirare fuori ben cinque singoli, è facile intuire che le scelte commerciali abbiano soppiantato quelle artistiche.
D’altronde dinanzi alla vil moneta tutte le chiacchiere perdono importanza, purtroppo.
Va detto che Man of Colour non decade di valore per qualche episodio minore, per carità.
Resta un album da sentire e, ripeto, da utilizzare come grimaldello per tornare a respirare 80 a pieni polmoni ed approfondire questa band che anche dal vivo -grazie, amico Tubo- ha saputo regalare sprazzi di piacere e divertimento.
Poetico e lirico al tempo stesso, questo disco è un bel tuffo nei ricordi del cuore.
I testi non sempre sono maturi al punto giusto, a voler essere ulteriormente pignoli ed eccessivamente rompicoglioni, ma quando i suoni prendono il sopravvento e la voce di Davies scalda le anime, ecco che il gioco è fatto.
Al netto di qualche minuzia si può affermare con autorevole (cit.) convinzione che i premi riscossi e i tanti apprezzamenti ricevuti in giro per il mondo siano stati meritati.
Tutti.
Icehouse – Man of Colours: 7,5
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