- Die Walz aus der Pfalz
Hans-Peter Briegel
Gordillo e Lerby, sì
Mi piacevano un casino.
Ma a sinistra ho una marea di cavalloni che mi son rimasti nel cuore.
Come Hans-Peter Briegel.
“Die Walz aus der Pfalz“, il rullo del Palatinato.
Personaggio unico.
Briegel è tedesco nel corpo, nella mente, nell’anima.
Lo vedi e pensi: è tedesco.
E come ti sbagli?
Impossibile.
1955, Rodenbach, ad una decina di chilometri dalla città di Kaiserslautern, Germania sud-occidentale.
Qui la famiglia Briegel possiede una bella fattoria con un grande appezzamento di terra intorno.
Il piccolo Hans-Peter cresce correndo nel podere e mangiando sano ed abbondante.
Piccolo si fa per dire, datosi che già da giovanissimo mostra un fisico che pare progettato da Madre Natura per farne uno sportivo di razza.
L’atletica lo attira parecchio: tra i campi corre come un ossesso, salta con facilità ogni ostacolo, sfida e batte tutti i compagnucci della zona.
A scuola se la cava altrettanto bene.
Durante l’adolescenza inizia a praticare salto in lungo e salto triplo.
Risultati interessanti, con svariati primati regionali e ben otto titoli nazionali nella categoria juniores, dove brilla anche nel pentathlon.
Viene testato pure nella corsa, nei 100 e 200 metri e negli ostacoli.
Poi, intorno ai 16 anni, i tecnici federali gli suggeriscono di dedicarsi al decathlon: è un atleta completo, con doti di assoluto rilievo, ma non eccelle nel salto con l’asta e nel giavellotto.
Limiti considerevoli, per arrivare sino in fondo in codesta disciplina.
Hans-Peter non ne fa una tragedia: è giovane, ma ha un carattere forte e dalla personalità già ben forgiata.
Si concentra nel corso di perito meccanico, che lo incuriosisce ed appassiona.
Continua anche a praticare sport e, casualmente, si imbatte in una allegra comitiva di amici che si ritrova spesso per giocare a Calcio.
Diventa un accanito sostenitore del Kaiserslautern ed inizia a divertirsi nelle partitelle.
A 17 anni qualcuno lo segnala ai dirigenti del Rodenbach, i quali sono perplessi dall’età del ragazzo, quasi maggiorenne.
Tecnica ignobile, attitudine difensiva prossima allo zero, intelligenza tattica assente.
Ma corsa e potenza da top player.
La partitella del giovedì, nella quale HP viene testato, diventa il suo biglietto d’ingresso nel mondo del Calcio.
Impressiona per forza ed ardore e dopo alcuni mesi arriva la certificazione ufficiale sul fatto che non sia un bluff: Ribbeck, l’allenatore del Kaiserslautern, riceve una “informativa” dal responsabile delle giovanili, Udo Sopp.
Quest’ultimo ha studiato teologia, è stato in seminario, ama il pallone e Dio più di ogni altra cosa.
Ha preso informazioni su Briegel ed in un paio di circostanze lo ha visionato di persona: ragazzo d’oro, generoso, potente, dinamico.
Lo propone a Ribbeck, per inserirlo nella compagine delle riserve e poi provare a lanciarlo in prima squadra.
Ed il tecnico, dopo aver visionato il giocatore, acconsente all’acquisto.
Briegel firma il suo primo contratto da semi-professionista con una società che a metà degli anni 70 staziona nelle zone alte della graduatoria germanica.
Dopo un po’ di necessario apprendistato, esordisce in Bundesliga nel 1975, ad aprile, in un battesimo di fuoco contro il Bayern Monaco, Campione d’Europa in carica.
Arriva una sconfitta per 4-3, ma Hans-Peter si guadagna la pagnotta e fino al termine del torneo diventa titolare, trascinando i suoi alla qualificazione in Coppa Uefa e realizzando anche una rete, contro il Fortuna Dusseldorf, nella penultima giornata del campionato.
Nella successiva annata le presenze raddoppiano, per poi divenire una consuetudine.
Briegel si conquista il posto a forza di ottime prestazioni e di una costanza di rendimento degna di nota.
Salta la finale di Coppa di Germania che la sua squadra perde in campo neutro a Francoforte, contro l’Amburgo, per 2-0.
Col Kaiserlslautern partecipa a nove tornei di Germania, migliorando di anno in anno il proprio score ed il succitato rendimento.
Indice di carattere, professionalità, impegno.
Mentalità e forza fisica allo stato brado, ma anche una capacità di inserimento che consente al giocatore di segnare spesso, addirittura 13 reti in una sola stagione.
Numeri importanti, conditi dalla convocazione in Nazionale maggiore, giunta alla fine degli anni 70, giusto in tempo per entrare a far parte del gruppo che andrà a vincere gli Europei in Italia, nel 1980.
Dove gioca da titolare anche la finale, contro il Belgio, uscendo ad inizio ripresa ed entrando a pieno titolo nel novero dei Campioni d’Europa.
Stessa storia ma esito diverso ai Mondiali del 1982, in Spagna.
In finale gioca tutta la gara, stavolta, ma a trionfare -olé- è l’Italia di Bearzot.
Sono lontani i tempi in cui i tifosi del Kaiserslautern lo invitavano a tornare nei campi, a coltivare patate.
Hans-Peter Briegel si era pure convinto ad assecondarne i desideri, salvo poi cambiare idea ed imporsi tra i calciatori più amati dalla propria tifoseria.
Un idolo, che dopo la rassegna spagnola riceve parecchie offerte per cambiare aria.
Proposte dalla stessa Germania, dalla Spagna, dall’Italia, dalla Francia.
Lui riflette.
Gli piacerebbe una esperienza all’estero, ma non vorrebbe allontanarsi troppo dagli affetti di famiglia.
Con la sua squadra di club le cose non vanno malaccio.
Dopo un paio di annate interlocutorie l’FCK si è stabilizzato nelle zone nobili della classifica, in patria.
In una circostanza è stato anche campione d’inverno, poi nelle fasi finali del torneo ha mollato la presa, finendo terzo.
I piazzamenti non sono comunque mancati: la qualificazione in Uefa è quasi un appuntamento fisso, sebbene senza esiti memorabili.
In una occasione elimina il Napoli dalla competizione, con un secco 2-0 in casa (HP in gol) ed un 2-1 in trasferta, col San Paolo che durante il pre-gara incita simpaticamente il panzer di Rodenbach ad intensificare il riscaldamento, nella speranza -poi rivelatasi vana- che si possa stancare prima del tempo, lasciando campo ai partenopei.
Nella DFB-Pokal, la Coppa di Germania, dopo la finale dl 1976 che Briegel non disputò, ne arriva un’altra nel 1981, contro l’Eintracht di Francoforte.
Si gioca a Stoccarda, Hans-Peter Briegel è titolare ma la sua compagine viene sconfitta per 3-1.
Nelle altre edizioni nessun risultato di rilievo, con varie eliminazioni a sorpresa nei turni preliminari e spesso contro modeste squadre di categorie inferiori.
Nel 1981 un roboante 5-0 al Real Madrid scuote l’Europa e mette Briegel nel mirino degli spagnoli, col tecnico Boskov che chiede ai suoi dirigenti di acquistare quel bisonte che ha sconquassato i suoi piani tattici.
Niente da fare.
Fino al 1984: l’FCK (Fußball-Club Kaiserslautern) chiude in Bundesliga poco sopra la zona retrocessione e decide di cambiare registro ed accettare le offerte che giungono per i suoi migliori elementi.
Inizia l’avventura italiana di Hans-Peter Briegel.
Bisogna fare un doveroso preambolo: nei primi mesi del 1984, durante un match interno del Verona, il patron della società scaligera, Chiampan, scambia qualche parola con Volker Schmidt, un Raiola ante litteram con una florida panza ed una scaltrezza inusuale nello scoprire talenti e nel suggerire operazioni lungimiranti sul calciomercato.
Chiampan odia i procuratori e con loro litiga un giorno sì e l’altro pure.
Schmidt gli risulta però simpatico e così gli lascia il numero telefonico che il tedesco segna accuratamente sulla propria agendina.
Al termine del campionato italiano Schmidt alza la cornetta ed invita Chiampan in Francia per gli Europei.
In quel periodo il veronese ha degli impegni Improcrastinabili con la Canon, la sua azienda, e decide di mandare al suo posto il fido amministratore delegato Rangogni, astuto ragioniere di mestiere ed abile conoscitore di Calcio per hobby, il quale fa comunella con il buon Schmidt e segnala ai suoi dirigenti i nomi del danese Elkjaer (cercato pure dal Milan) e del tedesco Briegel (del quale Schmidt detiene la procura), due cavalloni che passano la dogana dell’allenatore Bagnoli e del direttore sportivo Mascetti (che in realtà li aveva già adocchiati e visionati entrambi dal vivo) e vengono ingaggiati dai gialloblù.
Non costeranno pochissimo, ma si riveleranno due colpacci da primato.
In tutti i sensi.
Briegel, prima di firmare con i veneti, riceve una proposta dal Napoli.
Chiede alcuni giorni di tempo per pensarci, poi alza le pretese e la controparte mette nel mirino l’argentino Daniel Bertoni, che acquista dalla Fiorentina per aiutare il neo arrivato Maradona nell’ambientamento ai piedi del Vesuvio.
Tornando al nord, il Verona di Bagnoli meriterebbe uno spazio a sé.
Per farla breve, si fa per dire, ha una squadra forte.
Dopo essere tornato tornato in Serie A, nella stagione post Mondiale di Spagna ha centrato un sorprendente quarto posto, poi un altrettanto importante sesto.
Qualcuno sostiene che indovinando gli stranieri potrebbe azzardare ancor di più.
Il difensore polacco Żmuda e la punta scozzese Jordan, quest’ultimo preso per sostituire il funambolico brasiliano Dirceu, sono due buoni giocatori nonché colonne delle proprie Nazionali, ma il loro contributo alla causa risulta essere alquanto mediocre.
Żmuda è reduce da un infortunio grave curato con una operazione dall’esito iellato.
Jordan è timido, risente di alcuni problemi fisici e si ambienta poco e male.
Elkjaer e Briegel hanno il compito di non farli rimpiangere.
Il primo approda nella città di Giulietta in un clima di ottimismo: le sue caratteristiche paiono alquanto intriganti.
Il secondo genera qualche mugugno: ha giocato una finale mondiale, vero, ma molti sono convinti che con quel fisico ed in un torneo tecnico come quello italiano finirà per patire le pene dell’inferno e che i tre milioni di marchi (poco meno di due miliardi di lire) corrisposti ai tedeschi siano troppi per quel che vale.
Il teutonico risponde dal par suo, come sempre, è si presenta annullando letteralmente dal campo Diego Maradona, col quale ha rischiato di giocare insieme quel match, come detto.
Diego eh, non uno dei suoi fratelli.
Segna anche una rete, la prima dei suoi, che vincono per 3-1.
Segna pure alla seconda giornata, ad Ascoli, in una altra vittoria per 3-1.
Gli scaligeri non si fermano più e vanno a vincere un incredibile Scudetto, il primo e l’unico della propria storia.
Il portiere strambo Garella, il cavallo pazzo Elkjaer, il tenace mediano Volpati, l’imprevedibile geniaccio Fanna, il bomber tascabile Galderisi, il cervello di centrocampo Di Gennaro, l’insuperabile libero Tricella e tutti gli altri, comprimari inclusi, hanno partorito un incredibile miracolo.
E poi il grandissimo tecnico Bagnoli, umile e concreto, che ha plasmato un gruppo semplicemente perfetto, dove titolari e riserve si amalgamano e compattano all’unisono per raggiungere lo scopo.
Una dirigenza competente e lungimirante, col presidente Guidotti e il succitato patron Chiampan a gestire un team poco numeroso e molto valido.
E Hans-Peter Briegel?
Lui gioca da top e spazza via perplessità, pregiudizi ed avversari.
Diventa Fußballer des Jahres (Calciatore dell’anno) in patria, un risultato mai verificatosi prima d’allora per un giocatore che milita all’estero.
Maradona, Platini, Zico, Rummenigge, Socrates, Falcao, Junior e compagnia debbono inchinarsi alla potenza dell’Hellas, espressa dalla corsa indomabile di Elkjaer e dalla dirompenza fisica di Briegel.
Il tedesco è probabilmente il protagonista dei protagonisti, con ben 9 segnature ed una presenza fisica impressionante.
Hans-Peter gioca praticamente ovunque: soprattutto a centrocampo, dove l’allenatore Bagnoli tende a schierarlo per sfruttarne le impressionanti doti atletiche ed il conseguente impatto fisico.
Poi bisognerebbe finalmente dire che Briegel non è soltanto forza bruta.
La tecnica di base non è eccelsa, questo è vero.
Ma nel tempo è cresciuta, altroché.
Il ragazzo ha difatti la capacità di migliorarsi sempre, giorno dopo giorno.
Carattere d’acciaio, determinazione, tenacia.
Negli inserimenti è letale, sia col potente sinistro, sia con un colpo di testa che sembra un tiro effettuato di piede, per quanto è forte.
Ara la fascia sinistra in Nazionale ma nel Kaiserslautern agisce da difensore centrale puro, centravanti, terzino, mediano, GM e massaggiatore.
Nel Verona s’impone in mezzo al campo, da mediano, col compito di proteggere la difesa ed attaccare gli spazi, e da intermedio destro/sinistro, finendo in diverse occasioni per giostrare da mezzala, quando non da regista arretrato.
In pratica è ovunque.
Copre 3/4 di campo con il suo fiato infinito e con la sua spaventosa potenza muscolare.
Un jolly instancabile, continuo, tatticamente accorto, con un apparentemente insospettabile senso del gol.
E corretto, a dispetto delle apparenze, perché pur se aggressivo nella forma, si dimostra estremamente leale nella sostanza, venendo sanzionato rarissime volte in carriera.
Un limite?
Patisce i giocatori dal baricentro basso, se li incontra sulla fascia.
In mezzo riesce a contenerli col senso della posizione e sfruttando gli spazi maggiori e la sua progressione, mentre sulla banda laterale lo spunto di coloro ai quali deve naturalmente concedere scatto e slancio talvolta gli è letale.
Bagnoli, che a volte pareva che dormisse in panchina ma invece era un genio, gli risolse la pratica.
Kaiser Franz, che invece era un genio ma talvolta pareva che dormisse in panchina, no.
Così Hans-Peter Briegel spesso deve difendere e basta, come accade nella finale di Madrid contro l’Italia, quando soffre tremendamente Bruno Conti, sul quale commette anche un fallo sanzionato col calcio di rigore, poi fallito da Cabrini.
Oppure nella finale del Mondiale messicano, allorquando il rapido Burruchaga, lanciato dal Dio del Calcio, s’invola verso la porta tedesca lasciando ad HP in disperato recupero il suo numero di targa ed andando a trafiggere per la terza e decisiva volta Schumacher, assicurando in questo modo il trofeo iridato alla sua Argentina.
Perché si, il buon Briegel è sceso in campo -e da titolare- in ben due finali del Campionato del Mondo, purtroppo per lui perse e non giocate alla grande, oltre ad aver disputato – e vinto- quella degli Europei in Italia, anno 1980.
Agli Europei in Francia, nel 1984, è ancora una volta titolare, ma la Germania saluta la competizione durante la fase a gironi, prima delle semifinali.
Al termine della gara di Città del Messico vi è un episodio che a parer mio merita di essere raccontato perché pur nella comunità di interessi e porcherie varie che nel Calcio albergano da decenni, testimonia uno spessore umano che, quantomeno ad oggi, è completamente sparito dai radar, sia per chi ne racconta le gesta, sia per chi le vive sul terreno di gioco.
Accade che dopo il trionfo argentino Hans-Peter Briegel venga sorteggiato per sottoporsi ai controlli dell’antidoping.
Il giocatore è stanco e deluso: ha perso la seconda finale mondiale di seguito ed è consapevole che, a differenza di alcuni suoi compagni, per lui non ve ne sarà una terza.
In allenamento si era confrontato con Littbarski, per misurarsi contro un avversario lesto e dinamico, poi in finale gli era toccato a sorpresa di occuparsi del potente Valdano, autore di una rete, oltre ad aver sbagliato in prima persona il movimento del fuorigioco che sul lancio di Maradona apre le succitate vie della gloria a Burruchaga.
L’umore è quello che è, quindi, ma Hans-Peter si avvia a fare il suo dovere.
Entra nella stanza designata e si ritrova dinanzi a sé Maradona, sfinito in seguito ad una asfissiante ed opprimente marcatura a uomo da parte di Mattheus per 3/4 di match ma, nemmeno a dirlo, felice come una Pasqua.
Briegel lo saluta e si complimenta sinceramente con lui, da sportivo di razza.
I due iniziano a chiacchierare amabilmente, come fossero in un tranquillo bar di paese anziché nel sottopancia di uno stadio gigantesco ed al termine di uno degli eventi più importanti al Mondo.
Maradona ha problemi a svolgere la funzione, ecco.
Briegel idem come sopra.
Il tedesco allora, giovialmente, offre a Diego una birra analcolica, per facilitare la reciproca minzione.
Maradona accetta volentieri, ma a quel punto interviene il medico sociale argentino e stoppa il Pibe de Oro, spiegandogli che potrebbe essere un trucco per generare problematiche gravi che andrebbero a ripercuotersi sul risultato ottenuto in campo.
HP non si offende, comprende che la posizione del dottore è sulla difensiva e che, in fondo, sta semplicemente facendo il suo dovere.
Prende una delle due birre ed inizia a berla.
Maradona lo guarda, sorride, spiega al suo compatriota che è tutto ok e che conosce l’avversario da tempo.
Infine prende l’altra birra e la sorseggia insieme al teutonico.
Pochi minuti e si aprono le acque, sia per l’europeo che per il sudamericano.
Che resteranno amici a lungo, con una corrispondenza che diverrà un appuntamento fisso per anni, fin quando Diego inizierà a scollinare di capoccia ed avviarsi verso il baratro.
Maradona stringerà un rapporto molto intenso anche con Mattheus, per lui un vero amico, oltre che uno degli avversari che più stima in assoluto.
Altro Calcio, altri uomini.
Dopo il Mondiale Hans-Peter Briegel chiude la sua epopea in Nazionale.
Il C.T. Beckenbauer lo stima, per quanto in fase difensiva tenda a preferire un altro tipo di approccio tattico rispetto a quello solitamente espresso dal laterale veronese.
Lo ringrazia per tutto quel che ha dato ai colori tedeschi e gli spiega che in alcuni ruoli vuole svecchiare la squadra che proverà, riuscendoci, a vincere Italia 90.
HP non è logoro, ma capisce e saluta la compagnia senza rimpianti.
Già al termine della finale aveva manifestato l’idea di lasciare.
72 presenze, due Mondiali sfiorati, un Europeo vinto.
Altri firmerebbero col sangue per la metà del suo bottino.
Nel frattempo, a livello di club, è a scadenza di contratto col Verona.
La stagione post-Scudetto è andata male: l’euforia ha preso il sopravvento su tutto il resto, come ipotizzabile che fosse.
Gli scaligeri gli offrono il rinnovo ma la trattativa dura mesi e vive di stressanti alti e bassi, da ambo le parti.
Alla fine dell’estenuante mercanteggiamento Hans-Peter firma il rinnovo e poi, come da calciomercato che si rispetti, passa alla Sampdoria, che gli garantisce circa seicento milioni di lire a stagione, un centinaio all’anno in più rispetto all’offerta della sua ormai ex squadra.
Quest’ultima prova inutilmente a prendere lo svedese Stromberg dall’Atalanta, al suo posto.
Salvo poi prelevare dalla stessa Samp il terzino-mediano Galia, incluso nel pacchetto che con l’aggiunta di quasi quattro miliardi di lire erogati dai genovesi porta per l’appunto Briegel in maglia blucerchiata.
A Genova il giocatore sbarca per soldi, altrimenti non si sarebbe mai mosso dalla sua residenza di Bardolino, con vista sul Lago di Garda, dove ha parecchi amici e dove spesso passa a trovarlo il suo idolo Fritz Walter, autentico mito della storia sportiva del Kaiserslautern e campione del Mondo con la Germania Ovest ai Mondiali del 1954.
Fritz ha una moglie veneta e diventa tifoso del Verona, che segue costantemente.
In Italia vi è troppo sole per le sue condizioni fisiche che consigliano ombra e temperature miti, così Briegel apre l’enorme ombrellone sul terrazzo della villa e i due stanno ore ore a parlare di Calcio, di vita, del Palatinato, di tutto.
Boskov, che stravede per HP e lo avrebbe voluto al Real Madrid già anni prima, come raccontato, è pronto anche a sostituirsi alla gloria germanica come compagnia per il tè pomeridiano, pur di riuscire ad allenarlo.
HP arriva a pezzi, sottopeso e sfiancato da un virus intestinale che dopo il Mondiale lo ha debilitato per giorni e giorni.
Si riprende a forza di bagni nel bel mare ligure e resta sotto la Lanterna per due stagioni: nella prima ha un impatto notevole, al netto di qualche infortunio di troppo, contribuendo con le sue reti (sei) e le sue ottime prestazioni a trascinare la Samp -che nell’annata antecedente era scivolata nelle retrovie, a poca distanza dalla prima delle retrocesse- nelle zone alte della graduatoria.
Nello spareggio per accedere all’ultimo posto utile in Coppa Uefa, Hans-Peter Briegel gioca un buon match e coglie una clamorosa traversa nella prima frazione di gara.
Poi ai supplementari paga un pizzico di stanchezza e su una ripartenza dei rossoneri si perde Tassotti che vola sulla fascia e mette la sfera sulla testa di Massaro, per il gol che decide partita e qualificazione europea a favore dei rossoneri di Capello.
Nella seconda stagione segna meno (3) ma è più continuo e la Samp finisce quarta, stavolta pienamente in zona Uefa.
Le toccherà però disputare la Coppa delle Coppe, per sua fortuna, datosi che la compagine blucerchiata vince la Coppa Italia, imponendosi nel doppio confronto col Torino.
Briegel entra nel tabellino all’andata, con la rete del vantaggio dei suoi, prima del bis di Vialli per il 2-0 finale, mentre al ritorno è costretto ad abbandonare la contesa nel primo tempo, per infortunio.
Poco male, visto che la Samp passa al supplementare e lui mette in bacheca il terzo trofeo, dopo lo Scudetto col Verona ed il Campionato Europeo con la sua Germania Ovest.
In estate gli arrivano un paio di proposte per tornare a casa, ma Hans-Peter Briegel -a sorpresa- annuncia il ritiro dall’attività agonistica.
Spiega che quella imponente muscolatura che nel Calcio gli ha consentito di farsi un nome, beh, inizia a scricchiolare.
Da un paio di stagioni a questa parte gli infortuni, pur non essendo gravi, lo costringono a fermarsi più spesso di quanto vorrebbe.
E il recupero, sebbene abbia 33 anni e non 57, inizia ad essere problematico.
Inoltre le autorità calcistiche internazionali hanno deciso di rendere obbligatori i parastinchi, di lì a breve.
Hans-Peter non potrebbe mai sopportare l’idea di doverli indossare e coprire così quelle magnifiche aste giunoniche da carro armato.
Un segno del destino: è l’ora dell’addio.
La federazione tedesca, che non gli aveva concesso di organizzare una partita di addio alla Nazionale, a fine anni 80, questa volta non si oppone e a Kaiserslautern (dove, altrimenti?) va in scena un incontro tra il club del Palatinato ed una selezione di campioni tedeschi ed internazionali: Rummenigge, Stielike, Altobelli, Antognoni, Gentile, Camacho, Juanito e tanti altri.
Hans-Peter Briegel è contento come un bambino e ringrazia tutti gli astanti, amici e tifosi.
Mentre sta disfacendo le valigie del trasloco da Genova gli arriva una offerta dal Glarus, seconda serie svizzera.
Giocatore di esperienza, quando se la sente, ed allenatore in rampa di lancio.
La proposta è intrigante e la accetta, rimettendosi gli scarpini da gioco dopo alcuni mesi di relax ed accomodandosi per la prima volta su una panchina col compito di governarne i destini.
Un triennio altalenante, poi un paio di avventure non esaltanti nelle divisioni minori tedesche.
Nel luglio del 1996 si libera la posizione di DS al Kaiserslautern e qualcuno della dirigenza pensa a lui.
Il tempo di arrivare in sede e firmare il contratto e Hans-Peter Briegel torna all’ovile.
Una quindicina di mesi di lavoro, prima delle irrevocabili dimissioni a causa di incompatibilità caratteriali con alcuni membri della società.
La stazione successiva è nella bella cittadina di Treviri, con l’Eintracht Trier 05 che offre ad HP un contratto, sempre come DS.
Non va benissimo, in quanto Briegel si sente allenatore, più che dirigente.
Ne parla col suo mentore Feldkamp, suo tecnico ad inizio carriera, e l’altro, che allena in Turchia, gli propone di seguirlo, facendogli da vice.
“Perché no?”, pensa il nostro.
In terra ottomana vive un discreto triennio, passando da vice a capo allenatore del Besiktas -buoni piazzamenti- e poi guidando il Trabzonspor, in una stagione alquanto travagliata.
Qualche mese nel consiglio di amministrazione dell’immancabile Kaiserslautern e finalmente a Briegel giunge la chiamata che aspettava: dall’Albania i dirigenti locali gli propongono la panchina della Nazionale, per rilanciarla in vista degli impegni internazionali.
Si rivelerà una scelta azzeccata: Hans-Peter ottiene risultati di rilievo, sconfigge la Grecia Campione d’Europa in carica e la Russia e diventa un mito, da quelle parti.
Molti bambini vengono chiamati col suo nome, in segno di stima ed apprezzamento per ciò che riesce ad ottenere con le aquile albanesi, ed in cambio riceve pure parecchi benefit di carattere economico e sociale, vivendo da pascià e con tutti gli onori.
Dopo un quadriennio l’idillio si interrompe e le successive esperienze in Bahrain, alla guida della Nazionale locale, ed in Turchia, sulla panca dell’Ankaragücü, finiscono per rappresentare il canto del cigno di una carriera che, come allenatore, non sarà all’altezza di quella vissuta da giocatore.
Oggi Hans-Peter Briegel si dedica ad attività di beneficenza unitamente alla adorata moglie Petra, in particolar modo gestendo un ente -da lui fondato anni or sono- che assiste i poveri, soprattutto bambini in Messico, dove durante il Mondiale del 1986 il calciatore tedesco era rimasto particolarmente colpito dalle assurde condizioni di vita di gran parte della popolazione del luogo.
Vive a Germersheim (Palatinato, naturalmente), pittoresca cittadina che ha dato i natali alla sua signora e non distante da Kaiserslautern, dove abita Sandro, uno dei due figli della coppia.
Simpaticissimo ed autoironico come pochi altri suoi colleghi nel mondo della pedata, Hans-Peter Briegel collabora con il Lotto tedesco ed ha vari altri interessi imprenditoriali.
Segue il Calcio, in particolar modo le squadre dove ha militato.
E viaggia, quando può.
Adora viaggiare, per essere precisi.
Torna spesso in Italia.
Ama il nostro paese e a Verona ha lasciato il cuore.
Lì, ancora oggi, è considerato un Re.
E lo sarà per sempre.
Su di lui pochi avrebbero scommesso un marco, invece con la tenacia e con l’impegno è entrato nella Storia del Calcio.
E con pieno merito.
Hans-Peter Briegel: “Die Walz aus der Pfalz”.
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