- 1997
GusGus – Polydistortion
Negli ultimi anni dello scorso secolo sul mercato discografico è comparsa una marea di roba buona.
Ma buona per davvero, oh.
Ottima, anzi.
Lo abbiamo scritto spesso, su queste pagine.
E si è raccontato di parecchie emozioni musicali degne di nota.
Una di esse, senza dubbio alcuno, riguarda un bel disco uscito nella fresca primavera del 1997 per la 4AD, briosa etichetta indipendente britannica facente capo -all’epoca- al poliedrico artista Ivo Watts-Russell.
Trattasi di Polydistortion, secondo lavoro in studio degli islandesi GusGus.
In realtà nel disco vi sono parecchie chicche già pubblicate in precedenza, diverse delle quali presenti nel primo album della band, omonimo, dato alle stampe un paio di anni prima.
I GusGus nascono come un ensemble che unitamente alla musica, maggiormente connessa all’elettronica ed alla sperimentazione, intende espandere lo spazio sensoriale anche ad esperienze quali il cinema, il teatro e l’arte in tutte le sue forme espressive.
Polydistortion è il risultato di tutto ciò e di un entusiasmo che pur non essendo ancora supportato da quel “mestiere” che soltanto il tempo e l’esperienza possono regalare, offre un coacervo di spunti di assoluto interesse e genera molta curiosità che man mano aumenta con gli ascolti.
Tracklist ⬇
Oh (Edit) | 1:17 |
Gun | 6:08 |
Believe | 7:18 |
Polyesterday | 4:52 |
Barry | 5:58 |
Cold Breath ’79 | 6:43 |
Why? | 4:04 |
Remembrance | 8:07 |
Is Jesus Your Pal? | 3:34 |
Purple | 8:02 |
Polybackwards | 5:01 |
Undici tracce per un’ora di intensa trasvolata sulle rotte sonore islandesi, intrise di passione e misticità in una terra che -volente o nolente- è al di fuori dei classici itinerari, sia geografici che, giocoforza, anche acustici.
Ho passato circa sei anni, in Islanda.
Potrei parlarne per ore.
E magari lo farò, a Dio (o chi per lui) piacendo.
Tornando ai GusGus, nel 1997 sono una decina di loro a cimentarsi nella genesi di Polydistortion.
Curano pure la produzione dell’album, avvalendosi della preziosa collaborazione del bravo Mark Bell, già all’opera con la loro connazionale Bjork e con altri nomi di spicco quali Depeche Mode e Paul Oakenfold.
*Believe è il passaggio più noto del lotto e vede la luce “appoggiandosi” al campione di Jungle Jazz, pezzo degli anni settanta dei mitici Kool & the Gang.
Esce come secondo singolo, poco prima della pubblicazione del disco, ed intriga subito l’ascoltatore col suo sound a metà tra il funk onirico e l’altalenante ritmica del miglior Grooverider e la stilosa e languida sofisticatezza del DJ Cam d’annata.
*Polyesterday, lanciato come singolo d’apertura, rilassa e tende a domare i sensi con le sue atmosfere jazz ed un cantato che pare provenire da pianeti ancora inesplorati.
Mi piace parecchio e lo metto sul podio ideale, medaglia di bronzo.
*Barry, il terzo ed ultimo singolo del disco, ha un basso irresistibile che, da solo, varrebbe già l’acquisto dell’intero pacchetto.
I singoli ce li siamo tolti dai coglioni, si fa per dire.
Proseguiamo.
-Il brano migliore dell’album, a parere del sottoscritto che ne capisce una cifra (scherzo, eh), è *Remembrance: gelida e rovente nello stesso, esatto, momento.
La voce di Magnùs Jonsson traccia solchi indelebili nell’anima attraverso un sound pressoché darkwave ed un testo semplice eppure fottutamente profondo.
Stupenda.
*Bella pure Is Jesus Your Pal?, mutuata dai compatrioti Slowblow, con la suadente interpretazione di Emiliana Torrini -padre napoletano e madre islandese- che è protagonista di una nenia minimale ma irresistibilmente toccante.
*Why, con la Torrini ancora al centro della scena, è una ballata che, quantomeno apparentemente, si avvicina al formato canzone di un opera pop, con l’elettronica in secondo piano ed una melodia sussurrata, flemmatica, torbida.
Niente male, altroché.
*Cold Breath ’79, interpretata da una giovanissima Hafdís Huld, spiazza e, nel contempo, anestetizza, con un tappeto elettronico di inusitata eleganza ed un falsetto vocale a metà tra la colonna sonora di un fantascientifico degli anni quaranta ed un horror del miglior Dario Argento che fu.
Pezzone notevolissimo e piazza d’onore della graduatoria corcioniana.
*Purple è un bizzarro esercizio di techno, tendente all’acid e con una connotazione ipnotica che lo posiziona, nella mia fervente immaginazione, al centro del Berghain di Berlino durante una piovigginosa serata invernale.
*Gun è trip hop di quello buono, alla Tricky (quando è ispirato, certo) con un pizzico di Portishead a contorno: e Vi pare poco?
*Oh è un intro stralunato, che campiona un passaggio di Arthur Lyman, il “Re della Musica Lounge”.
*Polybackwards è invece la traccia che chiude il disco, peraltro nascosta, come d’attitudine modaiola del periodo.
Parecchi sono stati i remix e le edizioni ampliate con in aggiunta altre tracce, alcune -ribadisco- provenienti dal primo disco della band.
Talvolta le voci, soprattutto quelle femminili, interpretano più pezzi in momenti diversi, finendo per generare un tourbillon di commenti e dubbi a riguardo di chi stia effettivamente cantando, oltre che suonando, mixando e tutto quel che ne consegue.
Perché il progetto GusGus è un continuo work in progress, senza sosta, che negli anni è proseguito con impegno e foga.
Tra le “cosucce” di cui sopra merita una segnalazione Polydistortion, brano omonimo, pubblicato per l’appunto tempo dopo.
Ambient, in pratica.
E molto raffinato, davvero.
Depeche Mode, Shalamar, Prodigy, Sex Pistol, Carl Craig, Prince, Daft Punk, Barry White: il passato ed il presente albergano in Polydistortion, amalgamandosi sino a riscrivere le regole del gioco, sovvertendo i protocolli in vigore ed andando a (ri)creare quella che è a tutti gli effetti una sorta di inedita prammatica musicale.
Il tentativo è indubbiamente ambizioso.
I GusGus osano e lo fanno con stile e coraggio.
Senza alcuna imposizione, però: piuttosto con il candore di chi ha voglia di sperimentare ed espandere i propri orizzonti, facendoli magari coincidere con una evoluzione complessiva, datosi che discorriamo di un collettivo.
Il risultato, come detto, finisce per superare le aspettative ed allargare le prospettive ed i confini ben oltre le intenzioni di partenza.
"Lay me by your side.
Lay me where you need.
And I'll be there, shining on you..."
GusGus - Remembrance
Questo disco ha il merito di sprigionare energia allo stato brado e dilatare la percezione di un genere, quello elettronico, che vive esattamente di questo, cioè dell’elaborazione continua del suono.
Di beat o di groove che sia, l’album viaggia sicuro verso mete indefinite ed indefinibili.
E credo che questo sia il suo segreto principale.
Avvince, mentre lo scopri.
E ad ogni ascolto, ecco una nuova scoperta.
L’antitesi della noia.
Il che, per un disco di musica elettronica e non mi stancherò mai di ripeterlo, è la chiave del successo.
Mi fecero compagnia nella Berlino che fu, insieme ad un’altra marea di dischi.
Poi li ho un po’ persi di vista, i GusGus.
Per assurdo ancor di più dopo essermi trasferito in Islanda.
Loro hanno continuato a produrre musica, modificando spesso il team d’azione e seguitando a sviscerare le più varie forme d’arte.
Qualcosa ho sentito, ma non abbastanza per esprimermi adeguatamente (si fa per dire) a riguardo.
Ci proverò.
Per il momento rimetto su Polydistortion e salgo sulla navicella spaziale, direzione infinito.
Gran bel disco, assolutamente.
GusGus – Polydistortion: 8
V74