- Il pupillo di Otto
Gunnar Sauer
Nella rubrica “il libero tedesco” non può mancare una menzione per uno dei migliori interpreti del ruolo degli anni 90, quel Gunnar Sauer protagonista dell’epopea Werder Brema ed al quale soltanto una considerevole dose di sfortuna ha negato una carriera ancor più luminosa.
Gunnar nasce a Cuxhaven, in Bassa Sassonia, a pochi passi dal gelido e tempestoso Mare del Nord.
Siamo in una bella zona della Germania settentrionale e nell’Anno Domini 1964.
Lui porta ancora il grembiule scolastico quando entra nella scuola calcio del Cuxhavener SV, per la gioia dei suoi che lo vedono praticare attività sportiva e studiare e nel contempo lo possono tenere sotto controllo, datosi che i campi di allenamento distano poco meno di qualche chilometro dal giardino di casa Sauer.
Gunnar è un ragazzino particolarmente attivo, curioso e ben educato, con uno spirito competitivo che ne lascia già intravedere le future doti agonistiche.
A soli 15 anni viene ammesso nel settore giovanile del Werder Brema, in seguito ad una segnalazione.
Evidentemente agli osservatori del club anseatico non sono sfuggite le virtù palesate dal ragazzo, che promette bene e che pure fisicamente è ben impostato, nonostante la giovanissima età.
Nel Werder cresce e matura a vista d’occhio.
Gioca come centrale difensivo e, saltuariamente, come centrocampista.
Ha un piede educato, buon tempismo e parecchia tigna: i suoi tecnici sono convinti che possegga tutte le carte in regola per ambire all’esordio con la prima squadra.
La trafila prosegue nella Under 19, il primo step di una certa importanza.
Appena maggiorenne arriva il passaggio nella seconda squadra del Werder, che milita nella Lega Regionale e gioca le proprie gare interne nel piccolo e sfizioso Weserstadion Platz 11, vicinissimo al “fratello maggiore” che ospita i match della prima squadra.
Visitai il comprensorio del centro sportivo di Brema qualche anno fa: bellissima città e Stadio e dintorni altrettanto suggestivi.
Tornando a noi: Gunnar diventa una colonna del Werder II che in quegli anni vince due volte il campionato, inframezzando i successi di cui sopra con un altrettanto valido secondo posto.
A causa del regolamento di lega che non prevede per le compagini di riserva l’ingresso nel comparto professionistico, la squadra non può festeggiare la promozione in seconda serie e deve ripartire nuovamente dal livello inferiore.
Poco male per Sauer, ormai pronto ad esordire con i “grandi”, in Bundesliga.
Nel torneo 1983-84 arriva il momento tanto atteso: ultima giornata, giugno del 1985, a Dortmund.
Il Borussia sconfigge il Werder per 2-0 e Gunnar entra in campo ad una decina di minuti dal fischio finale, con i biancoverdi che ormai non possono più raggiungere il Bayer Monaco di Lattek, Campione di Germania.
Dodici mesi più tardi solo la scalogna nega ai bianco-verdi la vittoria in Bundesliga: infatti un penalty sbagliato da un fino ad allora impeccabile rigorista (Kutzop) nello scontro diretto a pochi istanti dal termine nella penultima partita frena la corsa degli anseatici, poi inopinatamente sconfitti all’ultima giornata a Stoccarda a sancire, per la differenza reti, il primato finale del solito Bayern, che si riappropria dello “Scudetto” dopo essere ormai entrato nell’ordine di idee di doverlo cedere ai rivali.
Gunnar Sauer mette a referto un unico gettone, ancora una volta da subentrato, in una vittoria esterna contro il Bochum.
Il Werder Brema è allenato dal santone Otto Rehhagel.
Un maestro di Calcio ed un genialoide della panca, il quale si convince che è ora di cambiare registro, per tentare di vincere finalmente il campionato: inserisce in rosa nuova linfa vitale e punta maggiormente sul gioco di squadra, con alcuni accorgimenti tattici che possano migliorare l’assetto del team e donare maggiore equilibrio in fase di non possesso.
Al primo anno gli esperimenti non danno frutti eccelsi.
Al secondo salutano due pezzi da novanta come Pezzey, che torna in patria, e Völler, ceduto alla Roma.
Al loro posto si trasferiscono a Brema il grintoso difensore Borowka ed il forte attaccante Riedle.
Viene inoltre sfoltita la rosa, trasferendo nelle serie minori diversi elementi che non hanno trovato spazio negli ultimi mesi.
Il gruppo, coeso e forte, dovrà essere l’arma vincente del Werder.
Il piano del tecnico è evidente: solo lavorando tutti uniti e con fortissime motivazioni sarà possibile scardinare il muro bavarese e andarsi a prendere ciò che un paio di stagioni prima era stato gettato via in modo allucinante.
E funziona, codesto piano.
Eccome.
Il progetto si rivela vincente, in quanto a maggio il Werder vince la Deutsche Meisterschale davanti al Bayern.
Una vittoria storica, la seconda per gli anseatici, ottenuta con merito e tenacia.
E il buon Gunner?
Da un paio di stagioni è titolare e nella cavalcata che porta il WB ad alzare la mitica Meisterschale è assolutamente decisivo.
Prestazioni impeccabili unite ad una continuità di rendimento impressionante.
Libero, dinanzi all’affidabile portiere Reck e alle spalle del sopracitato Borowka e del norvegese Bratseth, forma un reparto difensivo di grande solidità, con il bravo mediano Votava a proteggere ulteriormente il fortino dalle incursioni nemiche.
In avanti ci pensano Riedle e compagnia a risolvere la pratica.
Rehhagel cementa la comitiva con mano ferma e sapiente.
Gli aneddoti a riguardo si sprecano.
Lo stesso Gunnar racconta che essendo lui in quel periodo ancora scapolo, la sera tendeva a far più tardi del solito.
Otto lo controllava come un padre premuroso, dandogli piena libertà ma pretendendo il massimo impegno negli allenamenti ed in gara.
Gli sgarri alimentari erano spesso ammessi, quelli di concentrazione no.
Assolutamente no.
Altri tempi, altro calcio.
Anzi: Calcio.
Basti pensare ad un aneddoto che illustra il rigoroso rispetto dei ruoli vigente nello spogliatoio teutonico: il Werder Brema acquista dal Bochum il laterale sinistro Thorsten Legat, discreto giocatore che contribuirà a diversi trionfi del team, per poi riciclarsi come personaggio televisivo al termine dell’attività agonistica.
Al raduno della squadra si presenta con una Porsche fiammante.
Rehhagel gli si avvicina, lo saluta cordialmente e gli dà il benvenuto.
Poi lo prende da parte, con fare deciso ed intriso di cameratismo calcistico:
“Caro, davvero una bella auto.
Complimenti.
Ma è una Porsche.
E qui soltanto uno può girare in Porsche: il sottoscritto.”
Il giorno dopo, per recarsi agli allenamenti, Legat chiede in prestito alla moglie l’utilitaria di famiglia (una sgangherata Peugeot 205) e diventa un biancoverde a tutti gli effetti.
Sfumature assurde ed uniche.
Altro Calcio, come detto.
Gunnar Sauer guida invece una Mercedes ed è l’unico lusso che si concede.
Si tratta di un ragazzo posato, a modo, molto serio.
E di un difensore forte.
Ha fisico, ottima tecnica e dirige le operazioni con personalità.
Riesce a chiudere tutti i varchi con elegante tempismo ed è solerte nel far ripartire l’azione con appoggi precisi e lanci millimetrici che accendono i suoi compagni e sorprendono gli avversari.
Ha una visione di gioco davvero notevole, da regista arretrato.
Tatticamente è accorto e raramente azzarda giocate pericolose.
D’esterno calcia come una mezzapunta ed dispone di un tiro (destro) potente e preciso.
Corretto ed altruista, si dimostra elemento di estrema affidabilità e tessera fondamentale di un mosaico quasi perfetto.
Se la cava in vari moduli ed anche in marcatura, quando chiamato in causa, fermo restando che per caratteristiche intrinseche Gunnar Sauer è un libero classico a tutti gli effetti.
Non è un fulmine e di guerra, però compensa col senso della posizione.
Oltre al campionato del 1988 Gunnar vince a Brema anche quello del 1993, la Coppa di Germania nel 1991 e 1994, la Supercoppa Tedesca nel 1988, 1993 e 1994 e, soprattutto, la Coppa delle Coppe nel 1992.
Un palmares di tutto rispetto, altroché.
Purtroppo nella maggior parte delle finali Sauer non è presente.
Il giocatore manifesta infatti una preoccupante tendenza ad infortunarsi che, ad un certo punto, diventa letteralmente cronica.
Tutto ha inizio poco prima della partenza per le Olimpiadi del 1988, in Corea del Sud.
Il giorno antecedente alla partenza per Seoul, in una gara contro il Bayern Monaco, Gunnar risente di un infortunio al piede.
Apparentemente nulla che possa comprometterne la convocazione per la kermesse intercontinentale.
Infatti lo staff sanitario della Nazionale lo visita e gli concede l’autorizzazione a salire sull’aereo che conduce la spedizione tedesca in Asia, ove a trionfare sarà l’Unione Sovietica.
La Germania Ovest esce ai rigori col Brasile, in semifinale, e conquista un onorevole terzo posto dopo aver battuto nella finale di consolazione l’Italia.
Hannes Löhr, l’allenatore germanico, punta su Sauer ma alla fine non può schierarlo.
Il colpo subito si rivela più grave del previsto e lo tiene fuori per oltre quattro mesi.
Fosse finita lì, mezza pena, come si suol dire.
Ma è circa un triennio dopo che la situazione precipita: il Werder Brema sconfigge il Colonia nella finale di Coppa di Germania, imponendosi ai calci di rigore.
Gunnar festeggia con i compagni, dimenticando il dolore per una botta rimediata nei minuti finali della sfida.
Il giorno successivo il dolore è ancora più intenso e così il ragazzo si reca in clinica, per i controlli di rito: la diagnosi è impietosa, in quanto evidenzia una frattura al tallone d’Achille.
Un punto che ancora oggi genera disagi allucinanti per uno sportivo professionista, nonostante i grandissimi progressi nella scienza medica.
Figuriamoci oltre trenta anni fa.
Inoltre, poiché “quando devi prenderlo in quel posto il vento ti alza la camicia“, la prima operazione va male, con la lesione che viene affrontata in modo errato ed un nervo che ne risulta compromesso, comportando una serie infinita di problematiche.
Serviranno altri tre interventi, un paziente lavoro fisioterapico, una volontà di ferro ed una degenza infinita per rimettere in sesto dapprima l’uomo, che fortunatamente torna a camminare senza patire dolori atroci, poi anche il calciatore che, nel frattempo, salta tre -dicasi tre- stagioni, in toto.
Perde anche l’opportunità della Nazionale, quando sembrava ormai entrato a far parte della squadra.
Agli Europei del 1988 il commissario tecnico Franz Beckenbauer lo convoca come riserva del titolare Herget, ma quando quest’ultimo si rompe -in semifinale, contro l’Olanda- Gunnar Sauer non è tra i panchinari e la Germania perde la gara, venendo eliminata.
Dopo, per quanto sia considerato il miglior libero in prospettiva della Bundesliga, con la sua condizione di sinistrato cronico è costretto a dire addio ai sogni di gloria.
Un peccato, per un giocatore veramente sfortunato.
Otto Rehhagel, che gli ha affibbiato il nomignolo di Re Sole in onore alla sua imponenza calcistica, non lo abbandona mai.
Lo paragona scherzosamente al mito Beckenbauer e si dice convinto che Gunner tornerà a calcare il manto erboso di Brema, prima o poi.
Va puntualmente come il vate aveva predetto, ma il tempo ha cambiato parecchie cose.
Gunnar non è e non può essere lo stesso giocatore di oltre tre anni prima.
Gioca pochi spezzoni di gara nel triennio successivo e capisce che è il momento di cambiare aria.
Lo stava facendo già una volta, in verità.
Prima degli Europei giocati in casa, nel 1988, il Borussia Dortmund si interessa ai suoi servigi.
Il Werder fiuta l’affare: il difensore proviene dal vivaio e pure se l’era moderna delle plusvalenze è ben lungi da venire, la cessione di un giocatore preso a costo zero è pur sempre un super affare.
Gunnar non ha un agente che ne cura gli interessi e va di persona a Dortmund a trattare il suo ingaggio.
Trova l’accordo, ma rimanda la firma del contratto al termine della competizione continentale.
I suoi problemi fisici complicano i piani ed il Borussia decide di chiudere per il suo coetaneo e compagno di squadra Ruländer, anch’egli destinato a combattere con infortuni alquanto fastidiosi.
Nell’estate del 1989 sarà il neopromosso (in A) Bari di Matarrese e Salvemini a tentare un approccio col Werder, ma l’offerta sarà ritenuta troppo bassa e verrà rispedita al mittente.
Gunnar Sauer lascerà Brema solo nel 1996, allorquando il suo mentore Rehhagel avrà abdicato in favore della ricca Baviera, trasferendosi al Bayern Monaco, e il suo allievo firmerà un contratto con l’Hertha di Berlino, in seconda serie.
Meno di una decina di gare, nella prima parte di stagione.
Dal rientro dalla pausa invernale fino a giugno, zero carbonella.
Ancora problematiche di ordine fisico, a limitarne l’apporto di esperienza ad un team che riesce comunque a centrare la promozione in Bundesliga.
Sauer invece resta in cadetteria e passa al VfB di Lipsia con cui riesce ad esordire solo dopo parecchi mesi, giocando una dozzina di partite ed incappando in una sfortunata retrocessione in Regionalliga, con un pareggio in casa all’ultima giornata nello scontro diretto che avrebbe potuto dare ai sassoni la salvezza.
Altro giro, altra corsa.
Nel 1998 Gunnar Sauer si riavvicina a casa e si accorda con il VfB Oldenburg, in Regionalliga.
Un’altra decina di match, una tranquilla salvezza e poi l’abbandono dell’attività.
Invero Gunnar ha già da tempo iniziato a pensare al futuro.
Si dedica alla sua famiglia -la moglie Veronika ed i figli Frederik e Louis- ed al settore imprenditoriale.
Diventa uno stimato agente immobiliare e si allontana dal mondo del calcio, quantomeno come addetto ai lavori.
Si diletta spesso con il tennis, che aveva praticato prima di dedicarsi al calcio e che ha praticato anche durante le poche pause che gli erano concesse nella sua saga professionale.
Di lui ricordo in special modo il feeling con il gol quando incontrava le squadre italiane: una rete, stupenda, rifilata al Napoli in Coppa Uefa, 1989, con un raffinatissimo lob a scavalcare il compianto portiere Giuliani.
Un altro super gol lo rifilò al Verona, un anno prima e sempre in Coppa Uefa, con una staffilata dalla distanza che, per coincidenza, beffò lo stesso Giuliani, in quel momento impegnato a difendere i pali degli scaligeri.
Andando a ritroso, pure in un’amichevole estiva con la Roma -1987- aveva timbrato il cartellino.
Se avesse giocato in Italia sarebbe diventato capocannoniere, a rigor di logica.
Un suo ammiratore conclamato è stato Gianni Mura, che ne ha tessuto di sovente le lodi e che lo riteneva molto più efficace rispetto ad altri suoi connazionali dai nomi altisonanti ma dalle prestazioni, a suo dire, abbastanza sopravvalutate.
Un bel difensore, insomma.
Molto sfortunato, purtroppo.
Ma come lui stesso ha ammesso al termine della carriera “Sulla salute non si può programmare nulla con certezza, ma per fortuna ora sto bene e ho una bella famiglia intorno. Nel calcio ho comunque vissuto momenti indimenticabili, ho guadagnato bene, mi sono divertito ed alla fine della fiera sono riuscito a reinventarmi in un altro lavoro che mi regala molte soddisfazioni. Penso che se non mi fossi infortunato con una tale frequenza forse sarei stato in grado di accumulare diversi gettoni di presenza, in Nazionale. Ma va bene anche così, assolutamente“.
Un uomo intelligente, oltre che un libero con i fiocchi.
Gunnar Sauer: il pupillo di Otto.
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