- Pino, Pino, Pino!
Giuseppe Pellicanò
Onomatopea, ovvero “una figura retorica che riproduce, attraverso i suoni linguistici di una determinata lingua, il rumore o il suono associato a un oggetto o a un soggetto a cui si vuole fare riferimento, mediante un procedimento iconico tipico del fonosimbolismo” (cit. wikipedia).
Nel calcio, per me, ha un suo perché.
Un perché simpatico e giocoso, s’intende.
E negli anni ottanta, quando il calcio era veramente tale, vi erano diversi calciatori che associavo a doti importanti in base al loro cognome ed al ruolo.
Da bambino e da ragazzetto ci stava, alla fine si trattava di un ingenuo passatempo che serviva anche a memorizzare alcune situazioni.
Pellicanò, col suo cognome alato ed il suolo di portiere, mi dava la sensazione di un giocatore in grado di volare da un palo all’altro per difendere il proprio fortino dagli assalti degli avversari.
Ed in effetti, al netto del giochetto onomatopeico, era esattamente ciò che accadeva sul terreno di gioco, in parecchie occasioni.
Partiamo dall’inizio, però.
Giuseppe Pellicanò, più tardi detto Pino, nasce a Reggio Calabria, nel marzo del 1954.
Suo padre è un ex calciatore, che anni addietro ha militato pure nel Venezia e che poi, per ragioni di ordine bellico, ha preferito entrare nelle Ferrovie dello Stato, ove svolge la mansione di cuccettista, cioè di addetto ai vagoni letto.
Uno dei mestieri che sognavo di fare da adulto, pensa te.
Ma questa è un’altra storia.
La madre di Pino è invece casalinga e si occupa di gestire una casa dove, oltre al maschietto, vivono altre due sorelle più grandi.
Pino è un ragazzino sveglio ed educato, che passa il suo tempo studiando e giocando a calcio nell’enorme cortile che si trova dinanzi alla sua abitazione.
Entra presto a far parte dell’oratorio di zona, dove è presente un campetto nel quale si diletta a correre dietro ad un pallone insieme ai suoi compagni.
La domenica serve messa, da chierichetto, e nel pomeriggio si scatena con gli amichetti in partitelle che attirano lo sguardo interessato dell’allenatore dell’Associazione Cattolica, una squadra che gioca nei dilettanti e che fa riferimento proprio all’ambiente dell’oratorio.
Pino è un difensore e se la cava bene nel suo ruolo.
Poi, un giorno, l’infortunio del portiere titolare crea un vuoto in rosa, in quanto anche il portiere di riserva non è in quel momento disponibile.
Pellicanò, più per sfizio che per convinzione, si propone per sostituirlo e nella prima gara in cui si diletta tra i pali para tutto il parabile, oltre a qualcosa di più.
Inutile aggiungere che in quel preciso istante prende il via quella che diverrà la carriera di uno dei migliori portieri della serie B che fu, negli anni ottanta.
Pino si mette in mostra per le sue doti atletiche e per la sorprendente serietà che mostra negli allenamenti, ancor di più in relazione alla sua giovanissima età.
Posato e nettamente più maturo dei suoi anni, viene presto attenzionato da compagini di categoria superiore.
La Juventus e la Fiorentina, in particolar modo, sono interessate ad acquisirne i servigi per inserirlo nei propri settori giovanili.
Il papà di Pino, che lo segue con fierezza e che spera di vederlo diventare un calciatore professionista, è entusiasta.
La madre, preoccupata di saperlo distante da casa ad appena quindici anni, molto meno.
Negli stessi giorni una delle sorelle di Giuseppe, che è bravissima nel canto, riceve una intrigante proposta di lavoro come corista del team di Mino Reitano, talentuoso cantautore calabrese che in quegli anni si sta imponendo nel panorama nazionale.
Il padre non acconsente nel farla trasferire a Roma, mentre non si oppone all’eventuale trasloco del figlio al nord.
La madre prova a sfruttare questa circostanza per rimandare la partenza di Pino, ma suo marito le fa notare che per una ragazza le cose sarebbero più complicate rispetto ad un maschietto, peraltro responsabile e coscienzioso.
Il discorso è piuttosto maschilista, altroché.
E forse pure egoistico, essendo il boss di casa un ex calciatore.
Fatto sta che dopo aver ottenuto pure il soffertissimo consenso materno, Pino parte alla volta di Firenze.
Il padre, che una volta a settimana lavora sulla tratta ferroviaria notturna Reggio Calabria-Firenze, si ferma per alcune ore nella città toscana, al fine di controllarne l’evoluzione sportiva ed umana.
La Fiorentina ha superato la concorrenza della Juventus offrendo alla famiglia del ragazzo un buon contratto di apprendistato, come si usa ai tempi, e mettendogli a disposizione strutture adeguate alla sua formazione calcistica e studentesca.
Pino ha definitivamente conquistato gli osservatori gigliati con delle notevoli prestazioni in un torneo con la Rappresentativa Calabrese degli Allievi, in quel di Sorrento, ove vince il premio di miglior portiere e scatena un’asta tra gli osservatori presenti, con i viola che convincono il presidente della società del reggino a lasciarlo partire per la Toscana, previa autorizzazione parentale.
Prima di salire sul treno per Firenze, Giuseppe Pellicanò saluta i suoi genitori alla stazione di Reggio Calabria.
“Ho dovuto smettere di giocare a calcio a causa della guerra, ma spero che tu possa arrivare in alto in questo meraviglioso sport.
Fortuna, impegno e bravura sono le componenti principali per diventare un vero professionista: la bravura c’è, l’impegno pure.
Ti auguro di avere con te un pizzico di buona sorte.
Dai tutto sino in fondo, poi mal che vada torni a casa e continui con gli studi.
Io ti sarò sempre accanto, ci vediamo tra una settimana“, le appassionate ed oneste parole del papà.
“Alla fine mi sono piegata alla volontà di tuo padre ed alla tua.
Cerca almeno di farmi stare tranquilla, per favore.
Ti ho sempre sgridato quando tornavi a casa con le scarpe rotte e le ginocchia sanguinanti, ma so bene cosa significhi per te giocare a calcio e sognare in grande.
Impegnati nello sport e nello studio, tesoro, ma non dimenticare mai di andare a messa la domenica o, se giocherai, di passare in Chiesa di sabato.
Prego per te e già mi manchi, figlio mio“, l’emozionante e tenerissimo commiato dalla mamma.
Pino sale sul convoglio e guarda il mare, che accompagna gran parte del percorso iniziale dalla Calabria in direzione del settentrione.
La notte arriva presto ed il giovane riflette sulla sua vita: il passato, fatto di famiglia ed amicizia, ed il futuro, che non sa cosa potrà riservargli ma che nei sogni di un giovanissimo è sempre foriero di cose belle.
Firenze non è proprio nord, ecco.
Diciamo che è l’ultimo avamposto del centro.
Ricordo le mie prime trasferte calcistiche, quando ancora i treni andavano a spinta.
Gli espressi pieni di gente che tornava a casa e/o emigrava, con i corridoi impregnati di fumo e di fragranze alimentari di ogni genere.
Vita vera e l’eccitazione di un giovane che per la propria squadra macinava chilometri, in un calcio che non era di certo lindo, ma che quantomeno ancora fingeva di avere dei valori.
Giuseppe Pellicanò arriva in una Fiorentina che bazzica le zone nobili della graduatoria.
Viene aggregato alle giovanili, con i tecnici della prima squadra che ne monitorano attentamente i progressi.
Lo svedese Nils Liedholm, il Barone, lo prende sotto la sua ala protettiva: intravede potenzialità importanti, nel ragazzo calabrese.
Spirito di sacrificio e fisico slanciato, per Pino.
Che osserva con occhi accorti Franco Superchi, titolare dei viola, provando a carpirgli qualche “segreto”.
A metà degli anni settanta sta per nascere tra i gigliati l’epopea di Antognoni, mentre De Sisti, Clerici, Galdiolo, Desolati ed altri ancora compongono l’asse portante del team.
Il giovane Pellicanò, dopo essersi ben disimpegnato con le giovanili viola, viene prestato ai concittadini della Rondinella Marzocco, una sorta di società satellite della Fiorentina, che milita in serie D.
Trentatré presenze e sedici reti subite, per Pino.
Seconda miglior difesa del girone e secondo posto finale per la Rondinella, a pari merito col Siena e e dietro alla corazzata Pistoiese, che vola in serie C.
Il calabrese gioca titolare e mostra un rendimento notevole, meritandosi il ritorno alla casa madre, con il nuovo tecnico Mazzone che lo relega però al ruolo di terzo portiere -peraltro insieme al giovane Saccardi- alle spalle del titolare Superchi e della riserva Mattolini.
Un’annata persa per il calciatore di Reggio Calabria, in pratica.
In estate la Fiorentina cede Superchi al Verona e promuove Mattolini come primo portiere, affiancandogli l’esperto Ginulfi (prelevato proprio dal Verona) come rincalzo.
Saccardi resta da terzo e Giuseppe Pellicanò passa in prestito al Montecatini, nuovamente in D.
E Pino fa il bis: secondo posto in classifica alle spalle del Prato, promosso in C, e stavolta miglior difesa del girone, a pari merito proprio col Prato.
Da protagonista assoluto, s’intende.
Il ragazzo ha stoffa e viene premiato col passaggio all’Empoli, in serie C.
La Fiorentina acconsente al prestito con opzione di rinnovo e l’Empoli gli affida subito le chiavi della propria porta, che l’estremo difensore protegge con cura e sicurezza.
Il sodalizio toscano, a fine annata, rinnova il prestito con la Fiorentina, come da accordi, ed ingaggia anche Saccardi dai viola, per fare da secondo ad un Pellicanò assolutamente inamovibile tra i pali.
Quindi al termine di due stagioni tutto sommato tranquille, sia per l’Empoli che per il suo portierone, la Fiorentina si convince a riportare a casa il ragazzo, spedendo in cambio in provincia il giovane Paradisi, anch’egli in prestito biennale.
A Firenze è iniziata intanto l’era di Giovanni Galli, estremo difensore di grande talento.
Pellicanò accetta di fargli da secondo, pur consapevole di essere in una età nella quale sarebbe meglio giocare spesso, ancor di più in un ruolo delicato come quello del pipelet.
Probabilmente spera in qualche opportunità per mettersi in mostra, ma Galli non gli concede neanche le briciole.
Identico esito dodici mesi più tardi, allorquando il buon Pino capisce che a Firenze rischia di non esordire manco da pensionato e sceglie così di recidere, suo malgrado, il cordone ombelicale con la società viola, mettendosi sul mercato.
La Fiorentina, che al suo posto richiama Paradisi dall’Empoli, andrà a sfiorare un clamoroso Scudetto, perso per un soffio e tra svariate polemiche nei confronti della Juventus, Campione d’Italia.
Giuseppe Pellicanò, cercato da Napoli e Sampdoria, preferirebbe andare a giocare all’ombra del Vesuvio.
Invece la Fiorentina è di altro avviso e negli anni ottanta il potere contrattuale di giocatori e procuratori è ancora ben lungi dall’essere dominante.
L’estremo difensore viene così ceduto all’Arezzo, in C, e si trasferisce in un luogo che diverrà -unitamente a Firenze- la sua città adottiva, per certi versi.
Dalla possibile conferma in A al declassamento in terza serie.
Una mazzata, per il calabrese.
Che inizialmente pensa di rifiutare il trasferimento.
Poi, su consiglio-spinta dei dirigenti gigliati, va ad Arezzo a parlare con il presidente amaranto e con l’argentino Angelillo, allenatore degli aretini, che creano subito un legame forte col portiere calabrese basato sulla stima e su un affetto istintivo che, ben presto, diventa reciproco.
L’Arezzo vince il proprio girone e sbarca in serie B con una squadra solida a compatta.
Pino, in porta, è una sicurezza per la categoria: miglior difesa del girone, figuriamoci.
Alle sue spalle gli fa da fido secondo lo scafato Giacinti.
Lombardo, Zanin, Mangoni, Doveri e Zandonà giganteggiano invece in difesa.
Butti, Malisan, Botteghi e Neri combattono in mezzo al campo.
Mentre davanti, a turno, Gritti, Vittiglio e Guido Carboni si assumono l’onere di scardinare le difese avversarie.
Come detto l’Arezzo vince il campionato ed arriva in cadetteria, in un torneo duro ed equilibrato.
Per Pino Pellicanò è il secondo successo in carriera dopo la Coppa di Lega Italo-Inglese vinta (da riserva) nel 1975, con la Fiorentina.
Con gli amaranto il trionfo lo vive da attore principale, però.
In B l’Arezzo conferma l’intelaiatura principale della squadra, con pochi ma mirati innesti: la punta Traini ed il centrocampista Belluzzi, in primis.
Ed a fine stagione ottiene una preziosa salvezza, con Angelillo confermato a furor di popolo ed un calciomercato estivo che rivoluziona l’assetto del club.
Firmano per l’Arezzo la talentuosa mezzala Di Carlo, il promettente attaccante Macina, l’elegante centrocampista Marmaglio, la vivace punta Sella, il valido cursore di fascia destra Minoia, l’arcigno stopper Pozza, il grintoso terzino sinistro Riva ed il valido mediano Ferrante.
Giuseppe Pellicanò, una colonna dei suoi, compartecipa all’ottimo torneo disputato dai toscani, che chiudono al quinto posto in classifica dopo aver a lungo cullato il sogno promozione, svanito in un girone di ritorno non all’altezza di quello -ottimo- d’andata.
Angelillo, ingaggiato dall’Avellino, lascia il posto al bravo Riccomini, che però non riesce ad imporre la sua idea di gioco e finisce per essere esonerato a metà stagione.
L’Arezzo, grazie alle reti del bomber Tovalieri ed al buon contributo dei nuovi arrivati Bertoni, Di Mauro, Bonesso, Colantuono, Amedeo Carboni, Corti e Miani, riesce a centrare una sofferta salvezza.
Più tranquilla risulta essere l’annata successiva, con dapprima Russo e poi Riccomini in panca.
Ma Giuseppe Pellicanò, dopo un indimenticabile quadriennio in terra toscana, è stato sostituito da Fernando Orsi, prelevato dalla Lazio.
Il calabrese passa invece al Bari, che ha appena ottenuto la promozione in serie A e che supera una nutrita concorrenza per accaparrarsi il reggino.
I pugliesi hanno seguito a lungo il portiere aretino.
Che in Toscana lascia uno splendido ricordo, con l’appellativo di para-rigori che ne accompagna le gesta.
In una sola annata, quella del 1982-83, ne respinge ben sette su otto.
Un autentico record, per un calciatore che nell’ultima stagione in maglia amaranto si ritrova coinvolto in una vicenda oltremodo stramba.
Infatti si allontana dai pali durante la gara giocata dai suoi a Cagliari, per soccorrere un avversario rimasto a terra, immobile.
I sardi segnano e Pino finisce al centro di sterili polemiche, volte a sottolineare la sua presunta leggerezza piuttosto che elogiare la straordinaria correttezza del suo gesto.
Che, ad onor del vero, viene premiato con un una targa ed un quadro a raffigurarne l’episodio.
Dopo, però.
E senza cancellare la sensazione che quasi tutti, in quel comportamento, abbiano ravvisato la poca astuzia del portiere calabrese.
Sportività portami via, insomma.
Sia quel che sia, Giuseppe Pellicanò firma col Bari e si trasferisce in Puglia, esordendo finalmente in serie A a trentuno anni suonati.
Molti addetti ai lavori lo reputano una saracinesca per la serie B, ma una incognita per la massima serie.
Ci sta, come valutazione.
Pino è titolare dei galletti.
Gli inglesi Cowans e Rideout, Amedeo Carboni (ex compagno di Pellicanò ad Arezzo), Sclosa, Bivi, Cupini, Sola, Piraccini, Giovanni Loseto, De Trizio: il Bari schiera alcuni elementi di indubbio valore, ma il bravo allenatore Bolchi non riesce nel miracolo salvezza, dopo aver portato i biancorossi in due anni dalla C alla A.
Troppi esordienti in rosa per sperare di evitare la retrocessione, per quanto alcuni di essi -Pellicanò, in primis- diano il fritto per cercare di mantenere la categoria.
Niente da fare, il Bari torna negli inferi della cadetteria.
In estate come tecnico viene ingaggiato il visionario Catuzzi, che insieme al presidente Vincenzo Matarrese allestisce un organico discreto, per la categoria.
Molte conferme, rispetto alla stagione precedente, e qualche nuovo arrivo.
Giuseppe Pellicanò è ovviamente il primo portiere, con l’amico Imparato a fargli da rincalzo.
Purtroppo la squadra non ingrana come sperato e non si inserisce mai nella lotta per la promozione.
Nella stagione successiva andrà molto meglio, ma un inatteso crollo nel finale la estrometterà dal novero delle promosse in massima serie.
Nella porta dei biancorossi ci sarà Mannini, affidabile estremo difensore prelevato dal Pisa.
Pino Pellicanò finisce ai margini della rosa e per una annata circa è praticamente inattivo.
Poi gli arriva una chiamata da Firenze.
Lui, figuriamoci, risponde presente e ritorna all’ovile, firmando un biennale con la Fiorentina allenata dallo svedese Sven-Göran Eriksson, che è alla ricerca di un secondo portiere esperto ed affidabile, in grado di coprire adeguatamente le spalle al titolare Landucci, già nel giro della Nazionale.
Il calabrese, professionista esemplare, è l’uomo giusto al posto giusto.
Portiere concreto, capace anche di interventi spettacolari ma centrato soprattutto sull’efficacia in un ruolo tanto delicato quanto complicato.
Coraggioso nelle uscite, abile tra i pali, bravo nel posizionamento e sempre concentrato sul pezzo.
Semplicemente fenomenale nel parare i rigori, ha un fisico reattivo e dotato di ottimi riflessi.
Da primo garantisce affidabilità assoluta, soprattutto nel torneo di serie B che conosce a menadito.
Come rincalzo è altrettanto valido in quanto, pur non amando la panchina, si impegna in ogni singolo allenamento come se dovesse giocare la prossima, rispettando le gerarchie e facendo gruppo in maniera esemplare.
Ragazzo a modo, simpatico e serio nello stesso istante.
Ha calcato i campi da gioco superando le quaranta primavere da calciatore, a riprova della virtuosa attitudine sportiva dell’uomo.
Ogni tanto qualche errore ci sta, altrimenti parleremmo di Lev Yashin.
Invece è Giuseppe Pellicanò.
E a noi va benissimo anche così.
La Fiorentina edizione 1988-89 può disporre di una rosa importante: Roberto Baggio, Dunga, Borgonovo, Pruzzo, Alberto Di Chiara, Hysen, Enrico Cucchi, Davide Pellegrini, Battistini, Carobbi.
La squadra è abbastanza altalenante, ma centra la qualificazione alle coppe europee battendo la Roma al termine dello spareggio tra le settime in graduatoria.
Eriksson concede massima fiducia a Pino Pellicanò, che schiera da titolare dopo l’infortunio di Landucci, a metà campionato, e lo conferma pure quando l’altro ha recuperato dal problema occorsogli.
Se non fosse che lo stesso Pellicanò, ironia della sorte, dopo una decina di gare da titolare subisce un trauma che lo costringe a fermarsi, restituendo quindi il posto a Landucci e, di fatto, chiudendo la propria carriera a determinati livelli.
Nella stessa annata il pipelet di Reggio Calabria balza agli onori della cronaca per un episodio che, in un certo senso, riabilita la sua figura agli occhi di coloro che lo avevano deriso allorquando, anni prima, si era fermato per soccorrere un avversario in quel di Cagliari, subendo una rete dai sardi che, invece, avevano proseguito l’azione.
Accade che in Fiorentina-Verona lo sgusciante argentino Caniggia sfugga alla trappola del fuorigioco e si presenti dinanzi a Pino Pellicanò, che con un movimento degno del teatro di Eduardo De Filippo fa segno alla punta scaligera di fermarsi, in quanto l’arbitro avrebbe fischiato un fuorigioco.
Nulla di vero, ma l’altro abbocca, rallentando la corsa e facendo terminare l’azione in maniera sconclusionata.
Stavolta, al contrario della condotta in terra sarda, il nostro Pellicanò potrebbe essere tacciato di antisportività.
Nemesi, giustizia riparatrice o, meglio ancora, compensatrice?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Io me ne lavo le mani, alla Ponzio Pilato.
Pino resta a Firenze anche nella stagione successiva, con Giorgi alla guida di una squadra che stenta in campionato, portando alla sostituzione del mister con Graziani, ma brilla in Europa, giungendo sino alla finale di Coppa Uefa, sconfitta dalla Juventus allenata dal mito Dino Zoff.
Nessuna presenza per il calabrese, chiuso da un Landucci in grande spolvero, quantomeno a livello fisico.
Oramai trentaseienne, Giuseppe Pellicanò torna nella sua Calabria e firma per il Praia, in serie D, disputando una buona stagione con i corregionali.
Quindi appende gli scarpini al chiodo ed inizia ad allenare proprio il Praia, incappando in una sfortunata retrocessione.
Qualche mese più tardi riceve una telefonata da Arezzo: la società toscana è fallita e deve ripartire dai dilettanti.
Pino Pellicanò viene coinvolto nel progetto di rifondazione e finirà per vivere in zona definitivamente, fungendo da allenatore, preparatore dei portieri e, ancora una volta, pure da calciatore.
Infatti durante la prima stagione dopo il suo ritorno in Toscana gli tocca rimettere i guantoni, poiché il primo portiere degli amaranto, Boni, viene improvvisamente chiamato per svolgere il Servizio Militare.
La riserva è giovanissima e Ciccio Graziani, da presidente, convince Pellicanò a disimpegnarsi da allenatore-giocatore per un paio di annate.
La rottura del menisco nel torneo 1994-95 fa calare definitivamente il sipario sulla carriera di Pino, a quasi quarantuno anni di età.
Riporta comunque l’Arezzo in serie B, lavorando in società sino agli albori del nuovo secolo.
Un portiere dal cognome che resta impresso nella memoria ed un para-rigori che ha giocato in tutte le categorie, dalla serie A sino ai dilettanti.
In serie B, negli anni con l’Arezzo, è stato sicuramente uno dei migliori interpreti nel ruolo in campionati di grande valore, sia dal punto di vista tecnico che, soprattutto, da quello agonistico.
Pochi lo ricordano, ma Giuseppe Pellicanò è stato il primo portiere a subire una rete da Maradona, al suo arrivo in Italia.
Napoli-Arezzo di Coppa Italia, nell’estate del 1984.
Un calcio di punizione che trafigge Pino e che apre le danze, in un match che termina per 4-1 in favore dei partenopei.
“Pino, Pino, Pino!”, il coro che si alzava poderoso dalla curva aretina e che ne accompagnava le prodezze, durante la sua militanza nel sodalizio amaranto.
E lui, fedele alla causa, li salutava con la mano ciondolante e si sistemava tra i pali, pronto a proteggere quella porta come se fosse la cosa più preziosa al mondo.
Altri tempi, altri calciatori, altri uomini.
E che ricordi, di una serie B che oggi sarebbe una mezza Champions League.
Giuseppe Pellicanò: Pino, Pino, Pino!
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