- Il biondino
Giovanni Francesco Pozza
Una delle mie figurine preferite, quella di Pozza.
Un onesto mestierante del pallone che ha caratterizzato con la sua impronta sportiva i destini di alcune squadre di buona levatura e che negli anni ottanta è stato protagonista in serie B -soprattutto- ed in serie A in un periodo meraviglioso del nostro calcio.
Poi, sfortunatamente, ha perso la vita a soli cinquanta anni di età.
Ma andiamo con ordine.
Giovanni Francesco Pozza nasce a Verona, nell’aprile del 1961.
Segno zodiacale dell’Ariete: onesto, poco incline ai compromessi, affidabile.
Ci sta.
Giovanni è un bambino vivace e giocoso.
Gli piace la scuola ed adora correre dietro ad un pallone.
Già da giovanissimo inizia a mostrare doti che gli valgono l’ingresso nella Scuola Calcio del Chievo Verona, all’epoca militante in serie D.
La classica trafila viene interrotta dalla chiamata in prima squadra, che per il ragazzo avviene a soli sedici anni.
A diciassette vive il suo primo torneo “da grande” con i clivensi, nella stagione 1978-79.
La squadra disputa una discreta annata, culminata in una tranquilla salvezza, e Giovanni si mette in mostra come difensore attento e arcigno, nonostante per larga parte del campionato non sia ancora manco maggiorenne.

Diverse compagini di categoria superiore attenzionano il veronese, proponendogli il fatidico salto nel calcio che conta.
A spuntarla è l’Avellino, che è riuscito ad ottenere una sofferta salvezza nel primo anno di massima serie della propria storia.
L’obiettivo è provare a ripetersi e Giovanni Pozza, inizialmente aggregato nella formazione Primavera dei campani, è un interessante rinforzo di prospettiva.
Va in panchina nella gara con l’Inter, alla sestultima di campionato.
Poi gioca da titolare le ultime tre (Fiorentina, Perugia, Roma), con alcuni titolari esclusi dalla rosa in attesa di approfondire una vicenda legata a possibili gare truccate.
Con lui a referto i lupi biancoverdi inanellano quattro sconfitte su quattro.
Ovviamente il veneto non ha colpe, ci mancherebbe.
Tranne che per un paio di incertezze, figlie della ovvia inesperienza, il giovane affronta ogni match col piglio del veterano, cavandosela più che discretamente.
Gli irpini, allenati da Rino Marchesi, sono ampiamente salvi.
Difesa coriacea ed imperniata su Cattaneo, Di Somma e Romano, dinanzi al portiere Piotti.
In mezzo Piga e Beruatto a spingere sulle fasce, con Boscolo e Valente a fare legna e Massa ad ispirare Claudio Pellegrini e De Ponti in avanti.
Come rinforzo invernale viene preso il forte Cordova.
Gli altri componenti della rosa danno il fritto, se chiamati in causa.
Incluso Pozza, come detto.
In estate l’Avellino, che dovrà scontare nel prossimo torneo cinque punti di penalizzazione a causa della succitata vicenda delle scommesse clandestine, decide di affidare la propria panchina al tecnico brasiliano Vinicio.
In difesa vengono acquistati i giovani Ipsaro Passione e Cerone, oltre al più esperto Venturini.
Per Pozza gli spazzi si riducono ulteriormente ed il giocatore viene così ceduto alla Ternana, da poche settimane retrocessa in C1.
Riparte quindi dal centro Italia, la carriera di Giovanni Pozza.
La Ternana dispone di alcuni profili di valore: Nuciari, Nicolini, Pedrazzini, Valigi, Codogno, Francesconi, Ballarin.
Un buon mix tra giovani ed esperti, che però vive una annata altalenante.
In campionato annaspa nelle zone centrali della classifica, mentre è in Coppa Italia di categoria che la squadra si fa valere giungendo sino alla finale, persa al cospetto dell’Arezzo (vittoria per 1-0 in casa, sconfitta per 0-2 al termine dei supplementari in Toscana).

Dodici mesi più tardi le cose non vanno molto meglio: settimo posto in campionato, eliminazione anticipata in Coppa.
Giovanni Pozza, titolare inamovibile, è in entrambe le stagioni uno dei perni del team, tanto da essere convocato nella Rappresentativa di C.
La Ternana, che già dalla precedente stagione ha acquisito il cartellino del ragazzo riscattandolo dall’Avellino, è intenzionata a monetizzare la circostanza.
Su di lui piombano diverse società di serie B (Atalanta, Foggia, Monza, Catania, Varese, Pistoiese) ed una di A, il neopromosso Pisa del mitico presidente Anconetani, che offre trecento milioni di vecchie lire per portare a casa la comproprietà di Pozza.
Affare fatto.
Giovanni torna in massima serie e lo fa dalla porta principale, guadagnandosi la seconda occasione in carriera di disputare quello che all’epoca è di gran lunga il più prestigioso campionato d’Europa, per non dire del mondo.
Il Pisa affida la guida tecnica a Vinicio, cioè colui che era arrivato ad Avellino nel momento in cui Pozza stava passando alla Ternana.
Incroci e destini particolari, quelli del calcio.
Il danese Berggreen e l’uruguagio Caraballo sono gli stranieri dei toscani.
Il primo è forte, il secondo è un bidone.
Il Pisa ha comunque in rosa alcuni elementi di valore: il libero Vianello, il portiere Mannini, il fantasista Casale, il jolly Occhipinti, i difensori Garuti, Secondini, Massimi e Riva, i centrocampisti Gozzoli e Sorbi, le ali Todesco e Birigozzi, la punta Ugolotti.
Nessun fuoriclasse, intendiamoci.
Ma tanta gente di buon livello, col danese Berggreen che ha qualcosa in più rispetto ai compagni e li trascina verso una meritata salvezza.

Pozza ondeggia tra tribuna e panchina, nel girone di andata, con qualche sporadica presenza in campo.
Nel girone di ritorno conquista la fiducia del suo allenatore e gioca spesso da titolare, contribuendo alla salvezza della squadra.
Ma, come già successo ad Avellino, per il calciatore originario di Verona non scatta la scintilla col suo club di appartenenza, che decide di non investire ulteriormente su di lui.
Giovanni Pozza, in comproprietà tra Ternana e Pisa, viene ceduto a titolo definitivo all’Arezzo.
Il difensore non cambia regione, quindi.
Si sposta di quasi un paio di centinaia di chilometri e firma un contratto pluriennale con la società amaranto.
Il declassamento, datosi che l’Arezzo milita in cadetteria, non gli pesa affatto.
Cerca un progetto serio, valido, durevole.
Il club del Cavallino ha ambizioni importanti: l’italo-argentino Angelillo, mister della compagine aretina, nel ritiro estivo spiega ai suoi ragazzi di voler costruire una compagine polivalente, capace di difendersi con ordine e di attaccare con spavalderia.
D’altro canto la rosa non è affatto male.
Il portiere è Pellicanò, una garanzia.
In difesa c’è gente tosta come MInoia, Zandonà, Doveri, Mangoni, Zanin e Riva, oltre al nostro Pozza.
In mezzo Di Carlo, Marmaglio, Malisan, Butti, Ferrante e Neri garantiscono quantità e qualità.
Davanti Sella, Traini e Macina possono far male a chiunque.
Ed in effetti il team, al netto di qualche infortunio di troppo, se la gioca con tutti gli avversari.
Salvo poi chiudere al quinto posto in classifica dopo aver a lungo cullato il sogno promozione, svanito in un girone di ritorno non all’altezza di quello -ottimo- d’andata.
A luglio Angelillo, ingaggiato dall’Avellino, lascia il posto al bravo Riccomini, che però non riesce ad imporre la sua idea di gioco e finisce per essere esonerato a metà stagione.
L’Arezzo, grazie alle reti del bomber Tovalieri ed al buon contributo dei nuovi arrivati Bertoni, Di Mauro, Bonesso, Colantuono, Amedeo Carboni, Corti e Miani, riesce a centrare una sofferta salvezza.
Più tranquilla risulta essere l’annata successiva, con dapprima Russo e poi – di ritorno- Riccomini in panca.

Pozza è una colonna, della squadra.
Allunga il suo contratto con l’Arezzo per un ulteriore biennio.
Nella prima annata, col confermato Riccomini alla guida e mediante il contributo di giocatori quali Ruotolo, Dell’Anno, De Stefanis, Di Mauro, Vella, Gozzoli, Zennaro, Orsi, Pagliari, Ugolotti ed Ermini, per citarne qualcuno, giunge una sofferta salvezza.
Nella seconda, invece, nonostante l’ingaggio del bravo Bolchi come tecnico, poi sostituito dal cavallo di ritorno Angelillo, l’Arezzo incappa in una stagione a dir poco disastrosa, con l’ultimo posto in graduatoria e la retrocessione in C, con in rosa elementi come Nappi, Silenzi ed altri già nominati in precedenza.
Una autentica debacle per la società amaranto, costretta a liberarsi della maggior parte degli ingaggi “pesanti” ed a rifondare.
Giovanni Pozza, ventisettenne e nel pieno della maturità calcistica, finisce sul mercato.
Difensore della vecchia scuola, solido e tenace.
Stopper granitico, abituato a giocare sull’uomo in una marcatura asfissiante e viscosa.
Tecnicamente non eccelso, sopperisce con la grinta e la concentrazione ed è sempre pronto a lottare per la maglia e a mettersi a disposizione di allenatori e compagni.
Dotato di un fisico aitante, di testa è quasi insuperabile.
Palla a terra soffre l’uno contro uno in velocità, soprattutto in campo aperto.
Patisce maledettamente i fantasisti, mentre si trova molto più a suo agio nel controllare i centravanti di peso, con i quali imbastisce spesso duelli rusticani.
Elegante nell’anticipo e deciso e pulito negli interventi difensivi, pure in area di rigore.
Senza paura, insomma.
Lo svarione o il rigore procurato ci sta, ma nella maggior parte dei casi Pozza prende la palla e protegge la sua porta dagli assalti nemici.
Di una correttezza esemplare, forse paga proprio la mancanza di cattiveria.
Quella agonistica c’è, eccome.
Ma quella malizia che può far la differenza tra il mastino campione ed il mastino buon difensore, beh, probabilmente al buon Giovanni manca.
Signore in campo e fuori, con quei ricciolini biondi pare una sorta di Puyol ante litteram: con le ovvie differenze del caso e della storia, ci mancherebbe.
Chiusa l’avventura all’Arezzo per Giovanni Pozza si aprono le porte della Reggina, neopromossa in serie B.
Amaranto nel destino, ecco.
Obiettivo: salvezza senza eccessive complicazioni.
L’allenatore, Scala, è estremamente preparato.
La sua futura carriera dirà molto, a riguardo.
La rosa non è affatto male, pregna di ottimi mestieranti e di alcuni calciatori di livello (Catanese e Massimo Orlando, in primis).
Il gruppo si compatta alla grande e man mano acquisisce consapevolezza, andandosi a giocare lo spareggio per la promozione in A con la Cremonese di Bivi e Chiorri, sul campo neutro di Pescara.
In uno stadio stracolmo di colori reggini gli errori dal dischetto di Onorato ed Armenise condannano i calabresi alla sconfitta, dopo che tempi regolamentari e supplementari si erano conclusi sullo 0-0.
Giovanni Pozza, nello Stadio Adriatico, è in panchina.
Nella sua prima stagione sullo Stretto difatti parte come riserva, quindi riesce ad accumulare qualche sporadica presenza da titolare per poi, nel finale, ritrovarsi nuovamente tra ricambi a disposizione di Scala.
Nell’annata seguente il veronese inizia in panca, per conquistare poi il posto per gran parte della kermesse e riperderlo proprio nelle battute finali del torneo.
La Reggina, guidata da Bolchi, ripete l’ottima stagione precedente, lottando per le posizioni di vertice ed allentando, fatalmente, nelle ultime partite del campionato, chiudendo infine in sesta posizione.

In estate Pozza, non ritenuto utile alla causa, finisce fuori rosa.
La Reggina ingaggia Cerantola come allenatore (poi sostituito per un periodo da Ciccio Graziani) e va incontro ad una funesta retrocessione in terza serie.
Giovanni invece si accorda, nel calciomercato invernale, con l’Arezzo.
L’amaranto è oramai il suo colore del cuore e, in realtà, il veneto ha anche deciso di piantare le tende proprio nella citta toscana.
Il club è allenato dalla vecchia gloria locale Neri, ex compagno e grande amico di Pozza.
Quest’ultimo, unitamente al collega Butti ed ad un manipolo di buoni calciatori tra i quali spiccano Strukelj, Paleari, Caverzan ed Alberto Briaschi, viene fondamentalmente a dare un tocco di esperienza alla causa.
Una ventina di gettoni di presenza, per lui.
L’Arezzo si salva, ma fallisce alcuni mesi più tardi a stagione in corso, per problematiche di ordine economico.
Pozza, in rosa ma mai utilizzato, decide di appendere gli scarpini al fatidico chiodo ed inizia la carriera di allenatore.
Si rende conto, ben presto, di essere più portato a lavorare con i giovani.
Per un po’ si tiene in forma calcando i polverosi campi dei dilettanti con la maglia del Dante F.C., una società della zona.
Nel contempo allena i ragazzini della Scuola Calcio locale.
Successivamente è dirigente ed allenatore dell’Union Team Chimera, ove crea un forte legame con i piccoli che allena, insegnando loro sport e valori.
Nel 2011 per Giovanni Pozza sopraggiungono seri problemi di salute, che lo costringono ad un ricovero presso l’Ospedale San Donato di Arezzo, dove viene sottoposto a due interventi chirurgici che migliorano la sua situazione, sebbene i medici decidano di tenerlo in coma farmacologico per alcuni giorni, per salvaguardarne la sua condizione parecchio approssimativa.
L’oramai aretino d’adozione pare reagire bene alle cure, nelle prima settimane.
Ripresosi, seppure non del tutto, decide con i suoi familiari -e sotto consiglio dei dottori- di sottoporsi ad un trapianto di fegato, da effettuarsi in quel di Pisa.
Purtroppo un rapido aggravamento del suo stato conduce Giovanni Pozza alla morte, a soli cinquanta anni di età.
Una notizia terribile per la sua famiglia e per tutti coloro che, negli anni, hanno avuto la fortuna di conoscerlo.
Io lo ricordo come uno dei protagonisti di una serie B di assoluto livello, negli anni ottanta.
Non vi era la copertura televisiva odierna, certo.
Ma c’erano diverse immagini, alcuni giornali, svariate riviste e tanta, tanta, tanta passione.
Ho anche in mente la figurina di Pozza nella Reggina, con l’altrettanto sfortunatissimo Catanese accanto.
Pure lui scomparso prematuramente.
E ho ben presente anche le altre figurine di Giovanni, con quella sua zazzera inconfondibile ed indimenticabile.
Al Calcio degli anni ottanta debbo tanto.
Da parecchi punti di vista.
E ad ognuno dei personaggi che me lo hanno reso indimenticabile dovrei riconoscere un pensiero, come minimo.
Giovanni: grazie.
Poca A, molta B e, senza alcun dubbio, tantissimo cuore.
Giovanni Francesco Pozza: il biondino.
V74