- Cavallo Pazzo
Giorgio Magnocavallo
Quando dici Cavallo Pazzo la mente vola immediatamente al leggendario personaggio della tribù dei Sioux che era noto per essere invulnerabile ai proiettili e capace, anche dopo essere morto, di presenziare tra gli spiriti dei suoi guerrieri, donando loro forza e coraggio.
I patiti di Calcio ricorderanno anche il buon Mario, pure lui denominato alla stesso modo del capo pellerossa, che a metà degli anni 90 collezionava invasioni di campo durante le gare della sua Roma ed in svariati altri eventi di natura mondana.
A me, quando si parla di Cavallo Pazzo, sovviene alla mente lui, il mitico Giorgio Magnocavallo.
Il classico esterno a tutta fascia, instancabile e potente, che come tanti altri stantuffi sulla sinistra, dove una volta vi era una maggiore concentrazione di fluidificanti rispetto all’altra corsia, aravano ininterrottamente il proprio settore.
Tipo Felice Centofanti, l’ex Inter che era molto simile, sia nel fisico che nel ruolo, al nostro Magnocavallo.
Che, però, a differenza di tutti gli altri ha già scritto nel cognome una parte del proprio futuro.
Ma, come sempre, proviamo ad andare per tappe.
Giorgio Magnocavallo nasce a Chieuti, nel foggiano.
Un paese che viene denominato “Porta della Puglia, in quanto è la prima cittadina che si incontra provenendo dalla direzione settentrionale.
Per un curioso incrocio di destini la famiglia Magnocavallo si trasferisce proprio nel nord Italia, mentre il piccolo Giorgio -classe 1957- è ancora un pargoletto.
Ha compiuto poco più di un anno quando il padre riceve una ottima offerta di lavoro nella SAME, nota azienda produttrice di trattori con sede in quel di Treviglio, nella bergamasca.
Dal sole della Puglia alla nebbia della Val Padana, ma per poter portare avanti certi progetti di vita bisogna fare dei sacrifici.
Per fortuna a quell’età le differenze climatiche non si notano ed il piccolo Giorgio, dopo qualche anno, è già perfettamente ambientato nella nuova location.
Ha molti amichetti, a scuola va con piacere e, soprattutto, appena vede un pallone da calcio inizia ad inseguirlo con una passione che di lì a poco lo porterà ad entrare nel settore giovanile della Trevigliese, la compagine locale.
Velocità, disciplina e volontà: pur essendo giovanissimo mostra qualità che, tramite l’intercessione di un amico di famiglia, gli regalano un provino nientepopodimeno che all’Inter.
Lui ci va con un pizzico di timidezza, poi dopo qualche minuto si scioglie e fa il suo, impressionando i tecnici meneghini ed entrando così nel settore giovanile dei nerazzurri.
Giorgio Magnocavallo inizia a sognare un futuro nel mondo del Calcio.
Ma siamo negli anni settanta ed i voli pindarici sono consentiti unicamente se accompagnati da paracadute adeguato a mettere in sicurezza il giovane, qualora le cose non dovessero andare nel verso giusto.
Lui continua quindi a studiare, allenandosi con i compagni e sfidando i “grandi” nella partitella del giovedì.
Incrocia i tacchetti con Sandro Mazzola, Giacinto Facchetti, Roberto Boninsegna, Lele Oriali ed altri campioni.
Roba da far tremare i polsi.
Giorgio si rivolge loro dando del “lei”, come si usava ai tempi, col rispetto dovuto ma senza timori reverenziali.
Appena maggiorenne esordisce in Coppa Italia, contro il Bologna, sostituendo Nevio Scala.
In estate la società decide di prestare il ragazzo nelle categorie inferiori, per dargli modo di fare esperienza ed iniziare a temprare il carattere sui duri campi di provincia.
Diverse squadre mostrano interesse per lui.
L’Inter sceglie di mandarlo al Lecco, in serie C, in modo da seguirne l’evoluzione a breve distanza.
Giorgio gioca da titolare e la sua compagine, a sorpresa, chiude al terzo posto in graduatoria, alle spalle di due corazzate quali Monza (promosso) e Cremonese.
Magnocavallo comunque raggiunge la B, in quanto a fine stagione si fa avanti per lui il Varese che ha appena sfiorato la promozione in serie A.
L’Inter concede ancora una volta il prestito ed il ragazzo va a ben figurare con la maglia biancorossa, sempre da titolare e con un buon rendimento, anche se il Varese non ripete l’annata precedente e termina distante dal podio.
Resta in B pure l’anno dopo, firmando per il Brescia, ove però trova poco spazio.
Passa così al Genoa, appena retrocesso dalla serie A e speranzoso di tornarci in tempi rapidi.
Ancora una volta prestito secco, nella prima avventura al di fuori dei confini lombardi per il giovane terzino di proprietà interista.
Le cose vanno leggermente meglio, con una ventina di presenze e con i liguri che si piazzano però al centro classifica.
A fine anno l’Inter fa le sue valutazioni e decide di interrompere il cordone ombelicale che lega il calciatore alla casa madre.
Magnocavallo è libero di trovarsi una nuova destinazione, questa volta a titolo definitivo.
Giorgio è un po’ deluso, come normale che sia, ma è un tipo arguto e comprende perfettamente le dinamiche che hanno portato i dirigenti milanesi a prendere questa decisione.
Si guarda intorno e decide di accettare l’offerta della Triestina, serie C ambiziosa società che in quegli anni prova a risalire in cadetteria.
Con la casacca degli alabardati Magnocavallo ritorna a giocare con continuità, imponendosi tra i migliori interpreti della categoria nel suo ruolo di terzino di spinta.
La Triestina chiude al settimo posto la prima stagione, mentre nella seconda lotta per la promozione e termina quarta, con in panchina mister Ottavio Bianchi.
In estate si fa avanti l’Atalanta, per lui.
Sarebbe un ritorno a casa, praticamente.
Gli orobici sono appena retrocessi dalla B e stanno provando a riorganizzarsi, sia a livello societario che tecnico.
Il nuovo allenatore è proprio Bianchi, che nella lista dei nomi che vorrebbe dal calciomercato mette anche quello di Magnocavallo.
Il DS Previtali contatta i dirigenti triestini e trova rapidamente l’accordo.
Giorgio a Trieste aveva segnato 4 reti nella sua prima annata ed ancora 4 nella seconda.
A Bergamo ne segna 5, disputa una super stagione e contribuisce a riportare i suoi in B.
Una difesa tosta (Benevelli in porta e Perico, Bruno, Filisetti, Vavassori e Rossi davanti a lui), un centrocampo dinamico e qualitativo (col jolly Magnocavallo, il senso tattico di Snidaro, le geometrie di Moro e Foscarini, la classe di Magrin ed i giovani Donadoni e Madonna in rampa di lancio) ed un attacco solido (col bomber Mutti sugli scudi ed il rapido De Bernardi a dargli manforte).
Compagine forte ed equilibrata, che sbarca in B con la consapevolezza di poter dire la sua pure in un torneo maggiormente competitivo rispetto al precedente.
Pochi innesti, ma mirati, e i bergamaschi si assestano a metà classifica, ponendo le basi per quel che sarà un campionato di vertice, dodici mesi più tardi, con un primo posto che spalanca loro le porte della serie A.
In panchina Nedo Sonetti ha sostituito Bianchi.
Per Magnocavallo cambia poco, in quanto continua ad alternarsi tra difesa e centrocampo, con ottimi risultati.
Non segna neanche una rete, una rarità per lui, offrendo comunque prestazioni eccellenti che gli valgono la conferma anche nella categoria regina del calcio italiano.
Non solo, ma Giorgio diventa anche capitano degli orobici, a conferma della sua indiscussa titolarità e della ormai evidente leadership all’interno dello spogliatoio dei lombardi.
E gioca bene anche al suo esordio in A, segnando due reti in una trentina di gare e conseguendo con i compagni una meritata e tranquilla salvezza.
Magnocavallo è quindi in A e perlopiù dimostra di poterci stare alla grande, altroché.
Una soddisfazione immensa per lui, che ha saputo ripartire dal basso e raggiungere un risultato notevole, e per tutti coloro che hanno sempre creduto nelle sue potenzialità, pure quando le porte del calcio che conta parevano per lui essersi ormai irrimediabilmente chiuse.
Poi, nella calda estate del 1985, accade qualcosa di imponderabile.
Il laterale riceve una telefonata e dall’altra parte c’è un signore che ha il suo stesso nome.
Giorgio Chinaglia, storico ex centravanti della Lazio e presidente della squadra romana.
Long John vuole costruire una Lazio che possa vincere il campionato di B e rilanciarsi nei palcoscenici al top con ambizioni importanti.
Ha passione, cerca calciatori bravi in campo e, in primis, capaci di esprimere sul terreno di gioco quella determinazione feroce che per l’ex bomber Laziale è fondamentale se si vogliono ottenere risultati di rilievo.
Magnocavallo è capitano dell’Atalanta in A, ma è conscio che una piazza come quella romana non capita tutti i giorni nella vita.
Ragiona sulla proposta e decide di accettarla, sicuro di riportare in men che non si dica la Lazio -e se stesso- in massima serie.
Le cose andranno in maniera ben diversa, purtroppo.
Quando arriva a Roma, Giorgio Magnocavallo ha da poco compiuto 28 anni e si trova nel pieno della maturità calcistica e personale.
Giocatore versatile e potente, fisicamente solido e nel contempo in grado di esprimere grande forza motrice.
Un carro armato che ara la fascia sinistra e che fa della continua spinta offensiva la sua arma migliore, per quanto non disdegni la fase difensiva, essendo capace di marcare anche ad uomo il proprio avversario diretto, se necessario.
Pur essendo un cavallone di razza, mostra buona disciplina tattica ed attenzione.
Agisce maggiormente da terzino, spesso anche da mediano e talvolta pure da laterale di centrocampo.
In diverse fasi della carriera è stato impiegato in altri ruoli, cavandosela più che discretamente.
Alla Lazio gioca col numero 6, il primo anno, da fluidificante brasiliano.
Nel secondo indossa il 3 e gioca un pizzico più accorto, rispettando le consegne.
Viene impiegato in alcune occasioni da ala pura (11), saltuariamente da mediano (4), da intermedio (8) ed in un paio di circostanze addirittura da finto centravanti, con il 9 sulle spalle, per quanto in realtà agisca da trequartista per scompaginare i piani alle difese avversarie.
In carriera fa quasi tutto, compreso la mezzala (10).
I numeri di maglia -quelli di una volta, s’intende- a testimoniarne la estrema flessibilità.
Grintosissimo e carismatico, è tra i primi a tirare la volata del gruppo, sia nei ritiri che negli allenamenti.
Gioviale e sempre pronto agli scherzi, soprattutto nel farli, contribuendo a creare una armonia che in un ambiente particolare come quello di uno spogliatoio di calcio può far la differenza tra il giorno e la notte.
Con i suoi movimenti frenetici si procura diversi rigori e segna anche qualche gol, possedendo una bella castagna, che non di radio sgancia dalla distanza.
La sua forza si trasforma a volte in irruenza e ne paga dazio con qualche cartellino giallo di troppo.
La sua impressionante muscolatura lo costringe saltuariamente a qualche piccolo stop, ma per fortuna nulla di eccessivamente pesante.
Nelle sue scelte professionali ha agito di istinto e se questa è stata la sua forza, per certi versi è stato anche il suo limite.
Al primo anno in maglia biancoceleste il fluidificante proveniente da Bergamo si disimpegna più che discretamente, per quanto la Lazio non riesca a decollare mai del tutto, nonostante una squadra ben attrezzata per il salto di categoria ed un allenatore come Simoni, autentico specialista della categoria.
A stagione in corso Chinaglia è costretto a lasciare la presidenza, per ragioni di carattere economico.
Gli subentra temporaneamente Franco Chimenti, che poco dopo lascia spazio a Gianmarco Calleri.
Quest’ultimo affida la conduzione tecnica ad Eugenio Fascetti e porta a Roma alcuni elementi di valore.
Parrebbe tutto pronto per il grande salto ed invece scoppia lo scandalo del Totonero-bis e la Lazio si ritrova addirittura in C, salvo poi essere riammessa in B ma con ben 9 punti da scontare nel campionato che sta per iniziare.
Nasce la mitica Banda dei meno 9.
Giorgio Magnocavallo è uno di loro.
Entra nella Storia della Lazio e contribuisce a salvarla dalla C sul campo.
Nelle ultime gare è uno di quelli che, in teoria, sente meno pressione.
Frequenta già il corso di allenatore ed è dispensato da alcuni allenamenti nei quali la tensione è particolarmente alta.
Lui, però, non è affatto esente dal “sentire” il momento.
Lo sente, eccome.
Esce alla fine del primo tempo nella mitica sfida al Vicenza, che poi spinge la Lazio agli spareggi grazie al gol di Fiorini.
Nel primo match col Taranto, nel mini-torneo per decretare le due squadre che resteranno in B, entra nella ripresa dopo il vantaggio dei pugliesi, senza riuscire ad incidere e cambiare le sorti dell’incontro.
Nella sfida decisiva, contro il Campobasso, parte titolare, ma un infortunio lo mette fuori gioco alla fine della frazione iniziale di gioco.
Al suo posto entra Piscedda che, nella ripresa, confeziona uno sbilenco assist che il buon Poli tramuta in gol, portando la Lazio alla salvezza ed avviandola verso un futuro di certo più roseo.
Giorgio Magnocavallo è, a tutti gli effetti, un protagonista della Banda dei meno 9.
Sì, è nella Storia della Lazio.
Ama Roma, si è innamorato del popolo Laziale, si è perfettamente integrato nel gruppo che riesce a portare la Lazio fuori dalle sabbie mobili.
Scherza sempre, con amici e compagni.
Talvolta prenota ristoranti inesistenti e manda la squadra in giro per campagne.
In altri casi gioca sulle sostituzioni di persona, pur di mantenere tutti in allegria.
Buontempone e spirito matto, Giorgio entra nel cuore dei giocatori Laziali e dei tifosi.
La gara contro il Campobasso sarà però l’ultima che giocherà con la maglia biancoceleste.
Dopo un lungo inseguimento la Lazio acquista Beruatto, dal Torino, omologo di Magnocavallo.
Quest’ultimo finisce sul mercato, ma non trova l’accordo con un paio di club interessati al suo acquisto.
Ad ottobre, alla riapertura delle liste di trasferimento, accetta l’offerta del Barletta, neopromosso in serie B ( per la prima volta nella propria storia) ed alla ricerca di elementi di esperienza per rinforzare la rosa.
i pugliesi, con un girone di ritorno clamoroso e grazie alla sapiente guida del tecnico Rumignani, riescono a salvarsi per il rotto della cuffia.
Una vera e propria impresa, con Magnocavallo tra i principali attori della contesa.
L’anno successivo, grazie anche ad un calciomercato attento e mirato con innesti di qualità quali l’estroso Beccalossi ed il prolifico Vincenzi, il team si salva con largo anticipo, disputando una ottima stagione culminata con il dodicesimo posto in classifica.
Giorgio Magnocavallo, come al solito, è tra i migliori per impegno e costanza di rendimento.
Per l’annata a seguire il Barletta punta sul terzino sinistro Gabrieli, prelevato dal Piacenza, e sul giovane Centofanti, identico ruolo, in arrivo dalla Jesina Calcio.
Per Magnocavallo gli spazi si ridurrebbero troppo, così il giocatore decide di avvicinarsi a casa e firma per la Spal, in serie C2.
Un declassamento importante, che a trentadue anni d’età equivale a dire addio ai sogni di gloria.
Ferrara è una piazza storica, scottata dalla retrocessione appena patita.
La squadra è attrezzata per far bene, ma si dimostra troppo altalenante nei risultati per ambire alla promozione.
Magnocavallo patisce un paio di infortuni abbastanza seri, però fa il suo e segna anche diverse reti.
Resterebbe volentieri nella città degli Estensi, ma la società non è del medesimo avviso e cede il calciatore al Formia, sempre in C2.
Giorgio scende in campo per una quindicina di partite, poi decide che è giunto il momento di appendere le scarpe al chiodo.
Gli ultimi anni li ha vissuti quasi da allenatore, essendo in possesso del patentino e proiettato verso la sua nuova occupazione.
In verità le cose non andranno per il verso sperato.
Frosinone, Asperiam e Pagazzanese: questo il magro bottino della carriera di allenatore per il nostro beniamino.
Torna a vivere nella bergamasca, dedicandosi alla famiglia e continuando a seguire il calcio con passione ed interesse.
Ovviamente con Atalanta e Lazio nel cuore.
Un calciatore che mi piaceva tanto: generoso e tignoso, vecchia scuola.
Una tipologia di laterale che oggigiorno farebbe la felicità di parecchi allenatori.
Giorgio Magnocavallo: uno degli Eroi dei meno 9, soprattutto.
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