- Teoria di un Campione
Francesco Dell’Anno
Non sempre teoria e pratica coincidono.
No, in molti casi.
Purtroppo.
Da Laziale, da amante dello Sport e da appassionato di Calcio il purtroppo ci sta tutto, quando si parla di Francesco Dell’Anno, “Ciccio” per gli amici.
Classe 1967, sangue irpino nelle vene, figlio di Antonio, professionista nel settore edile, ed Antonietta, casalinga ed addetta alla gestione di un corposo nucleo familiare che oltre a Francesco, il maggiore della compagnia, comprende un altro maschietto e ben tre femminucce.
Ciccio cresce in un ambiente tutto sommato sereno, finge di studiare e si diverte a praticare sport sin da piccolissimo, con una fugace passione per la pallavolo e poi l’amore, profondo e corrisposto, per il Calcio.
Talento puro, limpido, cristallino: lo si evince sin da subito e non serve aver frequentato Coverciano per intuire che il ragazzo ha stoffa.
Un paio di provini in zona, poi la chiamata dalla Capitale: la Lazio è disposta a prenderlo nel settore giovanile ed a scommettere sulle qualità del giovane.
Il padre nicchia, vorrebbe aspettare ancora qualche anno: rassicurato dalla Società Biancoceleste sull’attento trattamento che verrà riservato al figlio, tra allenamenti e scuola, si convince.
Ciccio sbarca così a Roma alla soglia dei 13 anni: per la sua età è già un tipino sveglio e convinto dei propri mezzi.
La città è piena di tentazioni, ma ci sarà tempo per scoprirle: ora è tempo di allenarsi e di studiare.
Gli allenamenti sono intensi ed il nostro prospetto di giocatore li affronta con grinta e determinazione.
Con i libri, invece, il rapporto è meno intenso: a Baiano, da bambino, adorava il calore che emanavano dopo essere stati lanciati nel camino di casa, ma quando si trattava di sfogliarli ed imparare, il feeling scemava decisamente.
Ciuffo ribelle, lineamenti dolci, sguardo suadente: la lontana parentela con Antonio Cifariello, celebre attore del passato di bell’aspetto e grande intensità, gli lascia in eredità uno speciale fascino che invoglia parecchie ragazzine ad approfondire la questione e lui è ben lieto di corrispondere ed accrescere ulteriormente il proprio super ego.
Al netto di ciò Francesco Dell’Anno è anche un ragazzo educato, pronto allo scherzo, che adora i videogiochi e che riempie il suo alloggio alla Pensione Pasiello, dove vive con i compagni, di tramezzini e lattine di bevande gassate.
Ha un caratterino ribelle e sa farsi rispettare, questo sì.
Soprattutto in campo, dove brucia le tappe nel proficuo settore giovanile Laziale ed arriva ben presto alle porte della prima squadra, dopo un paio di stagioni giocate sotto età in Primavera.
Nel frattempo si fa notare pure nelle Nazionali giovanili, con un paio di presenze nella Under 16 e diverse in più nella Juniores, condire da svariate realizzazioni e giocate da fuoriclasse.
Ha parecchi occhi addosso, il ragazzino.
E la Lazio si convince che potrebbe essere già pronto per fare un po’ di esperienza in B, dopo avergli fatto assaggiare l’aria del Calcio che conta nella stagione precedente con un paio di panchine contro Torino e Napoli, entrambe in trasferta, quando era ancora sedicenne e, successivamente, avendolo convocato per il ritiro estivo propedeutico all’annata 1983/84.
Il Varese, da poco affrontato in Coppa Italia, si propone per il prestito ed trova una intesa di massima con la dirigenza romana.
Poi accade qualcosa di inaspettato: la Lazio inizia malissimo il torneo, l’allenatore Carosi viene esonerato e sostituito dal vecchio santone Lorenzo che, dopo aver visto Dell’Anno in allenamento, stoppa la trattativa e chiede alla società di tenere in rosa la sua promessa.
Ciccio non è convinto: freme per giocare con continuità, fosse anche in B.
Lorenzo gli parla e, poco dopo, lo lancia nella mischia contro la Cremonese.
L’idea del tecnico è quella di schierarlo titolare, ma all’ultimo momento cambia idea e lo inserisce solo nella ripresa, con la sua squadra sotto di una rete: al campano basta un minuto per inscenare una giocata da campione che porta al pareggio che evolverà, nel finale, nella prima vittoria del torneo.
Entusiasmo alle stelle e seconda presenza in A contro il Como, sempre da subentrante, dopo un pareggio con la Roma ed una sconfitta in quel di Bergamo.
Secondo trionfo stagionale per la Lazio e Francesco Dell’Anno che si trasforma, nell’immaginario collettivo, in un vero e proprio portafortuna per i suoi.
Nessuno può immaginarlo ma, nonostante gli sforzi del presidente Chinaglia e le promesse di Lorenzo, la squadra a fine stagione retrocederà mestamente in B, senza ottenere altre vittorie e con in rosa elementi quali Giordano, Laudrup, D’Amico, Batista ed altri ancora.
Problemi societari, gestionali, di rapporti, di spogliatoio e chissà cos’altro.
Fatto sta che una compagine da metà classifica -minimo- finisce all’ultimo posto della graduatoria, scatenando le ire dei tifosi e la sorpresa degli addetti ai lavori, per quanto la salvezza raggiunta miracolosamente in extremis nella stagione precedente era con tutta probabilità un segnale da non sottovalutare.
Ciccio fa il suo, accumula una quindicina di gettoni mostrando a tratti il suo talento e sfoderando buone prestazioni, quando chiamato in causa.
Nella mente del pubblico Laziale resta scolpita una gara contro la Juve di Platini e Rossi, nell’ultima di campionato, dove il ragazzo sfodera giocate sublimi e mette a sedere, in un’azione spettacolare, nientepopodimeno che il fuoriclasse francese di cui sopra.
Torna in Primavera per la finale scudetto, persa col Torino di Vatta, e parte per le vacanze estive.
Nel frattempo arrivano proposte per il giocatore ma Chinaglia non sente ragioni e prova a costruire la rosa per una pronta risalita.
Qualcuno, tra i dirigenti, suggerisce all’ex centravanti di liberarsi del ragazzo, sul quale già girano voci abbastanza insistenti, tendenti a rappresentarlo come il tipico genio e sregolatezza, che si presenta agli allenamenti in fuoriserie senza nemmeno aver raggiunto la maggiore età e possedere quindi la patente, che gira la Roma by night senza tregua e che accumula avventure galanti in numero superiore alle giocate che effettua sul terreno di gioco.
In verità sono chiacchiere da bar: Francesco Dell’Anno, come tutti gli adolescenti, non è un uomo fatto e maturo ed ha i suoi vizi e le sue voglie, ma fuori dal campo fa coppia fissa con l’altrettanto giovanissima Eva Russo, portiere della Lazio Femminile, esce in orari normalissimi ed agli allenamenti va regolarmente in bus.
Non sarà titolare fisso, ma il neo tecnico Simoni fa chiaramente intendere che ci punterà parecchio e non mancherà di dargli spazio e fiducia.
Ceduti i big, in primis Giordano, Manfredonia e Laudrup, viene allestito un discreto gruppo che parte alla grande e, dopo una serie di assurde vicende societarie, implode e raggiunge la salvezza soltanto nelle ultime giornate, esprimendosi ben al di sotto delle possibilità.
Idem per Dell’Anno che non è mai decisivo in relazione al suo enorme talento, tutt’altro, tanto da costringere Simoni a rispedirlo in Primavera in varie occasioni, sin dal ritiro, a causa di alcuni comportamenti poco professionali ed irrispettosi della disciplina che, volente o nolente, è parte fondamentale nello sport come nella vita.
Seppur in un caos tremendo, il Laziale non convince nemmeno a livello di personalità e continuità durante il torneo, dando l’impressione di non essere ancora all’altezza delle ottime premesse che solo pochi mesi prima lo volevano nel mirino della Juventus e, mediante un passaggio in altra società, della Roma.
Al peggio non vi è mai fine e pur avendo sistemato la propria situazione finanziaria e societaria, la Lazio si ritrova coinvolta in una nuova ondata di calcio-scommesse con ben 9 punti da scontare nella stagione successiva, dopo una iniziale condanna alla retrocessione d’ufficio in C.
Sarà un’annata storica per il nuovo allenatore Fascetti e la sua Banda dei Meno 9, appunto, entrati nel Mito con una salvezza insperata raggiunta agli spareggi dopo un inizio di campionato che pareva prospettare scenari addirittura da promozione e dopo un proseguimento degno della peggior Lazio del periodo.
Ma Francesco Dell’Anno non ne farà parte.
Sin dal ritiro inizia pedissequamente a riverberare gli atteggiamenti che nella precedente annata ne avevano compromesso il rapporto con Simoni.
Fascetti porta pazienza, poi sbotta e dà il beneplacito per la cessione del fantasista al Brescia, che lo ha richiesto.
Ciccio rifiuta e per qualche settimana la situazione pare rientrare.
Ma è un mero fuoco di paglia: ad ottobre, alla riapertura delle liste, il giocatore passa a titolo definitivo all’Arezzo.
Solamente pochi mesi prima si parlava di Juventus e piazze importanti, mentre la realtà odierna -ai tempi- dice Arezzo.
Con tutto il rispetto, un altro mondo.
La Lazio si è convinta che Dell’Anno abbia un talento notevole che lo esalti ed una testa calda che lo limiti: il mix non basta per farne un fuoriclasse e con i 9 punti di penalizzazione in classifica non c’è tempo per pazientare ed attendere chi ha un passo eccessivamente lento, pur con tutte le attenuanti del caso.
Si interrompe quindi dopo nemmeno una quarantina di presenze il cordone ombelicale che fino a quel momento aveva legato Francesco Dell’Anno alla sua Lazio.
Sua perché il ragazzo rimarrà sempre un accanito tifoso Biancoceleste, anche a fine carriera.
All’Arezzo milita per tre stagioni, senza infamia e senza gloria, le prime due in B e la terza in C, inframezzate da un torneo di B con il Taranto, idem come sopra per il rendimento offerto, con una infausta retrocessione in C per i pugliesi.
Nel frattempo si è anche conclusa la sua storia con Eva Russo, dopo un quadriennio di passione e tenerezza.
Dell’Anno si ritrova così ad un bivio della propria carriera: l’ultimo torneo disputato in maglia amaranto ne ha mostrato l’antico talento, con una discreta continuità di rendimento ed una migliorata vena realizzativa che hanno messo sulle sue tracce diverse società di B.
Il rientro nella serie cadetta avviene con la maglia dell’Udinese, che lo ingaggia per mettere al servizio della squadra una ulteriore pedina di qualità per tentare la scalata alla A.
Scalata che avrebbe avuto pure successo se una penalizzazione di cinque punti, inflitta ai friulani per illecito sportivo, non ne avesse inficiato il risultato finale.
Poco male, tutto rimandato di un anno e promozione ottenuta con qualche brivido, così come per la salvezza successiva in massima serie agguantata grazie alla vittoria nello spareggio col Brescia e ad un Dell’Anno in grande spolvero, dispensatore di assist e giocate da fenomeno, oltre che fortunato nel chiudere la gara con un colpo di testa nel finale in seguito ad un rigore che il suo ex compagno nella Primavera della Lazio, Cusin, era riuscito inizialmente a respingergli.
Un centinaio di gettoni con i bianconeri friulani e Francesco Dell’Anno torna ad essere appetibile per il Calcio che conta.
Ha 26 anni, nel pieno del fulgore fisico di un uomo.
Negli ultimi anni è maturato pure caratterialmente, oltre a diventare un centrocampista completo, in grado di agire da fantasista alle spalle delle punte fornendo assist e giocate importanti, ma anche di muoversi più indietro, con compiti di organizzazione del gioco e, non di rado, di regia.
Gli strappi, rapidi e incisivi, fanno sempre parte del bagaglio della ala-mezzapunta che da giovanissimo incantava chi ne osservava le gesta.
Temperamento, intelligenza tattica e continuità sono però di ben altro spessore, rispetto agli esordi.
Insieme alle insicurezze negli anni si sono diradati anche i capelli, contribuendo a dare un’immagine del calciatore più affidabile e matura.
In tempi dove l’immagine la fa da padrona, tutto fa brodo.
Da fermo se la cava bene, rigori e punizioni, quantunque i suoi allenatori restino perennemente convinti che con quel piede che si ritrova, potrebbe far molto di più in termini di gol.
Udine è bottega notoriamente cara: “Una quindicina di miliardi e lo portate a casa”, la risposta della famiglia Pozzo a chi richiede informazioni a riguardo.
Il Napoli si fa sotto, ma ha problemi economici pesanti e non può arrivare alla cifre in questione.
Prova ad inerire un paio di contropartite, senza esito.
La Samp offre Invernizzi e qualche spicciolo e dal Friuli nemmeno rispondono.
Si inserisce così l’Inter, in fase di ricostruzione e con grandi ambizioni: Shalimov e ricco conguaglio e l’affare si chiude.
Poi la stessa Inter cambia idea e ne scaturisce una controversia legale, conclusa da un accordo tra le parti e con il russo che arriverà in Friuli più tardi del previsto.
In realtà Ciccio avrebbe preferito andare in Campania, per motivi di vicinanza alla famiglia e per la voglia di confrontarsi con una tifoseria calda ed un ambiente particolare da poco orfano del suo Re argentino, Maradona.
Il ricco contratto fatto recapitare da Milano e le prospettive ambiziose dei meneghini spazzano però via ogni remora e Dell’Anno diventa ufficialmente un calciatore dell’Inter, unitamente al fuoriclasse olandese Bergkamp, al suo connazionale Jonk e ad altri discreti comprimari.
Per un solo punto i nerazzuri non retrocedono in B per la prima volta nella loro storia, cogliendo il peggior piazzamento in classifica dalla fondazione del club.
Una mazzata, a tutti gli effetti.
In parte, in gran parte, oscurata dalla vittoria in Coppa Uefa che regala un finale di stagione all’altezza delle -naufragate-ambizioni in campionato.
Francesco Dell’Anno non brilla, mettendo insieme una quindicina di gare in serie A e diverse presenze, per lo più da subentrante in Uefa.
Vince il suo primo trofeo importante, purtroppo l’unico, che infatti coinciderà con l’apice della sua carriera.
All’Inter paga lo scarso ambientamento in una società in fase di crescita e cambiamento nel passaggio tra Pellegrini e Moratti, una condizione fisica precaria a causa di un problema alla schiena che gli procura fortissimo dolore per mesi, un feeling mediocre con i tecnici avvicendatisi sulla panca lombarda e la cronica incapacità di (non) sapersi imporre nei contesti “top” o/e dove la pressione inizia ad essere importante.
Le due successive stagioni a Milano si dimostrano avare di soddisfazioni per il 5 interista, numero scelto con l’evidente intenzione di imporsi come fulcro di centrocampo, quasi centromediano metodista, reggente e sovrano del reparto nevralgico del campo.
Negli ultimi mesi ad Udine Francesco Dell’Anno era stato seguito da emissari della Nazionale, mentre a Milano sparisce definitivamente dai radar del Calcio che conta.
Un treno che, per lui, non passerà più.
L’Udinese aveva provato a riportarlo “a casa” mesi prima, con i tifosi friulani che speravano di rivederlo in maglia bianconera.
Ma nel Calcio le cose cambiano velocemente e i Pozzo hanno altre idee, così si propone la Salernitana, appena reduce da un ottimo campionato in B e vogliosa di provare a scalare ulteriori posizioni verso il vertice: Ciccio torna nella sua regione d’origine con entusiasmo e voglia di ripartire, ma ancora una volta l’esito è al di sotto delle aspettative.
I granata si salvano dalla C nelle ultime giornate, lui gioca una stagione appena sufficiente.
Viene comunque riconfermato fin quando a novembre, nel mercato di riparazione, è il Ravenna a proporgli un contratto pluriennale.
La città è bella, l’ambiente tranquillo, la società solida: tutto tremendamente perfetto per lo standard di Dell’Anno che accetta e per un quadriennio si diverte a dar spettacolo in terra romagnola, dapprima in coppia con quel geniaccio di Enrico Buonocore, poi con una squadra non ricchissima di talento che compensa però con grinta e compattezza, assestandosi stabilmente nel centro della classifica.
Francesco Dell’Anno trova spesso la via della rete, al contrario del passato.
Gioca da leader, sforna assist, illumina la scena.
Non è giovanissimo, però i tifosi lo adorano e il Ravenna ci punta.
Almeno fin quando un disastroso girone di andata del campionato 2000-01 non genera un turbine di acquisti e cessioni all’interno del gruppo, nel tentativo di scongiurare una retrocessione che arriverà puntuale a fine stagione, sancendo il fallimento del club e la successiva ripartenza dalle categorie minori.
Un’autentica ecatombe, una tragedia sportiva che non vede Dell’Anno tra i firmatari ultimi: a gennaio è infatti il Ravenna a volersene disfare, prima offrendolo al Genoa che tentenna e non affonda il colpo, poi spedendolo a Terni e liberandosi così di un ingaggio oneroso e di un giocatore ritenuto ormai non complementare al progetto tecnico di una società che in quel momento storico non aveva idea manco di dove si trovasse, a volerla dire tutta.
Con la Ternana milita per un anno e mezzo, nell’arco di un paio di stagioni: buona la prima, meno la seconda, conclusa con una retrocessione degli umbri in C, seguita poi dal ripescaggio qualche mese più tardi.
Ciccio Dell’Anno spende con i rossoverdi gli ultimi momenti di una carriera onesta, sicuramente dignitosa, ma non all’altezza delle premesse.
Un piede clamoroso, un talento immane, una visione di gioco lucida, un estro innegabile.
E poi i limiti, tanti e comuni al solito -e nel Calcio abusatissimo- cliché del genio e sregolatezza.
La sfortuna ci ha messo lo zampino con i cronici problemi alla schiena sofferti durante la permanenza all’Inter, dove la sua storia sarebbe potuta approdare a livelli eccelsi, anziché fermarsi ben prima della gloria.
Oggi Francesco Dell’Anno è lontano dal calcio: ha da tempo messo la testa a posto, come si suol dire, e la donna che ha contribuito alla causa in tal senso è anche colei che lo aiuta nella gestione di un B&B ed in alcuni investimenti di natura edile ed immobiliare.
Io continuo a ricordare quel ciuffetto biondo ribelle che ancora oggi tifa Lazio, come detto, e che fece sognare la tifoseria Laziale in un periodo particolare della propria Storia, oltre ad illudere molti addetti ai lavori -alcuni di essi celebri e competenti- di trovarsi dinanzi ad un Campione.
Perché sembrava veramente un alieno, invece era semplicemente Ciccio, Francesco Dell’Anno.
Ed in fondo va bene anche così.
V74