- 06/05/2020
Florian Schneider
Brutta notizia.
Almeno un paio di volte al mese passo da loro.
Tappa fissa, per gusto e per riconoscenza.
Seminali come pochi altri al mondo.
L’articolo è de La Stampa
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Morto a 73 anni Florian Schneider, uno dei due fondatori dei Kraftwerk
Con la sua band ha influenzato la musica dei decenni successivi come forse solo i Beatles: dai new romantic alla techno, passando per l’ambient, l’house, l’hip hop e mille altri generi
La voce circolava da qualche ora, ma la conferma è arrivata dopo che già su Twitter si moltiplicavano gli omaggi: Florian Schneider, uno dei due fondatori dei Kraftwerk è morto. Aveva 73 anni.
La loro storia inizia nel 1970, quando Florian Schneider e Ralf Hütter, musicisti di formazione classica, debuttano col nome di Kraftwerk. Avevano già sperimentato col nome Organisation per qualche anno, citando Stockhausen e Pierre Schaeffer. Ma con la loro “centrale elettrica” influenzeranno la musica dei decenni successivi come forse solo i Beatles, pur partendo da Düsseldorf, alla periferia di tutto ciò che è rock e pop. Dai new romantic alla techno, passando per l’ambient, l’house, l’hip hop e mille altri generi, in tanti hanno ripreso da loro l’idea che le macchine potessero diventare strumenti musicali. Anche David Bowie aveva omaggiato Schneider, nell’album Heroes (1977): un brano quasi totalmente strumentale è intitolato V-2 Schneider, come il musicista tedesco.
La loro Computer Love è stata campionata dai Coldplay in un singolo di qualche anno fa, da Trans Europe Express sono nati insieme gli Einstürzende Neubauten e Afrika Bambaataa, e i Daft Punk si sono coperti nipoti di Philip Glass. In Tour de France i rumori diventano musica, si intrecciano con le percussioni, si scompongono e si moltiplicano, si alternano con linee melodiche che rimandano alla tradizione sinfonica tedesca. Uno dei loro brani più noti, Radioactivity, èun delirio lucidissimo di suoni e rumori. Nel 1975, quando fu pubblicato, sembrava una dichiarazione d’amore per l’energia nucleare, oggi è un manifesto ecologista, con una strofa cantata in giapponese per ricordare Fukushima; per capovolgerne il senso è bastato aggiungere una parola al ritornello (“Stop radioactivity”).
Schneider suonava il sintetizzatore, il vocoder, il flauto, il sax e molto altro, oltre a essere una delle due voci dei Kraftwerk: ha lasciato la band nel 2008. Durante il suo periodo con il gruppo, i Kraftwerk hanno pubblicato 10 album in studio, tra cui l’acclamato Autobahn del 1974. Hanno anche vinto il Grammy per il miglior album dance/elettronico nel 2017 per il 3D The Catalogue, e sono stati insigniti del premio alla carriera nel 2014.
I Kraftwerk hanno scardinato i concetti tradizionali di artista e di ispirazione: si dichiarano “musik-arbeiter”, lavoratori della musica, passano otto ore al giorno nei Kling Klang Studios come impiegati qualsiasi. Della formazione originale rimane oggi solo Ralf Hütter, dopo che nel 2008 Florian Schneider aveva lasciato la band. Sul palco però erano sempre in quattro, oltre a Hütter, Henning Schmitz e Fritz Hilpert c’era Falk Grieffenhagen, che non suona ma controlla gli effetti video.Il concerto è letteralmente spaziale: i Kraftwerk suonano con l’astronauta in orbita
Dal vivo, quello dei Kraftwerk è uno show multimediale di teutonica precisione e complessità, il sogno dell’opera d’arte totale wagneriana costruito con computer e tecnologie digitali. Erano stati a Torino l’ultima volta nel 2017, proponendo dal vivo per Club To Club l’intero catalogo, con tutti e otto gli album. Avevano annunciato anche un tour per celebrare il 50° anniversario, che avrebbe toccato anche l’Italia, cancellato poi per il coronavirus.
Nei bis le postazioni dei musicisti erano occupate da quattro automi con le loro sembianze, che si producevano in una danza surreale sulle note di The Robots, anno 1978. L’audio era a livelli di qualità mai sperimentato prima in un concerto, gli effetti visivi in 3D raffinati e nitidissimi, riproponevano l’immaginario estetico della band, una sorta di futurismo retrò, fatto di abiti antracite, camicie rosse e cravatte nere, dove il cielo è sempre azzurro e il progresso arriva sulle rotaie di un treno. Un ideale di futuro in cui le macchine e gli uomini convivono, in cui l’Europa non ha confini e i computer possono essere perfino divertenti: quanto pare lontano tutto questo dalla distopia dei tempi che stiamo vivendo.
da www.lastampa.it