• Pippo

Filippo Citterio

Mi capita spesso di chiacchierare con tifosi di una certa età.
Bello.
Anzi: bellissimo.
Racconti epici ed indimenticabili di un calcio che, volente o nolente, oggi non c’è più.
Noi continuiamo a seguirlo ed amarlo, perché siamo malati e perché fin quando ci sarà un bambino che correrà dietro ad un pallone il mondo sarà ancora un bel posto dove vivere.
Però tante cose sono cambiate.
Troppe.

Detto ciò, molti “vecchietti” con i quali ho interagito nel corso del tempo sono di matrice Laziale e napoletana.
Per ovvie ragioni di tifo e di territorialità, chiaramente.
E tanti di loro, quando si discorre di terzini sinistri, mi citano sempre il buon Citterio.
Che ha indossato sia la casacca della Lazio che quella del Napoli e che io ricordo decisamente meglio sul finire della carriera, da giocatore (soprattutto difensore centrale) di Ascoli, Cremonese e Brescia.

Perché il buon Filippo –Pippo per gli amici-, in effetti, è stato un ottimo fluidificante di fascia mancina, convertitosi poi in esperto e tignoso baluardo difensivo negli ultimi anni spesi sui campi da gioco.

Procediamo con ordine, come da prassi.


Filippo Citterio viene alla luce in quel di Giussano, nell’autunno del 1955.
Oggi saremmo in provincia di Monza e della Brianza, ma negli anni cinquanta il comune di riferimento dei giussanesi era Milano.

Il piccolo Filippo cresce a pane e pallone, ma è bravo pure a scuola.
Fisicamente alto e smilzo, corre come una lepre e e tocca la sfera con buona tecnica.
Gioca nelle squadre di quartiere e nella rappresentativa scolastica, per poi entrare nella polisportiva della Vis Nova di Giussano, ove inizia a mettere in mostra doti oltremodo intriganti per un ragazzino di neanche quattordici anni d’età.

Citterio si ferma nella Vis Nova per un quadriennio circa, prima di essere ceduto -non ancora maggiorenne- al Seregno, che bazzica le zone medio-alte della serie C.
Una buona occasione per mettersi in mostra in una categoria che spesso funge da serbatoio per compagini di caratura superiore.
E Filippo Citterio non si lascia sfuggire la chance: a Seregno disputa una ottima stagione, da titolare inamovibile e con un rendimento sorprendente, ancor di più considerando che si tratta di un esordiente in terza serie, oltretutto giovanissimo.

Sul promettente stantuffo di fascia posano gli occhi diverse società importanti, prima che a piombare sul terzino sinistro -sì, questo è il suo ruolo- sia nientepopodimeno che il Milan.
Poco meno di cento milioni delle vecchie lire al Seregno ed un contratto al giussanese, l’offerta dei meneghini.
Il Seregno incassa in un battibaleno, lui firma subito e si trasferisce a Milano, sponda rossonera, con entusiasmo e convinzione.

Ragazzo serio e più maturo di quanto racconti la sua carta d’identità, Filippo è consapevole che dovrà giocarsi le proprie carte in un contesto di assoluto spessore.
D’altro canto il Milan è stato chiaro: “ti aggreghiamo alla Primavera e ti teniamo sott’occhio, pronto per essere convocato in prima squadra, alla bisogna“.
Così avviene.
Filippo Citterio è una colonna della rappresentativa giovanile del Milan, che guida da capitano pure nel celebre Torneo di Viareggio.
Viene chiamato in prima squadra nelle gare contro Fiorentina, Vicenza ed Inter, nel girone di ritorno, finendo in panchina.
Poi arriva un’ulteriore convocazione per la trasferta di Bologna, quint’ultima di un campionato che porterà il Milan al quinto posto, ultimo utile per qualificarsi alla Coppa UEFA della seguente stagione.
Citterio nella città felsinea subentra a pochi minuti dalla fine, esordendo quindi in serie A nel Milan di Rivera (assente, quel giorno), Benetti, Albertosi, Maldera, Bigon, Calloni e Chiarugi, allenato da Giagnoni.


Una gran bella soddisfazione per un calciatore in rampa di lancio che viene convocato nella Nazionale Juniores Italiana che disputa alcune amichevoli e che partecipa al prestigioso Torneo di Cannes, in Francia.
Tutto molto bello, direbbe il mitico Pizzul.

Se non fosse che soltanto pochi mesi più tardi Citterio viene ceduto al Palermo, in serie B.
Un mutamento epocale, per il lombardo.
Che, complice una concorrenza agguerrita in rosa, si ritrova catapultato in una realtà sconosciuta, a distanza siderale dalla famiglia e dal suo ambiente abituale.
Filippo, carattere tosto e mentalità da professionista vero, non fa una grinza.
Ringrazia il Milan per la fiducia riposta in lui, comprende che non è ancora pronto per certi livelli, prepara la valigia e si traferisce in Sicilia nella seduta del calciomercato novembrino, alla ricerca di spazi e di fortuna.

Resta epica la sua prima dichiarazione, poche ore dopo l’arrivo in città.

“Mi chiamo Citterio, ma non sono un salame!”

Filippo citterio

Fantastica.

Il Palermo, che sogna la A, è reduce da una buona annata culminata con un quinto posto in graduatoria.
Filippo Citterio si fermerà nel capoluogo siculo per quattro anni, vivendo a Mondello e diventando una colonna della squadra rosanero.
Non conquisterà la promozione, purtroppo.
Il Palermo riesce spesso a raggiungere le zone che contano, ma manca di continuità e non centra l’obiettivo.
Il terzino lombardo, in Sicilia, sfiora la vittoria della Coppa Italia, edizione 1978-79, nella quale è assoluto protagonista della kermesse.

Filippo Citterio - Palermo

Dapprima realizzando il penalty decisivo che, nei quarti di finale, elimina la Lazio di Giordano e D’Amico, al termine del match di ritorno conclusosi per 0-0, esattamente come quello di andata.
Poi in semifinale, mettendo a segno una doppietta che nella gara di ritorno elimina il Napoli e trascina i suoi alla finale con la Juventus, giocata in gara secca proprio nella città partenopea.
La Juventus (che in campo schiera gente come Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini, Tardelli, Causio, Brio, Bettega, Boninsegna, Virdis, Morini, eccetera) vince con per 2-1 ai supplementari una partita che ha rischiato seriamente di perdere.

L’exploit di Citterio, letteralmente scatenato, fa da apripista alla sua partenza da Palermo.
Il giocatore, ventiquattrenne, è palesemente da categoria superiore.
In estate lo cercano in tanti, dalla serie A.


Una corte spietata gliela fa la Lazio, col suo allenatore Lovati che è innamorato del calciatore di Giussano.
La trattativa è abbastanza complessa e la fumata bianca giunge al termine di un accordo che prevede un discreto esborso economico da parte dei biancocelesti, col Palermo che riceve in aggiunta anche i cartellini dell’esperto terzino Ammoniaci e del promettente centrocampista De Stefanis.

A Roma il grintoso Citterio trova una squadra non all’altezza di quella che pochi anni prima ha vinto lo Scudetto.
La società è in fase di riorganizzazione e la rosa, seppur non eccelsa, presenta comunque qualche elemento di notevole caratura: il bomber Giordano, il geniaccio D’Amico, il promettentissimo Tassotti, il poliedrico Manfredonia, l’inossidabile Wilson, il talentuoso Viola, l’eterno Garlaschelli.
Materiale umano sul quale lavorare per costruire una salvezza tranquilla, che in effetti sul campo viene raggiunta grazie pure alle solide prestazioni di Filippo Citterio, tra i migliori interpreti dei biancocelesti.

Ma ad ingarbugliare maledettamente i piani dei romani è l’esplosione dello Scandalo del Totonero, che deflagra in maniera dirompente nel sistema calcio e genera tutta una serie di sentenze pesanti, sia per i calciatori che per le società coinvolte.
La Lazio si ritrova retrocessa in serie B e Citterio finisce sul mercato, col Napoli che pare pronto a chiudere l’affare e portare il giocatore all’ombra del Vesuvio.

I tifosi Laziali, già imbufaliti dall’evolversi del processo ed indeboliti da una stagione che li ha visti subire anche l’atroce tragedia che ha colpito la famiglia del povero Paparelli, ucciso da un infame razzo prima del derby d’andata, reagiscono alle voci di cessione del terzino lombardo.
La partenza di Tassotti, già definita e mal digerita dalla piazza, sembra destinata ad essere bissata da quella di Citterio.

Se non fosse che il nuovo allenatore Castagner, reduce dalla guida del Perugia dei miracoli ( un secondo posto in campionato, da imbattuta, un biennio prima), si inalbera alla sola idea di doversi privare del ragazzo.
Difatti il neo mister reputa Citterio uno dei cardini sui quali poggiare l’intelaiatura della squadra.
Il Direttore Generale della Lazio, Luciano Moggi, rassicura sia lui che il pubblico Laziale: “Filippo Citterio non si muove da Roma. Le voci sul suo passaggio al Napoli sono prive di fondamento. La Lazio non smobilita e punta all’immediato ritorno in A!“, tuona il dirigente biancoceleste dinanzi ai taccuini dei giornalisti che lo assalgono nel ritiro estivo di San Terenziano (PG).

Lazio Calcio

Dove sbarca anche il fortissimo olandese René van de Kerkhof, destinato a far furore sulla fascia destra con Citterio a spingere su quella opposta, per una Lazio arrembante e spregiudicata che, sfortunatamente, resta tale soltanto sulla carta.
Difatti in cadetteria non sono ammessi stranieri, ad inizio anni ottanta.
E non sono ammesse deroghe, nemmeno dopo le sentenze di cui sopra.
Renè rifà i bagagli e torna a casa.
La Lazio, che aveva seguito a lungo pure il potentissimo attaccante brasiliano Eder ed il funambolico trequartista jugoslavo Surjak, si ritrova a dover rifare il mercato.
Sbarcano così nella capitale i quotati milanisti Bigon e Chiodi, a dar manforte alla causa.
Vengono inoltre acquistati i portieri Marigo, Nardin e Moscatelli, i difensori Spinozzi, Ghedin (un ritorno, il suo) e Mastropasqua, i centrocampisti Sanguin e Greco.
Lasciano Roma diversi elementi di valore, Tassotti e D’Amico in primis.

La Lazio è tra le favorite del torneo, va detto.
Il rendimento è abbastanza altalenante, invero.
Ma basta a tenere il club nelle zone deputate alla promozione: quantomeno sino alla penultima giornata, ecco, allorquando un calcio di rigore fallito dallo specialista Chiodi, contro il Vicenza, affossa definitivamente i sogni di gloria del Laziali.
Un duro colpo, per tutto l’ambiente.

Filippo Citterio è indubbiamente uno dei migliori del suo team.
Gioca tutte le gare, segnando pure sei reti.
Un treno, sulla corsia mancina.
Inarrestabile, travolge chiunque gli si pari dinanzi.
Calciatore sprecato in serie B, inutile girarci intorno.


Castagner gli parla, per convincerlo a restare e ritentare la scalata.
Lui, professionista esemplare, spiega di avere un contratto e di essere intenzionato a rispettarlo, salvo diverse opinioni a riguardo da parte della società.
Il problema è che quel Napoli di cui si era parlato dodici mesi prima non ha mai mollato la presa sul laterale.
Lo ha seguito spesso e si è convinto ad affondare il colpo.
La Lazio tenta una flebile difesa, poi si arrende alla vil moneta (oltre seicento milioni di lire) offerta dai partenopei, che aggiungono pure il cartellino di Walter Speggiorin -pupillo di Castagner- e la comproprietà di Vagheggi nel pacchetto finale che porta Filippo Citterio in Campania.
Due dirigenti napoletani volano in aereo a Milano e poi in auto raggiungono il calciatore in piena notte a Seregno, nell’abitazione di famiglia, per sottoporgli il contratto pluriennale sul quale apporre la firma, tranciando così di netto la concorrenza del Milan, che vorrebbe riportare il terzino all’ovile.

Il Napoli, giunto terzo in campionato, ha ambizioni importanti.
Il presidente Ferlaino e l’allenatore Marchesi sperano di ripetere l’annata precedente e, perché no, magari anche di migliorare l’ottimo piazzamento sul podio.

Filippo Citterio - Napoli

Il libero olandese Krol è il leader tecnico della squadra.
Il portiere Castellini governa una difesa in cui spiccano i grintosi Bruscolotti e Ferrario.
A centrocampo la sostanza di Guidetti e le geometrie di Criscimanni ispirano il genio di Musella e le sgasate di Claudio Pellegrini e Palanca.
Il contorno è imperniato su onesti mestieranti dediti alla causa.
Citterio gioca da titolare, saltando gli ultimi due mesi della stagione a causa di un brutto infortunio, e si diletta nel cercare di completare gli studi alla Facoltà di Scienze Politiche, dove si è iscritto.
Con i libri è bravo ed in campo se la cava altrettanto bene, meritandosi la riconferma in un club che chiude al quarto posto in classifica ed ingaggia, in estate, il suo secondo straniero, l’attaccante argentino Diaz.
Il nuovo allenatore, Giacomini, ha un’idea di calcio moderna e vede Filippo come esterno alto.
La rosa non viene rinforzata adeguatamente, però.
E il Napoli non brilla, incappando in una annata interlocutoria conclusasi con Rambone in panca e Pesaola come Direttore Tecnico.
Nella stagione che andrà a precedere l’arrivo dell’infinito Maradona, la società campana decide di privarsi di Citterio.
Al suo posto viene ingaggiato Frappampina, dal Bologna.
Filippo passa all’Ascoli in cambio del suo omologo Boldini, con i marchigiani che aggiungono un conguaglio in denaro per favorire la conclusione dell’affare.


A ventotto anni, nel pieno della sua maturità calcistica, Citterio saluta la possibilità di vincere qualcosa di importante.
Il Napoli, di lì a poco, andrà a costruire uno squadrone che arricchirà la propria bacheca e, soprattutto, regalerà gioie incredibili alla sua gente.

Il terzino lombardo, nell’ultimo quadriennio speso tra Lazio e Napoli, ha dimostrato le sue notevoli qualità.

Laterale di fascia sinistra vecchio stampo, abile cursore di spinta e, nel contempo, attento marcatore in difesa.
Tignoso e tecnicamente dotato, con un fisico tosto e polmoni d’acciaio, Citterio è una roccia.
Veloce e continuo, quando prende possesso della fascia mancina si trasforma in un ossesso: spinge come un forsennato in progressione ed è difficilmente arginabile, se è in giornata.
Il suo educatissimo piede sinistro gli consente di crossare con estrema precisione, mentre il suo perentorio stacco di testa gli permette di segnare pure qualche rete.
Sarebbe inoltre un implacabile rigorista, come si è visto nello spareggio promozione del 1989, se non fosse che l’altro penalty più importante della sua carriera, quello che avrebbe riportato la Lazio in serie A, lo lascia calciare all’altrettanto ottimo specialista Chiodi, che fallisce l’obiettivo e, di fatto, spedisce Citterio al Napoli, dove comunque fa bene ma ha la sfortuna di salutare proprio agli albori dell’epoca Maradona.
Spesso capitano delle sue squadra, a conferma della personalità e del carisma del giocatore, Filippo Citterio ha militato lungamente in serie A, disimpegnandosi molto bene pure nelle vesti di difensore centrale, soprattutto negli ultimi periodi della carriera.
D’altronde, nei primi anni di attività, aveva ricoperto il ruolo di mediano difensivo ed in alcune circostanze si era mosso pure da terzino destro.
Un calciatore tatticamente intelligente, duttile e serio, che probabilmente avrebbe meritato miglior sorte a livello di club.
Il fatto che molti lo considerino uno dei migliori interpreti nel ruolo di terzino sinistro del calcio italiano nel periodo settanta/ottanta è la conferma di quanto sopra, senza alcun dubbio.
Incorre in alcuni infortuni di ordine muscolare e traumatico, che ne stoppano l’ascesa in momenti cardine del suo percorso.
Al Palermo soffrì invece di pericardite, superata dopo alcuni mesi di cura.
Su di lui si addensò un’ombra di preoccupazione, ma tutti i controlli esclusero qualsivoglia forma di rischio, per uno sportivo professionista.


Per un periodo di Citterio si parla anche in ottica Nazionale, ove la concorrenza di quegli anni è oltremodo spietata.
Lui, posato ed onesto intellettualmente, replicò così alle voci in questione:
La Nazionale?
No, non ci penso.
Tutti vorrebbero indossare la maglia azzurra, ovviamente.
Però sono consapevole che ad oggi, nel mio ruolo, ci sono diversi giocatori più forti del sottoscritto.
Alcuni sono esperti e già rodati ai massimi livelli.
Altri invece sono giovani e pronti ad imporsi nel calcio che conta.
Io sono nel mezzo e debbo lavorare ancora molto, per migliorarmi
“, le sue parole.
Franche, lucide, indiscutibili.

Ad Ascoli il nostro Filippo Citterio trova Mazzone come tecnico e Rozzi come presidente: un’accoppiata esplosiva.
La rosa è “da battaglia”: obiettivo salvezza, chiaramente.
Greco, Pochesci e Perrone già li conosce dai tempi della Lazio.
Con altri compagni ha spesso battagliato sui campi della A e della B.
Il brasiliano Juary e l’estroso Novellino hanno il compito di imbastire le azioni offensive del team, unitamente al talentuoso ma incostante Borghi.
Gli altri, centrocampisti e difensori, lottano come leoni per portare a casa una salvezza tutto sommato tranquilla.
Citterio fa il suo, sebbene perda quasi mezza annata a causa di un infortunio rimediato nel match di andata contro la Fiorentina, in trasferta.

Poi Juary e lo jugoslavo Trifunovic (l’altro straniero in rosa) lasciano il posto al forte brasiliano Dirceu ed all’argentino Hernandez.
L’Ascoli annaspa e a nulla serve il cambio tra Mazzone e Boskov, nel disperato tentativo di risollevare la stagione dei bianconeri.
Inesorabile retrocessione e Filippo Citterio che guarda i suoi compagni dalla panca in un campionato da dimenticare, sia per lui che per la compagine di Rozzi.


A fine stagione la separazione tra il sodalizio bianconero ed il difensore lombardo è inevitabile.
Citterio ha un abboccamento con l’Udinese, che non sortisce effetti.
Poi viene inserito come contropartita nell’affare che porta Fulvio Bonomi dalla Cremonese all’Ascoli, facendo il percorso opposto a quello del collega e, con sua piena soddisfazione, riavvicinandosi a casa.
A chiamarlo è il suo ex compagno al Palermo, Erminio Favalli, divenuto dirigente dei grigiorossi.
Lo stesso uomo che, ironia della sorte, appena chiusa la carriera di calciatore si era insediato nella dirigenza del Palermo ed aveva firmato il contratto della cessione di Citterio alla Lazio.
Corsi e ricorsi storici, insomma.

Anche la Cremonese, come l’Ascoli, è reduce da una cocente retrocessione in cadetteria.
I marchigiani riescono subito a risalire in A, mentre i lombardi, dopo una buona partenza, si smarriscono alla distanza, impaludandosi a metà classifica.
Citterio, titolare fisso, si disimpegna discretamente nel ruolo di laterale sinistro, con compiti più difensivi del solito.
Tiene la posizione e si sgancia raramente, seguendo le indicazioni del suo allenatore Mondonico, che vuole una squadra equilibrata e prudente.
In quel di Cremona il buon Filippo Citterio si ferma per un quinquennio, ritrovando lo smalto di un tempo e donando solidità ed esperienza alla retroguardia delle Tigri.
In estate il presidente Luzzara lo conferma senza remora alcuna ed ingaggia mister Mazzia per tentare di ottenere la promozione in A.
La Cremonese sfiora l’obiettivo perdendo la massima serie agli spareggi contro Lecce e Cesena, anch’esse giunte terze in graduatoria.
Una beffa atroce per una squadra che aveva a lungo condotto la classifica, salvo poi rallentare in corsa e perdere l’ultimo match, in casa contro il Pisa, quando anche un pareggio avrebbe spedito i cremonesi in A.

Un autentico peccato, per una compagine che schiera parecchi elementi di valore: Chiorri, Lombardo, Rampulla, Bongiorni, Nicoletti, Bencina, Viganò, Finardi ed altri ancora.
Nonostante qualche innesto mirato (Piccioni, Avanzi, Rizzardi), pure dodici mesi dopo la Cremonese non riesce a tornare nel più importante torneo della penisola.
Va meglio, per fortuna, nella seguente stagione, quando i grigiorossi prevalgono nello spareggio con la Reggina (Cosenza giunto a pari punti con le due contendenti, ma estromesso per la classifica avulsa) dopo i calci di rigore.
Nella lotteria finale Filippo Citterio, che oramai gioca da centrale difensivo col numero 6 sulle spalle, segna il suo penalty e, da leader e capitano, trascina il suo popolo alla riconquista della agognata serie A.
L’attacco Bivi-Cinello è decisivo per le sorti dei lombardi.
Le sgroppate di Lombardo hanno fatto il resto, col migliore attacco della categoria che ha mascherato alcune pecche difensive, emerse nel corso della kermesse.

Sia quel che sia, la Cremonese è nuovamente presente sul palcoscenico più nobile del calcio italiano.
Ed anche Citterio ritrova la sua platea preferita.
Burgnich, che prende il posto di Mazzia, punta sul blocco difensivo dei grigiorossi e sugli stranieri Limpar, Dezotti e Neffa.
La squadra ci prova, ma un inaspettato crollo finale la condanna alla retrocessione.

Filippo Citterio - Cremonese

Tornerà presto in A, stavolta, in una sorta di saliscendi, il cosiddetto “ascensore” tra A e B.
Filippo Citterio non sarà però in rosa, ceduto al Brescia.

In massima serie non ha sfigurato, ma ha un po’ sofferto la velocità degli avversari e, per la prima volta in carriera, ha fatto incetta di cartellini gialli e di conseguenti squalifiche.

Oramai trentacinquenne, parrebbe avviato sul viale del tramonto calcistico.
Lui si sente fisicamente bene e vorrebbe continuare, quindi saluta da capitano la Cremonese e si guarda intorno, alla ricerca di un progetto che gli possa dare lo spazio che pensa ancora di meritare.
Naturalmente senza spostarsi eccessivamente dalla sua Lombardia, s’intende.
Ecco che nel calciomercato autunnale di riparazione, col difensore ancora sotto contratto con la Cremo, emerge l’opzione Brescia: serie B, un allenatore che conosce Citterio molto bene (Mazzia) ed una società seria, col giocatore che non ha bisogno neanche di cambiare residenza.
Cosa volere di più?

La rosa inoltre non è affatto male: Ganz, Giunta, De Paola, Bonometti, Carnasciali, Marco Rossi, Valoti, Luzardi, Masolini, Serioli e altri ancora.
Filippo Citterio firma un biennale con le rondinelle e si mette a disposizione del nuovo club.

L’esperto Bolchi, subentrato alla terza giornata a Mazzia, conduce i suoi ad un nono posto finale che rispecchia l’andatura incostante della squadra.
Citterio, titolare, se la cava col mestiere, senza brillare particolarmente.

L’ambizioso presidente Corioni punta in alto ed in estate ingaggia il preparato allenatore rumeno Lucescu.
Completa l’opera con un calciomercato intelligente ed oculato, col Brescia che vince il torneo e torna in serie A dopo un lustro.

Filippo Citterio fa tappezzeria, tra panca e tribuna, ma può fregiarsi del primo campionato vinto in carriera.
Incredibile a dirsi, lo fa proprio nell’anno in cui non vede mai il campo.
Fa gruppo, questo sì.

Con trentasette primavere sulle spalle decide di tornare a casa e giocare col Seregno, nei dilettanti, allenato dall’ex Laziale Podavini, prima di dire addio al calcio giocato.
Va quasi per i quaranta ed ha voglia di allenare, l’ex terzino.


D’altronde la passione non gli manca di certo, così come la competenza.
Inizia con un triennio nelle giovanili della Cremonese, per poi guidare il Vis Nova Giussano, in Eccellenza.
Allena quindi Alto Adige e Seregno nel Campionato Nazionale Dilettanti, prima di scendere nuovamente in Eccellenza, per sedersi sulla panca del Brugherio.
Si divide tra Eccellenza e Promozione per qualche anno, con lo stesso Brugherio, Molinello e Nibionno.
Successivamente si occupa di giovani, dirigendo alcune scuole calcio nel Nord Italia.

Filippo Citterio

Un tipo simpatico ed un calciatore al quale, come detto, molti addetti ai lavori e parecchi tifosi pronosticavano una carriera scintillante.
Centotrenta gare in A ed oltre trecentotrenta in B non sono cose da tutti i giorni, intendiamoci.
Ma quel cavallone imbizzarrito sulla fascia pareva destinato a livelli veramente notevoli, sia come club d’appartenenza che, di conseguenza, come palmares.

Invece è andata un pizzo diversamente, seppur mica tanto male.
In fondo ha giocato in piazze caldissime ed ha affrontato sublimi fuoriclasse in un’epoca in cui il campionato italiano era il migliore al Mondo.

Che bei ricordi.
Davvero.

Filippo Citterio: Pippo.

V74

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