- Bibota
Fernando Gomes
Il Portogallo ha espresso, negli anni, degli ottimi calciatori.
Parecchi di essi erano sono- giocatori d’attacco.
Basti pensare al campionissimo Eusebio o al fuoriclasse Cristiano Ronaldo, per dire.
Futre e Rui Costa, con caratteristiche e fortune diverse, sono stati due ottimi elementi.
Qualche gradino più in basso, tornando alle punte pure, vanno citati Pauleta, Hélder Postiga, José Águas, Hugo Almeida, Rui Jordão, Nuno Gomes e Rui Águas.
Eppure per vincere il primo trofeo importante della propria storia i lusitani hanno dovuto affidarsi al buon Éder, guineense naturalizzato portoghese, che nel 2016 ha trascinato i compagni al trionfo agli Europei del 2016, in Francia, con una sua rete ai supplementari che ha piegato la resistenza dei padroni di casa, regalando al popolo iberico una gioia infinita.
Nessuno dei succitati, ad onor del vero, è stato un centravanti da urlo.
Quantomeno a livello internazionale, ecco.
Ed il migliore del lotto, in attesa che le tante promesse odierne ci svelino di che pasta siano fatte, manca ancora all’appello.
Da poche ore è venuto a mancare, dopo aver lottato per un triennio con una brutta malattia.
Per questo mi sono permesso di fargli scalare alcune posizioni ed anticipare il suo ricordo, che era peraltro previsto a breve.
Trattasi di Fernando Mendes Soares Gomes, alias Fernando Gomes.
Un bomber che è stato tra i protagonisti del calcio lusitano per parecchi anni e che ha conquistato anche la scena internazionale con il Porto, pur non riuscendo -al pari di altri succitati- a ripetere le sue magie con la maglia della Nazionale.
Lo ricordo bene in diverse occasioni, una delle quali lo vide protagonista con la maglia del Porto, ovvero la finale di Coppa Intercontinentale del 1987, trasmessa in differita dall’allora Fininvest e col sottoscritto incollato -letteralmente- dinanzi ad una TV a schermo zuppiera di almeno 750 chilogrammi di peso.
Altri tempi, stessa passione.
Ma andiamo con ordine.
Oporto, novembre del 1956.
Fernando Gomes viene al mondo in una famiglia di umili origini e sin da bambino vede la felicità dipinta in un pallone che rotola nei viottoli della cittadina.
La scuola non gli dispiace affatto, ma il calcio è il suo principale interesse.
Quattordicenne, entra nel settore giovanile del Porto.
Suo padre è tifosissimo dei Dragões (i Draghi) e quando apprende la notizia che il suo erede giocherà con le giovanili della squadra locale, beh, impazzisce letteralmente di gioia.
La strada è lunga, ci mancherebbe.
Ma le premesse sono alquanto interessanti: perché Fernando gioca sotto età.
Sgusciante ed astuto, mostra doti da attaccante di razza.
Piuttosto bassino ed abbastanza mingherlino, quantomeno inizialmente, prima di mettere su qualche chilo durante la fase dello sviluppo.
Nell’adolescenza si attesta intorno al metro e settantacinque d’altezza e, soprattutto, diventa un bomber implacabile nelle compagini giovanili dei tripeiros.
I tecnici della prima squadra lo mettono nel mirino e decidono di lanciarlo nella mischia alla soglia della maggiore età.
L’esordio è roboante, con 14 reti in 24 partite: un ruolino di marcia a dir poco sorprendente per un giovanissimo attaccante quale è ancora Fernando Gomes.
Il Porto chiude al secondo posto in classifica, in una Primeira Divisão che non riesce a vincere da un bel po’.
Ci riuscirà nel 1978 e proprio grazie alle reti del suo centravanti, ormai un agguerrito cecchino che con un sigillo in finale contro il Braga ha conquistato la Taça de Portugal (Coppa del Portogallo) dell’anno prima e che mette a segno ben 25 gol in 25 gare (top scorer) in campionato, trascinando il Porto al trionfo in patria dopo quasi un ventennio d’attesa, per la gioia di un popolo intero ed in primis del padre.
Gomes si era già laureato capocannoniere nella stagione precedente (26 centri) e si ripeterà in quella successiva (27), centrando un tris che lo mette al centro delle attenzioni dei migliori club d’Europa e, nel contempo, permette al suo team di bissare la vittoria in campionato.
Nel frattempo Fernando ha avuto anche modo di esordire nelle coppe europee ed in Nazionale, dove però, inizialmente, fatica ad imporsi.
In patria, invece, domina la scena.
Nel 1980 in Porto chiude alle spalle dello Sporting di Lisbona, in graduatoria.
Fernando Gomes mette a referto 23 gol e riceve parecchie proposte per trasferirsi all’estero.
60 milioni di pesetas -una cifra all’epoca esorbitante- bastano ed avanzano per convincere la dirigenza lusitana a disfarsi del suo fuoriclasse, che ha avuto diversi problemi con lo staff tecnico ed, unitamente a parecchi altri calciatori, ha manifestato l’intenzione di salutare la compagnia.
Perché Fernando Gomes, a dispetto delle placide apparenze, è in realtà un tipo fumantino.
Nonostante la cifra monstre venga messa sul piatto dallo Sporting Gijón, un club non certamente di grido, la succitata rottura con la sua società è sufficiente a Fernando per fargli decidere di accettare l’offerta.
In Spagna si presenta con una manita rifilata in amichevole ai cugini dell’Oviedo.
Un clamoroso biglietto di presentazione che, sfortunatamente, non avrà un seguito adeguato.
Infortuni a ripetizione che lo tormentano e qualche problema di ambientamento, le cause principali del fallimento dell’esperienza di Gomes in terra asturiana, dove avrebbe dovuto sostituire un autentico monumento come El Brujo (“Lo Stregone”) Quini, ceduto al Barcellona.
Un ulteriore pressione psicologica che, molto probabilmente, non ha giovato alla causa di Fernando, che concluderà qui la sua carriera di club al di fuori del Portogallo.
Nel 1982 Pinto da Costa diviene presidente del Porto ed il ritorno a casa di Gomes è il suo primo regalo alla tifoseria.
La Nazionale Portoghese non è riuscita ad ottenere il pass per i Mondiali in Spagna e la concentrazione di Fernando è tutta sulla sua squadra di club.
Nell’annata susseguente segna ben 36 gol (in 29 matches), vincendo per la quarta volta la classifica dei cannonieri e, soprattutto, trionfando nella Scarpa d’Oro, il premio al miglior bomber dei campionati europei.
Lo scudetto va al Benfica, con la scena che si ripete dodici mesi più tardi.
Porto ancora una volta secondo, e Fernando Gomes capocannoniere, stavolta con 21 reti, oltre che eletto come Calciatore Portoghese dell’anno.
Perde invece la Coppa delle Coppe in finale, a Basilea, per 2-1 contro la Juventus di Trapattoni, dopo aver sconfitto in semifinale l’Aberdeen allenato da Sir Alex Ferguson.
Tornando alla Nazionale: agli Europei del 1984, in Francia, il Portogallo c’è.
E disputa un gran bel torneo, arrivando a sfiorare la finale.
I padroni di casa, guidati da Platini, si impongono nel penultimo atto della competizione, con i lusitani che si arrendono solamente all’ultimo minuto del secondo tempo supplementare ad una magia de Le Roi, imbeccato dal fido Tigana.
Fernando Gomes è considerato dal tecnico Cabrita come il primo cambio.
In attacco il titolare inamovibile è Jordao, col quale Gomes fa coppia solo in occasione della gara contro la Romania, nel girone di qualificazione.
Nelle altre partite l’allenatore lusitano preferisce tenere un assetto meno offensivo, sacrificando la bocca di fuoco del Porto.
I risultati gli danno ragione, in fondo.
Il Portogallo sfiora l’impresa e Fernando è comunque un calciatore che piace a parecchie compagini di grido.
Al termine del campionato d’Europa a cercarlo è il Milan.
La gloriosa epopea berlusconiana è alle porte ed i rossoneri hanno bisogno di un profilo di spessore, al centro dell’attacco.
Puntano il tedesco Voller, del Werder Brema, ma i tedeschi non vogliono ancora cederlo.
Poi virano decisi su Gomes ed il Porto, come sempre, dinanzi alla vil moneta non batte ciglio.
Il presidente Pinto da Costa convoca il centravanti in sede e gli prospetta l’offerta dei rossoneri.
Un campionato che è il più importante del continente, in quel periodo.
Una società importante.
Una buona proposta per il suo cartellino.
Un bel contratto per il giocatore.
L’affare sembrerebbe destinato ad andare in porto (nel vero senso della parola), quando a Fernando Gomes viene spontaneo chiedere un consiglio al massimo dirigente.
Quest’ultimo, dopo avergli spiegato che è un’occasione da non perdere, aggiunge pure di essere legato a lui in modo particolare.
La mente lo cederebbe volentieri, il cuore no.
Decisamente no.
E Fernando, a sorpresa, declina la proposta di trasferimento.
Si rende conto che il boss, contrariamente alle abitudini, ha parlato da affettuoso padre di famiglia piuttosto che da bieco imprenditore.
Ama il Porto ed adora i suoi tifosi, dai quali è spasmodicamente ricambiato.
Il Milan prende l’inglese Hateley e Fernando Gomes resta ad Oporto per altre cinque stagioni nelle quali vince la Scarpa d’Oro (1985) per la seconda volta (“Bibota”) con 39 reti che gli valgono, naturalmente, pure l’ennesimo titolo di capocannoniere.
Poi porta a casa altri tre campionati portoghesi (1985, 1986, 1988) e, soprattutto, una Coppa dei Campioni (salta la finale per un infortunio), una Coppa Intercontinentale (contro gli utuguaiani del Penarol segna il primo gol dei suoi, nel 2-1 finale) ed una Supercoppa Europea (doppio 1-0 all’Ajax guidato da Johan Cruijff), tutto nell’anno di grazia 1987.
La Storia con la maiuscola, la gloria eterna.
Come detto, Fernando Gomes è un bomber implacabile, in area di rigore.
Spesso capitano, possiede una forte leadership ed un carisma che lo rendono amato dai compagni e rispettato dagli avversari.
I tifosi ne adorano l’impegno, la professionalità e l’attaccamento alla propria maglia.
Calcisticamente parlando si tratta di un centravanti classico: grandissimo fiuto del gol, ottimo senso della posizione, discreta tecnica di base.
Tira bene i rigori, è bravo di testa -pur non essendo un colosso- e segna in tutti i modi, in particolar modo di destro ed in acrobazia.
La sua generosità è infinita e le sue esultanze, semplici quanto radiose, restano nel cuore di tutti coloro che amano questo meraviglioso sport.
In alcuni movimenti risulta essere un po’ macchinoso, va detto, ed in Nazionale non riesce ad imporsi fino in fondo, come accaduto a molti dei suoi predecessori e come accadrà alla maggior parte dei suoi eredi.
Il suo nome è però sinonimo di gol, su questo non si discute.
Col Portogallo partecipa alla celebrazione di Maradona, negli indimenticabili Mondiali in Messico, nel 1986.
Gioca da titolare ed è anche il capitano della sua squadra (tranne per la gara di apertura) che dopo aver sconfitto all’esordio l’Inghilterra viene poi battuta in rapida successione da Polonia e Marocco, abbandonando quindi la competizione al primo turno.
I lusitani non riescono a qualificarsi per l’Europeo del 1988, in Germania, e Fernando Gomes, dopo essere stato richiesto dal Brescia -neopromosso in A, nel 1987- ed aver gentilmente rispedito al mittente la proposta, decide così di chiudere la sua avventura con la maglia rossoverde e dedicarsi in toto, ancora una volta, al suo amatissimo Porto.
Poco meno di una cinquantina di gettoni e neanche una quindicina di reti all’attivo, col Portogallo: media non di certo eccelsa, per uno abituato a numeri di ben altra natura.
In Campionato continua a segnare come un ossesso, tranne che nella stagione 1988-89, allorquando chiude con un magro bottino di cinque realizzazioni.
Gioca poco e inizia ad avere sempre più frequenti problemi con i suoi allenatori.
Dapprima con lo jugoslavo Tomislav Ivić, poi con il connazionale Artur Jorge, con il quale era entrato in rotta di collisione già in passato.
A 33 anni suonati firma un biennale per lo Sporting Lisbona ed abbandona quella che è, a tutti gli effetti, casa sua.
Nella capitale ritrova il feeling con il gol e, per poco, non riesce a laurearsi nuovamente top scorer, nonostante le35 primavere sul groppone.
Trascina il suo Sporting alle semifinali di Coppa Uefa, fermato solamente dall’Inter che andrà a vincere il trofeo poche settimane più tardi.
Il record del mitico Eusebio dista soltanto due reti.
Ben 217 ne ha messe a segno il nostro, difatti.
In scadenza di contratto, Fernando Gomes riceve parecchie proposte per continuare a calcare i campi di gioco.
Anche se la carta d’identità è quella che è, in fondo il bomber viene da un torneo dove ha bucato i portieri avversari per ben 22 volte.
L’idea è quella di firmare con una compagine di livello medio, dove giocare titolare ed ambire a superare la soglia di cui sopra, oltre che divertirsi ancora sul manto verde.
In realtà Fernando è stanco mentalmente, più che fisicamente.
A Lisbona è diventato un idolo della tifoseria, come lo è sempre stato per i Dragões (i Draghi) di Oporto, dove alberga la sua anima.
La sua umiltà è tale da non creargli l’ossessione di dover superare Eusebio a tutti i costi, per quanto sia ad un passo dal suo incredibile primato.
Appende gli scarpini al chiodo e torna ad Oporto, per ricoprire svariate mansioni all’interno della società.
Ricambia l’affetto che quotidianamente riceve dalla gente ed offre un importante contributo di esperienza al suo club.
Nel 2019 gli viene diagnosticato un cancro al pancreas e lo combatte con forza e carattere.
La figlia maggiore, Filipa, viene improvvisamente ritrovata senza vita.
Per lui, padre anche di un figlio maschio avuto dalla ex moglie, è un colpo durissimo.
La nuova compagna gli regala una paternità inaspettata e l’arrivo della piccola Maria Luisa sembra riportare un raggio di sole nella vita di Fernando.
Ma un ictus e le conseguenze della sua malattia non gli lasciano scampo.
Si chiude così la vicenda umana e sportiva di un simbolo del calcio portoghese e di una storica figura per il Porto e per il movimento calcistico europeo.
Un attaccante dalla bacheca di livello, che ha fatto dell’attaccamento ai propri colori, dell’umiltà nella vita e dell’impegno in campo il suo marchio di fabbrica.
“Il gol?
Per me è come un orgasmo.
In tutto e per tutto.”
Fernando Gomes: Bibota.
Doppia Scarpa d’Oro.
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