- Il Principe di Montevideo
Enzo Francescoli
Oggi dici “Principe” e pensi subito a Diego Milito, indimenticato bomber di Inter e Genoa, tra le altre.
Chi ha qualche anno in più si ricorderà di Giannini, l’ex romanista.
E chi è più feticista del calcio avrà memoria anche del compianto Tiziano Manfrin, del quale abbiamo raccontato poche settimane or sono.
Ma questo bel soprannome è appartenuto pure ad un grande calciatore che con le sue sublimi giocate ha caratterizzato due meravigliosi decenni di questo adorabile sport: gli 80 ed i 90.
Sì, proprio lui: il mitico Enzo Francescoli Uriarte.
Cioè uno che piaceva da matti a Gianni Agnelli, l’Avvocato.
Che è stata fonte d’ispirazione per Zinedine Zidane, il mitico Zizou.
E che per un popolo intero, quello uruguaiano, ha rappresentato l’idolo per antonomasia.
Enzo nasce a Montevideo, la capitale dell’Uruguay, sul finire del 1961.
La sua famiglia, benestante e di origini italiane e basche, lo invoglia sin da bambino allo studio e lui, in effetti, sui libri se la cava più che bene.
Intelligente e sveglio, Enzo ha però una passione che supera di gran lunga quella scolastica: ovvero il pallone, il suo miglior amico.
Spinto dal padre Ernesto, lo gioca ovunque per il suo quartiere, Capurro, mostrando sin da subito doti interessanti che gli valgono la maglia del Club Cadys Real Junior (piccolo club di zona) e, più tardi, un provino per il Penarol, la sua squadra del cuore.
L’esito non è positivo, purtroppo.
Francescoli paga un fisico ancora non del tutto sviluppato e che lo fa sembrare gracile e poco portato per contrastare avversari di ben altra corporatura.
Il ragazzino non si perde d’animo e si presenta dinanzi agli osservatori del River Plate di Montevideo, altra compagine di zona.
Idem come sopra: el flaco (il magro, come lo hanno soprannominato i compagni di giochi) è troppo mingherlino, per affrontare le cruente battaglie sui campi del Sudamerica.
Non c’è due senza tre, direbbe qualcuno.
Invece, in questo caso, chi la dura la vince ed Enzo al terzo tentativo trova una squadra disposta a puntare sulle sue qualità: i Wanderers, un altro degli innumerevoli club di Montevideo, gli danno fiducia e lo inseriscono nel proprio settore giovanile dopo averlo osservato da vicino in un incontro dove il funambolo in miniatura, con la compagine del suo collegio salesiano, regala spettacolo ai presenti.
In realtà sia il Penarol che il River lo cercano nuovamente, dopo una iniziale riluttanza.
Ma nell’ultimo anno di liceo Enzo, dopo aver trionfato per un quinquennio con la compagine della scuola, si convince a continuare il suo percorso di crescita con i succitati Wanderers, dove ha maggiori possibilità di emergere.
Il giovane Francescoli non ha un ruolo ben definito, per ora: ama agire sulla trequarti e possiede fantasia, estro e doti tecniche di assoluto rilievo, questo è certo.
Nel 1980 esordisce in prima squadra trascinandola ad una seconda piazza che, tenendo conto del periodo storico e delle forze in gioco, ha del clamoroso.
I Wanderers chiudono al terzo ed al quinto posto i due tornei successivi, con Enzo che si conferma un calciatore dal valore nettamente superiore al contesto in cui si esibisce, tanto da venir definito come “il nuovo Schiaffino”.
Un paragone pesantissimo, ancor di più per un ragazzo di indole umile, tendente quasi all’imbarazzo allorquando si ritrova davanti a platee importanti e/o microfoni ansiosi di scoprire segreti di spogliatoio o questioni personali.
Enzo Francescoli è timido ed impacciato fuori dal terreno di gioco, ma si trasforma quando entra in campo ed affronta i suoi avversari.
Diventa tenace, tosto, cocciuto.
E vuole imporsi: sempre e comunque.
Nel 1981 vince il Campionato Sudamericano Under 20 (da capocannoniere, per giunta), mentre nel 1982 esordisce nella Nazionale dell’Uruguay e, poco dopo, gioca il suo primo match in Coppa Libertadores.
Alcuni mediatori lo propongono a diverse società europee.
Il Milan ci fa un pensierino.
Alla riapertura delle frontiere, e con la possibilità per le squadre italiane di poter tesserare nuovamente calciatori stranieri, il presidente rossonero Farina vola in Sudamerica con un paio di suoi fidati collaboratori.
Su posto, ad attenderlo, c’è tutto lo staff dell’Ambasciata Italiana di Montevideo.
Ma, soprattutto, c’è proprio Juan Alberto Schiaffino, al quale Francescoli è stato paragonato in patria.
L’ex campione suggerisce ai dirigenti milanisti di virare lo sguardo altrove, in quanto reputa Enzo non all’altezza delle aspettative riposte in lui.
Una sonante bocciatura, a tutti gli effetti.
Nel 1983 l’Uruguay vince la Coppa America, sconfiggendo il Brasile nella doppia finale.
I verdeoro, che schierano gente del calibro di Eder, Junior, Socrates, Careca, Mozer e Roberto Dinamite, debbono inchinarsi dinanzi alle mirabilie di Enzo Francescoli, eletto miglior giocatore della competizione ed autentico leader dei suoi, insieme alle punte Alzamendi ed Aguilera e ad un gruppo coeso di grintosi compagni pronti a mettersi al servizio del proprio fuoriclasse ed immolarsi per la causa comune.
Va da sé che dopo una simile performance per Francescoli si spalanchino le porte del calcio europeo.
Le richieste giungono copiose, ma il ragazzo non se la sente di allontanarsi eccessivamente da casa e firma per il River Plate.
Non quello di Montevideo, però, che pure lo aveva cercato in passato.
Bensì per la società argentina, tra le più quotate e vincenti dell’intero continente.
A Buenos Aires il fantasista uruguaiano non si ambienta subito, incappando in alcune prestazioni mediocri.
I colombiani dell’America di Calì provano ad ingaggiarlo, ma Enzo vuole dimostrare il proprio valore ai tifosi de Los Millonarios (i Milionari) e reagisce a suo modo, portando i suoi dapprima al secondo posto finale in classifica e, dodici mesi più tardi, alla vittoria del campionato argentino, mettendo a segno ben venticinque reti che gli valgono il titolo di capocannoniere.
Enzo Francescoli diventa “il Principe“, per il suo portamento elegante, e si appresta a disputare con la maglia dell’Uruguay i Campionati del Mondo del 1986, in Messico.
Quelli che, per il sottoscritto, sono i più divertenti degli ultimi 750 anni.
Vabbè, ci siamo capiti.
La Celeste, allenata da Borras, è compagine compatta e tenace.
Becca un girone iniziale a dir poco di ferro, con Germania Ovest, Danimarca e Scozia.
All’esordio Francescoli e compagni impattano per 1-1 con i tedeschi di Schumacher ed Allofs, quindi vengono sommersi di gol dalla Danimarca di Morten Olsen ed Elkjær (6-1), per poi pareggiare (0-0) con la Scozia di Strachan e Leighton, passando il turno come ultima delle migliori terze.
Agli ottavi il cammino dei sudamericani si interrompe dinanzi ai grandissimi rivali dell’Argentina di Maradona (0-1), futuri Campioni del Mondo, al termine di una gara carica di tensione e poco spettacolare.
Enzo, sacrificato in un modulo che non ne esalta le caratteristiche offensive, mostra comunque il suo talento, seppur a sprazzi.
Ed a fine Mondiale sale sull’aereo che lo porta in Europa.
Lui, che ha già vinto parecchi premi individuali (miglior calciatore sudamericano dell’anno, miglior giocatore del campionato argentino, etc.), ha offerte da Germania, Francia, Spagna, Italia e Grecia.
Nella nostra penisola si interessano all’uruguaiano sia l’Inter che la Roma, senza affondare il colpo.
L’anno prima era stato il Lecce a valutare il suo profilo: i costi, decisamente elevati, hanno fatto propendere i salentini per la ritirata.
Invece, nell’estate del 1986, è il Nantes (Francia) a sembrare vicino alla chiusura dell’affare, con una sostanziosa offerta di oltre due milioni e mezzo di dollari per il suo cartellino.
Francescoli vorrebbe giocare nel campionato italiano, il migliore al mondo (in quel frangente, s’intende), però l’offerta dei francesi è allettante.
E lo è ancor di più quella del Racing Club Parigi, neopromosso in prima divisione transalpina, che tramite il suo presidente Jean-Luc Lagardère fa pervenire all’entourage del giocatore una proposta da brividi: ingaggio da circa 700 milioni delle vecchie lire a stagione, villa alle porte della capitale -nell’altolocato borgo di Neuilly- ed auto di servizio a disposizione.
L’Intenzione del proprietario del club è quella di portare “il suo giocattolo” nell’élite del calcio europeo in pochi anni.
Ricco ed ambizioso, Lagardère riesca ad ingaggiare calciatori importanti come il nazionale tedesco Littbarski, il mediano Luis Fernandez ed il laterale mancino Tusseau, entrambi nel giro della Rappresentativa Francese, il solido portiere Olmeta, il centrocampista uruguagio Ruben Paz, ed altri ancora a trasferirsi in quel di Parigi, per dare vita al progetto Matra, ovvero la sponsorizzazione diretta del club al fine di aumentarne ulteriormente gli introiti dalla pubblicità.
Non sempre ammassare un’accozzaglia di buoni/ottimi calciatori equivale a costruire una squadra di valore, è risaputo.
Nel caso specifico il RC chiude a metà classifica la sua prima annata in Division 1, poi ingaggia l’ottimo allenatore portoghese Artur Jorge e si arrampica sino alle zone nobili della graduatoria nel secondo.
Quindi inizia un crollo verticale che lo porta dapprima a salvarsi dalla retrocessione per la migliore differenza reti rispetto ai rivali dello Strasburgo e, infine, con Enzo Francescoli già altrove, a cogliere il penultimo posto nel 1990, salutando la massima serie ed avviandosi verso il fallimento per ragioni economiche.
Va detto che Enzo in Francia dimostra pienamente il proprio valore a suon di ottime prestazioni, condite da parecchie reti.
Sul finire della terza annata parigina inizia a manifestare malumori, connessi alla ormai palese instabilità societaria del Matra.
In estate è vicinissimo a firmare per la Juventus, che già lo aveva cercato anni prima, per sostituire il totem Platini.
Gianni Agnelli, plenipotenziario quanto competente, è innamorato dell’uruguaiano, che supera la concorrenza di altri fantasisti quali Futre e Detari e pare pronto a vestirsi di bianconero.
Poi i torinesi virano dapprima su Zavarov e, nel periodo in oggetto, su Alejnikov (altra tipologia di giocatore, rispetto al sudamericano), lasciando cadere inaspettatamente la pista.
Pare che il rifinitore uruguagio non riscuotesse le simpatie del presidente Boniperti, secondo alcuni.
Ci prova quindi il Napoli, senza troppa convinzione.
Alla fine si inserisce il Marsiglia di Tapie e conclude l’operazione.
Francescoli arriva in un’Olympique di Marsiglia nel pieno della sua ascesa: Waddle, Papin, Tigana, Amoros, Karlheinz Förster, Vercruysse, Abedi Pelé, Deschamps, Sauzée e compagnia bella.
Si punta a vincere, comunque e ovunque.
Ed in campionato si vince, eccome.
L’OM trionfa in Division 1, superando in volata il Bordeaux e laureandosi Campione di Francia.
Enzo Francescoli gioca una buona annata, infarcita da undici gol, agendo soprattutto sulla trequarti offensiva della squadra, maggiormente a sinistra, ed assistendo il bomber Papin.
Il Marsiglia giunge in semifinale di Cappa dei Campioni, inoltre.
A stopparne le velleità è il Benfica, poi sconfitto nella finalissima dal PSV Eindhoven.
Identico esito in Coppa di Francia, con il Racing che spara le ultime sue cartucce di -presunta- gloria ed elimina l’OM al penultimo atto, andando poi a perdere la finale con il Montpellier.
A fine stagione il fantasista è tra i convocati della Nazionale Uruguaiana che partecipa ai Mondiali di Italia 90.
Dopo aver vinto un’altra Coppa America, nel 1987 (1-0 al Cile in una finale cruenta, con due espulsi tra i cileni e Francescoli, principale oggetto delle violente attenzioni degli avversari, a sua volta cacciato dall’arbitro a gara in corso), l’Uruguay è atteso alla kermesse italiana con curiosità e rispetto.
Allenati dal bravo Tabarez, gli uruguaiani aggiungono al nucleo storico (Aguilera, Gutierrez, Paz, Alzamendi, Herrera, Ruben Sosa, Perdomo, Dominguez, Ostolaza, Bengoechea) il giovane attaccante Fonseca e qualche altro buon elemento di contorno.
Il girone iniziale con Spagna, Belgio e Corea del Sud è abbastanza proibitivo, questo sì.
L’Uruguay apre il torneo pareggiando per 0-0 con la Spagna di Butragueno e Michel.
Un buon esordio, vanificato dalla successiva sconfitta (1-3) col Belgio di Ceulemans e
Preud’homme.
La vittoria in extremis (1-0) con la Corea del Sud consente ai sudamericani di qualificarsi, come quattro anni prima, da ultima delle migliori terze.
E, come d’abitudine, agli ottavi vanno fuori dai giochi, eliminati dai padroni di casa allenati da Vicini con un secco 2-0 che non ammette repliche.
Enzo Francescoli, capitano dei suoi, non riesce a scardinare la tosta difesa italica.
Si risparmia il viaggio di ritorno in patria, però.
Perché il Marsiglia acquista Stojković e vende l’uruguaiano al Cagliari.
Beh, negli anni 80 e 90 succede anche che Zico giochi ad Udine e Francescoli a Cagliari, ecco.
Gli esempi sarebbero tantissimi altri, volendo.
D’altronde è il Campionato più bello del Mondo, no?
Inoltre i sardi, neopromossi, centrano il tris e portano a casa, oltre ad Enzo, pure i suoi connazionali Fonseca ed Herrera.
Rossoblù a trazione sudamericana, quindi.
E dire che, quantomeno inizialmente, l’idea era di puntare su stranieri meno esotici.
Il primo nome in agenda per la serie A è difatti il tedesco Kirsten, attaccante della Nazionale Tedesca in uscita dal suo club, la Dinamo Dresda.
Gli osservatori del Cagliari lo seguono e i dirigenti volano in Germania per chiudere l’affare prima dell’inizio dei Mondiali, approfittando di un match tra tedeschi ed uruguaiani in cui, però, a mettersi in mostra sono il tosto centrocampista Herrera e lo sgusciante attaccante Fonseca.
Il noto e potente procuratore Casal propone anche Francescoli nel lotto ed è un nome che eccita la fantasia dei cagliaritani.
Kirsten, inoltre, non vuole allontanarsi troppo da casa e si accorda col Bayer Leverkusen, dando il via libera al “Cagliari uruguaiano”.
Enzo Francescoli, finalmente, sbarca nella nostrana serie A.
Ed è un colpo importante.
Anzi: importantissimo.
Perché parliamo di uno dei calciatori più forti della sua generazione.
Centrocampista ambidestro dalla chiarissima vocazione offensiva, Enzo in realtà è in grado di fare tutto -ma proprio tutto- dalla metà campo in su.
Tecnicamente dotatissimo, rapido nelle movenze e creativo nella produzione di calcio, ha un’eleganza insita nel DNA che conquista chiunque ne osservi le giocate senza poter evitare di rimanerne estasiato.
Controllo di palla, visione di gioco, dribbling, lanci, aperture, assist: il repertorio è a dir poco completo.
Per non parlare dei calci da fermo, dove è quasi una sentenza.
E dei gol in acrobazia, ove nonostante sia alto e slanciato il nostro riesce a sconfiggere le leggi della fisica e far impazzire i suoi tifosi.
Incontrastato idolo nel suo paese, in carriera paga alcune sliding doors andate per i fatti propri ed una certa indolenza che lo accompagna nei frangenti in cui le cose non vanno come avrebbe sperato.
Timido ed impacciato fuori dal campo e più determinato e sicuro dei propri mezzi sul prato verde, raramente eccede in foga agonistica e per questo motivo da qualcuno, provocatoriamente, viene definito “l’unico uruguagio privo di garra”.
Non è propriamente così, eh.
Però un pizzico di determinazione in più non avrebbe guastato.
Regista offensivo, fantasista, rifinitore e, alla bisogna, mezzala e centravanti tattico, Francescoli è stato indubbiamente un nove e mezzo Top e chi sostiene il contrario andrebbe internato a vita.
Naturalmente in Sardegna il fuoriclasse sudamericano si trasferisce con la moglie Mariela, studentessa di legge come lui, incontrata da giovanissimo e sposata poco dopo, ed i figli Bruno e Marco.
Una scelta di vita, la sua.
Vuole l’Italia e ha desiderio di ritornare a giocare in un ambiente caldo, dopo anni di Francia in cui si è ritrovato nella periferia del calcio (al Racing) e in un club in cui non era considerato una prima scelta assoluta (Marsiglia).
Il Cagliari, allenato da Ranieri, esprime un gioco abbastanza sparagnino, con Enzo che agisce come una sorta di regista arretrato.
Intorno a lui ruota un buon numero di mestieranti, invero più adatti alla cadetteria che alla massima serie.
Il cervello Matteoli è l’elemento di maggior caratura nel settore nevralgico del campo, mentre agli stranieri della rosa sono affidate le speranze di salvezza della squadra.
Matteoli organizza, Herrera mena, Francescoli inventa e Fonseca segna: questo, a grandi linee, è lo schema maggiormente in uso per i rossoblù.
Che si salvano, seppur con qualche patema.
E si ripetono dodici mesi più tardi, con in panca dapprima Giacomini e poi Mazzone.
Quest’ultimo inizia a porre le basi per costruire una compagine di qualità, oltre che di quantità.
In porta Ielpo garantisce rendimento ed esperienza.
Napoli e Pusceddu spingono sulle fasce, mentre in mezzo Firicano e Festa mettono la museruola agli attaccanti avversari.
A centrocampo Moriero e Cappioli operano indefessamente sulle corsie esterne, Matteoli si occupa delle geometrie e Bisoli accorre in soccorso di chiunque abbia bisogno di una mano.
Davanti Francescoli ispira e Oliveira rifinisce.
Villa dietro, Herrera e Sanna in mezzo e Criniti in attacco sono le alternative principali di un team che, perso il bomber Fonseca, punta tutto sulla compattezza e sull’agonismo.
Scelta che paga, alla grande, perché i sardi si inerpicano sino al sesto posto in graduatoria, centrando la qualificazione in Coppa Uefa.
Un risultato pregevolissimo.
Peccato che gli attriti tra il nuovo presidente Cellino ed Enzo Francescoli vadano a minare un’atmosfera sino ad allora idilliaca.
Mazzone corona il sogno di allenare la Roma e saluta la compagnia e Cellino, voglioso di sbarazzarsi dell’oneroso contratto di Francescoli, propone il giocatore a svariate società.
L’uruguaiano, trentaduenne, non ha intenzione di tornare in Francia, dove ha mercato, o di trasferirsi in Spagna o Portogallo, da dove arrivano alcune chiamate.
“Resto in Italia, oppure ritorno in Argentina”, rivela ai suoi amici.
Nella penisola qualcuno lo cerca, in realtà.
Il suo amico e connazionale Aguilera fa il nome di Enzo ai suoi dirigenti.
“Ma costa un boato!”, replicano questi ultimi.
“No, perché è ai ferri corti col Cagliari e deve cambiare aria a tutti i costi”, controreplica il bomber uruguagio.
Il Torino, che ha vinto la Coppa Italia pochi mesi prima, necessita di rinforzi seri per affrontare l’Europa.
Il DS Zaccarelli, da poco insediatosi al posto di Moggi, contatta Francescoli e gli propone un ingaggio a misura del suo talento e, nel contempo, non esageratamente pesante per le casse granata.
Poi vola a Cagliari e si accorda con Cellino, ben lieto di concedere il nullaosta al fantasista sudamericano e di liberarsi del suo stipendio oneroso.
Ironia della sorta Enzo, che in passato era stato vicinissimo al passaggio alla Juventus in due circostanze differenti (visionando addirittura alcune ville, ove vivere), si trasferisce nel capoluogo piemontese firmando un contratto con il Torino.
La signora Mariela provvede ad organizzare tutte le questioni logistiche, soprattutto quelle legate alla scuola dei figli, mentre il marito inizia a ragionare con l’allenatore Mondonico sulla sua posizione in campo.
Ad agosto è già tempo di fare sul serio, datosi che Il Toro è impegnato nella finale di Supercoppa Italiana contro il Milan, Campione d’Italia.
Si gioca a New York, per ragioni di marketing.
Enzo Francescoli ha il numero 10 sulle spalle e si muove alle spalle del centravanti Silenzi.
Accanto a lui agisce Osio, in veste di rifinitore aggiunto.
Alle loro spalle Venturin e Fortunato tessono le trame di gioco, con Cois a proteggere il fortino granata che vede Galli in porta, Fusi da ultimo baluardo difensivo con Gregucci stopper e Mussi e Jarni ad arare le fasce.
Il Milan risponde con Rossi in porta e Tassotti, Baresi, Costacurta e Maldini in difesa.
E già basterebbe così, diciamocelo.
In mezzo Eranio, Albertini e Boban.
Davanti Savicevic dietro Massaro e Simone.
Quest’ultimo la imbusta dopo pochi minuti e decide la gara a favore dei rossoneri di Capello.
Enzo Francescoli non riesce a portare a casa il suo primo titolo italiano e disputa una stagione non eccelsa, giungendo sino alle semifinali di Coppa Italia (out contro l’Ancona) ed ai quarti di finale in Coppa delle Coppe (eliminato dagli inglesi dell’Arsenal, futuri trionfatori della kermesse).
In campionato il Toro è ottavo, fuori dalla zona che garantisce l’Europa.
In estate la società, afflitta da seri problemi economici, vende Francescoli al River Plate.
Enzo, che con la sua famiglia ha deciso di mettere le tende a Buenos Aires, è felicissimo di tornare in Argentina, nel suo continente d’origine e nella squadra alla quale è maggiormente legato dal punto di vista emotivo e, pure, da quello sportivo.
Cagliari gli resta nel cuore.
Torino meno, ma ci sta.
Nel suo continente Francescoli ritrova lo smalto dei bei tempi e vive una seconda giovinezza, trascinando -da capitano- un River imbottito di giovani alla vittoria di ben quattro titoli (3 Apertura, 1 Clausura) e, in primis, al trionfo nella Coppa Libertadores (1996) e, successivamente, nella Supercoppa Sudamericana (1997).
Sfiora la vittoria nell’Intercontinentale del 1996, in finale contro la Juventus (0-1).
Fa incetta pure di primi individuali (Miglior calciatore sudamericano, miglior giocatore del campionato argentino ed altro ancora).
Nel 1997, trentaseienne, decide di chiudere col calcio.
Con la Nazionale dell’Uruguay mette in fila oltre settanta presenze, con poco meno di una ventina di reti a corredo.
Salta il post mondiale del 1990 a causa di una forte incompatibilità col tecnico Cubilla, che già aveva avuto problemi col ragazzo nel River, anni prima, e che fa fuori tutti i calciatori della Celeste che militano all’estero.
Esonerato il suddetto, Enzo torna ad indossare l’amata maglia: e nel 1995 rivince per la terza volta la Coppa America superando in finale il Brasile, Campione del Mondo in carica, ed entrando nella leggenda del suo popolo e del suo paese.
Così come fa parte, a pieno titolo, della storia del Cagliari e del River Plate.
Uno dei più forti calciatori della sua epoca.
Maradona, Zico, Francescoli: questo era il podio indiscusso ed indiscutibile, ai tempi, dei giocatori sudamericani.
A proposito di Re Diego: con Enzo Francescoli vi è sempre stata una rivalità agguerrita, a rappresentare la forte tensione che si respira tra le due nazioni, sportivamente parlando (e non solo).
Ma vi era anche molto di più: stima reciproca, principalmente.
E un affetto che andava oltre il campo ed univa due caratteri completamente diversi eppure, in qualche stramba maniera, più vicini di quanto si possa immaginare.
Dopo il ritiro Enzo Francescoli si è occupato di varie cose.
Si è dedicato al River Plate, lavorando a lungo nella dirigenza e prendendo decisioni che apportano indubbie migliorie alla sua società, sia sul piano tecnico che su quello organizzativo.
Per alcuni anni vive a Miami, in USA, creando il polo televisivo GOL TV.
Prende il patentino da allenatore, ma rifiuta diverse panchine -inclusa quella del River Plate- preferendo la scrivania al terreno di gioco, pure a causa di un forte stress emotivo che il calcio tende a causargli e che lo porta, di recente, a sottoporsi ad alcune sedute di psicologia, peraltro a tal proposito consigliato dalla consorte Mariela -psicologa, per l’appunto- e con esiti che lo stesso Enzo ha definito “ottimi”.
Un tipino particolare, senza ombra di dubbio.
Che negli anni d’oro venne accostato a parecchie squadre italiane, Lazio inclusa.
Con quei colori “d’origine”, diciamo così, mi sarebbe piaciuto vederlo in maglia biancoceleste, non fosse altro che per la sua forza intrinseca di rifinitore di gran classe.
A Cagliari dette spesso spettacolo, mentre a Torino fu un passaggio abbastanza mediocre della sua epopea calcistica.
In Francia, invece, ispirò un fuoriclasse assoluto che avrebbe a sua volta scritto pagine indelebili nella meravigliosa storia di questo sport.
“Francescoli?
Il mio primogenito si chiama Enzo, in suo onore.
Per me è stato più di un idolo.
Ero un vero e proprio fanatico, nei suoi confronti, ed analizzavo tutto ciò che faceva in campo, per provare a riproporlo.
Da ragazzo andavo a vederlo giocare al Vélodrome di Marsiglia, con l’Olympique, osservandolo a trecentosessanta gradi e cercando di imitarne il tocco di palla e la maestosità nel gioco.
Ho dormito con la sua maglietta, scambiata in occasione di Juventus-River Plate di Coppa Intercontinentale nel 1996 a Tokyo.
Sì, lo adoravo!”-Zinedine Zidane-
Ai Mondiali del 1986 era atteso come un Top, mentre a quelli del 1990 già lo era.
In entrambi i casi non incise come avrebbe voluto.
Io però ne ho un ricordo nitidissimo, in particolar modo dell’avventura in Messico.
Argentina-Uruguay è un partitone, in qualsiasi caso: Maradona-Francescoli, poi, ancora oggi sarebbe da sturbo immediato.
Il Calcio è veramente una malattia.
Stupenda, s’intende.
Enzo Francescoli: il Principe di Montevideo.
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