- Coniglio, ma solo per soprannome
Elzo
Elzo Aloisio Coelho, più confidenzialmente Elzo.
Strambo ma intrigante narrare le gesta di uno di quei personaggi che passa quasi inosservato dinanzi alla Storia del Calcio, nonostante abbia rischiato di scriverne una parte indimenticabile
Quindi uno affascinante, per certi versi.
Elzo nasce nel 1961 a Serrania, una cittadina che sorge a poca distanza dalla selvaggia costa sud-occidentale del Brasile.
Ha una sorella gemella e la sua famiglia dispone di un terreno molto grande, dove viene allevato del bestiame.
In quella zona di mondo -tra piantagioni di caffè, solida tradizione religiosa, notevole spinta migratoria e forte disagio sociale- il calcio finisce spesso per diventare un tentativo di fuga dalla realtà circostante.
Una realtà non opprimente, ma neanche esaltante.
Lui sogna un lavoro in ufficio, stabile e sicuro.
Studia contabilitá e si diletta a giocare con gli amici.
Il fisico non è malvagio: si avvicina al metro e ottanta e per presentarsi su un campo da calcio possiede il minimo indispensabile fornito dalla Natura, essendo smilzo ma piuttosto robusto.
La corsa c’è, la grinta non manca e il fiato è da primato.
Sì, perché se c’è un qualcosa dove il nostro se la cava alla grande fin da subito, beh, è proprio nella durata delle batterie.
Corre, Elzo.
Corre senza sosta: talvolta per sé, più frequentemente per gli altri.
Eppure non è un maratoneta, bensí un calciatore.
Uno di quelli consacrati al cosiddetto “sacrificio”, cioè elementi dediti alla causa, piuttosto che alla gloria personale.
La causa intesa come squadra, come risultato di gruppo, come trionfo di un insieme.
E poco importa se in questo insieme, e non di rado, la platea tenda a preferire altri, allorché si debba spellare le mani.
Elzo non è un mostro di tecnica calcistica, anzi.
Ma possiede un’altra grande dote, oltre ai polmoni: vanta infatti una straordinaria intelligenza tattica.
Riesce a leggere l’azione con qualche secondo di anticipo rispetto al suo diretto avversario e questo gli consente di essere al centro della scena, nonostante una velocità di base non eccelsa ed un bagaglio tecnico, come detto, di spessore modesto.
Inoltre la sua duttilità tattica risulta preziosa, in particolar modo in contesto che luccica in quanto a tecnica e classe ma tende a concedere molto -quando non moltissimo- dal punto di vista dell’organizzazione strategica.
Ma tutto questo lo dirà il tempo, anni dopo.
Elzo si diletta nei dintorni di casa, a Machado: tra Lazaro F.C., S.S. Machadense e Machado S.C. inizia ad avere i primi approcci con quella che sarà la sua professione futura.
Poi viene notato da un osservatore della zona ed invitato nelle giovanili del Ginasio Pinhlense, club dello stato di San Paolo.
Nel 1981 si sposta di qualche chilometro e firma per il Limeira, squadra che in quel periodo vanta discrete ambizioni nel proprio campionato di pertinenza.
Nella prima stagione in maglia bianconera mette insieme 6 presenze, mentre nella seconda disputa 9 gare e riesce anche a realizzare 3 reti.
Un grave infortunio al ginocchio rischia di compromettere la carriera di quello che inizia a delinearsi come un interessante progetto di interditore.
Per fortuna, il giovane si ristabilisce del tutto nell’arco di qualche mese.
Dopo un’annata trascorsa nell’Amparo, ancora nei campionati minori della zona, ecco la grande occasione: la chiamata dell’Internacional, storico e pluridecorato club carioca.
La squadra è forte ed in quel periodo detta legge nel torneo di Rio Grande, che vince con quasi geometrica puntualità.
Elzo non è tra gli artefici principali delle vittorie, ma contribuisce alla causa e mette insieme una quindicina di presenze con i biancorossi di Porto Alegre, condite da 3 realizzazioni.
Ormai è un giocatore fatto, umile ed utile complemento ad armate impregnate di talento ed orfane di senso pratico.
Il successivo step ha luogo in quel di Belo Horizonte, dove un altro club di spessore è pronto ad offrirgli un contratto: l’Atletico Mineiro.
Pure qui le vittorie sono all’ordine del giorno e le stelle non mancano di certo: spiccano i due punteros, Eder e Reinaldo, ma anche il contorno offre ottime alternative.
Elzo ha il compito di non far rimpiangere uno degli idoli locali, il buon Toninho Cerezo, appena trasferitosi in Italia, acquistato dalla Roma.
Le caratteristiche sono decisamente differenti, ma in pratica ai brasiliani serve un giocatore che possa equilibrare un undici zeppo di ottimi talenti in zona offensiva ma meno solido nella zona nevralgica del terreno di gioco.
La prima stagione si rivela ben al di sotto delle aspettative, complici diversi problemi di ordine fisico ed un’ambientazione alquanto sofferta: cinque gettoni di presenza e nemmeno una rete, il modestissimo bottino finale.
Nella seconda, invece, le presenze salgono a 24, con un paio di gol in aggiunta.
Arriva una interessante offerta da un altro super team, il Palmeiras: la trattativa tra le due società va in porto ed il giocatore accetta il trasferimento.
A far saltare il tutto è una problematica cardiaca che emerge durante le visite mediche e che costringe il ragazzo ad ulteriori esami più approfonditi, dai quali -fortunatamente- non si evidenzia nulla di veramente grave.
Cure effettuate e buona continuità anche durante la terza annata nell’Atletico, con un gol e 27 gare giocate.
Ed è proprio in questo periodo che avviene la svolta, per la carriera del “coniglio” (coelho).
Le buone prestazioni di Elzo con la casacca del Mineiro lo consacrano nel ruolo e suscitano interesse negli osservatori della sua Nazionale.
Il gruppo allenato dal mitico Telé Santana straborda di talento, classe, genio.
Eppure in tutto questo ben di Dio manca una caratteristica che in un Mondiale, al quale peraltro si arriva da favoritissimi, potrebbe essere decisiva: l’equilibrio, il già citato equilibrio.
Quello che è prerogativa innegabile del mediano carioca in oggetto.
Mai, fino a quel momento, ad Elzo era stato concesso l’onore di indossare la prestigiosa divisa del Brasile nel suo livello più elevato.
Una fugace apparizione tra i papabili per le Olimpiadi del 1984, senza peraltro riuscire ad entrare in pianta stabile nella formazione che sarà poi finalista a Los Angeles, sconfitta soltanto dai francesi guidati da Henri Michel.
E poi una rapidissima comparsata nella rappresentativa Paulista.
Stop.
Aloisio era considerato importante per certi livelli, ma non all’altezza di un salto di qualità di siffatta importanza, ecco.
Almeno fino a quei giorni.
Perché è nelle settimane precedenti alla kermesse messicana che Telé Santana inizia a ragionare su quella che sarà l’intelaiatura di base della sua formazione e tra una riflessione ed un aperitivo, se non due, il Mister si accorge di avere un potenziale enorme in attacco, una serie di centrocampisti da far invidia al resto del globo terracqueo, diversi incursori che potrebbero macinare fasce per svariati secoli a venire ed alcuni difensori in grado di ben figurare in una competizione di tale livello.
Ci sono un paio di problemi dei quali però tener conto: lo stato di forma di alcuni elementi, in primis.
Poi un occhio agli infortuni ed un altro alla preparazione fisica per cercare di non correre troppi rischi.
E manca un portiere.
Ce ne sono diversi, in ballo, ma nessuno di loro riesce ad infondere garanzie assolute, a quanto pare.
In veritá ci sarebbe un ulteriore problema, quello accennato in precedenza: l’equilibrio.
Il CT -chiamato dapprima a risolvere una situazione interna che durante le qualificazioni si stava facendo imbarazzante e poi a cancellare la immensa delusione del torneo spagnolo di quattro anni prima- decide di eliminare alcune teste calde come quelle di Eder o Renato Gaucho, tra le altre, ed inizia quindi a riflettere su alcuni calciatori che, a suo parere, potrebbero garantire una copertura efficace alle scorribande d’attacco dei suoi uomini.
Ed ecco che il nome di Elzo si affaccia sull’agenda del tecnico della Nazionale: ha 25 anni, è ormai abbastanza maturo, da tre anni viene premiato tra i migliori protagonisti del Mineirão, conosce la maggior parte dei suoi eventuali futuri compagni, possiede la necessaria umiltà per entrare a far parte di un gruppo così particolare senza creare problemi.
Inoltre, particolare non trascurabile, è in formissima.
Idolo della torcida del Mineiro, con un finale di campionato giocato alla grande Elzo si conquista l’agognata convocazione per il Mondiale in Messico.
Durante la preparazione alla kermesse l’allenatore lo prende in disparte, gli confessa che non lo reputa un campione e che i suoi tentativi di impegnarsi come un dannato gli appaiono infruttuosi: Elzo torna in camera, prepara la valigia e decide di tornarsene a casa, consapevole che nella lista degli otto che dovranno lasciare quel gruppo lui è ormai in pole position.
Al mattino si risveglia con una carica ancor più forte, riflette su quella occasione irripetibile e decide di non muoversi da lì se non obbligato dai corpi speciali della Polizia brasiliana.
Pochi giorni dopo, nella lista definitiva per i partenti destinazione Messico, lui c’ è.
Un sogno che si trasforma in realtà per uno che fino a pochi anni prima non avrebbe mai avuto l’ardire di chiedere così tanto al proprio destino.
Molti anni più tardi Telè Santana, uomo notoriamente complicato e dai metodi non convenzionali, confesserà ad Elzo, in un incontro commovente quanto bizzarro, che quel duro confronto altro non era se non la prova da superare per mostrare forza e carattere degni di far parte di una banda di pazzi come quella verdeoro.
Il Brasile che sbarca in terra messicana è tra i candidati alla vittoria del titolo: un autentico squadrone, con un tasso tecnico impressionante.
Molti ritengono che non sia lontanissimo da quello del 1982, a sua volta paragonato più volte al mitico team di Pelè degli anni d’oro.
Difficile far paragoni, in particolar modo in epoche differenti ed in un calcio che viaggia a ritmi vertiginosi di cambiamento.
Telé Santana punta sul possesso palla e non potrebbe far altrimenti, datosi che i suoi nascono con il cuoio attaccato ai piedi.
A difesa dei pali il prescelto è Carlos, che di Mondiali alle spalle ne ha ben due, seppur mai da titolare.
Edihno, il capitano, giostra da libero.
Julio Cesar ha il compito di marcare la boa avversaria di turno, mentre il cavallo pazzo Josimar ed il poderoso Branco arano le corsie laterali senza sosta.
Alemao provvede a far ripartire l’azione in combutta con un indimenticabile esempio di atipicità calcistica come Junior.
Davanti a loro si muove un Socrates in versione trequartista-centravanti arretrato, mentre a Muller e Careca è affidato l’onere di impensierire le difese avversarie.
Non mancano le alternative di lusso, tra le quali una che mai sarebbe tale,in condizioni di normalità.
Cioé Arthur Antunes Cimbra, alias Zico: diversi infortuni recenti ed un rapporto non idilliaco con il CT del tempo relegano in panchina quello che è a tutti gli effetti uno dei migliori giocatori di tutti i tempi.
Una situazione simile a quella di Zico è vissuta da un’altra stella in fase calante, Falcao.
Ed Elzo?
Lui c’è, titolare inamovibile con incarichi di copertura assoluta, anche di quelli che- come Alemao o Junior- debbono coprire gli altri.
Una diga, una sorta di libero aggiunto adibito al recinto e alla protezione di quei trenta metri che dividono la difesa dall’attacco di una squadra di calcio.
Invero non se la cava malaccio negli inserimenti e qualche golletto lo ha messo a segno anche di testa, in passato.
Ma in Messico le consegne sono rigidamente difensive e lui, come sempre, le rispetta in toto.
Il girone di qualificazione scorre liscio come l’olio, senza particolari patemi.
Un ottavo di finale come quello contro la Polonia è il sogno di ogni tifoso che si rispetti: 4-0, sigaretta di accompagnamento e drink di commiato in assoluto relax.
Ora i quarti di finale, contro la Francia.
Ben altra storia: i transalpini sono dannatamente tosti, con un buon portiere, una difesa compatta ed un centrocampo semplicemente da urlo.
Come se non bastasse, davanti dispongono di gente in grado di far male a chiunque.
La partita si presenta quanto mai intrigante e non tradisce affatto le aspettative, tanto da essere considerata una delle più belle mai viste durante le rassegne intercontinentali.
Il Brasile la getta via, letteralmente.
Un pizzico di sfortuna, forse troppa imprecisione.
Nel calcio ci sta.
La Francia passa in semifinale, ma le energie spese risulteranno letali e non andrà oltre.
I sudamericani subiscono una sola rete, proprio ai quarti, e salutano la competizione senza aver mai perso, se non alla lotteria dei rigori nella partita di cui sopra.
Ancora una volta i carioca debbono dire addio ai sogni di gloria, tra comprensibili sentimenti di sconforto, delusione, amarezza.
Elzo?
Amareggiato anche lui, certo.
Ma ha veramente poco di cui rammaricarsi.
Telé Santana lo ritiene il migliore della spedizione messicana e parecchi addetti ai lavori concordano: gioca tutte le gare,dal primo all’ultimo minuto, senza risparmiarsi mai e fornendo pure un ottimo contributo alla conservazione della verginità della propria difesa.
Radio Globo, celebre emittente radiofonica, indice tra i tifosi un referendum che lo elegge miglior elemento della sua squadra, davanti ad Alemao, e lo premia con una fiammante automobile.
Purtroppo per lui e per la sua nazionale quell’unica rete subita -come detto- è decisiva.
Al ritorno in patria il giocatore apprende che diverse squadre europee sarebbero interessate ad acquisirne i servigi.
La sua propensione al sacrificio, la sua intelligenza tattica e la sua dedizione alla Maglia non son passate inosservate agli occhi attenti di parecchi osservatori del vecchio continente.
Inoltre il calciatore potrebbe venir via a cifre non esagerate ed il suo ingaggio non è compromettente come quello di alcuni suoi connazionali.
Ha vinto diversi tornei, in terra natia: ormai è voglioso di confrontarsi con realtà diverse, far nuove esperienze e guadagnare di più, quindi -come quasi tutti i suoi colleghi- non è indifferente alle sirene provenienti dalle nostre zone.
Passano alcuni mesi tra trattative ed abboccamenti, dopo di che a spuntarla è il Benfica, blasonata compagine portoghese dal considerevole pedigree.
I lusitani, che lottano per essere competitivi in Europa e duellano con gli acerrimi rivali del Porto per vincere la Primeira Liga, necessitano di nuova linfa a centrocampo e questo “volante” tutto cuore e polmoni sembra proprio fare a caso loro.
Dal Brasile sbarca al Benfica anche il roccioso difensore Mozer, prelevato dal Flamengo.
La prima stagione di Elzo in Europa è ricordata soprattutto per la splendida cavalcata europea dei portoghesi che riescono a raggiungere la finale della Coppa dei Campioni, sfruttando pure un tabellone abbastanza benevolo.
La gara di Stoccarda non è memorabile -tutt’altro- e termina ai rigori: Elzo realizza il suo, così come il connazionale Mozer, ma è un errore del terzino Veloso a condannare il Benfica alla piazza d’onore ed a consegnare la Coppa nelle mani del PSV Eindhoven.
Anche in campionato il risultato è identico: secondo posto, ad una quindicina di punti di distanza dal Porto.
Si riparte l’anno successivo, con grande voglia di rivalsa.
Ed arriva il trionfo nella Primeira Liga con un buon margine di vantaggio nei confronti dei mai domo Porto.
Nella rassegna continentale le cose invece non vanno bene ed arriva l’eliminazione ai sedicesimi di finale, nel secondo turno, contro i non irresistibili belgi del Liegi.
Elzo gioca metá gara di andata, persa per 2-1 in trasferta, mentre risulta essere indisponibile per la gara di ritorno, pareggiata per 1-1.
Ed è sempre un 2-1 a regalare la Taca de Portugal, la Coppa del Portogallo, al Belenses: anche in questo caso,il Benfica deve rinunciare- per infortunio- all’apporto del centrocampista brasiliano.
Il quale, a fine stagione, abbandona l’Europa e torna in patria.
Il rendimento offerto negli ultimi due anni è stato piú che apprezzabile, nonostante un fastidioso infortunio che ne ha limitato la continuità e messo in dubbio la titolarità in almeno un paio di circostanze.
Altrettanto buono è il rapporto con i tifosi.
Ma la societá è in fase di rinnovamento e chi aveva voluto Elzo ha ormai lasciato il passo a nuovi dirigenti.
Questi ultimi puntano forte per la panchina sul cavallo di ritorno Eriksson, che ha appena concluso la sua prima esperienza in Italia dopo aver allenato Roma e Fiorentina.
Lo svedese corteggia e riesce a portare a Lisbona un suo connazionale, Thern, praticamente omologo di Elzo come posizione in campo.
Qualche timido sondaggio effettuato da alcune squadre europee -in fondo parliamo di un giocatore che ha appena vinto lo scudetto e che soltanto un anno prima era stato tra i protagonisti della finale continentale -non convince il ragazzo, che preferisce farsi rapire dalla saudade per il suo paese e finisce per accettare la corte di quel Palmeiras che pochi anni prima aveva deciso di non ingaggiarlo a causa di quei presunti problemi cardiaci sorti durante la visite mediche.
Termina così, dopo una quarantina di presenze ed una sola rete in campionato, l’avventura europea di Elzo.
Quella in Nazionale si era invece giá chiusa dopo il Mondiale.
Una parabola strana: affascinante per certi versi, meteorica per altri.
La delusione post Mondiale, l’ennesima, porta al secondo e definitivo allontanamento di Telé Santana.
Elzo ha solamente 25 anni, ma la sua fulminea ed intensa epopea in maglia verdeoro ha il suo epilogo in quella meravigliosa gara giocata dalla sua Nazionale nel caliente Estadio Jalisco di Guadalajara, contro i francesi.
Il ritorno in patria, dopo la parentesi Benfica, è inizialmente positivo: vince la Bola de Prata, come miglior giocatore nel suo ruolo in campionato, e sembra che i problemi fisici che lo avevano afflitto in passato vogliano dargli una tregua.
Ma è un fuoco di paglia: il giocatore, nemmeno trentenne e quindi teoricamente nel pieno della sua maturitá calcistica, è ormai avviato verso un inesorabile quanto rapido declino.
6 misere presenze, il magro bottino durante il 1990.
Di reti, ormai, manco a parlarne.
Rare quelle sue incursioni in territorio nemico che pur gli avevano regalato qualche gioia agli albori della carriera.
Il Palmeiras lo mette da parte e ad Elzo non resta che prendere atto di una parabola che è agli sgoccioli, quantomeno a livelli degni di un ex nazionale brasileiro.
Una proposta arriva dal Catuense, ambizioso club di provincia che di recente ha iniziato ad affacciarsi nel calcio che conta.
Elementi di provata esperienza e di carisma che possano dare una mano alla scalata verso posizioni di vertice in ambito nazionale: l’identikit fatto dai dirigenti locali corrisponde abbastanza fedelmente alle caratteristiche di Aloisio, il quale decide di accettare l’ingaggio.
Un paio di anni, senza acuti ma con la voglia di sentirsi ancora un giocatore di calcio, quantunque il campo sembra voler dire altro.
Poi l’ultima chiamata è degli amici del Caldense, giusto per chiudere in bellezza.
Cala cosí il sipario su una figura non certamente primaria nella Storia del Calcio.
Non si parla di un campione, né tanto meno di un fuoriclasse.
Un onesto mestierante del ruolo, questo sì: notevole grinta, tenacia indiscutibile, grande generosità, tecnica accettabile, ottimi polmoni, disciplina ferrea e tanta intelligenza tattica.
Da rimarcare anche una correttezza esemplare, con pochissimi provvedimenti disciplinari subiti durante la sua attività, seppur si muovesse in una zona di campo dove i cartellini sono spesso all’ordine del giorno.
Di contro: un fisico talvolta ballerino, una certa lentezza di base, una fantasia ridotta ai minimi termini e non certo brasiliana.
Volante, centromediano metodista, secondo libero, schermo difensivo: questo è stato Elzo, come calciatore.
A fine carriera il nostro amico è tornato a vivere con la sua compagna Regina nelle zone natie e precisamente a Machado, dove ha potuto dilettarsi in varie attività tra le quali il commercio e la vendita di bevande all’ingrosso, la politica locale, l’allenamento dei giovani e l’insegnamento in alcune scuole calcio della regione.
Inoltre si è scoperto addirittura mezzo scienziato, poiché ha brevettato -e successivamente messo in commercio, con l’aiuto di un esperto del settore- un tipo di medicinale adatto alla cura dei calciatori che hanno subito una certa tipologia di infortunio.
In diverse occasioni ha partecipato a trasmissioni sportive, da commentatore.
Il suo nome è balzato alle cronache nuovamente nel 2009, purtroppo in una tragica circostanza, allorché il suo unico figlio, Elzo Tulio Bressane Coelho, ha approfittato dell’assenza dei genitori e si è messo imprudentemente alla guida della utilitaria di famiglia, finendo fuori strada e perdendo la vita dopo un disperato ma inutile ricovero in ospedale.
Aveva solamente 15 anni.
Il padre, dopo la tragedia e seppur consumato dal dolore, si è subito reso disponibile a far da portavoce e testimonial di una campagna contro i rischi della guida irresponsabile.
Un lampo di tristezza, di enorme tristezza, in una vita che pure ha regalato momenti indimenticabili ad un giocatore umile, corretto, caparbio.
Con la speranza che quella proverbiale tigna che metteva in campo possa consentirgli di guardare nuovamente il cielo con un pizzico di serenità, come per fortuna pare stia accadendo di recente.
Boa sorte, Elzo!
V74