• L’impavido

Dino Galparoli

I fantasisti, i centravanti, le seconde punte, le ali.
Rubano l’occhio e, spesso, fanno la differenza.
Siamo d’accordo, è vero.


Io sarei anche un po’ per la vecchia scuola, però.
Forse per ruolo, o semplicemente per convinzione.
Fatto sta che condivido parecchio quell’adagio che recita: “gli attacchi vendono i biglietti, ma le difese vincono i titoli“.
Grande verità, secondo me.
Gli esempi sarebbero tanti, eh.
Ad esempio il Milan di Capello, a metà anni novanta, vinse uno Scudetto basandosi unicamente su una fase difensiva spaventosa.
A conferma della teoria di cui sopra, ecco: per quanto si discorra di Franco Baresi, Maldini, Tassotti, Desailly, Panucci e compagnia bella.


Un difensore che mi piaceva parecchio e che, a parer mio, avrebbe meritato un pizzico di gloria in più in carriera -a livello di titoli- era Dino Galparoli.
All’epoca, in un calcio ben diverso da quello odierno, se non si militava in squadre di vertice era tosta arrivare in Nazionale e/o spiccare il volo verso la fama internazionale.
Ancor di più per i difensori, in una fase in cui la concorrenza era spietata e, bisogna dirlo, di assoluta qualità.
Inoltre le occasioni per mettersi mostra erano poche, le rose delle squadre abbastanza ridotte, la mentalità all’interno della Federazione decisamente conservatrice.

Talvolta neanche far parte di compagini blasonate garantiva l’attenzione dei commissari tecnici.
Basti pensare a Brio e Favero (Juventus), oppure al compianto Di Bartolomei (Roma).
O ancora a Nappi (Roma), Bruscolotti e Ferrario (Napoli), Cattaneo (Avellino) ed altri ancora.
Alcuni di essi, randellatori di professione, magari per limiti tecnici non sono stati presi in considerazione.
Ci sta.
Altri, di certo meritevoli almeno di una chiamata, sono rimasti invece a casa per motivazioni di altra natura.
Uno che secondo me poteva ambire quantomeno ad una chiamata, soprattutto nel suo momento migliore nel meraviglioso decennio ottanta, era appunto il suddetto Galpa.
Che rispetto a Gentile, Bergomi e gli altri terzini del tempo, buoni come il pane (soprattutto Gentile) ma fondamentalmente degli stopper aggiunti, era un calciatore piuttosto diverso, moderno, atipico.


Tradate, in provincia di Varese.
A due passi da Appiano Gentile, dove si allena oggi l’Inter.
Nel 1957 qui viene al mondo Dino Galparoli.

Sin da giovane lo sport fa parte della sua crescita.
Si appassiona al ciclismo, all’atletica, al basket.
Ha un fisico slanciato, è abbastanza alto e dimostra una ottima mobilità.

Ad un certo punto si ritrova in Veneto, per ragioni familiari.
Prima di completare le scuole inizia ad appassionarsi al calcio.
Non avendolo praticato sino ai tredici anni, mostra qualche limite tecnico abbastanza grossolano.
Però è veloce, ordinato, tosto, grintoso.

A tredici anni entra nel settore giovanile del Giorgione e dodici mesi più tardi è prelevato dalla Reggiana.
Svolge la abituale trafila e -diciottenne- viene catapultato in prima squadra, insieme al compagno Testoni.
Entrambi terzini, pari età e destinati ad una buona carriera.
Giocano poco, però, in una Reggiana che non riesce a salvarsi in serie B e finisce in terza serie.
Nell’annata seguente si ritrovano titolari -Galparoli è il calciatore più presente della rosa-, con i granata sesti.
La Reggiana investe sui giovani inserendo nel proprio roster i centrocampisti Romano (futuro Campione d’Italia col Napoli di Maradona), Mossini (in massima serie col Como ed il Brescia) e Gasperini (in A nel Pescara, oggi tecnico dell’Atalanta), oltre alla punta Bertoni (in A con Fiorentina, Avellino e Lazio).
Il terzo posto finale è un buon risultato.
Dino Galparoli, titolare inamovibile, si segnala ancora una volta tra i migliori interpreti nel ruolo dell’intera categoria.
Su di lui posano gli occhi diverse società di livello superiore, incluso il Genoa (A).
La Reggiana lo vende però al Brescia, in serie B.

Dino Galparoli, Reggiana

I lombardi hanno appena ceduto Beccalossi all’Inter e Cagni alla Sambenedettese.
Sono in fase di rinnovamento ed il nuovo allenatore Simoni punta subito forte su Galparoli, schierato laterale di destra dinanzi al portiere Malgioglio, con al lato opposto l’arrembante terzino Podavini ed in mezzo il bravo libero Guida ed il giovanissimo Dario Bonetti.
A centrocampo giostrano a vario titolo Moro, De Biasi, Iachini e Nanni, mentre in attacco tocca a Grip, Salvi e Mutti insidiare le difese avversarie, con il funambolico Zigoni pronto a dar manforte, ove necessario.
Una compagine equilibrata e compatta, che chiude all’ottavo posto in classifica un torneo cadetto particolarmente competitivo.
Nel calciomercato estivo le rondinelle si rafforzano in termini di esperienza e forza (Penzo, Salvioni, Biagini) e dopo nove anni ritornano in serie A, finendo terzi nel rush finale e conquistando una promozione meritata quando sofferta.
Galparoli non salta una gara che sia una, offrendo sempre un’ottima costanza di rendimento.
Vince per il secondo anno di fila la Rondinella d’Oro, il premio di miglior calciatore della rosa.
Simoni stravede per lui e gli perdona qualche viaggetto di troppo verso Reggio Emilia, a trovare la fidanzata conosciuta quando militava nella città emiliana.
Il tecnico pisano (d’adozione, invero) passa al Genoa, in estate, sostituito da Magni che, come il suo predecessore, punta senza alcuna remora sul terzino varesino.
Il quale ripaga la fiducia disputando un’ottima annata personale che, purtroppo, è inficiata dalla sfortunata retrocessione del suo team a causa della classifica avulsa.

Brescia

Dino Galparoli non segue i bianco-azzurri in cadetteria, però: le ottime prestazioni del ragazzo hanno attratto l’attenzione di diverse società.
Ad acquisirne i servigi è l’Udinese, che in quel periodo ha un canale privilegiato con il Brescia al quale corrisponde un lauto assegno seguito, pochi mesi più tardi, dal cartellino del navigato difensore Fanesi.

La società friulana è da poco passata di mano dal gruppo Sanson -che in pochi anni l’ha condotta dalla C alla A- al colosso Zanussi ed il presidente dell’azienda pordenonese rileva il medesimo ruolo all’interno del club bianconero.
Le ambizioni non mancano di certo, così come il contante.
Ad Udine sbarcano calciatori quali Causio, Muraro, Orlando Pereira, Orazi.
L’allenatore, Ferrari, è preparato ed innovativo.
La squadra gioca un buon calcio, abbastanza propositivo, e si salva senza patemi, ponendo le basi per un futuro più roseo.

Galparoli non avverte affatto il salto di categoria e, as usual, si prende la fascia destra dinanzi al portiere Borin.
A sinistra agisce Tesser, mentre l’Armaròn -il grande armadio- Cattaneo (proveniente dall’Avellino) è lo stopper con alle spalle il brasiliano Orlando Pereira, playboy di mestiere e calciatore per passione, che funge da libero nonostante abbia sempre giocato da laterale, in patria.
In mezzo Gerolin, Miano, Orazi e Livio Pin fanno legna, mentre Causio e De Giorgis rifiniscono per Muraro che, invero, segna meno di un portiere ma fa molto movimento a favorire gli inserimenti dei compagni.

Un anno più tardi in Friuli arrivano il forte difensore brasiliano Edinho, che sostituisce il connazionale Orlando, ed il talentuoso fantasista jugoslavo Surjak, prelevato dal Paris Saint-Germain.
La promettente ala Mauro, dal Catanzaro, l’affidabile portiere Corti, dal Cagliari, il valente attaccante Virdis, dalla Juventus, e l’esperto bomber Pulici, in arrivo dal Torino, completano una intelligente sessione di acquisti.
L’Udinese scala posizioni di classifica e sfiora la qualificazione nelle coppe europee, chiudendo in sesta posizione nel massimo torneo tricolore ed in quello che allora è il più importante campionato di calcio al mondo.
Galparoli si conferma un treno, della corsia destra.
Difende ed attacca, senza sosta e senza saltare un match.

Galpa, Udinese

In estate la società punta al colpo grosso, investe pesantemente e riesce, dopo una autentica telenovela nazionale che coinvolge sport e politica ai massimi livelli, a mettere le mani sul fuoriclasse brasiliano Zico.
Surjak, per le regole sugli stranieri, finisce in tribuna.
Ricordo che ad ogni inquadratura in tv dello stadio vi era una marea di gente.
Belle pure le maglie, ancor di più quella di riserva, firmate Americanino.
Entusiasmo alle stelle, con Zico che regala spettacolo, Edinho che segna come un bomber e Galparoli che si sdoppia, da marcatore e da fluidificante.
L’Udinese è terza prima del rush finale, ma l’infortunio di Zico nel momento cardine della stagione la priva di classe e convinzione, facendola scivolare addirittura al nono posto.
Una autentica mazzata, sia tecnica che psicologica, a cui si aggiunge presto il forte dissidio interno ed insanabile che nasce tra il DG Dal Cin, artefice principale dell’arrivo di Zico, ed il presidente Mazza.
Il primo, che avrebbe sacrificato il suo pupillo per portare ad Udine gente che di nome fa Vierchowod, Collovati, Casagrande e Marchetti con l’intento di migliorare il gruppo della prima squadra, non accetta la condotta del secondo, maggiormente improntata sul nome singolo, piuttosto che sulla completezza dell’organico.

Inoltre piove sul bagnato e gli infortuni dell’asso brasiliano –le macumbe di Lino Banfi, sicuro- proseguono pure nella stagione seguente, l’ultima del fuoriclasse verdeoro in Italia, con l’Udinese -guidata dal brasiliano Vinicio, in panca- che termina poco oltre la soglia salvezza, deludendo le attese.

“Il peggio non è tranquillo”, direbbero i Tiromancino.
Mazza, coinvolto nella vicenda del Totonero-bis, pur se assolto decide di cedere le proprie quote alla famiglia Pozzo e De Sisti diventa il nuovo allenatore dei bianconeri.
La retrocessione inizialmente comminata ai friulani viene successivamente tramutata in una penalizzazione di nove punti, che in pratica ne determina ugualmente la caduta negli inferi.

Addio sogni di gloria.
Il Galpa, come viene amorevolmente chiamato dai suoi tifosi, fa il suo, indossando orgogliosamente la fascia di capitano dei bianconeri, ma nulla può per evitare il triste andazzo.

A trent’anni è all’apice della carriera e riceve svariati approcci per trasferirsi altrove.
Lo cercano Napoli, Roma, Sampdoria, Torino e Fiorentina.
In Campania, dove gli azzurri si sono appena laureati per la prima volta Campioni d’Italia, ci sarebbe il richiamo di Diego Maradona, con cui Dino ha spesso lottato sul campo e del quale ha una grande stima.
L’Udinese spara alto e la trattativa sfuma.
A Roma c’è Nils Liedholm, il Barone, che stravede per lui: “un terzino dotato di rapidità e velocità, difficilmente superabile“, la definizione del nostro da parte dell’allenatore svedese.
Una vera e propria investitura, ma anche in questo caso l’affare non decolla e i giallorossi virano su Tempestilli, del Como.
Alla fine Dino Galparoli, che ad Udine si trova da Dio, in accordo con la sua società decide di restare e di provare a riportare in massima serie la compagine friulana.


Una scelta di cuore, per un giocatore che sullo spirito e sulla componente emotiva fonda molto del suo gioco.
Fisicamente ben messo, con una muscolatura possente e resistente e carattere da vendere, Galparoli è un difensore moderno e concentrato, che interpreta il ruolo con grinta e sfrontatezza.
Caparbio e determinato, in una fase in cui i terzini di spinta sono maggiormente mancini, lui parte da destra e attacca gli spazi, senza però concedere nulla in difesa.
La sua ottima velocità di base gli consente di poter sfidare gli sguscianti attaccanti avversarsi senza rinunciare, nel contempo, a qualche sana sgroppata sulla fascia.
Polmoni adeguati allo scopo, piedi leggermente meno eccelsi, con una tecnica di base inizialmente abbastanza grezza, man mano affinata nel tempo.
Perché Dino è un elemento che oltre a far gruppo e possedere doti di leader -non a caso è sovente capitano-, mantiene pure una umiltà che lo spinge ogni giorno a migliorarsi e lo fa apprezzare da compagni, tifosi ed avversari.
Non soggetto ad infortuni, sia col baffo che senza mostra una impressionante continuità arrivando a giocare quasi trecento gare consecutive e disimpegnandosi, oltre che da terzino destro -e all’occorrenza sinistro-, anche da centrale difensivo puro e, più raramente, da frangiflutti davanti alla difesa.
Corretto sul manto erboso e professionista esemplare anche fuori, segna qualche golletto di tanto in tanto ed avrebbe senz’altro meritato un’occasione in una piazza abituata a lottare per vincere qualche trofeo.


In serie B l’Udinese passa due stagioni.
Nella prima, con una andatura alquanto ballerina, si alternano Giacomini, Lombardo e Sonetti in panchina, con il santone jugoslavo Bora Milutinović ad operare da Direttore Tecnico.
Sonetti, quello che ottiene i risultati migliori, viene confermato e nel 1989 riporta la squadra in massima divisione grazie ai gol del bomber De Vitis, alle parate del mitico Garella e ad una rosa composta di ottimi mestieranti per la categoria.

In A gli arrivi degli stranieri Balbo, Sensini e Gallego sembrerebbero garantire tranquillità, in vista di un torneo estremamente difficile.
Le cose invece non vanno per il verso giusto e l’Udinese, allenata dapprima da Mazzia e poi da Marchesi, retrocede all’ultimo tuffo, in una giornata conclusiva dove succede praticamente di tutto.

Dino Galparoli, trentatreenne, gioca parecchio e non segue il suo adorato club in cadetteria.
Dopo quasi un decennio di fedele ed appassionata militanza il capitano, l’uomo che Zico aveva definito “colui che se lo avessimo avuto in squadra col Brasile, ci avrebbe di sicuro fatto vincere il Mondiale del 1982 in Spagna”, a voler sottolineare lo spessore dell’amico in fase difensiva, sceglie di sposare il progetto dell’Alessandria, appena finita in serie C2, salutando le Zebrette bianconere.

Galparoli, Alessandria

In Piemonte l’ambientamento è rapido, grazie al contemporaneo arrivo in squadra di compagni quali Bencina, Roselli, Accardi, Mariani.
Una rosa con molti calciatori di esperienza e di categoria superiore e con diversi giovani interessanti.
L’Alessandria vince il campionato, con Dino Galparoli -manco a dirlo- stacanovista e protagonista della cavalcata vincente.
In C1 l’annata risulta essere meno trionfale, con Riccomini che sostituisce Sabadini -artefice della promozione- in panca e conduce il team ad una posizione di centroclassifica, nonostante gli ingaggi di nomi altisonanti come Cinello, Sabato, Storgato, Giacomarro.
Galparoli è ancora una volta il più presente in rosa, insieme al forte portiere Turci.

In estate, con il rampante Bertotto -che diverrà una colonna dell’Udinese, corsi e ricorsi della storia- pronto a prenderne il posto in difesa, Dino opta per scendere ancora di categoria, accasandosi al Cuneo, da pochi mesi retrocesso nel campionato Interregionale.
Indossa così per un triennio la maglia delle Aquile Biancorosse.
Al primo anno giunge una onorevole salvezza.
Poi una amara retrocessione, sanata da un salvifico ripescaggio.
Ed infine la retrocessione effettiva in Eccellenza, stavolta senza miracoli dell’ultima ora, dopo aver perso lo spareggio col Moncalieri, ai rigori.


Dino Galparoli, autore di ben sei reti nell’ultima annata e di un miracoloso salvataggio sulla linea -rivelatosi infruttuoso, sfortunatamente- nello spareggio di cui sopra, a giugno ringrazia la compagnia e si ritira, alla soglia dei trentotto anni.
Poi ci ripensa, quantomeno in parte, militando in Prima Categoria per un biennio, e nel Beach Soccer per un bel po’.
Fin quando, con quasi quarantacinque primavere sulle spalle, si decide a dire basta definitivamente.

Che poi appena vede un pallone, beh, non esita a rincorrerlo, sia in gare di beneficenza con i tanti suoi ex colleghi che in partitelle di calcetto tra amici.
Qualche acciacco sopraggiunto oltre la sessantina lo invita a più miti consigli, questo sì.
Ma senza rallentare quella indomabile passione per il calcio che lo accompagna da sempre, sebbene quello moderno non lo attiri oltre il dovuto, tanto da aver evitato di lavorarci, sia come tecnico che come dirigente.

Tanta serie A, molte soddisfazioni ed una bacheca con tre promozioni.
Pochi trionfi, ma un ricordo indelebile nel cuore dei suoi tifosi e di tanti appassionati del meraviglioso calcio degli anni 80, col sottoscritto in prima fila.

Galparoli, oggi

Dimenticavo: e della sua figurina Panini, onnipresente nelle amatissime bustine, ne vogliamo parlare?
Che spettacolo, gli anni 80!

Dino Galparoli: l’impavido.

V74

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