- Una sentenza alquanto interessante
Accolto un ricorso dell'Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar) in un giudizio civile promosso dall'associazione contro il Comune di Verona che nel 2013 non aveva dato l'autorizzazione ad affiggere 10 manifesti con la parola "Dio", con la D in stampatello barrata con una crocetta
Un articolo tratto da “la Repubblica” che narra di un’interessantissima sentenza della Cassazione, invero l’ultima di una lunga serie, che si esprime su una questione apparentemente banale ma che invece, nel tempo, finisce matematicamente per generare astrusi dibattiti e polemiche a non finire.
Sua Maestà., C. Corcione
Premesso che non di rado le polemiche anti-religione mi disturbano allo stesso modo dei fanatici della stessa e senza entrare più di tanto (un minimo è sempre dovuto) nel merito di un ambito che mi ha visto giovane partecipe ed assolutamente non pentito -perché una coscienza si crea vivendo ed affrontando piuttosto che presumendo e millantando-, tenendo inoltre conto della drammatica circostanza di una cagata impellente ed improcrastinabile che mi aspetta, penso comunque che una decina di minuti di riflessione si possano ampiamente dedicare alla tematica, meglio ancora se accovacciati sulla tazza del cesso e senza qualcuno che attenda fuori alla porta o il Rudy Guede di turno che ascolti musica a palla seduto tra lo scarico ed il sifone.
Perché qualcosa ci potrebbe pure essere dopo, incomprensibile per noi come lo erano le eclissi e le aurore boreali per l’uomo del paleolitico.
E magari questo dopo potrebbe pure non essere necessariamente di bell’aspetto e placide intenzioni, come a molti piace idealizzare che sia e come a me di conseguenza scatta il Demone inside di controbattere che non è mica detto, tutt’altro.
Qui, quantomeno fin quando non vi saranno evidenze innegabili, siamo ancora soli.
E quando si è soli bisogna puntare sulle proprie forze, se possibile unendole col prossimo anziché disperderle e sprecarle combattendo per un ideale -ad oggi- invisibile e -per logica- improbabile.
Chi la pensa differentemente farebbe bene a recarsi nei luoghi di culto quando rischia di salutare la compagnia e scendere dalla giostra che tanto gli piace, piuttosto che rimandare il tanto atteso incontro col Deo benevolo ed affidarsi disperatamente alla Medicina pur di non lasciare questo pianeta di ignobili peccatori.
Se poi nel 2020 stiamo ancora al Paganesimo, Radio Maria e la Scienza del Fulmine, beh, allora forse ci meritiamo davvero la mutanda smarronata.
Buona lettura.
No a discriminazioni di atei e agnostici: il loro “diritto a professare un credo che si traduce nel rifiuto di una qualsiasi confessione religiosa – il cosiddetto pensiero religioso ‘negativo’ – espressione della ‘liberta’ di coscienzà sancita dall’articolo 19 della Costituzione, è tutelato a livello nazionale e internazionale, al pari e nella stessa misura del credo religioso ‘positivo’, che si sostanzia invece nell’adesione ad una determinata confessione religiosa”. Lo afferma la Cassazione, accogliendo un ricorso dell’Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar) in un giudizio civile promosso dall’associazione contro il Comune di Verona.
I fatti risalgono all’estate 2013, quando l’Uaar aveva chiesto all’amministrazione scaligera di affiggere 10 manifesti con la parola “Dio”, con la D in stampatello barrata con una crocetta e le successive lettere ‘io’ in corsivo e sotto la dicitura, a caratteri più piccoli, “10 milioni di italiani vivono bene senza D. E quando sono discriminati c’è l’Uaar al loro fianco”. La Giunta comunale aveva respinto l’istanza sostenendo che il contenuto dei manifesti fosse “potenzialmente lesivo” nei confronti di qualsiasi religione. L’Uaar, dunque, si era rivolta all’autorità giudiziaria, affinchè dichiarasse il carattere discriminatorio del rifiuto del Comune di Verona. Sia il tribunale che la Corte d’appello di Roma avevano rigettato il ricorso dell’associazione: di diverso avviso la prima sezione civile della Cassazione, che con un’ordinanza depositata oggi, lo ha accolto e disposto un appello-bis.
Nel riesaminare il caso, la Corte d’appello di Roma dovrà attenersi ad alcuni principi di diritto enunciati dai supremi giudici citando la Costituzione italiana, il Concordato del 1984, “dai quali si desume – scrivono – l’esistenza nell’ordinamento del principio di laicità dello Stato”, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. In particolare, sottolinea la Cassazione, “deve essere garantita la pari libertà di ciascuna persona che si riconosca in una fede, quale che sia la confessione di appartenenza, ed anche se si tratta di un credo ateo o agnostico, di professarla liberamente”.
Quindi, dal “riconoscimento del diritto di ‘liberta’ di coscienzà anche agli atei o agnostici, discende il diritto – aggiunge la Corte – di questi ultimi di farne propaganda nelle forme che ritengano più opportune, attesa la previsione aperta e generale dell’articolo 19 della Costituzione”. Certo, si legge ancora nell’ordinanza, “il diritto di propaganda e diffusione del proprio credo religioso non deve tradursi nel vilipendio della fede da altrui professata, secondo un accertamento che il giudice di merito è tenuto ad effettuare con rigorosa valutazione delle modalità con le quali si esplica la propaganda o la diffusione, denegandole solo quando si traducano in un’aggressione o in una denigrazione della diversa fede o in una denigrazione della diversa fede da altri professata”.
Infine, il principio di “parità di trattamento”, contenuto nella direttiva europea sulle pari opportunità (78/2000) e nel Testo unico sull’immigrazione (dlgs 286/1998), “impone – concludono i giudici di piazza Cavour – che venga assicurata una forma di uguaglianza tra tutte le forme di religiosità, in esse compreso il credo ateo o agnostico, e la sua violazione integra la discriminazione vietata, che si verifica quando, nella comparazione tra due o più soggetti, non necessariamente nello stesso contesto temporale, uno di essi è stato, è, o sarebbe avvantaggiato rispetto all’altro, sia per effetto di una condotta posta in essere direttamente dall’autorità o da privati, sia in conseguenza di un comportamento, in apparenza neutro, ma che abbia comunque una ricaduta negativa per i seguaci della religione discriminata”.
da www.repubblica.it
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