- Garellik
Claudio Garella
Il Calcio ha sempre scandito, inesorabilmente, le tappe più importanti della mia esistenza.
E non soltanto della mia, ne sono certo.
Claudio Garella, da qualche ora in viaggio verso destinazione ignota, è uno di quei personaggi che hanno contribuito a creare il Mito di uno sport che non è mai stato solamente uno sport.
Decisamente no.
Un uomo ed un atleta che ha perennemente vissuto all’esterno dagli schemi cosiddetti “classici”.
Un autentico outsider.
Un portiere che è stato addirittura in grado di definire un suo stile personale, finendo per entrare nella leggenda con dei colpi imprevedibili e con dei trionfi che valgono mille volte tanto, tenendo conto che sono stati ottenuti dove ogni vittoria è un evento epocale, piuttosto che una consuetudine quasi logica.
«Garella è il più forte portiere del mondo. Senza mani, però», ebbe a dire Gianni Agnelli con la solita lucidità mista a mordacità, marchio di fabbrica dell’Avvocato.
Claudio trovava simpatica e veritiera questa definizione.
D’altronde non si è mai sottratto alle battute e/o alle critiche.
Anzi: ne ha tratto spunto per lavorare, migliorarsi, perfezionarsi.
Conscio di non possedere una tecnica di base eccelsa, ha cercato di ottimizzare le risorse a propria disposizione ed ha affinato alcune movenze feline figlie della propria spiccata personalità, più che di un vero e proprio atletismo di base che però, da giovanissimo, era comunque parte indiscussa del proprio bagaglio fisico.
Negli anni il suo rendimento è andato man mano incrementandosi, manifestando una sorprendente capacità di autodisciplina ed un grande desiderio di accrescere il proprio bagaglio tecnico.
Professionista vero.
E non è da tutti, altroché.
Lui che, tra l’altro, ha iniziato dalle giovanili del Toro, bacino solitamente pregno di talento.
Dopo aver esordito da giovanissimo in serie A, viene prestato per un biennio allo Juniorcasale di Casale Monferrato, in zona, per verificarne i progressi.
Subito una bella soddisfazione, con la vittoria del campionato di serie D.
Dodici mesi più tardi arriva anche una sofferta salvezza, in C.
Il Novara, appena confermatosi in B al suo primo torneo cadetto disputato nella storia, si propone per n nuovo prestito.
Il Toro accetta e Claudio Garella continua così il suo percorso di crescita, debuttando nella seconda serie nazionale e giocando tutte le gare, risultando tra i migliori e trascinando i suoi compagni ad un ragguardevole sesto posto che per poco non vale l’approdo in massima serie.
Dove Claudio arriva ugualmente, ingaggiato a titolo definitivo da una Lazio da pochi anni laureatasi Campione d’Italia e che continua a bazzicare le zone nobili della graduatoria.
Nella prima stagione il nostro è riserva del forte Pulici, in una annata devastante per i romani, quinti in classifica ma emotivamente deflagrati dalla scomparsa dell’allenatore Maestrelli, a causa di un tumore, e della assurda morte di Luciano Re Cecconi, per uno scherzo finito nel peggiore dei modi.
Nel secondo torneo disputato con la maglia Laziale il pipelet piemontese diventa titolare, ma il rendimento è ben al di sotto delle aspettative.
A restare impressi nella memoria collettiva sono alcuni errori marchiani che finiscono per regalare al giocatore l’appellativo di Paperella.
Null’altro da aggiungere, se non che la subitanea cessione è conseguenza naturale degli eventi.
Lui, a fine carriera, confesserà di non essersela cavata tanto male a Roma, ma di non aver retto fino in fondo la pressione della grande città nei momenti decisivi, pure perché a 21 anni il salto di categoria, quantomeno nel suo caso, si è rivelato sin troppo azzardato.
Fatto sta che Claudio Garella è considerato bruciato, a certi livelli.
Non riceve offerte dalla serie A e gli tocca ripartire dalla B, con la casacca della Sampdoria.
Si rimbocca le maniche e si ributta a capofitto negli allenamenti, disputando sotto la Lanterna tre ottime stagioni da titolare che gli valgono la chiamata di Osvaldo Bagnoli, appena insediatosi sulla panchina di un Verona scampato miracolosamente alla retrocessione in C.
In riva all’Adige il buona Garella sforna prestazioni da urlo e vince il campionato di B, dando inizio a quella che si trasformerà presto in una straordinaria cavalcata di gloria e meraviglia calcistica.
Difatti l’Hellas, da poco divenuto di proprietà della Canon, inizia una sorprendente scalata ai vertici del calcio italiano, in un periodo storico ove la concorrenza è alquanto feroce.
Dapprima un quarto posto che suona clamoroso, poi un sesto di assestamento, infine uno Scudetto che riecheggia nell’eternità.
Garella le gioca tutte, comprese le amichevoli del giovedì.
Protagonista assoluto, con le sua simpatia travolgente che compatta lo spogliatoio e, soprattutto, con le sue parate che sfidano i manuali per addestratori di portieri e riformano le leggi sulla fisica.
Un drago tra i pali, matto come un cavallo e sgraziato come una pornostar ad una serata di gala della danza.
Para tutto o quasi, però.
La squadra è ben costruita, solida, gestita con maestria ed acume tattico da un ottimo allenatore quale è Bagnoli.
Ma è il suo portiere a chiudere ogni varco agli avversari, allorquando tutte le accortezze previste vanno a ramengo.
Claudio Garella diventa Campione d’Italia, da leader e con pieno merito.
Un premio ai suoi sacrifici ed alla sua visione dello sport: una visione rurale, semplice eppure profonda.
Valori antichi, principi inscalfibili, impegno solenne.
A fine anno, conclusi i festeggiamenti, gli tocca fare le valigie.
A Napoli si è appena conclusa la saga di Luciano Castellini, ritiratosi alle soglie del suo quarantesimo compleanno.
Maradona abbisogna di collaboratori affidabili, per regalare un sogno alla città.
Chi meglio del portiere appena scudettato?
L’argentino, da avversario, ne ha apprezzato la sicurezza ed il carisma.
Allodi, dirigente scafato e con occhio notevole, approva il suggerimento.
Garella viene ceduto ai partenopei e va a prendere il posto del Giaguaro -proprio uno dei suoi idoli, insieme a Zoff ed al genialoide olandese Jongbloed-, mentre a Verona acquistano Giuliano Giuliani, dal Como.
Per la prima volta in carriera Claudio scende al sud e si ambienta subito alla grande.
Titolare inamovibile e terzo posto in classifica, viatico all’indimenticabile Scudetto che, unitamente alla Coppa Italia, andrà a nobilitare la bacheca della sua società d’appartenenza, oltre che la propria.
Due Scudetti vinti in pochi anni in due piazze che mai, prima di allora, avevano provato questa folle gioia.
Anche a Napoli il torinese para come un felino, col solito stile discutibile dal punto di vista estetico, ma tremendamente efficace.
Sovverte ancora una volta tutte le teorie e tutte le regole, il mitico Garella.
E lo fa senza presunzione, senza ergersi a fenomeno, senza magnificare la sua opera.
Scherza, provoca, sfida.
Se è in giornata di grazia e si gasa, diventa un muro invalicabile.
Perché alla fine -in ogni modo e maniera- para, soprattutto.
Anche le critiche, che in una piazza calda come quella campana non mancano mai.
I tifosi lo amano, questo sì.
Con il mirino puntato, però: sempre e comunque.
Il destino ineludibile di Claudio Garella, strascichi di quelle che all’epoca il pur ottimo Beppe Viola ebbe a definire come Garellate, cioè interventi poco ortodossi e tendenti al rischio di papera imminente, quando non già verificatasi.
Tempi lontani, oramai: a metà anni ottanta, nel pieno della sua maturità calcistica, Claudio è un guardiapali forte ed affidabile.
Meriterebbe quantomeno una convocazione in Nazionale, ma la concorrenza è feroce e non trova spazio in quella che è a tutti gli effetti una fase di abbondanza imbarazzante, nel ruolo.
Un anno dopo il trionfo, il Napoli getta alle ortiche il bis, facendosi rimontare e superare dallo scatenato Milan di Sacchi.
Polemiche e sospetti a non finire, in un ambiente che non di rado si alimenta di cotanta melma.
Il risultato è la fronda di alcuni calciatori nei confronti del tecnico, Ottavio Bianchi.
Garella è tra i firmatari, per quanto avrà in futuro a pentirsene, essendo stata una scelta d’istinto, più che di raziocinio.
D’altronde lui è fatto così.
Sbaglia, come tutti.
E lo ammette, come pochi.
La cessione all’Udinese avviene quindi in modalità allontanamento.
Sul golfo, per sostituirlo, arriva Giuliani.
Ancora una volta lui.
Un destino che per il giocatore bolognese si rivelerà fatale, inghiottito da una atmosfera surreale e fin troppo scombinata per una persona dal carattere mite e dal temperamento docile.
Buon portiere, di certo, che vince Scudetto e Coppa Uefa sul campo ma che finisce col pagare un debito eccessivo con la vita, forse a causa di smoderatezze non ascrivibili unicamente al soggetto in questione.
Garella invece ritorna al nord e va subito a centrare la promozione in serie A con i friulani, confermando il suo buon feeling con la vittoria.
La stagione successiva è invece decisamente sfortunata e culmina con una bruciante retrocessione.
L’Udinese decide di liberarsi del suo ingaggio e lo sostituisce -superfluo aggiungerlo- con Giuliani, che il Napoli vuole sbolognare per puntare sul neoacquisto Giovanni Galli.
Si fa avanti l’Avellino e Claudio ritorna in Campania, salvo doversi fermare pochi mesi più tardi a causa di un infortunio che pone fine -di fatto- alla sua carriera.
Apre una gioielleria a Verona e nel frattempo si diploma a Coverciano, come Dirigente Sportivo.
Ma il calcio -per meglio dire: il grande calcio- si dimentica di lui.
Completamente.
Claudio Garella ne soffre parecchio e non lo nasconde affatto: è un uomo di stampo arcaico, come detto.
Guascone, istrionico, con la battuta pronta.
Non scende però a compromessi, non lecca deretani compiacenti, non prega nessuno che sia su questa Terra, non cerca di prendere il posto di nessun altro, non svende neppure per un attimo la propria dignità.
Si immalinconisce, ma con garbo.
Ammette il disagio ed attende il momento giusto che, non essendo cinematografia, non arriverà.
Ama il Calcio e nell’attesa di una occasione importante lo vive quotidianamente, nelle serie minori.
Nei dintorni di casa propria, cioè nel torinese, dove è tornato a vivere.
Anticonformista e ben poco allineato al sistema, anni luce distante dallo stereotipo del calciatore, ancor di più da quello moderno.
Da quest’ultimo si potrebbe parlare di millenni luce di distanza, ecco.
Claudio Garella ha creato un brand.
Ha trionfato, piuttosto che vinto.
Ha storicizzato un ruolo, quello di portiere, che già di per sé possiede una magia solamente propria.
Uomo che talvolta inspirava tenerezza, per la sua goffa figura che negli anni post calcio si era fisicamente decuplicata, per non dire altro.
Eppure girava con il sorriso stampato sul volto, trasmetteva allegria e sincerità ad ogni intervista, non esitava ad indossare i guantoni per qualche partita di beneficenza o in ricordo dei bei vecchi tempi, magari costipato in una ridicola maglietta che non gli entrava manco allargandola con un tenditore idraulico.
Mi piaceva davvero tanto, Claudio.
Garellik, come viene chiamato dopo aver mostrato a tutti la propria forza e sostanza.
Ispirava affetto sincero e senza alcuna forma di quella odiosa pietà scenica che spesso dedichiamo a chi è fuori dal giro.
Pure nella malattia, nelle ultime fasi della sua esistenza, ha sciorinato un contegno che nel mondo del calcio, e lo dice uno che lo adora nonostante tutto, è merce rarissima.
D’altro canto Garella non abbisognava di benevolenza gratuita: ha meritato fino in fondo ciò che la sorte gli ha donato.
Vincente, nello sport come nella vita.
Lascia una moglie e due figlie e la sensazione, sì, che avrebbe potuto dare molto di più pure da dirigente, con la sua passione sconfinata e la sua notevole competenza, se solo si fosse riusciti a mettere da parte determinati pregiudizi.
Sul terreno di gioco ci aveva pensato lui stesso, a farlo.
Al di fuori, forse, toccherebbe a noi tutti impegnarci a riguardo.
Portierone efficace ed atipico, persona alla mano e generosa: con un sorriso coinvolgente e spontaneo che il sottoscritto -i miei amici ne sono testimoni- ha associato più volte a quello del Pibe de Oro.
Tra i ricordi più belli di un Calcio che per me è stato famiglia, oltre che puro e semplice divertimento.
Buon viaggio, Claudio.
E grazie.
V74