- Il Maradona dei poveri
Ciccio Foggia
Il Maradona dei poveri.
Appellativo pesante, che non si può dispensare “a capocchia“, come si suol dire, se si discorre seriamente di calcio.
Dopo aver raccontato le gesta di Vincenzo Del Vecchio, pochi giorni or sono, il mio caro amico Peppe il Messicano, col quale mi onoro di aver condiviso parecchi spogliatoi calcistici in età giovanile, mi ha riportato alla memoria il buon Francesco Foggia, detto Ciccio, che per lui è stato uno dei talenti più fulgidi passati in quel di Forio, nel nostro amato stadio.
Invero il pensiero di Peppe è anche quello del sottoscritto e, come se non bastasse, pure lo stesso di parecchi tifosi campani con qualche anno in più sul groppone, che hanno bene impresse nelle loro menti e nei loro cuori le gesta di questo divertentissimo funambolo che ha caratterizzato a lungo lo sport più bello del mondo nella meravigliosa regione della Campania.
Perché Ciccio Foggia, classe 1962, nasce -per l’appunto- a Napoli.
Il 22 settembre: nell’ultimo giorno utile per rientrare tra coloro che appartengono al segno zodiacale della Vergine, quindi.
Conservativi, affidabili, curiosi, leali: così vengono descritti gli appartenenti a questo segno, che sono inoltre reputate persone in grado di concentrarsi giudiziosamente nel proprio lavoro e molto brave allorquando si tratta di operare con la giusta tecnica.
E di tecnica Ciccio ne possiede a quantità industriali, altroché.
Tecnica calcistica, s’intende.
Perché sin da piccolino ha il cuoio incollato al piede e mostra doti sorprendenti per un ragazzino che, come la maggior parte dei suoi coetanei, si diletta a giocare per le strade del capoluogo partenopeo sfidando i compagni in vere e proprie battaglie campali che durano, lampioni funzionanti permettendo, sino a notte fonda.
Vispo e riccioluto, rapido e talentuoso, non è particolarmente aitante dal punto di vista fisico.
A Napoli, che in quegli anni vede esibirsi al San Paolo -che dalla fine del 2020 gli sarà intitolato- il Re del Calcio, l’accostamento sembrerebbe quasi obbligato.
Se non fosse che Ciccio è destro, anziché sinistro come il Pibe de Oro.
E non proviene da lande lontane, come l’argentino, bensì è indigeno DOC.
Difatti cresce nelle giovanili del Napoli, sognando di poter indossare un giorno quella amatissima maglia azzurra.
Non esistono scuole calcio, ai tempi.
E la famiglia è numerosa: il padre, Pasquale, deve sfamare ben dodici eredi, tra i quali Ciccio ed il suo gemello.
Il piccolo Francesco, calcisticamente e caratterialmente parlando, ha qualità ed esuberanza.
Forse troppa esuberanza, a dire di qualcuno.
Fatto sta che si ritrova, ancora giovanissimo, in Prima Categoria, con la Juve Tertulliano.
Il quartiere è quello dove vive la famiglia Foggia: Soccavo.
Che, per ironia della sorte, è pure quello ove sorge il Centro Paradiso, sede degli allenamenti del Napoli.
Con la sua nuova squadra Ciccio inizia a forgiarsi caratterialmente, sui duri campi dell’hinterland napoletano.
I difensori, in certe categorie, non fanno complimenti.
Lui, senza scomporsi più di tanto, li salta come birilli e comincia anche a prendere confidenza con la porta avversaria.
Sul giovane, ormai libero da vincoli con la casa madre partenopea -che non si fida troppo del suo carattere ribelle-, decide di puntare la Scafatese.
Il club ha sede nella provincia di Salerno, per quanto -di fatto- sia più connesso alla città metropolitana di Napoli.
Ciccio Foggia arriva in una società che spera di vincere il torneo di Promozione ed invece si ritrova, a sorpresa, declassata in Prima Categoria.
Il funambolo delizia la platea ma non riesce ad invertire la rotta e così saluta la compagnia e passa al Marcianise, nel casertano, dove è stata appena ricostituita la locale società sportiva dopo che era stato precedentemente ceduto il titolo alla Palmese e, successivamente, era stato acquisito quello del Cicciano.
Una baraonda che alla fine porta alla nascita del Rifo Sud Vallo di Diano, alias Valdiano Calcio, che vince il campionato interregionale 1985-86 con alla guida il bravo mister Pasquale Santosuosso e sotto la supervisione di Tonino Simonetti, dirigente di notevole spessore.
Squadra quadrata, tosta, con esperti marpioni e giovani ambiziosi.
Tra questi ultimi anche Ciccio Foggia, che offre il suo contributo alla causa.
Per la serie C2 si decide di puntare su giocatori di categoria e Foggia viene ceduto al Forio -isola di Ischia- che ha da poco sfiorato una storica promozione in C2, superato nel finale dal Latina dopo aver perso lo scontro diretto nella città pontina.
I dirigenti del club isolano vogliono riprovare la scalata al calcio professionistico e l’idea è quella di affiancare Ciccio Foggia al bomber Santagata, vicecapocannoniere del precedente torneo con ben diciannove centri.
Un attacco teoricamente da urlo, con un centravanti classico che flirta con il gol (Santagata) ed un fantasista estroso e creativo (Foggia) al suo servizio.
Il campo però dice ben altro ed il Forio, dopo ben quattro cambi di allenatore ed un inizio di stagione a dir poco disastroso, riesce a riprendersi nel girone di ritorno e porta a casa una dignitosa salvezza.
Foggia e Santagata non arrivano manco a mettere insieme le reti che il secondo aveva realizzato da solo nell’annata precedente.
La classe c’è e la sintonia non manca, ma l’ambiente fa fatica a compattarsi e i vari avvicendamenti nella guida tecnica finiscono per complicare le cose.
Inoltre diversi infortuni di alcuni uomini chiave nei momenti meno consoni, tra l’altro, acuiscono le problematiche del Forio edizione 1986-87.
Decimo posto in graduatoria, alla fine della fiera, e Foggia che torna in terraferma, chiudendo l’avventura in terra ischitana.
Chi, come me ed il succitato amico Peppe, era lì, allo stadio Salvatore Calise di Forio, ricorda bene Ciccio Foggia.
Io ero giovanissimo, di nome e di fatto, militando nell’omonima categoria calcistica, in attesa di passare negli Allievi.
Durante gli allenamenti incrociavo spesso gli sguardi dei giocatori della prima squadra, che per i ragazzi erano degli idoli, pur senza la psicopatia odierna che contraddistingue i rapporti tra fans ed appartenenti al mondo dello sport.
Altri tempi ed altra gente, per fortuna.
Ciccio Foggia era uno dei calciatori che rubava maggiormente l’attenzione.
Riccioluto, capello sciolto, occhio vispo, movenze smaliziate.
Il tipico figlio ‘e ‘ntrocchia, per intenderci.
E con una tecnica di base fuori dal comune.
Adoravo guardarlo mentre calciava le punizioni: negli anni ottanta ci sono Maradona, Platini, Zico.
E certe parabole arcuate e e suadenti entrano nel cuore, oltre ad infilarsi all’incrocio dei pali.
Chiusa la parentesi foriana, per Foggia si aprono diverse opzioni.
La migliore, quantomeno dal punto di vista economico, è quella del Real Aversa, che dopo alcune travagliate vicende societarie riparte con una nuova ed ambiziosa proprietà.
Il club centra immediatamente la promozione in Interregionale, dove Ciccio va in rete in diciassette occasioni che gli valgono il titolo di capocannoniere e permettono all’Aversa di cogliere una tranquilla permanenza nella quinta serie nazionale.
Il fantasista si ripete l’anno dopo, con sedici reti e -ancora una volta- il trono di re dei bomber del girone, con la squadra che si salva con qualche patema in più rispetto alla precedente stagione.
Francesco Foggia è oramai una garanzia: una sorta di assicurazione sulla via del gol, col contraente che si porta a casa un bel bottino di reti e tantissime giocate sopraffine.
Lo cercano in molti, anche da fuori regione.
Qualche chiamata arriva pure da società di categoria superiore, ma Foggia ha una famiglia numerosa -che sta ulteriormente allargando, tramite figliolanza- e si preoccupa di monetizzare il giusto in un calcio che, a differenza di quello odierno, non sempre è foriero di cifre adeguate al valore di chi lo pratica.
Inoltre Francesco è persona seria: estroverso e gioviale, certo, ma pure schietto, leale, con il massimo rispetto per la parola data.
Attende sempre la primavera, prima di accordarsi con un club.
Spende tutto se stesso per la maglia che indossa, fino all’ultima goccia di sudore.
Poi, eventualmente, cambia strada.
E dopo il proficuo biennio ad Aversa, per Ciccio giunge la chiamata del Portici.
La riforma del campionato, con ben sei retrocessioni per girone, crea qualche difficoltà al team campano.
Un implacabile Foggia, capocannoniere con ventiquattro gol, toglie le castagne dal fuoco ai suoi e li trascina ad una sofferta ma meritata salvezza.
Oramai il buon Ciccio è un capocannoniere di professione, piuttosto che un attaccante.
La Gazzetta dello Sport gli dedica un titolo roboante: “Segna più gol di Maradona e Baggio“.
Sul partenopeo si fionda la Battipagliese, che è appena retrocessa dalla serie C1 ed ha voglia di tornare in terza serie.
Le zebrette salutano il tecnico Villa ed ingaggiano Braca, dalla Cavese.
La rosa sembrerebbe ben attrezzata per giocarsela con tutti: il forte centrocampista Sorbi (ex Roma e Pisa in A) è il faro in campo, contorniato da tanti elementi di categoria come Marino, Carafa, Pirozzi, Aversano e company.
Foggia mette a referto una ventina di presenze e segna due gol, non ripetendo i numeri che avevano contraddistinto le sue recenti stagioni nel Campionato Nazionale Dilettanti, ex Interregionale.
Qualcuno potrebbe malignamente ipotizzare che salendo di categoria le cose si complichino, per chiunque.
In realtà Ciccio avrebbe tutti i numeri per sfondare nel calcio che conta, anche ben oltre la serie C2.
Perché discorriamo di un attaccante completo.
Tecnicamente eccelso, con un destro delizioso ed un sinistro che ben accompagna le clamorose giocate del genietto napoletano.
Ciccio Foggia sarebbe in teoria una prolifica seconda punta, ma in realtà svaria su tutto il fronte offensivo, apre gli spazi e ci si butta pure dentro, se necessario.
Numero 10 per antonomasia, sebbene indossi spesso il 9, l’11 o quel che sia.
Inventa come un fantasista, sforna assist come una ala, segna come un centravanti.
Estroso, geniale, talentuoso.
Quando è in giornata è semplicemente immarcabile.
Nel dribbling secco è praticamente una sentenza e quando ti punta in velocità bisogna soltanto affidarsi alla preghiera, per fermarlo.
Guizzante, caparbio, imprevedibile.
Calcia bene punizioni e rigori, inoltre.
Fisicamente non è un bronzo di Riace, però è gagliardo e sa farsi rispettare, sia in campo che fuori.
Fa gruppo e diverte e fa innamorare i suoi tifosi, riuscendo nell’impresa di non avere un singolo appassionato di calcio che non lo ricordi, tra tutte le squadre -tante- ove ha militato.
Il suo carattere, franco e senza filtri, in alcuni frangenti ha finito per tarpargli le ali, essendo un tipo emotivamente diretto e vivendo il calcio e la vita con estremo trasporto.
Troppo, talvolta: il suo pregio e, forse, anche il suo limite, in un mondo del calcio che non di rado è ipocrita e che raramente tiene fede agli impegni presi e rispetta gli accordi sino in fondo.
Professionale come pochi altri, questo va detto, se non avesse palesato alcune bizzarrie caratteriali avrebbe militato in categorie di ben altra levatura: ma non sarebbe stato il “Maradona dei poveri”, però, ovvero l’adorabile Ciccio Foggia.
Che gioca sino ad una età in cui i suoi coetanei al massimo si alzano, e con notevole fatica, dal divano per raggiungere la sala da pranzo, ben che vada.
Idolo vero, senza se e senza ma.
Dalla serie C, purtroppo, Foggia si ritrova in CND, retrocesso con la sua Battipagliese al termine di una annata alquanto balorda.
Confermato per altri dodici mesi, timbra una dozzina di reti e, soprattutto, si mette al servizio dei compagni trascinandoli, da leader e da capitano, alla vittoria del campionato, con susseguente ritorno in serie C2.
Però in società sono convinti che Ciccio faccia la differenza nella vecchia Interregionale, di sicuro, ma soffra l’impatto con la C.
Quindi il funambolo viene messo sul mercato.
Ad acquistarlo è quel Marcianise dove aveva già militato anni addietro, seppur in una serie di cambi di denominazione che manco in un thriller americano degli anni ottanta.
Una stagione d’Eccellenza, con la fascia di capitano sul braccio ed il titolo di Barilla Sud Marcianise sulle distinte, senza però riuscire a salire di categoria sebbene la rosa sia più che attrezzata per raggiungere lo scopo.
Poi a casa di Ciccio Foggia bussano i dirigenti del Giugliano.
Il giocatore non può neanche lontanamente immaginarlo, ma in quei giorni sta nascendo un sodalizio sportivo ed umano che durerà molto a lungo.
A Giugliano vince subito il campionato d’Eccellenza, poi aiuta i compagni a mantenere la “D” nella successiva stagione, con i tigrotti gialloblù che finiscono anche per attestarsi nelle zone nobili della graduatoria.
Quindi passa alla Palmese, in Promozione.
E man mano inizia a girovagare per le serie minori, sin quando -ultraquarantenne- si dedica al Torneo Intersociale di Napoli, una vera e propria istituzione per gli appassionati, ove il genialoide partenopeo continua a dare spettacolo, insieme a tanti amici ed ex professionisti della pelota.
Nel frattempo apre una scuola calcio a Giugliano, dove vive per parecchi anni e dove lavora come coordinatore del settore giovanile della società locale, ruolo che ricopre successivamente pure nell’Afragolese e nel Pompei.
Ama i giovani e, soprattutto, è sempre innamorato di quel calcio che lo ha accompagnato sin dalla tenera età in un percorso di soddisfazione e crescita.
Ciccio è più volte nonno, oltretutto.
Ha due figlie, Giuliana ed Alessia.
E un figlio, Pasquale, che arriva ad indossare la maglia della Nazionale Italiana e mette a referto oltre centosettanta presenze in serie A con club quali Lazio, Cagliari, Empoli, Ascoli e Reggina.
Una grandissima gioia, per Francesco e per tutta la sua famiglia.
Tornando al giocatore: mi piace ricordare quel Forio che fu, con Foggia e Santagata che in teoria sarebbero dovute essere le frecce più potenti di un arco adeguato a raggiungere l’agognata C2 da poco sfiorata e che invece, stranamente, ci aiutarono “soltanto” ad ottenere la salvezza in Interregionale.
Stagione stramba, tocca ribadirlo.
Il calcio non è quasi mai una scienza esatta e forse proprio in questo passaggio è insita tutta la sua inarrivabile bellezza.
Grazie anche a dei magnifici folletti come il nostro amico, ovviamente.
Che qui, nel comune turrito dell’isola d’Ischia, nessuno ha dimenticato.
Ciccio Foggia: il Maradona dei poveri.
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