- 1976
Cassandra Crossing
Qui si è intuito che mi piace il genere “catastrofico”.
E, come detto, adoro treni, navi, aerei.
Il viaggio ed il suo mezzo di trasporto, quindi, a seconda dei casi.
Un altro film che rivedo sempre con piacere è Cassandra Crossing, del 1976.
Catastrofico, sì: ma anche fantapolitica, thriller, avventura, giallo, spionaggio, guerra.
Tanta carne a cuocere, insomma.
Ingredienti di qualità, cucina di valore, cuoco di talento.
Il risultato?
Discreto, ma non eccezionale.
Per certi versi CC anticipa alcuni temi della recente pandemia raccontando di un attentato nel palazzo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, a Ginevra, dove tre terroristi svedesi, dopo essere riusciti ad introdursi in uno dei laboratori gestiti dai Servizi Segreti degli Stati Uniti, vengono scoperti.
Uno dei due perde la vita, nello scontro a fuoco con i vigilantes.
Il secondo viene gravemente ferito ed è catturato.
Il terzo, colpito di striscio, contrae una infezione causata dallo scoppio di una ampolla contenete materiale batteriologico non meglio identificato e si dà alla fuga, riuscendo a raggiungere la principale stazione ferroviaria della città ed a salire sul Transcontinental Express diretto a Stoccolma.
A quel punto il treno, con tutto il suo carico umano, diventa un problema scomodo quanto complesso: il fatiscente ponte di Cassandra, raggiungibile mediante una forzata deviazione del percorso verso la Polonia ed ormai in disuso da decenni, potrebbe mettere a posto ogni cosa.
O quasi.
La produzione, per la maggior parte, è italiana, con Carlo Ponti al comando.
Il cast, come da copione, è ricco di nomi di grido: Sophia Loren, Richard Harris, Burt Lancaster, Martin Sheen, Ava Gardner, Ingrid Thulin, Lee Strasberg, O. J. Simpson, Lionel Stander, Alida Valli, Ray Lovelock, Renzo Palmer ed altri ancora.
Tra protagonisti e ruoli di secondo piano, il materiale artistico a disposizione è sicuramente di gran pregio.
La location principale è organizzata in quel di Cinecittà, a Roma.
Sempre nella capitale, Stazione Smistamento, vennero girate le scene ambientate nello scalo ferroviario di Norimberga.
Il ponte è invece il Viadotto di Garabit, in Francia, progettato da Gustave Eiffel, quello della celebre Torre omonima.
La stazione di Ginevra è in realtà quella di Basilea.
Le stazioni ferroviarie, con le loro architetture ed il carico di vita e di memoria che contengono al proprio interno, sono un mio must dai tempi dell’infanzia.
Ricordo ancora di quando riuscii a farmi regalare dall’agenzia viaggi di zona uno di quei libroni giganteschi, con tutti gli orari dei treni.
Li imparai a memoria, quegli orari, sognando di poter girare l’Italia -e non solo- guardandola dai finestrini dei vagoni che ogni giorno la attraversano.
Di conseguenza un’opera come Cassandra Crossing non può lasciarmi indifferente.
Tutt’altro.
E poi Norimberga, Ginevra, Basilea, Roma, Stoccolma.
Sia quel che c’è e sia quel che è ipotetico finiscono, di concerto, per riportare alla mente una miriade di emozioni e pensieri.
Il film, con la regia del greco Cosmatos, ha dei ritmi godibili.
Invero la critica lo ha stroncato sin dalla sua uscita massacrandone svariati aspetti, tra cui proprio la regia, definita “lenta ed approssimativa”.
Poco apprezzati pure gli effetti speciali, per molti non all’altezza delle aspettative.
Alcune prove attoriali non sono state giudicate indimenticabili e lo stesso Cosmatos ebbe a litigare furiosamente con gli addetti ai lavori e con il pubblico in sala, durante una proiezione in anteprima ove qualche spettatore aveva azzardato dei flebili fischi, difendendo a spada tratta il lungometraggio e spingendosi a definirlo una sua creatura, spiegando che “si tratta di un progetto di oltre tre anni di intenso lavoro e che notare cotanta disapprovazione è fonte di dispiacere pari a quello che proverei se qualcuno dicesse che mio figlio è brutto e cattivo“.
Difesa d’ufficio, viva ed appassionata.
Volendo fare una valutazione “imparziale” (si fa per dire), prescindendo dai gusti abituali e dai legami emotivi, la verità forse sta nel mezzo.
Cassandra Crossing regala oltre due ore di sano intrattenimento, senza toccare vette indimenticabili e senza precipitare in abissi scandalosi.
Tra budget disponibile e gruppo di attori ingaggiati si poteva osare di più, probabilmente.
Ma è innegabile che il film, dopo quasi mezzo secolo, sia ancora un cult che infiamma il suo affezionato e devoto pubblico di adepti.
La suggestiva colonna sonora di Jerry Goldsmith non abbisogna di ulteriore commento.
La bella fotografia -Ennio Guarnieri- idem come sopra.
La intrigante sceneggiatura -a tre mani-, oltre a Cosmatos, si è avvalsa della collaborazione del bravo Tom Mankiewicz e dello scrittore statunitense Robert Katz, autore del romanzo che ha ispirato le riprese.
Le tante imperfezioni tecniche (bloopers, in gergo), che fanno imbufalire i fan delle locomotive, si perdonano facilmente grazie alla tensione che man mano si accumula durante la visione.
L’aspetto fantapolitico, con il modus operandi dei militari USA che in un paio di frangenti è descritto in maniera sublime, si integra abbastanza bene con il richiamo all’Olocausto e con le vicende sentimentali che fanno da sottofondo alla storia.
In sintesi: niente male.
E, nel complesso, di certo migliore di tanti suoi “epigoni”.
“Questi sono attori di forza!”, diceva mio nonno-papà durante la visione di colossal e di filmoni con cast spettacolari.
Burt Lancaster gli piaceva una cifra.
Anche a me.
Cassandra Crossing lo vidi per la prima volta insieme a lui.
Ogni tanto si alzava ed andava a fumare sul terrazzo, interrompendo la visione congiunta ed iniziandomi ad una sfavillante carriera di bestemmiatore professionista.
Insieme all’ambientazione, alle atmosfere ed alla musica malinconica ed intensa che lo accompagna, è il ricordo più denso che associo alla pellicola di Cosmatos.
Cassandra Crossing: 6,5
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