- Il Vampiro
Carlos Mozer
I difensori sudamericani sono -di norma dei criminali- autorizzati.
Non che negli altri continenti manchino elementi in grado di sfasciare menischi come se fossero giocattoli per neonati, eh.
Però è innegabile che in certi paesi ci sia, come dire, un atteggiamento grintoso che spesso sfocia in interventi difensivi degni di procedimenti giudiziari, ecco.
In passato era ancora peggio, con regole meno restrittive ed arbitraggi più compiacenti.
Oggi, quantomeno, un freno si è provato a metterlo, in relazione al gioco duro, sia in difesa che -anche- a centrocampo.
Comunque nel succitato Sud America vi sono stati pure fior di difensori che, oltre all’agonismo, hanno saputo mettere in campo grande tecnica e, sebbene più raramente, estrema correttezza.
La maggior parte di essi si muoveva sulle fasce, andando quindi incontro a minori responsabilità difensive rispetto ai centrali puri.
Perché un marcatore, volente o nolente, è soggetto a maggiore pressione ed in caso di errore è, quasi sempre, colpevole dell’accaduto (leggasi: gol subito).
Un difensore che mi piaceva moltissimo e che rientrava in diverse categorie tra le succitate è José Carlos Mozer.
Carlos nasce nel settembre del 1960, in quel di Rio de Janeiro.
Siamo in Brasile, nel regno del talento calcistico: fantasisti straordinari, mezzali tecniche, volanti di centrocampo geometrici, ali indemoniate, centravanti immarcabili, terzini arrembanti.
Sui portieri stendiamo un velo abbastanza pietoso, tranne rare -e per questo ancor più valide- eccezioni.
E i centrali difensivi?
Beh, qui qualcosa di buono si trova.
Invero Mozer, sin da bambino, si cimenta nel ruolo di centrocampista: è tenace e, per l’età, sorprendente determinato.
Ben presto entra a far parte del settore giovanile del Botafogo, ma non viene mai preso realmente in considerazione e, quindicenne, viene sbolognato al Flamengo.
“Tecnica mediocre e fisico grezzo”: questo il giudizio degli allenatori del Botafogo.
Al Flamengo, quantomeno inizialmente, non la pensano tanto diversamente.
Poi, pian piano, il ragazzo inizia a mettersi in mostra e nella fase dello sviluppo diventa una colonna (una trentina di centimetri in pochi anni!).
Perde qualcosina in velocità e da esterno sinistro di metà campo viene arretrato nel ruolo di centrale di difesa: nonostante vi sia parecchia concorrenza, lui migliora tecnicamente e rafforza la muscolatura, andandosi a conquistare la maglia di titolare delle giovanili e, di lì a breve, anche quella della prima squadra.
E non la molla più, la suddetta casacca, iniziando subito a vincere titoli con i rossoneri.
Gli avvoltoi, come vengono chiamati i calciatori del Flamengo, portano a casa il Campionato dello Stato di Rio de Janeiro (1981) e, come se non bastasse, vanno a vincere la Coppa Libertadores battendo i tosti cileni del Cobreloa per 2-0 in un caldissimo spareggio -ben cinque cartellini rossi- che si è reso necessario dopo che i brasiliani avevano vinto il primo match per 2-1 e gli avversari il secondo round per 1-0.
Un trionfo che apre ai rossoneri la finale della Coppa Intercontinentale, a Tokio, vinta anch’essa (3-0) contro il Liverpool di Dalglish, Souness e Grobbelaar.
Carlos Mozer, poco più che ventunenne, si ritrova già sul tetto del mondo e con pieno merito.
Il Flamengo, bisogna riconoscerlo, è un’ottima squadra.
Il giovane ma già quotato tecnico Paulo César Carpegiani è stato abile a creare un gruppo coeso e determinato, oltre che a sfruttare tutta una serie di talenti naturali.
Il fuoriclasse Zico, in primis.
Il mitico Léo Júnior, futuro calciatore di Torino e Pescara.
L’estroso Tita, anche lui più avanti al Pescara.
Il poderoso Leandro, sulla destra.
Il bomber Nunes.
Il brillante centrocampista Adílio.
L’esperto portiere Raul.
Ed altri ancora.
Una compagine veramente forte, con il giovane Mozer che si integra perfettamente nel gruppo e contribuisce alla causa con ardore e maturità, a dispetto della giovanissima età.
Non viene preso in considerazione per i Mondiali del 1982, in quanto il C.T. Telê Santana non se la sente di mettere pressione sui difensori che ha deciso di schierare in Spagna.
Ma già per la Coppa America del 1983 Mozer è tra i prescelti dell’allenatore Carlos Alberto Parreira ed insieme a Junior, Renato, Roberto Dinamite, Eder e Jorginho conquista la medaglia d’argento, alle spalle dell’Uruguay di Francescoli ed Aguilera.
Col Flamengo il buon Carlos Mozer vince due Campionati Nazionali (1982, 1983) ed un altro Campionato dello Stato di Rio de Janeiro (1986), arrivando a mettere in fila quasi trecento presenze con la maglia del club brasiliano.
Con la Nazionale verdeoro salta il Mondiale del 1986, in Messico, a causa di un infortunio.
Poi, ventisettenne, decide di accettare l’offerta del Benfica, in Portogallo, e trasferirsi all’estero.
A Lisbona trova anche l’amico -e compagno di Nazionale- Elzo, prelevato mesi prima dall’Atletico Mineiro, e l’istrionico Chalana, acquistato dai francesi del Bordeaux.
Il Benfica è un club storicamente solido e con una grande tradizione alle spalle.
I lusitani, che lottano per essere competitivi in Europa e duellano con gli acerrimi rivali del Porto per vincere la Primeira Liga, necessitano di nuova linfa in difesa ed a centrocampo e sperano, con i due brasiliani, di aver centrato i profili adatti allo scopo.
La prima stagione di Carlos Mozer in Europa è ricordata soprattutto per la splendida cavalcata europea dei portoghesi che riescono a raggiungere la finale della Coppa dei Campioni, sfruttando pure un tabellone abbastanza benevolo.
La gara di Stoccarda non è memorabile -tutt’altro- e termina ai rigori: Mozer realizza il suo, così come il connazionale Elzo, ma è un errore del terzino Veloso a condannare il Benfica alla piazza d’onore ed a consegnare la Coppa nelle mani del PSV Eindhoven di Gerets, Ronald Koeman e Lerby.
Anche in campionato il risultato è identico: secondo posto, ad una quindicina di punti di distanza dal Porto.
Si riparte l’anno successivo, con grande voglia di rivalsa.
Ed arriva il meritato trionfo nella Primeira Liga, con un buon margine di vantaggio nei confronti dei mai domo Porto.
Nella rassegna continentale le cose invece non vanno così bene ed arriva l’eliminazione ai sedicesimi di finale, nel secondo turno, contro i non irresistibili belgi del Liegi.
Basta un 2-1, invece, a regalare la Taca de Portugal, la Coppa del Portogallo, al Belenses.
A fine stagione il Benfica attua dei cambiamenti societari e per la panchina punta sul cavallo di ritorno Eriksson, che ha appena concluso la sua esperienza in Italia dopo aver allenato Roma e Fiorentina.
Carlos Mozer, che nella prima annata a Lisbona ha segnato come un centrocampista avanzato e che nella seconda ha mantenuto un rendimento molto elevato formando una solidissima coppia con il connazionale Ricardo Rocha, ha parecchie richieste e finisce sul mercato.
A lui si interessano diversi club blasonati da Italia, Germania, Olanda, Francia e Inghilterra.
I fans del Benfica si oppongono alla sua cessione, poiché si sono affezionati moltissimo al giocatore.
Però “pecunia non olet“, diceva qualcuno che la sapeva lunga.
Il brasiliano fa gola a parecchi ed a mettere le mani sul suo cartellino, con un esborso non indifferente per l’epoca (oltre cinque miliardi delle vecchie lire), è l’Olympique Marsiglia del vulcanico presidente Tapie.
I transalpini, vincitori del campionato e della Coppa di Francia, mirano ad arrivare fino in fondo in Coppa dei Campioni: Mozer è il rinforzo ideale per una difesa che è imperniata sul tedesco Karlheinz Förster, avanti negli anni, e che necessita di nuova linfa vitale.
Per il resto la rosa non abbisogna di troppi commenti: Papin, Waddle, Francescoli, Tigana, Cantona, Vercruysse, Abedi Pelé, Amoros.
E come ulteriore rinforza invernale anche il buon Deschamps.
Tapie vuole stravincere, è evidente.
Mozer, nella bella regione della Provenza, si ambienta subito ed alla perfezione.
L’Olympique vince la Division 1 in volata dinanzi al Bordeaux e giunge sino alle semifinali, in Coppa dei Campioni, venendo eliminato proprio dalla ex squadra di Mozer, il Benfica.
Anche in Coppa di Francia il Marsiglia si ferma al penultimo turno, perdendo inopinatamente con il Racing di Parigi (2-3).
In estate l’Olympique rinforza la rosa col portiere Olmeta, con il difensore Boli e col fantasista Stojković.
Poi, a stagione in corso, Tapie cambia anche tecnico, esonerando il fino ad allora intoccabile Gili ed ingaggiando nientepopodimeno che il mitico Kaiser, Franz Beckenbauer, reduce dal trionfo della Germania Ovest campione del mondo ad Italia 90.
Dopo circa tre mesi pure Beckenbauer viene silurato, con l’arrivo in panca del santone belga Raymond Goethals.
Tra un caos e l’altro il Marsiglia riesce a vincere nuovamente il campionato, sfiorando inoltre la vittoria della Coppa di Francia, persa in finale contro il Monaco (0-1) di Weah e Djorkaeff ed allenato da Arsène Wenger.
E in Coppa dei Campioni?
Beh, impresa sfiorata.
I provenzali difatti giungono in finale, arrendendosi ai rigori alla Stella Rossa di Belgrado.
Partita noiosissima, nonostante la presenza in campo di parecchi fuoriclasse.
Belodedici e compagni sono infallibili, dal dischetto.
Amoros sbaglia il primo rigore per i francesi e l’errore risulta essere decisivo.
Delusione atroce, per Mozer -che segna il suo penalty- e compagni.
Nuova annata, nuovo tecnico.
Altro santone, però: lo jugoslavo Ivic prende possesso della panchina marsigliese.
Qualche rinforzo mirato (Angloma, Steven, Xuereb) ed una precoce eliminazione in Coppa dei Campioni agli ottavi di finale contro lo Sparta Praga, anticipata dal ritorno di Goethals che, quantomeno, riesce a conquistare la vittoria del campionato francese.
In Coppa di Francia il crollo di una tribuna allo stadio di Bastia, prima dell’incontro di semifinale proprio con l’OM, causa la morte di diciotto persone e la conseguente decisione di annullare la manifestazione, in segno di lutto.
Sia come sia, l’Olympique riuscirà a vincere la Coppa dei Campioni nella seguente stagione, ma senza Carlos Mozer.
In Provenza per i tifosi è diventato le brigante e, soprattutto, muralha: il muro.
Quando entra in campo per il riscaldamento nel Velodrome, lo stadio dell’OM, il pubblico lo acclama come un Dio.
Carlos Mozer aizza le folle perché è aggressivo, duro, coraggioso.
I suoi interventi difensivi, spesso al limite e non di rado alla disperata, rasentano l’orgasmo per quanto sono spettacolari e spericolati.
Il suo tackle è potenza allo stato brado, che finisce con lo sradicare letteralmente la sfera dai piedi degli avversari.
Morde le caviglie e, nel contempo, ringhia sul rivale facendogli sentire il fiato sul collo.
Spilungone e slanciato, di testa sono tutte -dicasi: tutte- sue.
In elevazione è davvero spaventoso, col suo aspetto strambo che gli procura un altro simpatico ed irriverente soprannome: il vampiro.
Abile come difensore puro, da stopper, preferisce comunque agire da libero classico, un passo indietro rispetto ai marcatori.
Dotato di un innato senso della posizione, può giocare indifferentemente in una difesa a 4, a 3 o a 5, disimpegnandosi sempre con mestiere.
Professionista esemplare, è il primo ad arrivare agli allenamenti e l’ultimo a lasciare gli spogliatoi.
Molti colleghi hanno raccontato, nel tempo, di come il brasiliano interpretasse le sedute d’allenamento esattamente alla stregua di una partita vera, con ferocia agonistica ed assoluto impegno.
Concentrato, aitante, tecnicamente dotato: con un bel piede destro, in grado di lanciare con precisione la sfera verso i compagni ed accompagnare l’azione, oltre che calciare bene i rigori.
Oggigiorno, col VAR, giocherebbe venti minuti a stagione.
Ma in un calcio crudo e tosto come quello degli anni 80 e 90, Mozer è un Top di reparto.
E se la cava pure da centrocampista difensivo, se necessario.
Mentalità e bacheca da vincente, senza alcun dubbio: adorato dai tifosi, stimato dai tecnici ed apprezzato dagli addetti ai lavori, ha avuto la sfortuna di incappare in alcuni infortuni che ne hanno limitato le presenze in tornei di grande visibilità (Mondiali del 1986 e del 1994, ad esempio).
Il suo carattere, poco incline ai compromessi, ha probabilmente fatto il resto.
Difensore che ha saputo unire la tecnica brasiliana alla garra argentina ed all’asprezza uruguagia.
Forte, forte, forte.
Al termine della sua esperienza al Marsiglia, Carlo Mozer viene cercato da diverse società, soprattutto italiane: il Napoli ci fa un pensierino, dopo che mesi prima lo aveva già messo in ballottaggio col rumeno Belodedici, salvo poi virare sul francese Blanc.
La Juventus gli propone un contratto biennale, però non trova l’accordo con l’Olympique ed abbandona la pista.
La Roma, che in passato lo aveva seguito a lungo, ha ormai deciso di puntare sul connazionale Aldair, il giocatore che aveva sostituito Mozer al Benfica quando quest’ultimo si è trasferito in Francia.
Dall’estero si muovono Anderlecht ed Arsenal, senza eccessiva convinzione.
Poi, a sorpresa, spunta il Benfica.
Un cavallo di ritorno, insomma.
A Lisbona è terminata la seconda avventura in terra portoghese di Eriksson ed il Benfica ha ingaggiato per la panchina Ivic, che ben conosce Mozer per averlo allenato -seppur brevemente- al Marsiglia.
In realtà lo stesso Ivic abbandona la nave prima di subito, lasciando il timone ad un altro cavallo di ritorno: Toni.
La rosa è stata rivoluzionata con l’inserimento di molti elementi nuovi: oltre a Mozer ecco i difensori Abel Xavier e Hélder, i centrocampisti offensivi Mostovoi e Joao Pinto e, a stagione in corso, il fantasista Futre (nel calciomercato invernale).
Il Benfica, persa la Supercoppa del Portogallo ad inizio stagione col Porto, si tuffa in campionato, Coppa Uefa e Coppa del Portogallo.
Alla fine porta a casa quest’ultima, battendo in finale il Boavista (5-2).
Nella Primeira Liga trionfa il Porto, mentre in Coppa Uefa è la Juve di Roberto Baggio e Vialli ad estromettere i lusitani dalla competizione, ai quarti di finale.
Mozer fa ampiamente il suo, come al solito, per quanto incappi in alcune espulsioni in gare cruciali per il cammino dei suoi e nelle quali il suo apporto sarebbe stato forse decisivo ai fini del risultato.
Si rifà, e con gli interessi, dodici mesi più tardi, festeggiando la vittoria del campionato grazie alle giocate di Rui Costa ed alle reti di João Pinto, Isaías, Aílton e Rui Águas.
In Coppa delle Coppe il Benfica esce in semifinale contro il Parma di Zola ed Asprilla.
Dopo aver vinto in Portogallo, per 2-1, le Aquile (Águias) di Toni perdono a Parma per 1-0, anche per uno scriteriato intervento in scivolata di Mozer che colpisce un avversario e, già ammonito, viene espulso alla mezzora di gioco, lasciando i suoi in inferiorità numerica.
Gli emiliani di Scala andranno poi a vincere la Coppa, battendo in finale l’Anversa.
Una forte delusione è però alle porte, per il brasiliano.
Difatti, dopo aver partecipato al Campionato del Mondo in Italia, nel 1990, Carlos Mozer è pronto per il Mondiale del 1994, in USA.
Quattro anni prima, nella penisola, le cose non erano andate proprio per il verso giusto.
Il C.T. Lazaroni aveva infatti deciso di spostare Mozer nella posizione di “braccetto destro”, anziché in quella che aveva occupato sino ad allora, ovvero da ultimo uomo.
Questo perché convinto del fatto che Carlos tendesse a prendersi troppi rischi, con interventi rudi e spesso al limite.
Mettendolo più decentrato sperava che in caso di un eventuale errore del suddetto ci potessero essere due compagni in grado di rimediare (nello specifico gli altri due centrali: Mauro Galvao e Ricardo Gomes).
Scelta discutibile, secondo me.
Mozer è in quel periodo uno dei liberi più forti al mondo ed è in forma strepitosa, peraltro.
Il Brasile batte la Svezia all’esordio (2-1), replica col Costa Rica (1-0) e triplica con la Scozia (1-0).
Carlos Mozer gioca da titolare le prime due gare: poi salta la terza per squalifica, avendo beccato due cartellini gialli nelle partite con Svezia e Costa Rica.
Dovrebbe rientrare agli ottavi di finale, nel super match che oppone i verdeoro all’Argentina, ma Lazaroni sceglie Ricardo Rocha al suo posto.
L’albiceleste vince per 1-0, grazie ad una superba giocata di Maradona finalizzata da Caniggia, e passa ai quarti.
Gli avversari, nonostante mettano in campo forza e talento a fiumi (Careca, Romario, Alemao, Dunga, Jorginho, Valdo, Branco, etc.), sono costretti ad alzare bandiera bianca ed abbandonare la kermesse.
Voci di spogliatoio lasciano trapelare, successivamente, che Mozer si sia lamentato dell’esclusione ed abbia palesemente gufato i suoi compagni dalla panchina.
Tutti smentiranno codeste cattiverie, nel tempo.
Ma la calunnia è un venticello, si sa.
E nel 1994, allorquando il C.T. Parreira è pronto a definire le convocazioni per il Mondiale, scoppia una polemica che richiama anche situazioni del passato.
Carlos Mozer ha una forma di epatite definita tossica, piuttosto che virale.
C’è bisogno di analisi specifiche, per appurarne i contorni.
E serve un po’ di tempo per capire se il giocatore possa o meno rientrare nella lista ufficiale dei convocati per gli Stati Uniti.
Inizialmente Parreira lo inserisce nel gruppone, sì.
Poi, su consiglio dei medici e dopo alcune chiacchiere di cui si discorreva (compresa una mancata partecipazione del difensore ad uno stage pre-mondiale, col Benfica che non gli ha concesso il benestare per allontanarsi dal Portogallo), lo esclude.
Una delusione atroce per Carlos, che sperava di giocare in coppia con l’amico Ricardo Gomes e di riuscire, finalmente, a coronare il sogno di salire sul tetto del mondo con la casacca della propria Nazionale.
Perché il Brasile riuscirà a laurearsi Campione del Mondo, in USA.
E questa sarebbe stata la definitiva consacrazione per un giocatore che ha vinto molto, in carriera, ed ha fatto breccia nel cuore di tre tifoserie caldissime quali Flamengo, Benfica e Marsiglia, ma al quale è forse mancato il trionfo internazionale di cui sopra a chiudere il cerchio.
Senza mai dimenticare che comunque parliamo di un calciatore che col Flamengo, e da giovanissimo, il mondo lo ha conquistato, eh.
E che è universalmente riconosciuto come uno dei migliori difensori della sua generazione, senza dubbio.
Però col Mondiale in bacheca, beh, sarebbe stata tutta un’altra storia.
E il primo ad esserne consapevole è proprio Mozer, che a riguardo di USA 1994 ha ancora oggi il dente avvelenato.
Avvelenatissimo, per la precisione.
L’avventura con la rappresentativa sudamericana, tra una marea di alti e bassi, si conclude con meno di una quarantina di presenze in totale che, per un campione come Mozer, non sono manco tante.
Tornato in Europa, Carlos disputa la sua ultima stagione al Benfica, chiudendola senza titoli.
L’ingaggio del bravo allenatore Artur Jorge e l’acquisto di giocatori di valore come Preud’homme, Caniggia, Edílson, Dimas e Paulo Bento non bastano a controbilanciare alcune partenze di rilievo (Rui Costa, Rui Águas e Schwarz, su tutte).
Terzo in campionato, fuori in Coppa dei Campioni ai quarti per mano del Milan, sconfitto dal Porto nella Supercoppa Nazionale ed estromesso dal Vitoria Setubal in Coppa del Portogallo: il Benfica chiude una annata deludente ed il brasiliano saluta definitivamente lo Stadio da Luz e la sua gente.
L’amico Zico chiama Mozer in Giappone, dove il fuoriclasse sudamericano si è appena ritirato dal calcio con la maglia dei Kashima Antlers.
L’allenatore João Carlos ed i connazionali Jorginho, Mazinho e Leonardo accolgono Carlos ed insieme a lui vanno a vincere il primo campionato nazionale nella parabola esistenziale del club.
Ancora una volta Carlos Mozer scrive la storia.
A fine stagione, trentaseienne, decide di chiudere la sua carriera da giocatore ed inizia a studiare per diventare allenatore.
Per un po’ si occupa di ristorazione, a Lisbona, fin quando un giovane Jose Mourinho lo chiama come assistente: dapprima al Benfica e poi all’União Leiria.
Segue quindi una lunga pausa di riflessione prima di accettare l’incarico di allenatore all’Inter Luanda, in Angola, vincendo sia il campionato che la Supercoppa locale.
Raja Casablanca in Marocco, e Naval e Portimonense, in Portogallo, rappresentano le due successive esperienze da tecnico.
Le ultime due, in particolar modo, conclusesi con la retrocessione, hanno convinto Carlos a dedicarsi all’attività di commentatore televisivo.
Per un paio d’anni torna sui suoi passi, per dare una mano nelle giovanili del Flamengo ed avvicinarsi alla famiglia, prima di porre definitivamente termine a qualsivoglia velleità di allenare ad alti livelli.
Un difensore arcigno, risoluto, implacabile.
Come detto in precedenza, adoravo in lui la mistura tra le varie attitudini sudamericane.
Un calciatore che ha saputo farsi amare dalla sua gente e, come nel caso di tanti appassionati del meraviglioso calcio che fu, entrare nella memoria collettiva dei tifosi dello sport più bello del pianeta.
Carlos Mozer: il Vampiro.
V74