- Johnny Depp in versione quasi Teatrale
Arrivederci Professore
Sabato in solitaria tra un buon cinema, una birra fresca e una sigaretta musicale a temperatura montana.
In estate, località di mare, non mi aspettavo di trovare più dei una decina di persone in sala.
Peraltro con un film impegnativo -o presunto tale- che non richiama di certo folle oceaniche o madri insoddisfatte ed instagrammaticamente ignude ad accompagnare futuri barbari a consumare il quarantesimo sequel dell’opera di cassetta del periodo.
Ed infatti, per fortuna, nel totale non si supera la doppia mano di numero, operatore e addetto al botteghino inclusi.
Purtroppo e per mia colpa, avendo mangiato salutare nelle precedenti 24 ore, non dispongo di scorreggia alienante e non ho possibilità di ridurre ulteriormente il numero degli astanti.
Mi accontento e la visione scorre serenamente.
Il film non è un capolavoro, tutt’altro.
Arrivederci Professore
Il filone è stato ampiamente discusso da altri e con maggiore stile e profondità, tratteggiando figure e contorni con ben altra qualità rispetto ad un’opera, quella in questione, che mostra però qualche pregio.
Innanzitutto, volente o nolente, Depp è un attore di livello.
Come gli a-ha per la musica e il sottoscritto per il resto, paga la sua estetica fascinosa come scotto ad un talento talvolta sepolto sotto tonnellate di immagine e botteghino.
Johnny potrebbe essere più bravo che bello e chissà che invecchiando non finisca per rendersene conto e puntare su copioni che ne esaltino la cifra artistica, piuttosto che il profilo esteriore.
Non che non sia già accaduto in passato, ci mancherebbe.
Ma non è la norma, questo è certo.
Inoltre il film rappresenta una sorta di rinascita per lui, dopo un periodo particolarmente complicato e le accuse di violenza privata che mai vengono meno ai sex symbol e alle anime tormentate per natura e per indole.
Il nostro regge comunque la scena con disinvoltura e stile, per quanto la sceneggiatura non sia propriamente da Oscar, va ribadito.
In diversi frangenti pare di assistere ad una rappresentazione teatrale, una storta di one man show con sprazzi di accompagnamento generico.
Interessante, nello specifico.
Le ambientazioni anche meritano, con un Canada lussureggiantemente placido e con gli interni che ben si accompagnano al clima manierato e lezioso di un wallerosissimo college d’Elite.
I personaggi di contorno non brillano sulla durata ed è il loro merito principale, presumendo che tale fosse l’ordine di scuderia e l’incipit di regia.
Sulle riflessioni che potrebbero scaturire dalla trama, vi sarebbe molto da dire.
Banalizzarne i toni e i contenuti verrebbe quasi naturale, partendo dal poco mirabile presupposto che non dovrebbe essere necessario beccarsi un cancro per apprezzare il valore della propria vita.
Chi non lo fa, evidentemente, ha ragioni che partono da molto lontano o è un coglione.
In entrambi i casi un film, capolavoro o escremento che sia, poco può regalare alla pur degna causa.
Il tema del ritardo esistenziale e morale affrontato con una disperazione soltanto sfiorata è da commedia nera, da dandy irrispettoso e prossimo alla decadenza definitiva: qualcosa di eccessivamente classico, nell’accezione negativa del termine, almeno per lo scrivente.
Infatti la sceneggiatura non mi ha convinto per nulla, sotto questo aspetto.
E credo che abbia finito pure per castrare -seppur solo in parte- la performance di Depp, forse sfruttabile maggiormente dal punto di vista drammatico, oltre che da quello (discutibilmente) sarcastico.
Arrivederci Professore merita comunque la visione, per me.
Sia per sfuggire alle già nominate orde barbariche estive e alla calura del momento, sia perché è una di quelle pellicole che lascia la sensazione di acquisire meriti col tempo.
Non troppi meriti, intendiamoci.
Ma qualcuno si, ne sono convinto.
E merita soprattutto per l’interpretazione grintosa di un attore che mette se stesso, con impegno e dedizione, al centro del progetto.
Non mi è dispiaciuto nemmeno il disincantato messaggio che il regista prova a sovrapporre alla sua stessa e succitata sceneggiatura, tendenziosamente puntata a banalizzare alcuni aspetti della vita del protagonista, uomo che ama leggermente tutto quel che lo circonda ma che in cambio ottiene di essere amato dall’intero circondario in maniera a dir poco stramba, quantomeno secondo i canoni teorici ma non secondo quelli comuni, in realtà.
Quasi una beffa del destino, verrebbe da pensare.
Moglie profonda quanto zoccoleggiante, amico che sembra egoisticamente amare più il concetto di amicizia che l’amico stesso, figlia che didascalicamente appare più come allieva che come erede del suddetto, alunni che randomicamente usurpano il loro e au revoir, colleghi che manco a li cani, come si suol dire.
Insomma, alla fine, pur apprezzando l’intento canzonatorio e non moralistico del tutto, il dubbio è che se Richard avesse amato per davvero la moglie, la figlia, il suo lavoro, la natura e tutto il resto, probabilmente sarebbe rimasto da solo 20 anni prima ma senza il bisogno di una forzata e tristissima spada di Damocle per scardinare un’esistenza talmente vacua da sfiorare l’ipocrisia borghese e la smanceria perenne.
O ancor più semplicemente, la normalità.
Che spesso fa schifo allo stesso modo pur disponendo di una salute di ferro e di una moglie meno zoccola o di un marito più fedele del solito.
Ma che non abbisogna di drammi irrecuperabili per godersi un tramonto, una sigaretta, una canzone o un abbraccio.
No?
Il vero, il presunto tale, il bello e il brutto di non avere regole alle quali attingere per vivere felici.
O per sopravvivere.
A saperlo, manco sarebbe da ragionarci su.
E chissà che il segreto non sia proprio quello, il mitico “futtetenne” dell’altrettanto mitico Bud Spencer.
Che pure ci è arrivato alla fine, come Richard, a disegnare una regola conclusiva, sicuramente condivisibile e che rischia di prolungare il giro.
Ma che resta il prezzo da pagare per il viaggio, non certo il viaggio stesso.
A patto di non scambiare l’intensità per la durata: errore imperdonabile, IMHO.
Arrivederci Professore: 6+
V74