- Più forte del pregiudizio
Aron Winter
“Centrocampista completo”.
Quante volte avete letto e/o sentito in giro questa frase?
Tante, di sicuro.
Eppure di centrocampisti veramente completi, nella storia del Calcio, non è che ve ne siano stati poi chissà quanti, eh.
Perché la definizione di completo implica tutta una serie di fattori che, talvolta, neanche alcuni grandissimi fuoriclasse della zona nevralgica di gioco hanno posseduto/posseggono.
Magari sono stati/sono dei Top in regia ma senza eccellere nella copertura difensiva o, per ipotesi, nella finalizzazione.
E/o viceversa, chiaramente.
Le varianti, oltretutto, sarebbero davvero parecchie, tenendo conto che le specifiche in ballo sono molteplici ed intrecciarle tutte tra loro è impresa ardua e complessa, per non dire impossibile.
Detta in sintesi: ci sono Campioni di ruolo che non sono stati centrocampisti completi ed ottimi centrocampisti, completi, che non sono stati Campioni.
O quantomeno a livelli clamorosi, ecco.
In questa ultima categoria un nome merita, a parer mio, la citazione: Aron Mohamed Winter.
Un centrocampista completo.
Fine della lunga prefazione ed inizio della storia di Aron.
Che nasce nel 1967 a Paramaribo, la capitale del Suriname, nell’America del Sud.
Guiana olandese era il nome di questo stato prima del 1975, allorquando i suoi abitanti riuscirono ad ottenere l’indipendenza dai Paesi Bassi dopo un ventennio di accordi abbastanza paritari.
La famiglia Winter decide di trasferirsi in Europa quando il piccolo ha appena cinque anni, in cerca di nuove opportunità professionali e nel sogno di una vita migliore: per ragioni linguistiche e di ambientamento la scelta ricade proprio sull’Olanda, come paese di destinazione.
Aron cresce quindi nella landa nordeuropea e sin da bambino mostra una spiccata attitudine per lo sport.
Ne pratica diversi ed il calcio è senza alcun dubbio il suo preferito.
Ad otto anni viene iscritto nella scuola calcio del VV Unicum, che ha sede nella piccola cittadina di Lelystad, a sua volta posta sull’isola artificiale di Flevopolder, la più grande della nazione ed anche la più estesa mai creata dall’uomo.
Siamo al centro dei Paesi Bassi ed il campioncino si ritrova gli stesso al centro delle attenzioni dei tecnici della zona.
Corre come un matto e tocca la palla da veterano.
Segni premonitori di ciò che potrebbe diventare il furetto surinamese, se non si perderà per strada come tanti suoi pari età.
Dopo un triennio nell’Unicum per l’ancora imberbe Winter avviene il passaggio nel SV Lelystad ’67, un giovane e ben organizzato club amatoriale che vanta ottimi contatti con le più importanti società calcistiche d’Olanda.
Aron continua la sua crescita, fisica e tecnica, assestandosi tra i migliori prospetti giovanili della nazione.
Naturale conseguenza di tutto ciò è la sua firma con l’Ajax di Amsterdam, a soli sedici anni.
Entra quindi nel florido settore giovanile dei lancieri e conferma le sue qualità, meritandosi l’ingresso nel roster della prima squadra, dove esordisce poco più che maggiorenne.
In ossequio al calcio totale olandese, Aron ricopre tutti i ruoli della metà campo.
Gioca quattro gare nel 1985/86, poi dalla stagione successiva conquista la maglia da titolare e non la molla più.
Appena ventenne è eletto miglior giovane del campionato ed entra a far parte della Nazionale, venendo convocato agli Europei del 1988 in Germania e diventando Campione d’Europa, seppur da comprimario, con la compagine di Rinus Michels che piega in finale l’Unione Sovietica di Lobanovski.
Con l’Ajax ha già vinto, nel frattempo, due Coppe d’Olanda (1986, 1987) e, soprattutto, una Coppa delle Coppe, nel 1987, battendo in finale la Lokomotive di Lipsia per 1-0.
La Supercoppa Europea che ne consegue viene invece alzata al cielo dal Porto del bomber Fernando Gomes, con in panchina lo jugoslavo Ivic, ex di turno.
In campionato gli olandesi inanellano tre secondi posti consecutivi, sempre alle spalle dei forti rivali del PSV Eindhoven.
Anche l’Ajax dispone di un bel team, in quegli anni: Van Basten (passato al Milan, nel 1987), Rijkaard (idem come sopra, nel 1988), Ronald Koeman (venduto proprio al PSV, nel 1986), Bergkamp, Mühren, Bosman, i fratelli Witschge, van ‘t Schip, Menzo, Wouters, Blind, i fratelli de Boer, Jonk, Roy ed altri ancora.
Niente male, eh.
In panca un signore di nome Johan Cruijff, che lancia Aron Winter in prima squadra.
Dopo il Profeta del Gol si succederanno altri allenatori di minor fama, quantomeno fino alla firma di Beenhakker, che nel 1990 condurrà il club alla vittoria del campionato.
Winter è campione d’Olanda e partecipa ai Campionati del Mondo che si svolgono nello stesso anno in Italia.
Gli orange superano il primo turno, senza brillare.
Poi escono agli ottavi per mano della Germania Ovest (1-2), nell’unica partita disputata da titolare da Aron.
Il giocatore nato in Suriname si mette quindi in mostra sia col suo club che con la Nazionale Olandese, suscitando interesse in parecchie squadre europee.
Nel 1989 scampa miracolosamente ad un disastro aereo che coinvolge molti suoi conterranei che fanno parte del cosiddetto Colourful 11, un’équipe di calciatori professionisti nati in Suriname -e residenti in Olanda- che gioca per beneficenza e che ha l’intento di sensibilizzare la popolazione olandese sui delicati temi dell’immigrazione e dell’integrazione.
Aron Winter, come altri suoi colleghi, non può recarsi nella patria natia a causa degli impegni del suo club.
L’aereo sul quale sarebbe dovuto salire, dopo oltre dieci ore di volo, si schianta in fase di atterraggio ed uccide la quasi totalità dell’equipaggio e dei passeggeri (176 vittime), tra i quali quindici membri del team del Colourful 11.
Una tragedia immane, che segna considerevolmente il centrocampista.
Ad Euro 1992, in Svezia, l’Olanda esce ai rigori, in semifinale, contro i futuri vincitori della Danimarca.
Michels si fida di Winter, ma lo utilizza a sprazzi.
La concorrenza è spietata, oltre che di indubbia qualità.
Con l’Ajax, guidato agli inizi degli anni novanta da Louis van Gaal, il buon Winter è invece insostituibile.
Però al termine della Coppa Uefa vinta nel 1992 -battuto il Toro di Mondonico nella doppia finale per la regola dei gol segnati fuori casa (2-2, 0-0), dopo aver eliminato in semifinale il Genoa di Scoglio- decide di trasferirsi altrove.
Con la compagine biancorossa Aron mette insieme ben 222 presenze, condite da oltre cinquanta reti.
Un’ottima media realizzativa, per un centrocampista.
Dopo gli Europei la società di Amsterdam riceve molte offerte per il suo calciatore.
Roma, Napoli, Sampdoria lo avevano già cercato al termine del Mondiale del 90, senza esito.
Torino e Genoa, che lo hanno affrontato dal vivo, ci provano due anni dopo, unitamente a varie società tedesche e francesi.
È asta, per la gioia dei mercanti olandesi che hanno già in casa il doppio sostituto: Davids + Seedorf.
“E ho detto tutto” (cit.).
A spuntarla per il cartellino di Winter, con un’offerta di cinque miliardi cash all’Ajax ed un quadriennale da un miliardo di lire a stagione-più premi-, è l’ambiziosa Lazio del Presidente Sergio Cragnotti.
L’infortunio dell’inglese Gascoigne spinge la società romana ad ingaggiare un sostituto che, nel contempo, possa dar manforte alla batteria di stranieri in rosa: i tedeschi Doll e Riedle, lo stesso Gazza ed il brasiliano Djair.
Quest’ultimo è fuori dai piani e viene presto ceduto, mentre gli altri si giocano il posto, datosi che in campo possono andare soltanto in tre che non posseggano il passaporto italiano.
Nella capitale Aron Winter viene accolto come peggio non si potrebbe: il colore della pelle ed il nome di origine ebrea lo espongono a molteplici offese da parte di una frangia della tifoseria, non ancora pronta all’idea di avere nel proprio team un calciatore di colore e, per giunta, di razza sgradita ai più.
Siamo nel 1992, ma pare il Medioevo.
Anzi: peggio.
Decisamente peggio.
Per giunta pure molte tifoserie avversarie cavalcano l’onda e mettono il centrocampista olandese nel mirino, durate le gare, con cori di scherno ed epiteti razzisti gridati a squarciagola.
Lui si concentra sulla nuova avventura professionale, si gode Roma insieme alla moglie Yvonne e conquista la fiducia dell’allenatore, Dino Zoff, che ne intuisce immediatamente lo spessore umano e calcistico.
La Lazio disputa una discreta stagione e torna in Europa dopo ben quindici anni d’assenza.
Il bomber Signori realizza 26 reti, capocannoniere, e trascina i suoi al quinto posto finale.
Una squadra che inizia il suo percorso di avvicinamento a quello che sarà uno straordinario ciclo di vittorie, qualche anno più avanti.
Il quarto posto, dodici mesi più tardi, certifica un indiscutibile tragitto verso l’alto, confermato dagli arrivi di Boksic e Marchegiani, tra gli altri.
Aron Winter, di riffa o di raffa, le gioca tutte.
Segna diversi gol e “costringe” gli altri stranieri della rosa a darsi il cambio.
Nella terza annata di Winter a Roma la Lazio sceglie Zeman come allenatore, si rafforza sul mercato con Chamot, Venturin ed altri elementi di valore, promuove dalla Primavera il promettentissimo Nesta e sale sino al secondo posto in graduatoria.
Nel modulo 4-3-3 del boemo Winter si impone come un insostituibile perno del centrocampo Laziale.
Un anno dopo la Lazio è terza, giocando un buon torneo ma con qualche pausa di troppo.
In Europa il club biancoceleste non riesce a fare molta strada, in questo periodo, soprattutto a causa della poca esperienza internazionale di molti dei suoi giocatori.
Dopo quattro anni in riva al Tevere le strade di Aron Winter e della Lazio si separano.
L’olandese, divenuto uno dei beniamini della tifoseria per il suo impegno in campo e per il rendimento offerto, non lega con Zeman dal punto di vista caratteriale.
La Lazio ingaggia un ancora poco conosciuto Nedved al suo posto e non rinnova il contratto dell’ex Ajax, che si accorda con l’Inter di Moratti e si trasferisce a Milano, sponda nerazzurra.
L’Inter, allenata dall’inglese Roy Hodgson, costruisce una buona rosa, sfruttando la liberalizzazione del tesseramento e della contemporanea presenza in campo del numero degli stranieri: la presenza di Djorkaeff, Ince, Shalimov, Angloma, Sforza, Zamorano, Kanu, Zanetti e Winter è indice delle ambizioni della proprietà.
Tra gli italiani ci sono Pagliuca, Bergomi, Berti, Ganz e altri.
Il terzo posto finale non è male, ma resta sul groppone la finale persa in Coppa Uefa, contro i tedeschi dello Schalke 04 di Wilmots e Thon, con Aron Winter che nella gara di ritorno, ai rigori, sbaglia il suo penalty e spedisce i nerazzurri all’inferno.
L’Inter si rifà un anno dopo, agli ordini del tecnico Luigi Simoni, battendo nell’ultimo atto proprio la Lazio, con in campo il fenomeno Ronaldo ed altri nuovi arrivi quali Simeone, Ze Elias, West, Moriero e Cauet.
In campionato i milanesi chiudono al secondo posto dopo aver perso lo scontro diretto con la Juve, al termine di un match che genererà polemiche per decenni a venire.
Un anno più tardi, nonostante l’ingaggio di Roberto Baggio e del giovane Pirlo, l’Inter non riesce mai ad ingranare.
Una stagione pessima, al termine della quale Aron Winter decide di lasciare Milano.
L’ingaggio del nuovo allenatore, Marcello Lippi, presuppone un’aria di rinnovamento che fa optare l’olandese per il ritorno nei Paesi Bassi.
Aron punta a far parte agli Europei del 2000 che si terranno in patria ed in Belgio, dopo che ai Mondiali del 1998, in Francia, la sua Olanda, allenata da Hiddink, ha vinto il girone iniziale ed ha superato la Jugoslavia di Stojkovic agli ottavi (2-1) e l’Argentina di Veron (2-1) ai quarti, per poi uscire dalla kermesse in semifinale per mano del Brasile di Ronaldo, ai rigori, dopo l’1-1 al termine dei tempi regolamentari e supplementari.
La sconfitta nella finalina per il terzo posto con la Croazia di Boban (1-2) è figlia della immane delusione degli olandesi, vicini ad una grande impresa.
Winter, partito titolare ed in difesa, perde il posto durante la competizione, datosi che Hiddink opta per altre scelte in fase difensiva ed equilibra il settore nevralgico del campo sfruttando alcuni suoi compagni in forma migliore.
Agli Europei, col nuovo mister Rijkaard, Aron Winter riesce a spuntare la convocazione ed è nel gruppo, per quanto utilizzato da riserva.
L’Olanda disputa un ottimo torneo, che si infrange contro le mani di un super Toldo in semifinale, allorquando ai calci di rigore – con lo 0-0 maturato sino a quel momento- il portierone italiano si erge a protagonista e blocca tutto, dopo aver fatto lo stesso nei centoventi minuti di match.
L’Italia si fermerà poi dinanzi alla Francia, in finale, gettando letteralmente al vento la vittoria.
A fine torneo Aron dice addio alla Nazionale.
84 gettoni di presenza che all’epoca rappresentano un record, poi superato da altri giocatori.
Però anche la particolarità di non essere mai stato titolarissimo nei momenti più importanti, nonostante sia sempre presente nel gruppo.
D’altronde, come detto in precedenza, la concorrenza è stata notevole, in quegli anni ed in quel ruolo.
O per meglio dire: in quei ruoli.
Perché Aron Winter è stato un calciatore straordinariamente versatile.
Un centrocampista universale, per l’appunto.
Nell’Ajax ha giocato praticamente in tutti i ruoli di difesa e centrocampo, venendo utilizzato soprattutto come schermo dinanzi alla retroguardia e come laterale destro e, più di rado, sinistro.
Nella Lazio si è destreggiato da centrocampista puro, incursore e con compiti di ripiego.
Con Zeman è stato il classico intermedio nel centrocampo a tre, partendo dal lato mancino ma non disdegnando anche il settore opposto.
All’Inter è stato utilizzato come mediano e, soprattutto, come esterno sinistro di metà campo, per quanto in questa posizione del modulo 4-4-2 non si sia trovato propriamente a suo agio.
Un calciatore dotato di ottimi polmoni, forza fisica, senso tattico, spirito di sacrificio.
In grado di abbinare qualità e quantità, con gli ottimi tempi di inserimento a corredo e le tante reti realizzate, merito del suo buon calcio -ancor più efficace dalla distanza- e del suo discreto tempismo nei colpi di testa.
Nel calcio moderno sarebbe il classico “box-to-box”, ideale sul centro-destra.
Negli ultimi anni in Nazionale ha spesso giocato pure da difensore centrale, sfruttando esperienza e carisma.
Gli ultimi anni di carriera Aron Winter li trascorre all’Ajax, ritornando alla casa madre e prendendo il posto, numericamente, del nigeriano Oliseh, ceduto alla Juventus.
Con i lancieri Winter vince un’altra Eredivisie, nel 2000.
Mette in bacheca anche una terza Coppa d’Olanda, sempre nel 2002.
Fa da chioccia ad un giovane Ibrahimović e si diverte in campo, fin quando un litigio con il tecnico Co Adriaanse non lo convince a cambiare aria e passare, in prestito, allo Sparta Rotterdam allenato dal suo amico Rijkaard.
Al ritorno ad Amsterdam, col nuovo allenatore Ronald Koeman che lo conosce benissimo, le prospettive parrebbero essere migliori.
Invece gli spazi sono ridotti e Winter, trentaseienne, non vede praticamente mai il campo, optando quindi per la risoluzione anticipata del contratto e ponendo fine alla sua carriera agonistica.
Ho ancora una sua maglia di quando giocava nella Lazio.
Un gran bel centrocampista: di sostanza, moderno ed elegante.
E con un palmares che ne conferma la bontà.
Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo si è dedicato alla professione di allenatore.
Dapprima nelle giovanili dell’Ajax, poi in Canada (al Toronto), in Grecia (assistente per la Nazionale ellenica) e da qualche mese nel suo Suriname, come capo allenatore della rappresentativa locale.
Molto legato alla sua bella famiglia, spende il tempo libero mantenendosi in forma e partecipando a varie iniziative di beneficenza.
Un uomo che è stato in grado di mostrarsi più forte delle situazioni contingenti di dubbio gusto che ne hanno accompagnato alcuni periodi della vita sportiva.
Senza eccessive polemiche, senza guerre mediatiche, senza proclami fastidiosi.
Semplicemente con la forza del proprio carattere e mettendo in mostra le proprie qualità, piuttosto che i propri limiti.
Aron Winter: più forte del pregiudizio.
V74