- Mindo
Armando Madonna
“Eh la Madonna!”, era solito esclamare il mitico Pozzetto in parecchi dei suoi capolavori (ehm…) cinematografici.
E pensare che in tanti, per non dire in tantissimi, la Madonna la incontrano quasi quotidianamente.
Ovviamente trattasi di business, nella maggior parte dei casi.
Talvolta di autosuggestione mistica, forse.
E, in rarissimi casi, di realtà.
Come nell’ambito calcistico, anche se nello specifico bisogna cambiare il genere.
Da femminile a maschile.
Senza alcuna velleità di tipo spirituale, tra l’altro.
In primis perché Armando Madonna non ha nulla a che vedere con la religione.
Anzi: nel suo anno alla Lazio, spesso le bestemmie se le tirava con una frequenza che manco se ci fosse stato l’inferno dietro l’angolo.
Inoltre il buon Mindo, il soprannome con cui tutti lo appellano, non possiede alcun tipo di qualità ascetica.
Più semplicemente è stato un buon calciatore e, in avanti con gli anni, un allenatore.
Armando Madonna nasce ad Alzano Lombardo, in provincia di Bergamo, nel luglio del 1963.
Da ragazzino mostra una spiccata attitudine per il calcio e durante l’adolescenza entra a far parte del florido settore giovanile dell’Atalanta.
Agli inizi degli anni ottanta gli orobici precipitano in terza serie.
Armando, diciottenne, viene aggregato alla prima squadra che agli ordini del mister Ottavio Bianchi -futuro Campione d’Italia col Napoli di Maradona– tenta la risalita in cadetteria.
I gol del bomber Mutti ed un reparto difensivo arcigno e compatto permettono ai lombardi di vincere il campionato e centrare l’obiettivo della B.
D’altronde giocatori come Magnocavallo, Vavassori, Filisetti, Benevelli e Magrin sono una garanzia per la C.
Alle loro spalle crescono elementi come lo stesso Madonna, Pacione, Donadoni ed altri ancora, che nel successivo torneo di B si dimostrano all’altezza delle aspettative.
L’Atalanta chiude ottava e si prepara a sferrare l’assalto alla serie A l’anno dopo, riuscendo nello scopo e riconquistando il massimo livello del calcio italiano.
Armando Madonna non fa parte della rosa che vince il torneo di B, perché ad inizio stagione viene dato in prestito al Piacenza del tecnico Rota, bergamasco anch’egli, in C2.
L’idea è quella di farlo maturare e, nel contempo, di garantirgli minuti ed esperienza sui polverosi campi della quarta serie.
La vivace ala destra, il suo ruolo naturale, nella cittadina emiliana disputa un’ottima annata, culminata con la promozione in C1.
Segna tredici reti, di cui ben dieci su rigore.
Freddo ed infallibile dal dischetto, Madonna si dimostra anche abile nel produrre gioco.
Parte dalla fascia, poi si accentra e crea scompiglio nelle difese avversarie.
Il Piacenza del neo presidente Garilli ha ambizioni importanti e riscatta il giocatore, approfittando della poca fiducia che l’Atalanta ripone in lui, datosi che nello stesso ruolo è esploso un tale di nome Donadoni.
Armando Madonna con la maglia biancorossa disputa cinque stagioni, ottenendo presto i galloni di capitano.
Sfiora la promozione in B nel 1985, perdendo lo spareggio con il Vicenza.
Dodici mesi più tardi il Piacenza è terzo, mentre nel 1987 può finalmente festeggiare la promozione in B.
Il tridente offensivo Madonna-Serioli-Simonetta è un autentico lusso per la terza serie e gli altri giocatori della rosa, tra i quali spicca un ancor giovanissimo Beppe Signori, non sono certo da meno.
Rota e Garilli portano il Piacenza nel calcio che conta e Madonna, leader dei suoi, inizia ad essere attenzionato da diverse compagini di categoria superiore.
D’altronde dribbla come un’ala, fornisce assist come un fantasista e segna come una punta.
E ti pare poco (cit.)?
Resta in B da capitano e contribuisce alla sofferta salvezza dei suoi, grazie anche a qualche rinforzo di esperienza, come quello di Claudio Gentile.
In estate giungono parecchie offerte per il ragazzo di Alzano Lombardo.
Il Piacenza resiste, quantomeno inizialmente.
Poi, nel calciomercato autunnale, cede Madonna all’Atalanta che, dopo un lustro, si convince a reimpossessarsi di uno dei migliori prospetti prodotti dal suo vivaio in tempi recenti.
Insieme ad Armando Madonna viaggia in direzione di Bergamo anche Serioli, mentre a fare il percorso inverso sono l’esperto difensore Osti ed il promettente attaccante Compagno.
L’Atalanta, reduce da un ottimo quarto posto in A e dalla splendida cavalcata in Coppa delle Coppe (fermata soltanto al penultimo atto dai futuri vincitori del trofeo, i belgi del Malines di Preud’homme e Clijsters), è allenata da Mondonico.
La squadra è solida: gli svedesi Stromberg e Prytz, il portiere Ferron, il difensore Progna, il funambolo Nicolini, il brasiliano Evair.
E molti comprimari dediti alla causa.
Armando si inserisce subito in un ambiente che, peraltro, conosce già a menadito.
Mondonico gli chiede di sacrificarsi pure in fase difensiva e questa nuova collocazione tattica gli toglie qualche opportunità davanti per segnare, favorendo però la compattezza del team orobico, che chiude sesto in graduatoria e si spinge sino alle semifinali di Coppa Italia, eliminato dalla Sampdoria.
Madonna regala spettacolo contro la Lazio, nei quarti di Coppa, e gioca con una apprezzabilissima continuità di rendimento, attirando su di sé parecchi sguardi interessati di società blasonate.
Nel suo ruolo non vi sono molti interpreti in grado di destreggiarsi adeguatamente.
E lui si conferma davvero bravo, pure ai massimi livelli.
In estate l’Atalanta fa orecchie da mercante dinanzi ad una succulenta offerta della Roma, alla ricerca del sostituto di Bruno Conti, ormai prossimo alla chiusura della sua splendida carriera.
I bergamaschi confermano l’ossatura della squadra, inserendo il forte attaccante argentino Caniggia nel roster e bissando la qualificazione in Uefa della precedente annata, anche se in Europa la compagine lombarda ha fatto pochissima strada, uscendo al primo turno.
La scomparsa del presidente Bortolotti, deceduto a causa di un tragico incidente stradale nel giugno del 1990, getta gli orobici nello sconforto e cambia i piani del club.
A fine campionato Madonna, bomber dei suoi ed ormai tra i migliori calciatori del campionato italiano, è ufficialmente sul mercato.
Il presidente Percassi, subentrato alla guida della società, scatena un’asta tra le più importanti compagini italiane.
Inter e Juventus sono in prima fila, offrendo contropartite e moneta cash, ma è il Napoli a scavalcarle con una proposta succulenta: i partenopei, che già un paio di anni prima erano stati vicinissimi al bergamasco (poi finito proprio all’Atalanta), mettono sul piatto cinque miliardi delle vecchie lire per i lombardi ed un succulento contratto triennale per l’ala di Alzano.
Sembrerebbe fatta, ma le vie del calciomercato sono notoriamente infinite ed Armando perde ancora una volta -e stavolta definitivamente- il treno per Napoli all’ultimo tuffo.
Svanito il sogno di giocare accanto a Re Diego e defilatesi sia la Juventus che l’Inter, che hanno virato verso altri obiettivi, nella mente di Armando Madonna inizia a balenare l’idea di restare a Bergamo.
Salvo poi dover organizzare il trasferimento in quel di Roma, ma per indossare la divisa biancoceleste della Lazio anziché quella giallorossa della Roma, che pure lo aveva cercato un paio di stagioni or sono.
L’Atalanta lo cede difatti alla società presieduta dai fratelli Calleri in cambio del difensore Monti e di un corposo conguaglio di diversi miliardi di lire.
Accordo che prevede inoltre il passaggio del giovane attaccante Rizzolo (in prestito) ai bergamaschi, che qualche mese più tardi lo girano al Padova e spediscono il difensore Vertova alla Lazio.
La stessa Lazio, allenata da Dino Zoff, nel medesimo periodo preleva il forte centravanti Riedle dal Werder Brema, affiancandolo al velocissimo uruguaiano Ruben Sosa.
Un attacco da sogno, che Madonna ha il compito di alimentare con le sue giocate sulla fascia.
In mezzo al campo il regista Domini, proveniente dal Cesena, tesse le trame del gioco.
Il bravo Sclosa corre per chiunque ne abbia bisogno, mentre l’ottimo Pin si occupa di proteggere una difesa imperniata sui mastini Gregucci e Bergodi, con il grintoso libero Soldà alle loro spalle.
In porta va Fiori, mentre sulla corsia mancina agisce il poderoso Sergio.
Il gregario Bacci tappa ogni falla che si presenta in rosa, mentre l’argentino Troglio offre una valida alternativa ai titolari di centrocampo.
Il secondo portiere Orsi, i difensori Lampugnani e Vertova, il centrocampista Marchegiani e le punte Bertoni e Saurini completano la rosa della compagine romana.
Armando Madonna ha il compito di non far rimpiangere il golden boy Di Canio, venduto alla Juventus.
La pressione su di lui è forte e la piazza è esigente ed ambiziosa.
Il bergamasco sogna la maglia della Nazionale e la vetrina della capitale, in tal senso, rappresenta per lui un’occasione strepitosa.
La Lazio non è ancora la corazzata cragnottiana che a breve si imporrà in Italia ed in Europa, certo.
Però è una buona squadra e con un Madonna in versione atalantina può ambire a conquistare la qualificazione in Coppa Uefa e scalare posizioni in classifica.
Non accadrà, purtroppo.
La Lazio chiude all’undicesimo posto, senza entusiasmare.
Ed una delle cause del fallimento sarà proprio il rendimento mediocre di Madonna.
Armando Madonna è un’ala destra moderna, in grado di abbinare le classiche caratteristiche del ruolo (notevole rapidità, ottima tecnica, spunto irresistibile, buon fiato) ad una interpretazione calcistica dalla spiccata vocazione offensiva.
Rispetto a molti suoi omologhi del periodo (Littbarski, Vanenburg, etc.) il buon Armando ha fisico e robustezza.
Sfida i suoi avversari in velocità e li salta in dribbling, arrivando sul fondo e crossando con stile e precisione.
Bravo anche nella conclusione, pure di testa.
Calcia benissimo rigori e angoli, nel secondo caso mettendo in area traiettorie maligne e arcuate.
Tatticamente è accorto nel seguire i dettami dei suoi allenatori e spesso è bravo pure nei ripiegamenti, se sulla sua corsia ha qualche terzino che spinge come un dannato.
Si trasforma in centrocampista puro, se necessario, ed in fantasista aggiunto, quando la sua squadra si riversa in attacco.
Detta così, pare che stiamo discorrendo di un fuoriclasse.
No.
Decisamente no.
Madonna è un ottimo giocatore, non si discute, ma ha limiti importanti a livello caratteriale.
Se non si sente al centro del progetto e/o se non riesce ad imporsi come vorrebbe, va in crisi e scompare dai radar.
Nella sua stagione laziale, quella della -presunta- consacrazione, parte da titolare inamovibile: poi Zoff è costretto a tenerlo in varie occasioni in panchina o a sostituirlo, più volte, per la disperazione.
Perché quando non è in giornata, Armando Madonna diventa una zavorra difficilmente sostenibile dai compagni.
Per assurdo riesce a reggere la tensione agonistica, sul terreno di gioco, ma non la pressione esterna, che tende ad indebolirlo, quando non a sgretolarlo.
Roma non è Bergamo e neanche Piacenza, ovvio.
Lui paga dazio e io idem come sopra, datosi che in quei mesi divoravo Gazzetta e Corriere dello Sport nella speranza di vedere alla Lazio gente come lui, di prospettiva e con giocate e gol a corredo, ed invece a fine anno mi ritrovo con un calciatore potenzialmente da Nazionale ma fondamentalmente bruciato e con numeri ben distanti dalle attese.
Nel calciomercato estivo del 1991 la Lazio, che è costretta a rimandare l’arrivo del geniale Gascoigne a causa di un serio infortunio, ingaggia il tedesco Doll, centrocampista offensivo, ed il fantasista Stroppa.
Pensa inoltre a Rambaudi, del Foggia: caratteristiche molto simili a quelle di Armando Madonna, tra l’altro.
Arriverà più avanti, passando prima per l’Atalanta.
Incroci e mescolanze del calcio moderno.
La mezzala Melchiori, prelevata dalla Reggiana, e l’ala Neri, (anch’egli simile al nostro, per certi versi), acquisito dal Pisa, rappresentano comunque un chiaro segnale nei confronti di Madonna: spazi ridotti, per il calciatore di origini orobiche.
D’altronde per lui non si fa avanti nessuno.
I costi, tra cartellino ed ingaggio, sono alti.
E l’annata romana ha messo sul chi va là parecchi addetti ai lavori che si erano interessati in precedenza all’ex atalantino.
La Lazio non riesce a venderlo ed è costretta a tenerlo in rosa.
Armando parte per il ritiro ed è presente nelle foto di rito di inizio stagione.
Però è consapevole di avere la valigia in mano ed in fondo lui stesso è convinto che cambiare aria sia la migliore soluzione per rimettersi in gioco altrove e ritrovare la forma fisica e, soprattutto, la forza mentale.
A novembre Madonna accetta il declassamento in serie B e si accorda con il Piacenza, tornando ad indossare la casacca biancorossa e contribuendo alla salvezza degli emiliani, ritrovando lo smalto dei tempi d’oro ed assistendo il bomber De Vitis, cannoniere della squadra e vice-bomber del torneo cadetto.
Il Piacenza, agli ordini di mister Cagni, vuole salire in A (ci riuscirà, in effetti) e prova a confermare Armando Madonna.
La Lazio, che nel frattempo è passata nelle mani del finanziere Cragnotti, lo richiama all’ovile, lo convoca per una gara col di campionato col Genoa (panchina) e per una di Coppa Italia con l’Ascoli (ancora panca), poi spedisce il calciatore a Ferrara, vendendolo -a titolo definitivo- alla Spal.
Trattasi del canto del cigno ad alti livelli, per Madonna.
Nemmeno trentenne, pare avviato sul viale del tramonto.
Gli estensi, quantunque abbiano in rosa alcuni giocatori di sicuro valore (Soda, Ciocci, Vanoli, Salvatori, Nappi e Paramatti, giusto per fare qualche nome), incappano in una stagione balorda, soprattutto a livello societario, cambiando una marea di allenatori e retrocedendo nonostante una disperata rimonta finale
Armando Madonna non brilla, tutt’altro, ed a fine stagione passa all’Alzano Virescit, tornando a casa.
La società bergamasca è appena nata dalla fusione tra Alzano e Virescit Boccaleone ed affronta il Campionato Nazionale Dilettanti con sorprendente spavalderia, finendo per conquistare la promozione già al secondo tentativo, dopo un percorso tosto quanto entusiasmante.
Madonna, capitano dei suoi, ritorna a splendere in quinta serie e pure in quarta, guidando i suoi alla vittoria del secondo campionato consecutivo, quello di C2.
Nel successivo triennio la squadra si stabilizza in serie C1, vincendo anche la Coppa Italia di C, nel 1998.
Madonna gioca oramai col numero 10 sulle spalle, agendo da fantasista, e nella maturità ed in un contesto provinciale e tranquillo, mostrando carisma e personalità, da vero e proprio leader.
A fine secolo i lombardi riescono addirittura a conquistare la serie B, con Armando che torna quindi a respirare aria di calcio importante.
L’Alzano però dura poco, in cadetteria, e ritorna presto in C.
Gli uomini di Foscarini, allenatore che ha grandissimi meriti nel ciclo vincente dei bergamaschi, provano a lottare per non abbandonare la cadetteria.
Ma nonostante alcuni giocatori di sicuro valore (Ferrari, Salvatori, Florjančič, Barone, Scalzo, Gorgone ed altri ancora) arriva, inesorabile, la retrocessione.
Madonna resta nel sodalizio orobico sino al 2002 quando, prossimo alle quaranta primavere, saluta la compagnia e si ritira dal calcio giocato.
Con la consapevolezza di aver dato tutto, allenandosi con maniacale professionalità e giocando con attitudine rispettosa nei confronti delle squadre che lo hanno ingaggiato e nel rispetto dei tifosi che lo hanno sostenuto.
I rimpianti non mancano, però.
Inutile girarci intorno: lo volevano Juventus, Inter, Napoli, Roma.
Lo ha preso la Lazio, proprio negli anni in cui iniziava ad affacciarsi nel grande calcio.
E lo seguivano anche i tecnici federali, nel suo periodo atalantino.
Regalia, il preparato Direttore Sportivo biancoceleste dell’epoca, se ne invaghì dopo averlo visto dal vivo e dopo averlo seguito a lungo.
Il suo presidente, Calleri, durante la presentazione del giocatore lo paragonò ad un giovanissimo Lentini, allora in rampa di lancio, sostenendo che il neo acquisto Laziale fosse di gran lunga superiore al torinista.
Invece Armando Madonna ha fallito il suo match point.
O, per essere precisi, se lo è giocato senza enfasi e con poco carattere.
Peccato.
Dopo aver appeso le scarpe al chiodo Madonna intraprende il percorso di allenatore.
Parte proprio dall’Alzano Virescit, dapprima da vice e poi da responsabile tecnico.
Successivamente guida la Primavera dell’Albinoleffe per un quinquennio, prima di passare alla prima squadra.
Quindi torna a Piacenza, poi è a Livorno e dopo al Portogruaro.
Un altro ritorno, all’Albinoleffe, prima della firma col Virtus Bergamo, cioè la nuova società nata dopo l’ennesima fusione tra compagini dell’area bergamasca.
Nel 2018 Armando Madonna si accasa all’Inter, venendo nominato allenatore della formazione Primavera.
Lascia dopo un triennio e diciamo che pure da allenatore Madonna non eccelle a livello di bacheca, ecco.
Anzi: da questo punto di vista meglio da calciatore, con tre promozioni dalla C alla B, un campionato CND, una Coppa Italia di serie C ed una Coppa Anglo-Italiana vinta nel 1986 a Piacenza, battendo in finale (5-1) il Pontedera di Marcello Lippi.
Bene, ma non benissimo.
Con i suoi mezzi, atletici e tecnici, Armando Madonna avrebbe potuto fare molto di più.
Suo figlio Nicola, classe 1986, ha provato a ripercorrere le orme paterne, giocando in A con l’Atalanta ed in B con Albinoleffe, Vicenza, Spezia, Como e Padova.
Come detto, da adolescente Armando Madonna è stato uno dei calciatori che mi ha maggiormente deluso, dal punto di vista Laziale e nel rapporto speranze-esiti.
Non è stato fortunato, ci ha messo ampiamente del suo ed il calcio di Zoff, proficuo ma per certi versi abbastanza antiquato, non era forse il più adatto ad esaltare le caratteristiche del calciatore orobico.
Fatto sta che la parentesi romana ha dato il là ad un declino che soltanto la ferrea volontà di Armando ha in parte riscattato, con la straordinaria cavalcata dai dilettanti sino alla B indossando la maglia dell’Alzano Virescit.
Oggigiorno Madonna lavora come osservatore nel settore giovanile dell’Atalanta.
Il calcio è stato, è e sarà parte della sua vita.
Sempre e comunque.
Armando Madonna: Mindo.
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