Apollo 440 - Electro Glide in Blue
  • 1997

Apollo 440 – Electro Glide in Blue

1997.
Un’annata nella quale è uscita una marea di roba buona a livello di pop, rock e, soprattutto, di elettronica.

The Prodigy, con The Fat of the Land.
Daft Punk, con Homework.
Björk, con Homogenic.
The Chemical Brothers, con Dig Your Own Hole.
Adam F, con Colours.
Amon Tobin, con Bricolage.
Roni Size & Reprazent, con New Forms.
The Crystal Method, con Vegas.

Ed altro ancora.
Tra cui un Top, a parer mio: Electro Glide in Blue, degli Apollo 440.


Un gruppo davvero particolare, denso di parecchie citazioni sulla propria origine, sui propri brani, sulla propria musica, sulle proprie copertine.

Originari di Liverpool, nel 1996 cambiano anche la modalità di trascrizione del proprio nome in Apollo Four Forty.
Non è un cambiamento epocale.
Electro Glide in Blue invece sì, lo è.

Si tratta del loro secondo disco e, senza troppe discussioni, del migliore dei cinque pubblicati sino ad oggi.
Inizialmente sono in 4, poi uno sceglie altre strade e gli altri tre danno alle stampe un lavoro che è innanzitutto originale.
Non che manchino le fonti di ispirazione, certo.

Però EGIB mostra una band ambiziosa, determinata, con le idee chiare, convinta del proprio incedere e consapevole di poter offrire al pubblico un’opera particolareggiata e coesa.
12 brani per oltre settanta minuti di rock elettronico ed una lunga una serie di elementi miscelati in maniera a dir poco perfetta.

Ecco: questa è forse la caratteristica più interessante di questo lavoro: l’omogeneità.
Cioè il riuscire ad esprimere in modo armonico l’insieme, facendo confluire al suo interno diversi generi senza che vi sia eccessiva prevaricazione dell’uno nei confronti dell’altro.


  1. Stealth Overture – 1:00
  2. Ain’t Talkin’ ‘bout Dub – 4:30
  3. Altamont Super-Highway Revisited – 6:33
  4. Electro Glide in Blue – 8:36
  5. Vanishing Point – 7:27
  6. Tears of the Gods – 6:18
  7. Carrera Rapida – 6:48
  8. Krupa – 6:15
  9. White Man’s Throat – 4:54
  10. Pain in Any Language – 8:40
  11. Stealth Mass in F#m – 6:35
  12. Raw Power – 3:50

Stealth Overture, un breve quanto intenso intro, apre le danze.
Ain’t Talkin’ ‘Bout Dub, costruita sul campione di un pezzo dei Van Halen, è una irresistibile esplosione di energia jungle che fa saltare il banco e mette gli inglesi al centro della scena internazionale.
Altamont Super-Highway Revisited allenta i battiti ma senza disperdere la vitalità, con una lunga serie di schitarrate techno inframezzate da un’armonica western che, nel contesto, ha il suo perché.
Electro Glide in Blue è una meravigliosa peripezia di oltre otto minuti in cui si viaggia liberi e senza alcun appiglio in un rock elettrico, erotico, vigoroso: pezzo strepitoso.
Vanishing Point è una riuscita suite di “Atmospheric Drum and Bass”, delicata ed evocativa.
Tears of the Gods riporta il rock in primo piano, con le chitarre a dominare la scena e la voce campionata di Charles Bukowski a donare al pezzo un senso di irresistibile misticismo.
Carrera Rapida è il tema di un gioco per pc, una sorta di colonna sonora che scorre veloce sui binari del ritmo.
Krupa, incentrata sulle ritmiche di un pezzo dei britannici Sweet, è un tributo al talentuoso jazzista statunitense omonimo ed è incentrata sul suo strumento di lavoro, la batteria, che assurge a protagonista e si interfaccia, con esiti più interessanti man mano che la traccia avanza, ai sintetizzatori.
White Man’s Throat è una traccia alquanto sfiziosa, notturna e rilassante, che miscela con gusto elettronica e jazz.
Pain in Any Language scava dentro, a fondo, con la voce del sempre troppo sottovalutato Billy Mackenzie che crea dei profondi solchi nell’anima, adagiandosi su di un testo che indiscutibilmente fotografa la passione, il sentire, l’amare: capolavoro.
Stealth Mass in F#m pare uscita da un concerto di voci bianche all’interno del duomo di Magonza, con l’incedere della celestiale voce di Elizabeth Gray -la stessa dell’intro- che pian piano si staglia su un tappeto di suadenti melodie elettroniche.
Raw Power chiude i giochi con una brutale scarica di adrenalina.


I’m gonna love you, till you love me then no more
You’re gonna need me, like I need you right now
I’m gonna screw you, for all you’re worth and no more
You’re gonna need me, it’s the same in any language
The pain in any language is the same in any language
I’m gonna love you, till you love me then no more
You’re gonna need me, like I need you right now
You’re gonna need me, it’s the same in any language
The pain in any language is the same in any language
I’m gonna love you, till you love me then no more
It’s the same in any language
The pain in any language
Same in any language
I’m gonna love you, till you love me then no more
Look, you’re gonna need me

They won’t love you, like I love you
They won’t love you, like I do
They won’t love you, like I love you
They won’t love you, like I do

Apollo 440 – Pain in any Language

Apollo 440

Gli Apollo 440 sono stati definiti nel tempo: autentici innovatori, coraggiosi musicisti, astuti plagiatori, noiosi casinisti.
Prescindendo dalle opinioni, si può certamente affermare che siano stati molto più bravi a generare singoli di grido piuttosto che produrre album di successo.
Difatti i nostri, anche con i lavori successivi a questo in oggetto, non sono mai riusciti a vendere parecchio ed imporsi in modo definitivo, nonostante non siano mancati i pezzi spacca-classifica, spesso utilizzati per colonne sonore, pubblicità ed eventi.

Electro Glide in Blue, a parer mio, non merita di rientrare in queste classificazioni e/o caratterizzazioni.
Questo è veramente un disco che, pur tra palesi citazioni ed innegabili ispirazioni, possiede una propria forza intrinseca, disegna un coerente percorso musicale e mostra una notevole dose di talento.

Uno dei miei preferiti del periodo, che si ascolta dall’inizio alla fine e si lascia piacevolmente ripartire in loop.
Con 3/4 momenti di inoppugnabile splendore.


Apollo 440 – Electro Glide in Blue: 7,5

V74

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